Storia & Mafia. Depistaggio Strage via D’Amelio i tanti processi – il magistrato Dolcino Favi smonta il teorema Scarantino
Dossier Processo Borsellino quater Nuovi processi per la strage di via D’Amelio – Processo Borsellino quater – Nuovi processi per la strage di via D’Amelio Strage-via-D’Amelio-webdi Lorenzo Baldo – 14 ottobre 2011
Il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, ha avanzato alla Corte di Appello di Catania l’istanza di revisione dei processi per la strage di via D’Amelio denominati “Borsellino I” e “Borsellino bis”. A distanza di quasi vent’anni da quell’inferno scatenato da Cosa Nostra si riaccendono le luci su una delle stragi più anomale e altrettanto inquietanti che la storia del nostro Paese ricordi.
Un assassinio che è costato la vita al giudice Paolo Borsellino e ai suoi 5 agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Eddie Valter Cosina, Vincenzo Fabio Li Muli e Claudio Traina. Le dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, la cui attendibilità è stata riscontrata da diverse procure e da alcune sentenze, hanno ribaltato completamente la versione fornita dall’ex picciotto della Guadagna, Vincenzo Scarantino, rivelatosi a tutti gli effetti un pentito falso e “indottrinato”. Sulle sue dichiarazioni si sono basati interi processi terminati poi con svariate condanne all’ergastolo per diversi boss di Cosa Nostra. Dopo che la Suprema corte di Cassazione ha messo il bollo su quelle sentenze, per 11 imputati nei procedimenti “Borsellino I” e “Borsellino bis” è stata chiesta la revisione dei processi. Si tratta di mafiosi del calibro di Salvatore Profeta, Gaetano Scotto, Cosimo Vernengo, Giuseppe Urso, Gaetano Murana, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino (già condannati all’ergastolo) e Salvatore Candura, Vincenzo Scarantino, Giuseppe Orofino e Salvatore Tomaselli (condannati a pene fino a 9 anni). Una dopo l’altra sono cadute come birilli le “confessioni” di Scarantino il quale aveva sostenuto di aver incaricato del furto della 126 destinata ad essere imbottita di esplosivo, su direttiva del cognato Salvatore Profeta, due balordi a cui vendeva la droga: Luciano Valenti e Salvatore Candura. Dal canto suo Spatuzza ha ricostruito nei minimi particolari la fase preparatoria della strage spiegando di essere stato lui a rubare l’auto su ordine dei fratelli Graviano. E sono state anche le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia dell’ultimora, Fabio Tranchina, a rimettere in discussione le risultanze processuali di quei processi sulla strage del 19 luglio 1992. Sia Spatuzza che Tranchina hanno ribadito il ruolo principale di Giuseppe Graviano nell’eccidio di via D’Amelio; “’u tignusu” ha parlato poi di una presenza “esterna” a Cosa Nostra nella preparazione finale della strage. Secondo Tranchina sarebbe stato Giuseppe Graviano a premere il pulsante del telecomando collegato con l’autobomba nascosto dietro un muretto in fondo a via D’Amelio. La figura di Giuseppe Graviano ci porta inevitabilmente all’interno di quegli “ibridi connubi” formati da Cosa Nostra, Servizi Segreti ed esponenti politici. I riferimenti a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono tornati sotto la luce dei riflettori grazie alle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia. Le oltre mille pagine della memoria depositata alla procura generale dalla procura nissena diretta da Sergio Lari racchiudono il lavoro di tre anni intensissimi di un pugno di magistrati e funzionari della Dia di Caltanissetta. Nella loro spasmodica ricerca della verità sono stati molto spesso ostacolati da più parti, anche da quegli stessi apparati dello Stato che temono il riaprirsi delle indagini sulle bombe del ’92 e del ’93. Gli inquirenti si sono scontrati con reticenze, omissioni e tentativi di inquinamento delle prove fin dall’inizio delle nuove indagini. Soprattutto dal momento che hanno iniziato a investigare sul depistaggio delle prime indagini sulla strage perpetrato da 3 poliziotti del gruppo investigativo “Falcone e Borsellino”. Stiamo parlando di Salvatore La Barbera, Mario Bo e Vincenzo Ricciardi, capeggiati dall’ex capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera che si è scoperto essere al soldo dei Servizi Segreti con il nome di codice di “Rutilius”. Per quale motivo Vincenzo Scarantino sarebbe stato “istruito” da questi uomini di Stato per accusare determinati mafiosi e per lasciarne fuori altri? Per quale “ragione di Stato” la pista dei Graviano doveva essere lasciata da parte? Su questo filone investigativo gli inquirenti nisseni sono attualmente impegnati, così come per quanto riguarda le altre piste investigative sui “mandanti esterni” delle stragi, indagini che restano aperte a tutti gli effetti. Fino a quando non verrà restituita giustizia a tutti coloro che hanno pagato con la vita la fedeltà a questo Stato. Bifronte.
