Pino Puglisi

Questa foto di Don Puglisi è esposta nel Percorso della Legalità a Cermenate (CO)


E ricordate: non è da Cosa Nostra che potete aspettarvi un futuro migliore per il vostro quartiere. Non potranno mai darvi una scuola media per i vostri figli o un asilo nido dove lasciare i bambini quando andate a lavoro. PINO PUGLISI


15 settembre del 1993 – Giuseppe Puglisi, 56 anni, sacerdote. Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza lo aspettano davanti casa. Spatuzza, avvicinandosi all’obiettivo, simula una rapina del portafogli, Don Pino lo guarda e sorride.

 

La tomba di Padre Puglisi a Palermo Cattedrale


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UCCISO A PALERMO PARROCO DI BRANCACCIO. (ANSA) – PALERMO, 15 SETTEMBRE 1993 – Padre Giuseppe Puglisi, 56 anni, parroco della Chiesa di San Gaetano nel quartiere di Brancaccio a Palermo, e’ stato assassinato con un colpo di pistola alla nuca. L’ omicidio e’ avvenuto intorno alle 21.30 davanti all’ abitazione del religioso in via Anita Garibaldi e non avrebbe avuto testimoni. L’ allarme e’ stato dato da alcuni vicini che hanno sentito i gemiti del prete e hanno chiamato l’ambulanza del pronto soccorso dell’ ospedale Buccheri La Ferla. Padre Puglisi e’ morto subito dopo il ricovero. Sono in corso accertamenti per stabilire l’ esatta dinamica dell’agguato.

CHI ERA  Giuseppe (detto Pino) Puglisi nasce il 15 settembre del 1937 a Palermo, nel quartiere periferico di Brancaccio, in una famiglia di umili condizioni: la madre, Giuseppa Fana, è una sarta, mentre il padre, Carmelo Puglisi, lavora come calzolaio. Nel 1953, a sedici anni, Pino entra in seminario: viene ordinato prete nella chiesa santuario della Madonna dei Rimedi il 2 luglio del 1960 dal cardinale Ernesto Ruffini.

L’attività pastorale Divenuto nel frattempo amico di Davide Denensi (fino al trasferimento di quest’ultimo in Svizzera) e di Carlo Pelliccetti, che lo sostengono e lo supportano quotidianamente, nel 1961 Pino Puglisi viene nominato vicario cooperatore nella parrocchia del Santissimo Salvatore nella borgata palermitana di Settecannoli, non distante da Brancaccio. Dopo essere stato scelto come rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi e come confessore delle suore brasiliane Figlie di Santa Macrina nell’istituto omonimo, viene nominato – nel 1963 – cappellano all’orfanotrofio “Roosevelt” all’Addaura e presta servizio come vicario alla parrocchia Maria Santissima Assunta nella borgata marinara di Valdesi.

Don Puglisi educatore In questo periodo, è vicerettore del seminario arcivescovile minorile e prende parte a una missione a Montevago, paese colpito dal terremoto; intanto, si appassiona all’educazione dei ragazzi (insegna all’istituto professionale “Einaudi” e alla scuola media “Archimede”), mantenendo tale vocazione anche quando, il 1° ottobre del 1970, viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese della provincia di Palermo costretto, in quegli anni, a far fronte agli scontri feroci in corso tra due famiglie mafiose: famiglie che, anche grazie all’opera di evangelizzazione di Don Puglisi, si riconciliano. Continua a insegnare fino al 1972 alla scuola media “Archimede”, e nel frattempo è docente anche alla scuola media di Villafrati. Nel 1975 è professore alla sezione di Godrano della scuola media di Villafrati, e dall’anno successivo anche all’istituto magistrale “Santa Macrina”. Dal 1978, anno in cui comincia a insegnare al liceo classico “Vittorio Emanuele II”, lascia la parrocchia di Godrano e diventa pro-rettore del seminario minore di Palermo; successivamente assume l’incarico di direttore del Centro diocesano vocazioni, per poi accettare il ruolo di responsabile del Centro regionale vocazioni.

A cavallo tra anni ’80 e anni ’90  Nel frattempo, è membro del Consiglio nazionale e contribuisce alle attività della Fuci e dell’Azione Cattolica. A partire dal mese di maggio del 1990 svolge il proprio ministero sacerdotale anche a Boccadifalco, alla Casa Madonna dell’Accoglienza dell’Opera Pia Cardinale Ruffini, aiutando ragazze madri e giovani donne in situazioni di difficoltà. Il 29 settembre dello stesso anno Don Pino Puglisi viene nominato parroco a San Gaetano, tornando quindi a Brancaccio, il suo quartiere di origine: un quartiere gestito dalla mafia – e in particolare dai fratelli Gaviano, boss strettamente legati alla famiglia di Leoluca Bagarella.

