FIAMMETTA BORSELLINO: “Questo Paese é incapace di onorare i suoi morti”

 

“Mio padre è morto con dignità, perché è anche vissuto con dignità. Però credo anche che possa vivere e morire con dignità chi, avendo fatto del male, riconosce il danno che ha fatto alle famiglie e alla società e ripara il danno. Credo che la giustizia in sé non sia un giudizio eterno e incontrovertibile, si configura come un equilibrio di molteplici poteri e verità. Avendo delle figlie, so che una verità non è davvero sensata se non può essere spiegata a una bambina di 8 anni. Io dico sempre alle mie figlie che non bisogna mai smettere di sognare, forse io stessa sono una bambina che crede nel cambiamento, quello vero, delle coscienze.”


La procura di Messina ha chiesto di archiviare l’inchiesta sui due ex pm di Caltanissetta Palma e Petralia accusati di aver costruito ad arte il falso pentito Scarantino. La figlia del magistrato ucciso nel 1992 con la scorta: “Impossibile che i poliziotti abbiano fatto tutto da soli”


FIAMMETTA BORSELLINO: “Il colossale depistaggio che ha tenuto lontana la verità sulla morte di mio padre e dei suoi agenti di scorta continua a non avere responsabili”




Dopo 28 anni, quattro processi, tre appelli e tre sentenze di Cassazione non è stata restituita completa e convincente verità e giustizia alle vittime e ai loro familiari.  L’ultima sentenza, al contrario, ha clamorosamente certificato che l’inquinamento delle indagini su Via D’Amelio è avvenuto attraverso “Uno dei più grandi depistaggi della storia italiana”. 


Servizio TG Rai Sicilia 5.6.2020

 

Borsellino quater, Scarantino non risponde su magistrati indagati  Il falso pentito di mafia non ha risposto alla domanda dell’avvocato della difesa Giuseppe Seminara, sui magistrati Petralia e Palma. In corso a Roma gli accertamenti tecnici irripetibili su alcune cassette con le intercettazioni delle conversazioni di Scarantino

«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere per ogni domanda che riguarda i magistrati». Lo ha detto il falso pentito di mafia Vincenzo Scarantino alla domanda dell’avvocato della difesa Giuseppe Seminara, sui magistrati indagati a Messina in merito alle dichiarazioni rese dal lui stesso nel processo Borsellino quater. Carmelo Peatralia e Anna Maria Palma, ex pm in servizio nel pool che indagò sulla strage di via D’Amelio, sono infatti indagati per il depistaggio dell’inchiesta sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino. I reati ipotizzati sono quelli di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra.

Un documento che attesta che Vincenzo Scarantino fu congedato dal servizio militare perché ritenuto dai medici «neurolabile» è stato inoltre prodotto questa mattina nell’ambito del processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, che si celebra a Caltanissetta, dall’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale di Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina e Gaetano Murana, ex imputati falsamente accusati e poi scagionati e scarcerati. Secondo quanto risulta nel documento del 1986 a Scarantino venne diagnosticata una «Reattività nevrosiforme persistente in neurolabile». Di Gregorio in apertura dell’udienza ha chiesto la produzione delle sentenza per calunnia a carico dello stesso Scarantino. 

E intanto sono in corso a Roma, alla presenza dei consulenti delle parti, gli accertamenti tecnici irripetibili disposti dalla Procura di Messina su alcune cassette con le intercettazioni delle conversazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino nel periodo in cui era sotto protezione. L’avviso con l’accertamento da compiersi è stato notificato nei giorni scorsi dai pm di Messina che indagano sul depistaggio dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio a carico dei magistrati Petralia, attualmente aggiunto a Catania – da qui la competenza a indagare della Procura messinese – e Palma, in carica a Palermo come avvocato generale. Palma e Petralia erano nel pool dei pm nisseni che svolsero le indagini sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e alla scorta, indagini- ormai è accertato da sentenze- oggetto di un clamoroso depistaggio. Entrambi i magistrati rispondono di calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. L’indirizzo impresso alle indagini, teso, secondo l’accusa, a sviare gli accertamenti dai veri responsabili dell’eccidio ha portato alla condanna all’ergastolo di sette innocenti, scarcerati e scagionati solo grazie alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza.  