I PROCESSI PER LA STRAGE DI VIA VIA D’AMELIO –
Il PG FAVI, “PERCHE’ GIAMMANCO CHIAMO’ BORSELLINO”?
Palermo (Adnkronos) – Il sostituto procuratore generale della Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta Dolcino Favi, il magistrato che rappresenta l’accusa al processo per la strage di via D’Amelio, ha posto pubblicamente un quesito in merito telefonata che l’ex procuratore di Palermo Giammanco fece a Paolo Borsellino poche ore prima dell’attentato che costo’ la vita al magistrato palermitano. ”Perche’ il procuratore Giammanco la mattina di quella domenica 19 luglio del ’92 chiamo’ il giudice Paolo Borsellino per annunciargli di avergli dato la delega sulle indagini antimafia a Palermo?”. Favi ha iniziato la requisitoria del ‘Borsellino-ter’ nella udienza di ieri, la stessa nella quale Pippo Calo’ si e’ dissociato da Cosa nostra.
Nel corso dell’udienza, che verra’ trasmessa questa sera in esclusiva a partire dalle 21 nello ‘Speciale giustizia’, su Radio Radicale, Favi ha piu’ volte richiamato il nome dell’ex procuratore capo di Palermo Paolo Giammanco, dimessosi dopo le polemiche esplose a seguito delle stragi del ’92. ”Non so -ha detto il pg nella requisitoria- se sulla telefonata di Giammanco siano mai state fatte indagini o no, o se Giammanco sia mai stato interrogato. Pero’, signor presidente, se si vuole saltare da un muretto all’altro, bisogna alzare i piedi da terra. Il pubblico ministero puo’ fare anche congetture, ma la Corte puo’ trovare un riscontro logico o documentale. Perche’, allora, il procuratore Giammanco quella mattina telefono’ a Borsellino per dirgli: ‘stai tranquillo, hai avuto l’indagine su Palermo’? Non credo che Giammanco sia tra i mandanti o tra i complici della strage, pero’ e’ possibile abbia ricevuto un ok, un via libera (per avviare le indagini, ndr). Borsellino, il 19 luglio non può più nuocere a nessuno”.
Borsellino I (I grado)
Sulla base delle dichiarazioni di Scarantino, il 27 gennaio 1996, dopo sessantacinque ore di camera di consiglio, la Corte di Assise di Caltanissetta emette la sentenza al primo processo per la strage di via d’Amelio iniziato il 4 ottobre 1994. Giuseppe Orofino, Pietro Scotto e Salvatore Profeta vengono condannati all’ergastolo, a un anno e mezzo di isolamento diurno e a tredici milioni di multa ciascuno. Il “pentito” Vincenzo Scarantino viene condannato a diciotto anni di reclusione e a 4,5 milioni di multa. Scarantino e Profeta sono accusati di aver rubato la Fiat 126 usata per l’attentato, di averla riempita di esplosivo e collocata davanti alla casa della madre di Borsellino. Orofino è accusato di essersi procurato la disponibilità delle targhe e dei documenti di circolazione e assicurativi falsi che furono apposti sulla 126 per consentirne la sicura circolazione e la collocazione sul luogo della strage. Scotto infine viene accusato di aver manomesso i cavi e gli impianti telefonici del palazzo di via d’Amelio per intercettare le telefonate della famiglia Fiore (la madre di Paolo Borsellino) così da conoscere i movimenti del magistrato. Da gabbie separate assistono alla lettura della sentenza Orofino, Scotto e Profeta. «La vita m’arrubbasti!…» grida ossessivamente Orofino mentre continua a colpire il vetro della gabbia con la testa. Sanguinante, viene bloccato dai carabinieri. Scotto e Profeta rimangono impassibili. Nel frattempo i familiari degli imputati iniziano a piangere, alcune donne vengono colte da crisi isteriche. In mezzo a quel delirio gli avvocati di parte civile debbono essere letteralmente scortati fino all’uscita dalle forze dell’ordine. L’aula viene fatta subito sgomberare.