Contro la mafia e contro la mentalità mafiosaIn questo periodo, quindi, comincia la lotta di Don Puglisi contro la criminalità organizzata: non tanto cercando di riportare sulla retta via chi è già mafioso, ma provando a evitare che si facciano coinvolgere dalla criminalità i bambini che vivono per le strade e che ritengono che i mafiosi siano delle autorità e delle persone degne di rispetto. Nel corso delle sue omelie, comunque, Don Pino si rivolge frequentemente ai mafiosi, dimostrando di non temere (almeno pubblicamente) eventuali conseguenze. Grazie alla sua attività e ai giochi che organizza, il parroco siciliano toglie dalla strada numerosi bambini e ragazzi che, senza la sua presenza, sarebbero stati sfruttati per spacciare o per compiere rapine, coinvolti in maniera irreparabile nella vita criminale. Per questa sua attività, a Don Puglisi vengono rivolte e recapitate numerose minacce di morte da parte di boss mafiosi, di cui tuttavia non parla mai a nessuno. Nel 1992 riceve l’incarico di direttore spirituale del seminario arcivescovile di Palermo, e pochi mesi più tardi inaugura il centro Padre Nostro a Brancaccio, finalizzato all’evangelizzazione e alla promozione umana.

L’assassinio Il 15 settembre del 1993, in occasione del suo cinquantaseiesimo compleanno, Don Pino Puglisi viene ucciso poco prima delle undici di sera in piazza Anita Garibaldi, davanti al portone di casa sua, nella zona orientale di Palermo. Dopo essere sceso dalla sua auto, una Fiat Uno, viene avvicinato al portone da un uomo che gli spara contro alcuni colpi diretti alla nuca. Le ultime parole di Don Pino sono “Me lo aspettavo“, accompagnate da un tragico sorriso. L’assassino – verrà accertato dalle indagini e dai processi successivi – è Salvatore Grigoli (autore di più di quaranta omicidi, come egli stesso confesserà), presente insieme con Gaspare Spatuzza e altre tre persone: un vero e proprio commando composto anche da Luigi Giacalone, Cosimo Lo Nigro e Nino Mangano. I mandanti dell’omicidio sono, invece, i capimafia Giuseppe e Filippo Gaviano (che per l’assassinio verranno condannati all’ergastolo nel 1999). I funerali del parroco si svolgono il 17 settembre: il suo corpo viene sepolto nel cimitero palermitano di Sant’Orsola, e sulla tomba saranno riportate le parole “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici“, tratte dal Vangelo di Giovanni.

Il film “Alla luce del sole” Nel 2005, il regista Roberto Faenza dirige il film “Alla luce del sole“, in cui Don Pino Puglisi è interpretato da Luca Zingaretti: la pellicola è ambientata nella Palermo del 1991, e racconta la storia del sacerdote e del suo impegno per allontanare i bambini del luogo dagli artigli della malavita


“Don Puglisi minaccia per Cosa nostra”  Il prete, con le use iniziative che puntavano a sottrarre i ragazzi del quartiere dalle mire di Cosa nostra, rappresentava una minaccia troppo pericolosa per i boss. E per questo – ammette il pentito – “abbiamo deciso di ucciderlo”. Uno dei testimoni chiave del dibattimento torna a descrivere i retroscena di quel delitto e racconta di aver prima “pensato di simulare un incidente” e poi di aver deciso “di ucciderlo in quel modo” (padre Puglisi venne assassinato in piazza, ndr). L’ex soldato dei Graviano sviscera davanti ai giudici della Corte d’Assise di Palermo i dettagli per pianificare l’agguato. “Abbiamo iniziato delle osservazioni – prosegue Spatuzza – poi abbiamo infiltrato nell’associazione di don Puglisi una persona, io certo non potevo farlo perché in Chiesa non ci andavo e la mia presenza poteva dare sospetti”. di RQuotidiano | 13 MARZO 2014

Sentenza Corte d’Assise 14.4.1998 

 

 


 Don Pino Puglisi per dire no alla mafia«Vedo l’Europa come una grande prateria in cui le mafie vanno a pascolare». Non ha certo usato mezzi termini il giudice Nicola Gratteri quando un paio d’anni fa, nel corso di un convegno, ha riacceso i riflettori sulla capacità delle cosche di mutar pelle, espandersi, diffondersi. Le mafie, non v’è dubbio, sono una questione non più solo italiana, ma viene da chiedersi se, in un’Europa e in un mondo uniti dalla globalizzazione e tuttavia ancor divisi dagli interessi economici e dalle leggi, sia possibile una efficace risposta al fenomeno mafioso, capace di andare oltre i confini – pure mentali e culturali – come fa “Cosa Nostra” nel proprio àmbito.