Sul depistaggio, oltre all’inchiesta messinese, è in corso a Caltanissetta un dibattimento, per lo stesso reato, a carico di tre funzionari di polizia che appartenevano al pool di investigatori che si occuparono del caso. Gli accertamenti tecnici sulle cassette, che consistono nel riversamento del loro contenuto, potrebbero distruggere le bobine che sono molto risalenti nel tempo: da qui l’esigenza di svolgere l’atto in presenza di consulenti di parte in quanto potrebbe non essere ripetibile. Oltre ai tecnici della Procura partecipano i consulenti nominati dagli indagati e dalle persone offese cioè gli accusati ingiustamente della strage. Vincenzo Scarantino, personaggio chiave del depistaggio, secondo l’accusa sarebbe stato imbeccato dagli investigatori perché ricostruisse una falsa versione della fase esecutiva dell’attentato.  LA SICILIA 19.6.2020


Il documento della Procura Messina dopo la sentenza con cui si escludevano depistaggi da parte dei pm. Sistema incapace di svelare la verità e anomalie nella gestione dei pentiti. Scarantino inattendibile. Indagini segnate dal tempo trascorso  Le indagini, doverosamente svolte secondo l’indicazione della Corte di assise di Caltanissetta, pur avendo imposto a quest’ufficio un considerevole dispendio di energie ai fini di soddisfare il canone della completezza, non hanno consentito di individuare alcuna condotta posta in essere ne’ dai magistrati indagati, ne’ da altre figure appartenenti alla magistratura che abbiano posto in essere reali e consapevoli condotte volte ad inquinare le dichiarazioni, certamente false, rese da Vincenzo Scarantino”. Lo scrivono i pm di Messina – coordinati dal procuratore Maurizio de Lucia – nella richiesta di archiviazione dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio del 1992 in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, a carico degli ex pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia. Questi ultimi, secondo una prima ipotesi accusatoria, avrebbero avuto un ruolo nell’inquinamento delle indagini. Per gli stessi fatti e per la stessa accusa – calunnia aggravata – a Caltanissetta è in corso un processo contro tre dei poliziotti che condussero le indagini e che, costruendo a tavolino tre falsi pentiti, avrebbero inquinato la ricostruzione dell’attentato al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta. Indubbiamente, – aggiunge la Procura di Messina – senza la successiva collaborazione di Gaspare Spatuzza, di tale falsità non vi sarebbe stata alcuna certezza; tale dato deve fare riflettere su un sistema processuale che, in ben tre gradi di giudizio, non è riuscito a svelare tale realtà. Tuttavia, questa valutazione esula dai compiti di questa Procura della Repubblica, così come ogni valutazione concernente profili diversi da quello penale, per gli indagati e per i magistrati comunque coinvolti nella vicenda processuale”.

“Anomalie nella gestione dei pentiti” “Le indagini in questione, svolta a distanza di oltre 27 anni dalla strage, hanno ricostruito il contesto nel quale è maturata la ‘collaborazione con la giustizia’ di Scarantino e le anomalie tecnico giuridiche e valutative che hanno caratterizzato quella gestione, in termini di uso dei colloqui investigativi, di contatti informali con il collaboratore ed i suoi familiari”. I magistrati sottolineano più volte le “anomalie” dell’indagine sull’attentato che ha portato alla condanna all’ergastolo, per l’attentato al giudice Borsellino, di sette innocenti. Per i pm “il silenzio, ineccepibile in punto di diritto del quale si sono avvalsi” i tre poliziotti sotto processo per il depistaggio a Caltanissetta, Bo, Mattei e Ribaudo, che come i due pm rispondono di calunnia aggravata, “non ha consentito di comprendere quale effettivo ruolo hanno svolto il dottor Giovanni Tinebra – a quell’epoca Procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta – e i suoi sostituti nella gestione di Scarantino, né quale direzione effettiva essi hanno avuto delle indagini. Senza dire che la scomparsa di Tinebra e La Barbera ha impedito, oggettivamente, di acquisire le conoscenze che gli stessi direttamente avevano o potevano avere dei fatti”.