Borsellino-bis (I grado)
Il 21 ottobre 1996 inizia il processo Borsellino-bis. Gli imputati sono diciotto. Come mandanti della strage vengono indicati il capo di Cosa nostra, Salvatore Riina, Carlo Greco, Salvatore Biondino, Pietro Aglieri e Giuseppe Graviano; la lista degli imputati prosegue con Gaetano Scotto e Francesco Tagliavia, l’elenco dei presunti esecutori prosegue con Giuseppe Calascibetta, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Cosimo Vernengo, Lorenzo Tinnirello, Giuseppe Urso, Salvatore Vitale; Gaetano Murana e Antonino Gambino; Salvatore Tomaselli e Giuseppe Romano. La corte di Assise è presieduta da Pietro Falcone, l’accusa è rappresentata dai pubblici ministeri Annamaria Palma e Antonino Di Matteo. Agli atti del processo bis, oltre alle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, vengono acquisite quelle dei collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi, Giovanbattista Ferrante, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anselmo. Nel frattempo l’azione repressiva dello Stato contro Cosa nostra procede incessantemente. In un covo di Bagheria ricolmo di crocifissi, madonne e immagini sacre viene catturato Pietro Aglieri, “’U signorino”. Alle 9.30 del 6 giugno 1997 il boss della Guadagna finisce in manette. È accusato da Scarantino di aver premuto il telecomando per la strage di via d’Amelio.
Borsellino I (II grado)
Il 15 luglio ’97 davanti alla Corte di Assise d’Appello di Caltanissetta presieduta da Giovanni Marletta comincia il processo di secondo grado nei confronti di Scotto, Profeta, Orofino e Scarantino. A rappresentare l’accusa i sostituti procuratori generali Salvatore Mastroeni e Roberto Sajeva.
Borsellino-ter (I grado)
Il 28 gennaio 1998 inizia il processo Borsellino-ter per la strage di via d’Amelio. Presidente Carmelo Zuccaro, pm Annamaria Palma e Antonino Di Matteo. Gli imputati sono: Giuseppe “Piddu” Madonia, Benedetto “Nitto” Santapaola, Bernardo Brusca (deceduto), Giuseppe Calò, Giuseppe Farinella, Raffaele Ganci, Antonino Giuffrè, Filippo Graviano, Michelangelo La Barbera, Giuseppe Montalto, Salvatore Montalto, Matteo Motisi, Bernardo Provenzano, Salvatore Biondo (classe ’55), Cristoforo Cannella, Domenico Ganci, Stefano Ganci, Francesco Madonia, Mariano Agate, Salvatore Buscemi, Antonio Geraci, Giuseppe Lucchese, Benedetto Spera, Salvatore Biondo (classe ’56). A processo finiscono anche i collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante e Giovanni Brusca.
Borsellino I (sentenza di Appello)
Il 23 gennaio 1999 viene emessa la sentenza di secondo grado per il primo processo Borsellino. La Corte di Assise di Appello di Caltanissetta presieduta da Giovanni Marletta assolve Pietro Scotto, la condanna di Orofino viene ridotta a nove anni e derubricata in favoreggiamento. L’unico ergastolo confermato è quello per Salvatore Profeta. La condanna a diciotto anni di Vincenzo Scarantino, non essendo stata appellata, diventerà definitiva.
Borsellino-bis (sentenza di I grado)
Il 13 febbraio 1999 arriva la sentenza di primo grado del processo Borsellino-bis. Sette imputati vengono condannati all’ergastolo: Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Salvatore Biondino, Carlo Greco, Giuseppe Graviano, considerati mandanti della strage, Gaetano Scotto e Francesco Tagliavia, ritenuti esecutori materiali. Con l’accusa di associazione mafiosa vengono condannati a dieci anni di reclusione Giuseppe Calascibetta, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Lorenzo Tinnirello, Giuseppe Urso, Cosimo Vernengo e Salvatore Vitale; a otto anni di carcere Antonio Gambino e Gaetano Murana; a Salvatore Tomaselli andranno otto anni e mezzo per lo stesso reato. Così come richiesto dall’accusa, l’unico assolto è Giuseppe Romano.