La sfida non si vince più solo con le investigazioni, la caccia ai patrimoni, la certezza e la severità della pena, l’introduzione a livello comunitario (auspicata e non ancora realizzata) del reato di associazione mafiosa. È necessario, anche un modello di impegno civile di testimonianza cristiana. Quello di don Pino Puglisi, ad esempio, proclamato beato esattamente un anno fa, il 25 maggio 2013. Per capire quanto universale sia il messaggio di questo sacerdote palermitano basta far riferimento proprio al nostro continente: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza e rispetto dei diritti umani sono i princìpi condivisi dalle genti d’Europa. Sono valori cristiani, che il Vaticano II ha ribadito e rilanciato per tutta la cattolicità, e che infine sono stati trasfusi nella Carta dei diritti fondamentali (adottata nel 2000 e divenuta vincolante per i Paesi Ue dal 2009), i cui capisaldi sono, appunto la difesa dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali; la promozione dei diritti delle donne, dei bambini, delle minoranze e degli sfollati, senza patria; la condanna della pena di morte, della tortura, della tratta di esseri umani e di ogni discriminazione. 
Valori la cui pratica collide con le forze palesi o occulte che invece perseguono la via della sopraffazione, in quelle situazioni di emarginazione sociale e carenza di opportunità lavorative dove la criminalità organizzata attecchisce e miete vittime. Vittime come Falcone e Borsellino, e come il parroco di Brancaccio a Palermo.
Il 15 settembre del 1993 chi lo uccide alle spalle usa una calibro 7.65, solitamente non utilizzata dai mafiosi per i loro delitti. I sicari portano via il borsello della vittima: vogliono far passare l’omicidio come un tentativo di rapina finito tragicamente. Non ci riusciranno. E tutti, esecutori e mandanti, questi ultimi identificati nei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, verranno assicurati alla giustizia. Ma perché Cosa Nostra uccide un ministro di Dio? Quell’omicidio è stato, semplicemente, la conseguenza non ricercata di un’umile volontà di quotidiana fedeltà al Signore, anche di fronte alla eventualità di una morte violenta inflitta da uomini dediti al male. Prospettiva che don Pulisi non era ignota, al punto da affermare: «Il discepolo di Cristo è un testimone. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio». 
Fu ucciso dalla mafia in odium fidei, per odio alla fede cristiana incarnata ed esercitata. Tale odio non solo ebbe per oggetto le verità da credere, ma anche le virtù richieste dalla fede. Egli subì il martirio per amore di Cristo e della Chiesa, per aver incitato la gente a preferire valori umani e cristiani, quali la difesa dei deboli, l’educazione della gioventù, il rispetto della giustizia e della legalità, l’acquisizione dei diritti che la mafia negava. Insomma, per aver invitato i suoi parrocchiani a conformarsi a quei princìpi che costituiscono anche le basi dell’Europa unita.
Oggi quel prete viene additato dalla Chiesa come emblema del modo straordinariamente ordinario di essere cristiano e di essere prete e, per ciò stesso, inevitabilmente voce critica di ogni comportamento contrastante col diritto alla vita e coi diritti fondamentali dell’uomo. Per questo, a pieno titolo, come già lo è stato per Palermo e la Sicilia, Puglisi può essere pure per le genti del Vecchio Continente – che in queste ore stanno eleggendo il nuovo Europarlamento – un punto di riferimento per una resistenza attiva, svolta in nome del Vangelo, alle varie forme di criminalità organizzata in un’Europa che tale linea proclama solennemente sin dal 2007, anche se poi, proprio in questi giorni, incredibilmente decide di considerare parte della “ricchezza” che nella Ue si produce ogni anno (il famoso Pil) pure i proventi delle attività criminali.
La figura del Beato deve perciò essere non solo un modello da imitare da parte dei credenti, ma da presentare, da far conoscere a tutti i cittadini d’Europa. Il parroco di Brancaccio, col suo sacrificio, ricorda ai cristiani e a tutti gli uomini retti, che contro le mafie non basta denunciare, prevenire, punire, ma occorre un impegno civile e un annuncio del Vangelo da testimoniare con coerenza, con convinzione. «Un cristiano – ricordava qualche tempo fa Papa Francesco – se non è rivoluzionario, non è un cristiano. Non capisco le comunità cristiane che sono chiuse in parrocchia. Uscire per annunziare il Vangelo. A noi cristiani il Signore ci vuole pastori e non pettinatori di pecorelle». Proprio come don Pino Puglisi: Prete, semplicemente prete. 
AVVENIRE. 26.5.2014  Vincenzo Bertolone – arcivescovo di Catanzaro e postulatore della causa di beatificazione di don Puglisi


