L’ultimo mistero del falso pentito Scarantino. Alla vigilia del processo voleva svelare il depistaggio


Ecco i brogliacci delle conversazioni con pm e poliziotti, il giallo si infittisce: chi lo convinse a non tirarsi indietro?

 SALVO PALAZZOLO 30 ottobre 2019

Il 22 maggio 1995, alla vigilia della sua prima deposizione al processo per la strage Borsellino, il falso pentito Vincenzo Scarantino era pronto a far saltare la grande impostura del depistaggio. Alle 20.27, chiamò la moglie per dirle: “Prepara le valigie, che ho intenzione di tornare in carcere”. Ma due giorni dopo, davanti ai giudici della corte d’assise di Caltanissetta, raccontò invece il castello di menzogne che gli avevano suggerito. Senza alcun tentennamento. E ora la domanda è una sola: chi convinse Scarantino a non tirarsi indietro?

In quei giorni, il falso pentito era sotto protezione a San Bartolomeo a Mare, provincia di Imperia, scortato dai poliziotti del “Gruppo Falcone Borsellino” che adesso sono accusati di essere i principali responsabili del depistaggio: nel processo in corso a Caltanissetta sono imputati un ex funzionario della squadra mobile di Palermo, il dottore Mario Bò, e due sottufficiali, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Nell’indagine della procura di Messina, sono invece indagati due ex magistrati di Caltanissetta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia.

Scarantino aveva un telefono nella sua abitazione, che era intercettato. I nastri sono stati ritrovati di recente in un archivio del palazzo di giustizia di Caltanissetta e consegnati alla procura di Messina, per essere trascritti. E’ emerso che il falso pentito era in contatto con magistrati e investigatori. I brogliacci delle conversazioni sono stati depositati al processo che vede imputati i tre poliziotti. E il giallo si infittisce.

Il 3 maggio, alle 19.41, Scarantino chiama l’utenza 091210704. “Telefona all’ufficio Falcone e Borsellino – annota solerte un agente che sta ascoltando il telefono intercettato, nei locali della procura di Imperia – chiede del dottor Bò, il quale non c’è. Enzo chiede spiegazioni delle domande che ha scritto in merito alla sua prossima presenza in aula”. Di quali domande si tratta? Stava forse imparando a memoria le false dichiarazioni? Il grande orchestratore sarebbe stato l’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002. Era il super poliziotto di Palermo, ma anche – e lo si è scoperto solo dopo la sua morte – un collaboratore dell’allora Sisde, il servizio segreto civile. Per quali missioni speciali, non è ancora chiaro.

Alle 20.08 di quel 3 maggio, Scarantino “ritelefona al Gruppo Falcone e Borsellino”, si legge ancora nel brogliaccio. Evidentemente, quella sera era particolarmente nervoso. “Richiede del dottore Bò – annota il poliziotto – che non c’è. Chiede nuovamente spiegazioni sulle domande…”

Il giorno dopo, alle 16.43, Scarantino chiama un’utenza di Caltanissetta: 0934599051. “L’utente non risponde”. Poi, alle 17.28, un numero di cellulare 0336886569: “Per motivi tecnici la telefonata non è stata registrata”. Una coincidenza o c’è qualcosa di sospetto? Alla scorsa udienza del processo ai poliziotti, l’ispettore Giampiero Valenti, addetto ad alcuni turni nella sala intercettazioni, ha svelato che una volta un suo superiore (Di Ganci) gli ordinò di interrompere l’intercettazione perché Scarantino doveva parlare con i magistrati.

L’8 maggio, alle 16.01, fu invece registrato un dialogo fra Scarantino e i pm di Caltanissetta. Prima su quell’utenza di Caltanissetta a cui il 4 maggio non rispondeva nessuno (0934599051): “Enzo conversa con la dottoressa Palma – annota il poliziotto – in merito al suo trasferimento per mercoledì a Genova, per essere sentito dalla dottoressa Sabatini, chiede se può evitare questo interrogatorio prima di essere sentito al processo. Si risentiranno”. Alle 16.27, un’altra conversazione: “La dottoressa Palma spiega ad Enzo che la dottoressa Sabatini lo deve sentire per forza mercoledì perché ha delle scadenze da rispettare. Enzo dice che va bene però ha paura ad andare a Genova. La dottoressa lo assicura che tutto verrà fatto in modo di sicurezza assoluta per la sua incolumità. Enzo dovrà telefonare alle 18 per parlare col dottor Petralia”.

Ma di cosa aveva paura per davvero Scarantino? Chi doveva uccidere un falso pentito che accusava degli innocenti e salvava i veri colpevoli della strage di via D’Amelio? Forse era la paura di essere interrogato, considerato che era solo un balordo di borgata e non certo un mafioso come diceva di essere.

Scarantino è nervoso. Otto minuti prima dell’appuntamento chiama il dottore Petralia, su un’altra utenza della procura di Caltanissetta. Il poliziotto annota: “Enzo parla con il dottore Petralia, il quale gli dice di non avere problemi e che giovedì prossimo faranno una bella chiacchierata”.