Borsellino-ter (sentenza di I grado)
Il 9 dicembre 1999 la Corte di Assise presieduta da Carmelo Zuccaro emette la sentenza di primo grado al processo Borsellino-ter. L’elenco prevede diciassette ergastoli, centosettantacinque anni di carcere e dieci assoluzioni. Carcere a vita per Giuseppe “Piddu” Madonia, Benedetto “Nitto” Santapaola, Bernardo Brusca (deceduto), Giuseppe Calò, Giuseppe Farinella, Raffaele Ganci, Antonino Giuffrè, Filippo Graviano, Michelangelo La Barbera, Giuseppe Montalto, Salvatore Montalto, Matteo Motisi, Bernardo Provenzano, Salvatore Biondo (classe ’55), Cristoforo Cannella, Domenico Ganci e Stefano Ganci. Vengono condannati a ventisei anni il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi, a ventitrè anni il collaboratore di giustizia Giovan Battista Ferrante, a diciotto anni Francesco Madonia, a sedici anni Mariano Agate, il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, Salvatore Buscemi, Antonio Geraci, Giuseppe Lucchese e Benedetto Spera; a dodici anni Salvatore Biondo (classe ’56). Il collegio giudicante valuta complessivamente attendibili le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno ricondotto la decisione e l’attuazione della strage al vertice operativo di Cosa nostra. Secondo i pubblici ministeri Annamaria Palma e Nino Di Matteo il fortissimo interesse di Cosa nostra è però «legato alla volontà esterna di ambienti politico-imprenditoriali».
Borsellino I (sentenza di Cassazione)
Il 18 dicembre 2000 il processo per la strage di via d’Amelio si conclude in Cassazione. La prima sezione penale conferma l’assoluzione di Pietro Scotto, presunto intercettatore dell’utenza telefonica della madre di Borsellino. Confermata anche la pena di nove anni di reclusione per favoreggiamento inflitta a Giuseppe Orofino. La Suprema corte sancisce definitivamente la responsabilità della strage alla famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, confermando l’ergastolo per Salvatore Profeta. Viene ugualmente confermata la condanna a diciotto anni per Vincenzo Scarantino. Ed è proprio il picciotto della Guadagna che due anni dopo riappare sulle scene. È il primo febbraio 2002, Scarantino depone all’udienza del processo d’appello Borsellino-bis. Ai giudici che lo ascoltano impassibili illustra la sua nuova versione: «Ho ritrattato perché mi hanno minacciato, la verità è quella che ho detto nel processo di primo grado»93.
Borsellino-ter (sentenza di II grado)
Il 7 marzo del 2002 viene emessa la sentenza di appello al Borsellino-ter. La Corte di Assise di Appello di Caltanissetta presieduta da Giacomo Bodero Maccabeo annulla sei ergastoli (Benedetto “Nitto” Santapaola, Giuseppe “Piddu” Madonia, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Salvatore Montalto e Matteo Motisi). Carcere a vita per il latitante Bernardo Provenzano e altri dieci imputati: Giuseppe Calò, Michelangelo La Barbera, Raffaele Ganci, Domenico Ganci, Francesco Madonia, Giuseppe Montalto, Filippo Graviano, Cristoforo Cannella, Salvatore Biondo (classe ’55) e Salvatore Biondo (classe ’56). Condannati a trent’anni Stefano Ganci, a vent’anni Giuseppe “Piddu” Madonia, Benedetto “Nitto” Santapaola, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Salvatore Montalto e Matteo Motisi. Confermati sedici anni di reclusione per Mariano Agate, Salvatore Buscemi, Antonino Ganci, Benedetto Spera e Giuseppe Lucchese. Irrogate pene tra i diciotto e i sedici anni ai collaboratori di giustizia Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi e Giovan Battista Ferrante. Una netta riduzione delle pene richieste dai sostituti procuratori generali Giovanna Romeo e Dolcino Favi che avevano sollecitato ventidue ergastoli.