“Le indagini scontano tempo trascorso” “Le indagini – si legge ancora nel documento – scontano dei limiti strutturali difficilmente superabili”. I magistrati messinesi, che in due anni di indagini hanno interrogato veri e falsi pentiti e tutti i protagonisti delle vicende dell’epoca – poliziotti, avvocati e magistrati – sottolineano “il venir meno, nel tempo, di fonti di prova rilevanti (è il caso – scrivono – dei sopravvenuti decessi del dott. Tinebra e del dott. Arnaldo La Barbera, i quali hanno certamente avuto un ruolo importante nella vicenda)”. Il riferimento è all’ex procuratore di Caltanissetta e all’ex capo della Mobile di Palermo che coordinava il gruppo investigativo che svolse gli accertamenti sull’attentato al giudice Borsellino.

Boccassini, gestione Scarantino sciatta Alla lettera con cui l’ex pm Ilda Boccassini, il 12 ottobre del 1994, metteva nero su bianco le sue perplessità sull’attendibilità e sulla gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino è dedicata un’ampia parte della richiesta di archiviazione. Sentita dai pm di Messina, Boccassini ha raccontato di aver fatto consegnare la missiva, scritta poco prima di lasciare l’ufficio inquirente di Caltanissetta, a tutti i colleghi, ma nessuno di loro, interrogato successivamente, dice di averla ricevuta. Tutto l’ufficio ne sarebbe venuto a conoscenza anni dopo. Anche il maresciallo a cui Boccassini dice di aver dato la lettera da recapitare ai colleghi non ricorda di averla materialmente fatta avere ai destinatari. Nonostante le lacune e le contraddizioni per la Procura di Messina è però ragionevole pensare che Palma e Petralia, e il loro capo di allora, Gianni Tinebra, poi morto, fossero a conoscenza delle forti perplessità manifestate dalla Boccassini e dal collega Saieva sull’attendibilità delle iniziali dichiarazioni di Scarantino. “Il fatto che Scarantino mentisse in maniera grossolana – ha detto Boccassini alla Procura di Messina – era percepibile il primo o secondo interrogatorio. Tant’è che c’è stata per me l’esigenza, perché avevo capito che c’era un atteggiamento diverso da parte dei colleghi, e feci la prima relazione insieme a Roberto Saieva e fu portata dal mio collaboratore, che stava con me a Milano, nelle stanze di tutti i colleghi. Poi non l’hanno letta questo è un altro paio di maniche”. Durissimi i giudizi della Boccassini su come veniva gestito Scarantino. “Interrogare Scarantino senza avvocato chiusi in una stanza. – dice – Tutto così, raffazzonato. Ma non dico neanche per… avevano uno scopo, per sciatteria voglio sperare, anche se io ritengo la sciatteria peggio della… dell’agire con dolo rispetto a certe cose”.

I pm , Scarantino inattendibile Anche i magistrati messinesi hanno confermato che “la principale fonte dichiarativa sulla strage di via D’Amelio, Vincenzo Scarantino, ha continuato, nel corso degli anni, a contraddirsi rendendo, di fatto ed in diritto, del tutto inutilizzabili le sue dichiarazioni, le quali, comunque, non hanno mai assunto un accettabile grado di concretezza in ordine a possibili contatti delittuosi tra lo stesso e magistrati della Procura di Caltanissetta”. “Scarantino ha mantenuto tale atteggiamento ondivago anche nel corso dell’interrogatorio reso innanzi a questo ufficio, arrivando a negare circostanze e fatti che, invece, aveva riferito in precedenti contesti giudiziari”, si legge nel documento.

Per Mannoia Scarantino non era mafioso Anche l’interrogatorio di un pentito storico come Francesco Marino Mannoia è stato alla base degli accertamenti della procura di Messina.. Nel corso di un confronto, del tutto inedito a cui fu sottoposto dalla Procura di Caltanissetta con Scarantino nel 1995, Mannoia aveva concluso, e riferito agli inquirenti, rafforzando quanto detto da altri collaboratori, che il “picciotto della Guadagna” non era un mafioso. Conclusione che Mannoia ha ripetuto ai pm messinesi.