A Palermo, come in altre località belle e disperate contaminate dagli uomini del disonore, si muore con preavviso. Una lunga e grave malattia può far prevedere la stagione della morte del malato, come una minaccia costante. Ma se uno sta bene e sprizza salute, lavora, mangia e prega, gioca al pallone, viaggia, si riposa, guarda il mare, non si aspetta di morire, a meno che qualcuno lo minacci. E lo avverta di morte. Pino Puglisi, sacerdote, l’avevano avvertito. I fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, vivevano la loro dorata carriera criminale a Brancaccio, tra Ficarazzi, Ficarazzelli, Bagheria, Villabate e la città, senza paura. Amici di Riina e Provenzano, dei Lo Piccolo e di molti imprenditori senza paura e senza dignità, i due consanguinei facevano scorrere arterie di droga e di soldi ovunque, ma tutto l’organismo mafioso partiva e tornava sempre a Brancaccio. Oggi come allora, se si viaggia in auto, sulla litoranea, poco prima di giungere a Brancaccio, si attraversa una località segnata con la vernice scolorita sulla facciata di una casa cantoniera: Palermo Bandita. La Bandita è sempre stata una località di mare, fino agli anni Sessanta piena di lidi balneari, con le cabine in legno su palafitte. La gente del popolo e della grana ci andava a fare il bagno. Poi gli anni Ottanta, le “bionde”, il traffico di sigarette e la grande riffa della droga, con Gaetano Fidanzati sodale dei giovanissimi Graviano. A Brancaccio, a pochi minuti dalla Bandita, dal bagnasciuga, nacque Giuseppe, Pino. La madre sarta e il padre calzolaio. Nacque in una Palermo e crebbe in un’altra. A Palermo, quando Pino era giovane, le cose non andavano benissimo, ma un barbiere era contento di fare il barbiere, un cuoco di fare il cuoco, il poliziotto il suo mestiere e così via. Poi, dopo il fiume di soldi della droga e del cemento speculativo, molti volevano essere altro, o almeno apparire. Allora Puglisi portò a Brancaccio la parola della verità del Vangelo, di strada, per ragazzi. E il Vangelo passava – e passa – anche tra i due sassi di una porta da calcio immaginaria. Nei condomini di periferia Pino portava il Vangelo, la solidarietà e l’indipendenza dei diritti sociali. Nelle strade, in parrocchia, in quell’oratorio così raro in una città con le chiese sigillate per decenni ai giovani e agli ultimi. Un mostro bellissimo, un arcangelo dei piccoli passi contro il business dei Graviano. Prete testardo, pericoloso, minaccia costante di illuminazione dei manovali spacciatori, taglieggiatori, rapinatori, tutti giovani e sue possibili prede. Quel giorno di vendemmia, lo stesso della sua nascita, Spatuzza mimò la rapina, camuffando se stesso vigliacco nei panni di uomo da niente. Pino Puglisi si voltò e sorrise, pronunciando al contempo una frase tutta nostra, siciliana, di fronte alla morte: «me l’aspettavo». Salvatore Grigoli, da dietro, osservando la scena, mirò alla nuca del sacerdote, tese il braccio, quasi poggiò la canna ai capelli, e sparò.


L’HO UCCISO CON UN COLPO ALLA NUCA

                PADRE PUGLISI PARLA SALVATORE GRIGOLI, IL SUO ASSASSINO

 Salvatore Grigoli, collaboratore dell’Arma dei Carabinieri, ex mafioso al soldo dei fratelli Graviano. Vissuto fra i quartieri di Cosa Nostra, con 46 omicidi alle spalle risulta uno dei più spietati killer, presenziando inoltre alle stragi di Firenze e a vari attentati a Roma, nonché a un attentato ai danni di Maurizio Costanzo. I fratelli Graviano, assieme a un altro mafioso, Gaspare Spatuzza, lo incaricarono dell’omicidio ai danni di don Giuseppe Puglisi, che con il centro “Padre Nostro” toglieva tanti giovani ragazzi a Cosa Nostra. L’omicidio si svolse il giorno del compleanno del parroco di Brancaccio, allora uno dei cuori della mafia a Palermo. Stando ai racconti di Grigoli, Spatuzza si affiancò a un tranquillo don Puglisi dicendo: “Padre, questa è una rapina”. Il prete avrebbe ribattuto, con un sorriso: “Me l’aspettavo”. Dopo aver sparato un colpo alla nuca, sempre stando ai racconti del pentito, la morte di Puglisi sembrò una maledizione, dati i continui fallimenti a cui andavano incontro. Stanco della vita mafiosa, arrestato, confessò tutti i delitti e cominciò una collaborazione, che lo portò ad essere sotto scorta e a vivere con continui spostamenti per evitare vendette da parte della mafia. WIKIPEDIA