Borsellino-bis (sentenza di Appello)
Il 18 marzo di quello stesso anno la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, presieduta da Francesco Caruso, infligge tredici ergastoli nei confronti di presunti mandanti ed esecutori della strage di via d’Amelio. Si tratta del processo di secondo grado del Borsellino-bis. La Corte non tiene conto della ritrattazione di Scarantino. Oltre a confermare gli ergastoli comminati in primo grado infligge il carcere a vita a: Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Lorenzo Tinnirello, Giuseppe Urso e Gaetano Murana, che erano stati invece assolti in primo grado. La Corte conferma altresì la condanna a dieci anni per associazione mafiosa a Giuseppe Calascibetta e Salvatore Vitale, otto anni e sei mesi a Salvatore Tomaselli e otto anni ad Antonino Gambino. Confermata l’assoluzione per Giuseppe Romano. Passano solamente dieci mesi ed è la volta del giudizio del “Palazzaccio”.
Borsellino-ter (sentenza di Cassazione)
Il 18 gennaio 2003, dopo più di dodici ore di camera di consiglio, la VI sezione penale della Cassazione conferma le condanne all’ergastolo per la maggior parte dei boss di Cosa nostra. Il carcere a vita viene inflitto a Giuseppe Calò, Raffaele Ganci, Filippo Graviano, Michelangelo La Barbera, Cristoforo Cannella, Salvatore Biondo (classe ’55), Domenico Ganci e Salvatore Biondo (classe ’56). Confermata l’assoluzione per Salvatore Montalto, Mariano Agate, Benedetto Spera. Annullata la condanna per strage comminata a Stefano Ganci e Francesco Madonia, ritenuti colpevoli invece di associazione mafiosa. Annullate con rinvio le assoluzioni di Salvatore Buscemi, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè e Benedetto “Nitto” Santapaola. Annullata con rinvio anche la condanna per mafia di Giuseppe Lucchese e Giuseppe “Piddu” Madonia. Sette mesi dopo è la volta dell’ultimo dei tre tronconi rimasto ancora aperto.
Borsellino-bis (sentenza di Cassazione)
Il 3 luglio 2003 i supremi giudici della V sezione penale confermano le condanne al processo Borsellino-bis. Vengono confermati gli ergastoli per Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Salvatore Biondino, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Lorenzo Tinnirello, Gaetano Scotto, Gaetano Murana e Giuseppe Urso. Come da richiesta del pg Nino Abate, tutte le condanne del precedente grado di giudizio vengono ugualmente confermate.
Processo stragi Capaci/Via d’Amelio (nuovo processo di Appello)
Il 9 luglio 2003 lo stralcio del Borsellino-ter e di una parte del procedimento per la strage di Capaci (entrambi rinviati dalla Cassazione alla seconda corte d’Assise d’Appello di Catania) vengono riuniti in un unico processo. Per la strage di Capaci nel 2002 la V sezione penale della Cassazione aveva confermato ventuno condanne per gli esecutori materiali dell’attentato a Falcone (tra questi Rampulla, Troja, Battaglia, Biondino, Biondo e Cancemi) e per gli altri componenti la cupola come Totò Riina, Leoluca Bagarella, Domenico e Raffaele Ganci. Ma contemporaneamente la Corte aveva annullato con rinvio dodici condanne ai boss accusati di essere stati alcuni dei mandanti dell’eccidio: Pietro Aglieri, Salvatore Buscemi, Giuseppe Calò, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Antonino Geraci, Carlo Greco, Francesco Madonia, Giuseppe Montalto, Salvatore Montalto, Matteo Motisi, Benedetto Spera. Questi ultimi quindi dovevano essere giudicati nuovamente.
Processo stragi Capaci/Via d’Amelio (sentenza di Cassazione)
Il 18 settembre 2008 la Corte suprema di Cassazione chiude definitivamente il capitolo travagliato dei processi unificati per le stragi di Capaci e via d’Amelio. Dopo cinque ore di camera di consiglio la prima sezione penale della Cassazione presieduta da Edoardo Fazzioli conferma in pieno la sentenza della corte d’Assise d’Appello di Catania del 2006. Vengono così condannati definitivamente all’ergastolo per le due stragi boss irriducibili di Cosa nostra come Salvatore Montalto, Giuseppe Farinella, Salvatore Buscemi, Giuseppe Madonia, Giuseppe Montalto, Carlo Greco, Pietro Aglieri, Benedetto Santapaola, Mariano Agate e Benedetto Spera. Confermati infine vent’anni per Antonino Giuffrè e ventisei anni per Stefano Ganci.
