RELAZIONE ANTIMAFIA

di Chiara Carusi                                                                                                                  

5^UD Liceo Teresa Ciceri Como

                                                               RELAZIONE ANTIMAFIA

Il termine “mafia” fa riferimento ad un organizzazione criminale, basata sulle leggi dell’omertà e della segretezza, che esercita il controllo di attività economiche illecite. È una parola utilizzata a partire dall’Ottocento, per la prima volta formalmente da Rizzotto e Mosca, autori della commedia “I mafiusi di la Vicaria di Palermu”, nel 1863.

Il principale scopo delle organizzazioni mafiose è il lucro dei componenti al loro interno, infatti il magistrato Falcone sosteneva che per seguire le mafie si dovessero seguire i soldi, così da poter essere condotti ai membri di queste “cellule mafiose”, considerando i loro interessi da un punto di vista economico.

La mafia è conosciuta per essere una sorta di “autogoverno”, che esercita il proprio potere attraverso il controllo e consenso sociale, a causa di intimidazioni verso i cittadini e contro le stesse istituzioni locali. Quest’organizzazione s’ insinua nelle fragilità della società, sia a livello microscopico, come ad esempio attraverso l’atto dell’usura o racket, sfruttando la debolezza economica dei singoli e tessendo così una rete di criminalità; sia a livello macroscopico, imponendo il loro controllo anche a livello statale, come avviene per quanto concerne le istituzioni, anche comunali, per esempio nel momento in cui una città non possiede una lista alle elezioni e un candidato sindaco: la mafia agisce inserendo membri mafiosi, estendendo il suo potere. Quest’ultima è una concezione esposta anche da Nando Dalla Chiesa, all’interno della teoria del “Vuoto-Pieno”: laddove sia presente un vuoto, la mafia “rimpie”.

Il controllo mafioso sulle istituzioni è stato ripreso dalla mafia soprattutto a seguito delle stragi degli anni ’90: la Strage di Capaci, dove, tra le vittime, si ricorda Giovanni Falcone; la Strage di Via D’Amelio, dove rimase ucciso Paolo Borsellino; gli attentati a Roma, Milano e Firenze. Questi atti violenti da parte delle associazioni mafiose, hanno comportato una risposta forte da parte dello Stato, che ha reagito attraverso i maxi-processi e nuove riforme. Le conseguenze delle stragi, portarono i mafiosi a cambiare strategia, attuandone una più occulta, mediante la corruzione; come affermó Borsellino, la politica e la mafia sono potenze che si trovano a controllare il medesimo territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. La mafia, a partire dagli anni ’90, agisce in modo silenzioso, e questo aspetto non la rende meno pericolosa, ma più difficile da debellare, infatti questo cambiamento deve essere concepito come uno sviluppo più che un ripiego obbligatorio. Nel corso della storia, la mafia non ha attuato un’evoluzione solo a livello strategico, ma anche geografico, infatti si è divincolata dai limiti del “Mezzogiorno”, diffondendosi anche al Nord, a causa dello spostamento, attuato dallo Stato, dei membri mafiosi nel Settentrione, senza che questi perdessero il contatto con la loro base mafiosa di riferimento, andando così a creare altre relazioni familiari in luoghi favorevoli.

Le aggregazioni mafiose impongono il loro potere anche mediante la minaccia o l’eliminazione delle persone le quali possono comportare un ostacolo per il loro dominio sul territorio ed è questa tendenza che ha causato le stragi del ’90 e i tentati omicidi da parte di coloro che mettono in discussione il sistema mafioso o si ribellano, per esempio, al racket. In quest’ultimo caso si ricordando i fratelli Vaccaro Notte, uccisi per non essersi sottomessi ad un gruppo mafioso sul loro territorio; ma anche Paolo Bocedi, il quale si rifiutò di pagare il pizzo, denunciando i membri della banda che lo costringevano a pagare, finendo vittima di numerose minacce, attacchi e violenze anche rivolte alla sua famiglia. Bocedi ricorda gli anni successivi alla denuncia caratterizzati dalla solitudine e isolamento da parte della società e sottolinea come le istituzioni debbano colmare questo divario sociale, impedendo così il dilagarsi dell’omertà, che nasce dalla paura nelle conseguenze sia circa la sicurezza personale che nelle relazioni tra l’individuo che denuncia e la società che si discosta da quest’ultimo, rendendolo più vulnerabile. A questo proposito, risulta estremamente importante la legge 416 bis, conosciuta come “Legge Rognoni-La Torre”, all’interno della quale non solo viene definita l’associazione mafiosa, ma vengono poste misure di prevenzione patrimoniale, che consistono nel sequestro e confisca dei beni frutto di attività illecite, così da ridurre il potere economico detenuto dai mafiosi incarcerati, in modo da ridurre la loro influenza dalle carceri.