Tratto dal verbale dell’udienza del 7 luglio del 1997, rendeva spontanee dichiarazioni, riportate nella sentenza di primo grado “Io vorrei collaborare….con la giustizia, quindi definendomi collaboratore”. “Però, per quanto riguarda questo processo, vorrei definirmi io più che altro un pentito, perché mi sono pentito realmente di aver commesso questo omicidio”.“Riguardo ….io cominciai già a pensare qualcosa del genere all’incirca, riguardo sul pentirmi, un sei mesi addietro a questa parte…. E mi ha dato modo di pensare questo il fatto che da un anno a questa parte io non ero più sostenuto da nessuno, né economicamente né ….cioè in poche parole io non ero più in condizioni di campare, come si suol dire la famiglia; mi sono dovuto persino impegnarmi dell’oro che avevo io per potere mandare dei soldi a casa….e fare….altre cose; addirittura farmi prestare dei soldi per potere tirare avanti i miei figli e questa cosa mi ha cominciato a fare pensare io con chi…per tutta…per gran parte della mia vita, con chi ho avuto a che fare, se è stato giusto le cose che ho commesso, i delitti….cioè questa cosa mi cominciò a far pensare se era stato giusto quello che avevo fatto io per conto di questa organizzazione. E da questo, ecco, che io ho deciso anche di collaborare con la giustizia”. “Adesso vorrei dire io cosa sono a conoscenza e le mie responsabilità riguardo il delitto di Padre Puglisi”. “Vorrei premettere un’altra cosa, che io….tengo a precisare che non è assolutamente vero il fatto che io mi sia vantato, dopo aver commesso questo omicidio, perché non ne trovavo le ragioni, non me ne vantavo per altri omicidi….figuriamoci di questo che già….anche perché, dopo averlo commesso, ci pensavo spesso a questo omicidio e non vedevo la ragione per cui è stato fatto….anche se i motivi ne sono a conoscenza, ma non mi sembravano motivi validi per uccidere un prete”. “Prima….volevo precisare un’altra cosa, prima dell’omicidio, ho commesso un altro reato, lo dico perché secondo me è attinente a questo omicidio. Fummo incaricati io, Spatuzza e Guido Federico di bruciare tre porte di tre famiglie di uno stabile di via Azolino Hazon, nei dintorni di questa via…perché queste persone erano vicine a padre Puglisi”. “I fatti che io conosco, le responsabilità dell’omicidio sono quelli che un giorno…non ricordo se fu lo Spatuzza o Nino Mangano che un giorno mi disse che dovevamo commettere questo omicidio, che deve essere stato lo Spatuzza anche perché la persona che conosceva il padre. Già aveva parlato con Giuseppe Graviano e si doveva commettere questo omicidio, sicuramente ne parlai anche con Nino Mangano, perché io non facevo niente se non ne parlassi con lui”. “Quindi una sera….cercammo di vedere i movimenti, gli spostamenti del padre e lo incontrammo a Brancaccio, in un telefono pubblico. Non mi ricordo se già ero armato o dopo averlo visto…ci recammo per armarci, anche se poi l’unico a essere armato ero io e lo attendemmo nei pressi di casa”. “Così fu, eravamo io, lo Spatuzza, Giacalone Luigi e Lo Nigro Cosimo. Eravamo comunque…non avevamo né macchine rubate, né motociclette, niente di tutto questo, eravamo con le macchine….una era di disponibilità del Giacalone, un BMW e una Renault 5 di proprietà del Cosimo Lo Nigro. Scese Spatuzza dalla macchina del Lo Nigro, perché Spatuzza era con Lo Nigro ed io ero con Giacalone. Il primo ad arrivare fu lo Spatuzza, ricordo che il padre si stava accingendo ad aprire il portone di casa, ….lo Spatuzza si ci affiancò, perché il padre aveva un borsello, gli mise la mano nel borsello e gli disse: padre questa è una rapina”. “Allorchè il padre neanche si era accorto di me….e il padre, fu una cosa questa qui che non posso dimenticare, perché ogni volta che penso a questo episodio mi viene in mente questa visione del padre che sorrise, non capii se fu un sorriso ironico o sorrise….sorrise e gli disse allo Spatuzza “me l’aspettavo”. Allorchè io gli sparai un colpo alla nuca e il padre morì sul colpo senza neanche accorgersene di essere stato ucciso”. “Dopo di ciò chiaramente il borsello fu portato via dallo Spatuzza… Dopo di ciò ci recammo in uno stabilimento della zona industriale cosiddetto Valtras, uno stabilimento di export-import…una specie di spedizionieri erano e lì fu controllato il borsello. Ricordo bene che c’era una patente, lo ricordo bene perché lo Spatuzza aveva la mania, perché lui all’epoca già era latitante, di togliere le marche da bollo che potevano servire per eventuali documenti falsi e tutti i documenti e tolse le marche da bollo”. “Tra le altre cose ricordo che c’era una lettera…non ricordo se è stata inviata al padre o….c’era una busta con un foglio, una lettera di una persona che gli aveva scritto che, se non ricordo male, gli facesse gli auguri non so di cosa, all’incirca trecento mila lire e poi altri pezzettini di carta…” “Vorrei premettere che il borsello fu portato via, perché si voleva far credere che l’omicidio….cioè l’omicidio dovevano pensare gli inquirenti che era stato fatto da qualche tossicodipendente o da qualche rapinatore, ecco perché fu utilizzata la 7,65, non è un’arma consueta agli omicidi di mafia”. “Questo è quello che io sono a conoscenza….”.