Boss in fuga dopo la condanna
Condannati all’ergastolo per la strage di via D’ Amelio, in fuga subito dopo la sentenza. L’ ordine di arresto è arrivato tardi, Cosimo Vernengo e il cognato Giuseppe Urso erano ormai latitanti. Assolti in primo grado nel febbraio del 1999, condannati in appello dieci giorni fa al Borsellino bis, i due sono riusciti a beffare la giustizia. Hanno fatto perdere le loro tracce tra il verdetto della corte d’ assise d’ appello di Caltanissetta e la notifica del provvedimento di custodia cautelare che li rispediva in cella. Sei in tutto gli imputati per i quali è stata ribaltata l’assoluzione di primo grado. Tre di loro, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina e Lorenzo Tinnirello, nonostante la precedente assoluzione, non avevano mai lasciato il carcere perché detenuti per altri processi. Vernengo, Urso e Gaetano Murana erano invece tornati liberi. Murana è stato così arrestato nella notte tra il 18 e il 19 marzo, a dodici ore dalla sentenza d’ appello, nella sua casa di Palermo. Gli altri due, che erano stati in carcere ininterrottamente per quattro anni e mezzo fino al 1999, detenuti tra Pianosa e Rebibbia, hanno invece scelto la latitanza. Cosimo Vernengo è figlio del boss di Corso dei Mille, Pietro che fu protagonista di una fuga iniziata dopo un ricovero agli arresti ospedalieri e finita in un vano segreto nel suo cantiere nautico, al Ponte Ammiraglio. Nel processo Borsellino bis, Vernengo e Urso sono stati chiamati in causa per la prima volta dal pentito Vincenzo Scarantino. Avrebbero preparato, insieme ad altri boss, la 126 esplosa in via D’ Amelio: prima rubata e poi imbottita di tritolo. Accadeva due giorni prima della strage. Insieme con loro, ci sarebbero stati anche Natale Gambino, Lorenzo Tinnirello, Pietro Aglieri, Francesco Tagliavia e Tanino Murana. Vernengo e Urso si muovevano spesso insieme. Il primo ha un cognome di riguardo, il secondo, commerciante, ha sposato Rosa Vernengo, l’altra figlia di Pietro: era già stato coinvolto nel maxiprocesso dopo le rivelazioni di Totuccio Contorno, ma era stato poi assolto grazie alla testimonianza di un altro pentito, Francesco Marino Mannoia, marito di una sua cugina acquisita, che aveva escluso che fosse affiliato a Cosa nostra. Nel processo Borsellino bis il destino giudiziario dei due, come degli altri assolti, era appeso invece alla credibilità di Scarantino. Il pentito accusò, poi si tirò indietro, ritrattando. Così era scattata l’assoluzione del primo grado. Ma qualche mese fa, l’ex picciotto della Guadagna ha chiesto di essere ascoltato nuovamente dai giudici del processo d’appello. Che gli hanno in parte creduto. E sono così arrivate le nuove condanne all’ ergastolo. La sentenza è stata emessa dalla corte d’ assise d’ appello di Caltanissetta presieduta da Francesco Caruso. I giudici hanno letto il verdetto alle 13 del 18 marzo. Hanno inflitto complessivamente 13 ergastoli, confermati quelli per Totò Riina, Salvatore Biondino, Pietro Aglieri, Giuseppe Graviano, Carlo Greco, Gaetano Scotto e Francesco Tagliavia. Confermata anche la condanna a dieci anni, per associazione mafiosa, a Giuseppe Calascibetta e Salvatore Vitale; otto anni e sei mesi per Salvatore Tomaselli e otto anni per Antonino Gambino. Unico assolto, in primo grado e in appello, Giuseppe Romano, accusato soltanto di associazione mafiosa. Alle 14 del 18 marzo l’ ordinanza di custodia cautelare a carico dei condannati era già pronta: a chiedere il provvedimento erano stati i sostituti procuratori generali Dolcino Favi e Maria Giovanna Romeo nella loro requisitoria. Ma Vernengo e Urso hanno scelto la latitanza, mentre Murana non si è mosso da Palermo, tanto che a poche ore dall’ arresto ha anche firmato il registro dei sorvegliati nei locali del commissariato di zona. A notte fonda, ha ricevuto la notifica del provvedimento, ed è stato trasferito all’ Ucciardone.
ENRICO BELLAVIA SALVO PALAZZOLO 12.3.2002 WL TV