La figlia del giudice sentita sui colloqui con Graviano Tra i testi sentiti dai pm di Messina nell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio c’è stata anche Fiammetta Borsellino, figlia del giudice, che da anni combatte una battaglia per arrivare alla verità sulla morte del padre. La Borsellino ha raccontato ai magistrati del suo incontro in carcere con i boss Giuseppe e Filippo Graviano, capimafia di Brancaccio condannati per l’attentato. La figlia del magistrato ha definito l’incontro “un percorso personale”, ma non nasconde di aver sperato che da quel colloquio arrivasse un contributo alla verità pur nella consapevolezza che sarebbe stato molto difficile vista la caratura criminale dei due boss. Fiammetta Borsellino ha raccontato ai pm dei “grotteschi” tentativi di Graviano di discolparsi addossando la colpa del depistaggio delle indagini ai magistrati. “L’unica cosa che mi sono limitata a dire è che spostare la responsabilità su altri non serviva ad eludere le sue di responsabilità, soltanto questo”, ha raccontato ai pm. Diverso sarebbe stato invece il tono del colloquio con Filippo Graviano che si sarebbe presentato “in uno stato di dolore e prostrazione visibile”. “Una persona – ha detto Fiammetta Borsellino – che non aveva imparato la lezioncina a memoria, cioè, lì c’è stato spazio per parlare di dolore, di insicurezze, del fatto che lui, appunto, non rinnegava quello che aveva fatto.”  QUOTIDIANO DI SICILIA  11.6.2020


IL DEPISTAGGIO SU BORSELLINO: TANTE ANOMALIE NELLE INDAGINI, MA NESSUN REATO DEI PM  MESSINA, CHIESTA L’ARCHIVIAZIONE PER I MAGISTRATI PALMA E PETRALIA RESPONSABILITÀ PENALI DA PARTE DEI MAGISTRATI CHE LE CONDUSSERO NON CE NE SONO, MA LE INCHIESTE CHE PORTARONO ALLA FALSA VERITÀ GIUDIZIARIA SULLA STRAGE DI VIA D’AMELIO(SETTE INNOCENTI CONDANNATI ALL’ERGASTOLO PER LA MORTE DEL GIUDICE PAOLO BORSELLINO E CINQUE AGENTI DELLA SUA SCORTA, A CAUSA DELLE BUGIE DEL FINTO PENTITO VINCENZO SCARANTINO) FURONO CARATTERIZZATE DA «ANOMALIE TECNICO-GIURIDICHE E VALUTATIVE» CHE NON TROVANO SPIEGAZIONI CONVINCENTI. Dopo due anni di lavoro la Procura di Messina ha chiesto l’archivizione del fascicolo a carico degli ex pubblici ministeri di Caltanissetta che dal 1992 portarono avanti indagini e processi basati sulle dichiarazioni del presunto «collaboratore di giustizia»; dovendosi limitare «esclusivamente all’accertamento di condotte aventi rilevanza penale» ha alzato bandiera bianca. Ogni altra valutazione «esula» dai compiti del pool guidato dal procuratore Maurizio De Lucia, tuttavia dalle oltre 160 pagine della richiesta di archiviazione traspare il rammarico e una certa incredulità per come «il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana» (così lo definirono i giudici di Caltanissetta che inviarono gli atti a Messina per indagare sui magistrati) abbia potuto resistere per oltre 16 anni, fino al pentimento (ritenuto autentico, e dopo 12 anni non sono arrivate smentite) del mafioso vero (a differenza di Scarantino) Gaspare Spatuzza. Una storia per la quale sono alla sbarra, a Caltanissetta, tre poliziotti che fecero parte del gruppo investigativo guidato dall’ex questore Arnaldo la Barbera (morto nel 2002), che si conferma torbida anche dagli atti raccolti dai pm di Messina. Di indizi sulla inattendibilità di Scarantino ce n’erano molti, ma nessuno degli inquirenti di allora ascoltati (sia i due indagati, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, che i testimoni, da Ilda Boccassini a Nino Di Matteo e altri) ha saputo spiegare come non si riuscì a evitare il depistaggio. Persino la lettera dell’ottobre 1994 in cui Boccassini e il suo collega Roberto Saieva misero in dubbio la credibilità di quello strano pentito diventa un mistero, con gli altri pm che dicono di non averla mai ricevuta. «Io non ho tanti elementi sul dopo, però il fatto che Scarantino mentisse in maniera grossolana era percepibile dal primo o secondo interrogatorio», ha ribadito Boccassini. A smentire il falso pentito furono ex boss di ben diverso calibro sedutisi davanti a lui; ora s’è scoperto che pure a Francesco Marino Mannoia, nel ricordo del suo avvocato di allora, «bastò un minuto di colloquio appartato con Scarantino, e disse che non era uomo d’onore»; eppure di questa conclusione del pentito «vero» non c’è traccia nel verbale di confronto ufficiale. E ci sono una ventina colloqui investigativi di poliziotti con Scarantino, regolarmente autorizzati dai magistrati, da cui presumibilmente è scaturita la falsa verità che ha resistito per tanto tempo. «Stranisce tra l’altro — denuncia la Procura di Messina — che le autorizzazioni siano state rilasciate dagli stessi magistrati con cui, proprio in quel periodo, Scarantino rendeva le dichiarazioni “collaborative” a mezzo interrogatorio. In questo senso, generiche e poco convincenti appaiono le risposte fornite da costoro circa le motivazioni a sostegno delle autorizzazioni rilasciate».Tra le «anomalie» ci sono anche i «contatti informali (dei magistrati, ndr) con il collaboratore ed i suoi familiari», che non hanno trovato adeguate giustificazioni. E che ancora oggi consentono al falso pentito e alla ex moglie di lanciare accuse o insinuazioni che però si sono rivelate false, o non hanno trovato conferme. Contribuendo a intossicare ulteriormente la vicenda. Nella quale non mancano i servizi segreti, con l’anotazione del Sisde che anticipò la «pista Scarantino» e l’irrituale coinvolgimento richiesto dall’allora procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, morto nel 2017. Ma tra i danni maggiori provocati dal depistaggio c’è quello raccontato da Fiammetta Borsellino, una delle figlie di Paolo, quando ha testimoniato la risposta avuta nell’incontro con Giuseppe Graviano, uno degli assassini di suo padre a cui aveva chiesto un contributo di verità: «A un certo punto, l’ha buttata sui magistrati, della serie: “Perché viene da me a chiedere le cose? Non l’ha visto che hanno fatto i depistatori?”… Uno dei grandi danni che hanno fatto queste persone è stato anche quello di fornire un alibi per non parlare, l’alibi perfetto per deresponsabilizzarsi di tutto». CORRIERE DELLA SERA 11.6.2020