IL TAVOLO “DON PINO”   11.9.2013 – DESIGN ANTIMAFIE – I GIOVANI E STUDENTI DELL’ISTITUTO D’ARTE FAUSTO MELOTTI HANNO PROGETTATO ALCUNI MODELLI DI TAVOLI DA CONFERENZE il progetto vincente è stato realizzato ed ora è utilizzato dal PSF presso la sua sede nazionale di Cermenate

 
 
 

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XV   EDIZIONE premio INTERNAZIONALE BEATO PADRE PINO PUGLISI 2019

XIV  EDIZIONE PREMIO INTERNAZIONALE BEATO PADRE PINO PUGLISI 2018

 XIii edizione premio internazionale beato padre pino  puglisi  2017

XII  EDIZIONE PREMIO INTERNAZIONALE BEATO PADRE PINO  PUGLISI  2016

XI    EDIZIONE PREMIO INTERNAZIONALE BEATO PADRE PINO  PUGLISI  2015

 

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    Mons. Corrado Lorefice e Padre Antonio Garau

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    Premio beato Padre Pino Puglisi, l’edizione 2018 è dedicata ad Amal e a tutti i bambini Yemeniti che soffrono
    Premio beato padre Pino Puglisi, l’edizione 2018 dedicata ai bimbi Yemeniti che soffrono   A venticinque anni dalla morte del beato Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993, e pochi mesi dopo la visita di Papa Francesco a Palermo, anche nei luoghi del ministero del sacerdote di Brancaccio, la diocesi palermitana si muove in prima persona nell’organizzazione e definizione del “Premio Internazionale Beato Padre Pino Puglisi”. Da quest’anno infatti, è proprio l’arcivescovo di Palermo, Monsignor Corrado Lorefice, a presiedere la giuria del premio giunto alla quattordicesima edizione.Il progetto, ideato originariamente da padre Antonio Garau, sacerdote sempre impegnato nel sociale, è cresciuto con l’attenzione per i temi legati alla pace e alla legalità, fino ad affermarsi anche al di là dei confini nazionali. Questa edizione è dedicata a tutti i bambini yemeniti che soffrono e in particolare ad Amal, la piccola morta per fame, a sette anni, qualche settimana fa, la cui foto era finita sul New York Times per sensibilizzare l’opinione pubblica a proposito di un conflitto dimenticato da molti. Difficile trovare un tema migliore e più attuale per ricordare il Beato Padre Pino Puglisi, che ha dedicato la sua vita ai giovani più emarginati, quelli che vivevano sulla strada, giovani che in lui hanno trovato un padre. È stato ucciso perché dava fastidio alla mafia, impedendo concretamente la formazione di giovani mafiosi.  Stavolta proprio l’Arcidiocesi, in collaborazione con l’associazione “Giovani 2017 3P”, organizza il premio internazionale: la serata con la consegna dei riconoscimenti, presentata dai giornalisti Roberto Gueli e Antonella Rizzuto, si svolgerà lunedì 3 dicembre, dalle ore 21, al teatro Politeama di Palermo. Saranno premiati in sette, fra quanti si sono spesi a favore dei più deboli in attività sociali e di beneficenza.  Il premio, nel corso del tempo, è cresciuto esponenzialmente, raccogliendo consensi diffusi e attenzione da parte delle istituzioni e dei media. Da quattro anni la direzione artistica e di produzione è affidata a Francesco Panasci di Panastudio Gruppo Editoriale, che ha contribuito a rendere questo appuntamento annuale più appetibile dal punto di vista mediatico, anche grazie al coinvolgimento di personalità del mondo dello spettacolo, della musica, dell’arte e della cultura.  Grazie alla diretta streaming sulla pagina Facebook sarà possibile seguire l’evento con qualsiasi strumento mediatico e senza limiti territoriali. “Abbiamo vissuto questa edizione con più responsabilità, spiega padre Antonio Garau, proprio perché incaricati direttamente dall’arcivescovo, sia io come suo delegato, che Gemma Ocello, in quanto presidente dell’associazione ‘Giovani 2017 3P’. Il nostro impegno mira sempre a ricordare il Beato Puglisi come sacerdote che ha lottato contro la mafia e la cui morte non ha comunque interrotto il suo messaggio di semplicità, legalità e pace”. Gli ospiti che intratterranno il pubblico del teatro Politeama saranno: l’attore Sergio Vespertino con la sua versatilità e la sua comicità; la cantante Daria Biancardi, voce per eccellenza della soul music siciliana; il duo jaz Joe e Marianna Costantino che si esibiranno con due brani, uno cantato e uno strumentale, entrambi dedicati a padre Pino Puglisi; l’Accademia internazionale del Musical di Palermo. 