Tra le azioni attuate contro le attività mafiose, si ricorda Padre Pino Puglisi, con il suo impegno a Brancaccio, quartiere palermitano nel quale inaugura il centro “Padre Nostro”, che diviene punto di riferimento soprattutto per i giovani nel quartiere. La sua storia, descritta nel libro “Padre Pino Puglisi-martire di mafia per la prima volta raccontato dai familiari”, ad opera del giornalista Fulvio Scaglione, ha come merito quello di sottrarre i ragazzi di Brancaccio dalla strada, ovvero dalla criminalità organizzata, particolarmente presente sul territorio. Lo scopo di Puglisi era quello di mostrare ai ragazzi, talvolta già implicati in attività mafiose, come si potesse ottenere il rispetto altrui attraverso la gentilezza ed il sorriso. Quest’ultimo è un concetto molto importante da trasmettere nelle società assorbite dalla mafia, la quale controlla e influenza ogni aspetto della vita dei singoli, a partire dalla mentalità: dove la mafia viene considerata un “fattore culturale”, la criminalità si connota come “normale”: risulta, quindi, normale pretendere il rispetto mediante la violenza; l’arricchimento attraverso atti illeciti; il silenzio a seguito di azioni criminali. Queste ultime sono situazioni comuni, che non riguardano solamente la realtà di Brancaccio, infatti sono molti i gruppi sociali che considerano tutt’ora la mafia come unico mezzo di sopravvivenza, arrivando a concepire ogni legame con la criminalità come fonte di sicurezza e protezione. A Padre Puglisi va il merito di aver cercato di scardinare questa logica, tentando di mostrare soprattutto ai ragazzi, in quanto rappresentanti del futuro, come sia possibile evitare la criminalità organizzata come unica possibilità di emergere a livello sociale. L’azione pedagogica, basata sull’educazione morale da parte del parroco di Brancaccio, però, ostacolava e metteva in discussione il potere mafioso, il quale rispose facendo uccidere il parroco il 15 Settembre del 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, davanti alla sua abitazione. L’esempio di Padre Puglisi mostra come l’uccisione di coloro che minano il potere mafioso abbia una duplice valenza: una diretta, ovvero l’eliminazione degli individui che ostacolano la credibilità della mafia, in questo caso sottraendo i ragazzi dalla strada e fornendo loro una nuova possibilità; e una conseguenza indiretta, data dall’influenza che ha un singolo omicidio sul territorio, in quanto rinnova la paura tra i cittadini, allontanandoli dal compiere azioni contro il fenomeno mafioso.

È necessario, però, che la lotta alle mafie non cessi mai di esistere, per farlo non si deve permettere che le azioni di persone uccise dalla mafia muoiano con loro e vengano così dimenticati. Padre Puglisi, così come Falcone, Borsellino, i fratelli Vaccaro Notte, Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma anche Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Aldo Moro, Peppino Impastato, Fragalà e tutti coloro che sono rimasti vittime della mafie, continuano ad esistere come esempi che esortano a parlare, a non abituarsi al fenomeno mafioso, ma a debellarlo; mostrando come la mafia si possa combattere.

Uno dei progetti che concretizza l’azione antimafia è il centro di studi ed iniziative culturali “Pio La Torre”, che si propone di promuovere studi e ricerche che riguardano problematiche riscontrabili in Italia circa il fenomeno mafioso. Si ricorda anche il centro di S. Francesco contro le mafie, con sede a Cermenate, presso una villa sequestrata alla ‘ndrangheta, che è sede di numerose iniziative sulla legalità, infatti periodicamente ospita diverse associazioni, che non si occupano solo di sensibilizzare circa le organizzazioni mafiose, ma funge da ritrovo per coloro che soffrono di dipendenze, evitando che possano cadere vittime della mafia sul territorio. Uno dei dibattiti tenuti nel centro di S. Francesco e riportati da Benedetto Madonia, uno dei fondatori del centro, riguarda la tematica dell’ “Ergastolo ostativo”, ovvero l’ergastolo con l’aggravante dell’appartenenza alla mafia, che rende il carcere “duro”, ovvero il 41 bis, cioè privo degli elementi che possono essere ricondotti ad un agevolazione, come la semi-libertà o i premi di buona condotta, riscontrabili in un ergastolo semplice. Questa tematica è molto discussa, poiché la Corte Europea ritiene che coloro i quali vengono condannati all’ergastolo per reati di mafia abbiano gli stessi diritti degli altri detenuti.