 VIA D’AMELIO E QUEI GIUDICI CHE NON C’ERANO E SE C’ERANO, DORMIVANO PER LE NON-INDAGINI SULLA STRAGE DI VIA D’AMELIO, “UNO DEI MAGGIORI DEPISTAGGI DELLA STORIA REPUBBLICANA”, CHIESTA L’ARCHIVIAZIONE DEI PM. BORSELLINO È SERVITO    

Ma i magistrati, possono mai entrarci qualcosa, con un’indagine preliminare? Perciò: si archivi. Ancora, a cercare “verità”? Cara Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, 28 anni sono passati: non lo capisci? Siamo in Sicilia. Anzi Italia. Non tira più. Basta… Va bene così. I Pubblici Ministeri potevano non sapere. Ce lo dice un altro Pubblico Ministero. E non se ne parli più. Anche se le non-indagni sulla strage di Via D’Amelio costituiscono “uno dei maggiori depistaggi della storia repubblicana” (secondo la sentenza che ha concluso il Processo Borsellino quater), nè il Capo, nè i Sostituti della Procura di Caltanissetta del tempo, videro, seppero, vollero alcunché. Di ingiusto, di illecito, s’intende. Solo giustizia. Al più, qualche “anomalia”. Lo dice, anzi, lo scrive, la “Collega” Procura di Messina. Notizia fresca fresca. È tutto chiarito. E che volete? Mica erano Ministri? O, generalmente, “politici”? Magistrati erano; addetti alla direzione e al coordinamento delle indagini con al centro il collaborante Scarantino; e chi ne sa niente, di una fonte di prova? Quale magistrato assegnatario delle indagini, può mai sapere nulla di una fonte di prova? Ma qui si vuole forse scherzare? La Polizia, odorosa di “politica”: lei sí, che sa. Ma i magistrati, possono mai entrarci qualcosa, con un’indagine preliminare? Perciò: si archivi. Che poi, a parte Fiammetta Borsellino, la quale, diciamocelo, pare che non voglia capire come si sta al mondo, con tutte le sue domande, a chi interessa, di suo padre Paolo, e dei giovani agenti fatti a pezzi? Sono cose vecchie. Ancora, a cercare “verità”? 28 anni sono passati, Fiammetta: non lo capisci? Sicilia, Italia? Non tira più. Basta. Peraltro, tutto quello che dovevano fruttare, le stragi, lo hanno fruttato. Si deve distruggere un uomo? E che ci vuole? Abbiamo pure un Codice Antimafia. Basta la parola “mafia” e comincia il divertimento. Gli sequestrano tutto: due lire, se ha due lire, mille, se ne ha mille; non occorre nemmeno mandarlo in galera. Basta far sapere che il suo nome è “iscritto”, ed è già un paria. L’ebreo in un ripristinato III Reich. Nessuno lo guarda come un uomo; ma ciascuno è in diritto, anzi, “in dovere”, di scansarlo come un rognoso, un infetto. Perché, “è” un rognoso, un infetto. È “un iscritto”. La P.A. lo esclude da ogni contatto. I vicini, i conoscenti, se non vogliono finire pure loro male, si girano dall’altra parte. Le banche? Non ne parliamo nemmeno. Già hanno ricevuto la notificazione dei sequestri, e chi si ci mette, a “distinguere”? Qui si parla di “soldi”. E, se si parla di “soldi”, schiere di decenni, legioni di “pubblicazioni”, eserciti di “pensieri critici” e di “elaborazioni consapevoli”, si ergono a scovare il maligno Capitale, la sentina di ogni nequizia, il germe della “disuguaglianza”. Ci esercitiamo da un secolo, “noi”, con simili schifezze: hai voglia a “mascherarti”, sporco capitale, “noi” ti riconosceremo sempre. L’Armata della Retorica Palingenetica, del “levati di qua, che mi ci metto io”, ha sostituito “ricco” (qualsiasi cosa s’intenda: anche un auto, due smart-phone e un appartamento incolore in comunione dei beni), con “mafioso”; e “l’accumulazione primitiva” col “denaro di provenienza illecita”. Si vuole “difendere”, “il sudicio mercante/mafioso”? Faccia pure: sempre che facciano entrare il suo avvocato in Tribunale (con il Covid è richiesto il passaporto e il visto