     

    Ansa 28.6.2012 PAPA: SARA’ BEATO DON PINO PUGLISI, VITTIMA MAFIABenedetto XVI ha infatti autorizzato la Congregazione per le Cause dei santi a promulgare il decreto relativo al martirio di Puglisi perché ucciso “in odio alla fede”.Il riconoscimento del martirio, che il Papa ha decretato oggi nell’udienza al prefetto per le Cause dei santi card. Angelo Amato, indica che la causa di beatificazione si e’ conclusa positivamente e che presto don Puglisi sara’ elevato all’onore degli altari. A motivo del suo costante impegno evangelico e sociale nel quartire Brancaccio di Palermo, controllato dalla criminalita’ organizzata, il 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56/o compleanno, il sacerdote venne ucciso dalla mafia, davanti al portone di casa, intorno alle 20.45, in piazza Anita Garibaldi. Dopo le indagini, mandanti dell’omicidio furono riconosciuti i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano. Quest’ultimo fu condannato all’ergastolo per l’uccisione di don Puglisi il 5 ottobre 1999, mentre il fratello Filippo, dopo l’assoluzione in primo grado, fu condannato in appello all’ergastolo il 19 febbraio 2001. Condannati all’ergastolo dalla Corte d’assise di Palermo anche Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspetto’ sotto casa il prete.Disse prima di morire: ”Me l’aspettavo”. Furono le ultime parole pronunciate da Padre Pino Puglisi, soprannominato 3P, parrocco di Brancaccio, davanti alla pistola impugnata dal boss Giuseppe Grigoli. Adesso il sacerdote sara’ beato, Benedetto XVI ha infatti autorizzato la Congregazione per le Cause dei santi a promulgare il decreto relativo al martirio di Puglisi perche’ ucciso ”in odio alla fede”. Era la sera del 15 settembre 1993. Fu ammazzato nel giorno in cui compiva 56 anni. I killer erano attesi dal sacerdote che era consapevole del pericolo al quale si era esposto con la sua azione di recupero dei giovani del quartiere sottratti al dominio del clan dei Graviano. Nel 1999 fu il cardinale Salvatore De Giorgi ad aprire la causa di beatificazione proclamando padre Puglisi ”servo di Dio”. La prima fase del processo di beatificazione si e’ conclusa nel 2001. Padre Puglisi era stato nominato parroco della chiesa di San Gaetano, a Brancaccio, il 29 settembre 1990. Nel gennaio 1993 aveva aperto il centro ”Padre Nostro”, diventato in breve tempo punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. La sua attivita’ pastorale – come e’ stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie – ha costituito il movente dell’omicidio. Gli esecutori e i mandanti mafiosi, legati alla cosca mafiosa di Filippo e Giuseppe Graviano, sono stati condannati con sentenze definitive: ergastolo per i Graviano, Gaspare Spatuzza (che spalleggiava il killer e poi ha raccontato i retroscena del delitto), Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone. Oltre a Spatuzza anche Grigoli e’ diventato collaboratore giustizia: la sua scelta, che ha preceduto quella di Spatuzza, gli e’ valsa una condanna a 16 anni. ”Tre coordinate hanno caratterizzato il ministero di padre Pino – ha sostenuto l’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo in occasione dell’ultimo anniversario del delitto -: educatore dei giovani, accompagnatore e formatore di coscienze, sacerdote in ascolto delle loro esigenze e dei loro interrogativi”  DON PINO PRETE VERO   https://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/donpinopretevero.aspx#