all’ingresso, a parte la play-legal-station, così carina da usare come narcotico collettivo verso l’ingombrante presenza della sofferenza in carne ed ossa), in ogni caso deve provare lui di “non essere”. Non di non aver fatto, detto, agito; ma di “non essere mafioso”: giacché, ogni parola, azione, non valgono per sè, ma solo quale “sintomo” di uno status, di una “condizione”; anche se l’azione è lecita o, addirittura, evidentemente imposta, come il prezzo di un’estorsione, o la rata di un “prestito” usurario. Non importa. La “condizione” qualifica l’atto e, da bianco, lo rende nero. E la condizione si stabilisce “per contatto”. Non è magnifico? Non è un sistema perfetto? E sapete perché? Perché “la mafia” ha fatto le stragi, e ognuno che sia “sospettato”, porta in sè tutto il carico di quell’abominio. Il “contatto rende complici”. Una moltitudine di “non possono non sapere” è posta, suo malgrado, ad alimentare un Apparato votato alla perennità, che si bea, lui solo e alla faccia vostra, della opposta “regola”: non potevano sapere. E chi lo smonta? Ciascun buono a nulla, ciascun frustrato e parassita, ciascun imbecille che abbia imparato a memoria il suo piccolo Mein Kampf Antimafia, può aspirare ad ogni sorta di carriera, togato-dirigenziale, avvocatesco-ministeriale, giudiziario-narrativa, sceneggiatrice, fictional, prodiga di lubríco appagamento materiale e morale. Può definire “società giusta” un sistema che non chiede mai scusa, che afferma immoralmente di non sbagliare mai; perché se rovina, “c’era il sospetto”, e se il sospetto risulterà farneticante o anche solo inconsistente, “c’è l’assoluzione, che vuole ancora?”; che pone “una regola” e la divide in due, come una mela; e di qua, staranno quelli della “metà sbagliata”, e di là, quelli della “metà giusta”. Che ha capito come fottere il prossimo alla grande: in nome della Legge. Perciò, a chi interessa, sapere “la verità”, questa sopravvalutata? A cialtroni finiti a fare i petrolieri? A mestatori che per trent’anni, in prime time, hanno lanciato ogni specie di avventuriero togato? Che hanno chiesto a folle di fanatici se erano pubblicamente entusiaste di un omicidio? A saltafossi che hanno sputato sul cadavere di Falcone, “a futura memoria”, e poi passando il resto della vita ad illustrarsi del suo sangue, come fosse un cosmetico cannibalesco? Ai “fustigatori della casta”, 5000 Euro a pezzo, capaci di fare le pulci a tutto quello che sa “di politica”, fino al consigliere di quartiere, ma mai, mai, leggere la busta-paga di un magistrato (e non parliamo delle sue “progressioni in carriera”)? Sulle “stragi” si sa tutto. Sappiamo anche che chi le ha fatte finire, incastrando i colpevoli, è stato messo sulla graticola, e ve lo hanno fatto rimanere senza sosta da oltre vent’anni, nonostante la catasta delle assoluzioni e delle archiviazioni ormai sia venuta raggiungendo altezze himalayane. E si deve capire, insomma; il Generale Mori e i suoi collaboratori rischiavano di rompere l’Apparato/Giocattolo. E come avrebbero fatto, allora, tutti quei “decenni”, di “pubblicazioni”, di “elaborazioni” condotte sin dai tempi della “partitocrazia”, a farsi mestiere, rendita, sopraffazione sistemica, culturale, istituzionale, politica? Come avrebbero fatto, a sostituire ai partiti democratici, il Partito Unico, immune dal “peccato del voto”, dalla turpitudine del consenso democratico? Come avrebbero fatto, poverini? È stata legittima difesa. D’altra parte, “la difesa è sempre legittima”, sappiamo. E sappiamo anche che la menzogna rende forti: alla stessa maniera di come “il lavoro rende liberi”. Fuori dal Coro di Fabio Cammalleri La Voce di New York 5.6.2020