    Don Pino Puglisi per dire no alla mafia «Vedo l’Europa come una grande prateria in cui le mafie vanno a pascolare». Non ha certo usato mezzi termini il giudice Nicola Gratteri quando un paio d’anni fa, nel corso di un convegno, ha riacceso i riflettori sulla capacità delle cosche di mutar pelle, espandersi, diffondersi. Le mafie, non v’è dubbio, sono una questione non più solo italiana, ma viene da chiedersi se, in un’Europa e in un mondo uniti dalla globalizzazione e tuttavia ancor divisi dagli interessi economici e dalle leggi, sia possibile una efficace risposta al fenomeno mafioso, capace di andare oltre i confini – pure mentali e culturali – come fa “Cosa Nostra” nel proprio àmbito. La sfida non si vince più solo con le investigazioni, la caccia ai patrimoni, la certezza e la severità della pena, l’introduzione a livello comunitario (auspicata e non ancora realizzata) del reato di associazione mafiosa. È necessario, anche un modello di impegno civile di testimonianza cristiana. Quello di don Pino Puglisi, ad esempio, proclamato beato esattamente un anno fa, il 25 maggio 2013. Per capire quanto universale sia il messaggio di questo sacerdote palermitano basta far riferimento proprio al nostro continente: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza e rispetto dei diritti umani sono i princìpi condivisi dalle genti d’Europa. Sono valori cristiani, che il Vaticano II ha ribadito e rilanciato per tutta la cattolicità, e che infine sono stati trasfusi nella Carta dei diritti fondamentali (adottata nel 2000 e divenuta vincolante per i Paesi Ue dal 2009), i cui capisaldi sono, appunto la difesa dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali; la promozione dei diritti delle donne, dei bambini, delle minoranze e degli sfollati, senza patria; la condanna della pena di morte, della tortura, della tratta di esseri umani e di ogni discriminazione. 
    Valori la cui pratica collide con le forze palesi o occulte che invece perseguono la via della sopraffazione, in quelle situazioni di emarginazione sociale e carenza di opportunità lavorative dove la criminalità organizzata attecchisce e miete vittime. Vittime come Falcone e Borsellino, e come il parroco di Brancaccio a Palermo.
    Il 15 settembre del 1993 chi lo uccide alle spalle usa una calibro 7.65, solitamente non utilizzata dai mafiosi per i loro delitti. I sicari portano via il borsello della vittima: vogliono far passare l’omicidio come un tentativo di rapina finito tragicamente. Non ci riusciranno. E tutti, esecutori e mandanti, questi ultimi identificati nei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, verranno assicurati alla giustizia. Ma perché Cosa Nostra uccide un ministro di Dio? Quell’omicidio è stato, semplicemente, la conseguenza non ricercata di un’umile volontà di quotidiana fedeltà al Signore, anche di fronte alla eventualità di una morte violenta inflitta da uomini dediti al male. Prospettiva che don Pulisi non era ignota, al punto da affermare: «Il discepolo di Cristo è un testimone. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio». 
    Fu ucciso dalla mafia in odium fidei, per odio alla fede cristiana incarnata ed esercitata. Tale odio non solo ebbe per oggetto le verità da credere, ma anche le virtù richieste dalla fede. Egli subì il martirio per amore di Cristo e della Chiesa, per aver incitato la gente a preferire valori umani e cristiani, quali la difesa dei deboli, l’educazione della gioventù, il rispetto della giustizia e della legalità, l’acquisizione dei diritti che la mafia negava. Insomma, per aver invitato i suoi parrocchiani a conformarsi a quei princìpi che costituiscono anche le basi dell’Europa unita.
    Oggi quel prete viene additato dalla Chiesa come emblema del modo straordinariamente ordinario di essere cristiano e di essere prete e, per ciò stesso, inevitabilmente voce critica di ogni comportamento contrastante col diritto alla vita e coi diritti fondamentali dell’uomo. Per questo, a pieno titolo, come già lo è stato per Palermo e la Sicilia, Puglisi può essere pure per le genti del Vecchio Continente – che in queste ore stanno eleggendo il nuovo Europarlamento – un punto di riferimento per una resistenza attiva, svolta in nome del Vangelo, alle varie forme di criminalità organizzata in un’Europa che tale linea proclama solennemente sin dal 2007, anche se poi, proprio in questi giorni, incredibilmente decide di considerare parte della “ricchezza” che nella Ue si produce ogni anno (il famoso Pil) pure i proventi delle attività criminali.
    La figura del Beato deve perciò essere non solo un modello da imitare da parte dei credenti, ma da presentare, da far conoscere a tutti i cittadini d’Europa. Il parroco di Brancaccio, col suo sacrificio, ricorda ai cristiani e a tutti gli uomini retti, che contro le mafie non basta denunciare, prevenire, punire, ma occorre un impegno civile e un annuncio del Vangelo da testimoniare con coerenza, con convinzione. «Un cristiano – ricordava qualche tempo fa Papa Francesco – se non è rivoluzionario, non è un cristiano. Non capisco le comunità cristiane che sono chiuse in parrocchia. Uscire per annunziare il Vangelo. A noi cristiani il Signore ci vuole pastori e non pettinatori di pecorelle». Proprio come don Pino Puglisi: Prete, semplicemente prete.  
    AVVENIRE. 26.5.2014  Vincenzo Bertolone – arcivescovo di Catanzaro e postulatore della causa di beatificazione di don Puglisi

    La tomba di Padre Puglisi a Palermo Cattedrale

     

 

Don Pino Puglisi, “U parrinu chi cavusi” – il prete con i pantaloni, chiamato così per la sua abitudine di non indossare l’abito talare per le strade di Brancaccio.