Borsellino: depistaggio, chiesta archiviazione per ex pmCarmelo Petralia e Annamaria Palma componenti pool che indagò – La Procura di Messina ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio aperta a carico degli ex pm Carmelo Petralia ed Annamaria Palma. I due magistrati facevano parte del pool che coordinò l’indagine sull’attentato al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. A entrambi si contestava il reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra. Annamaria Palma attualmente è avvocato generale a Palermo, mentre Petralia ricopre la carica di procuratore aggiunto a Catania. Per legge competente a indagare sui magistrati etnei è la Procura di Messina guidata da Maurizio de Lucia. Nell’ipotesi accusatoria, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo a Caltanissetta – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – i due pm avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio imbeccando tre falsi pentiti, tra cui Vincenzo Scarantino, e suggerendo loro di accusare dell’attentato persone ad esso estranee. La falsa verità, a cui per anni i giudici hanno creduto, è costata la condanna all’ergastolo a 7 persone. Le false accuse dei pentiti, che per anni hanno retto a più vagli processuali, sono state smontate dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Dopo il pentimento dell’ex boss di Brancaccio, che si è accusato della strage e ne ha ricostruito la vera dinamica, i sette ingiustamente condannati sono stati scarcerati. Nel procedimento a carico dei tre poliziotti e in questo aperto a Messina sui due ex pm sono persone offese dal reato. (ANSA).

Via D’Amelio: chiesta l’archiviazione per i pm Palma e Petralia accusati del depistaggio Probabilmente non mancano le anomalie, ma al momento non ci sarebbero profili di rilevanza penale. Per questo motivo, la Procura di Messina ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio aperta a carico degli ex pm Carmelo Petralia ed Annamaria Palma. Quindi, quello che è stato definito dalle sentenze come “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria d’Italia” è destinato a rimanere ancora un mistero. I due magistrati facevano parte del pool che coordinò l’inchiesta sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. A entrambi si contestava il reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra. Si occuparono infatti della gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino. Palma-Tinebra-Petralia Attualmente, restano sotto processo, ma a a Caltanissetta, tre poliziotti: il funzionario Mario Bo (ex capo del gruppo d’indagine Falcone Borsellino), e gli ispettori in pensione Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Anche loro imputati per calunnia aggravata. L’inchiesta di Messina era nata due anni fa con accertamenti richiesti dai magistrati di Messina, coordinati dal procuratore Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Vito Di Giorgio. Nonostante il ritrovamento di 19 bobine con strane telefonate al picciotto della Guadagna, gli ex pm Palma e Petralia, quindi escono dalle indagini. La pm Palma addirittura era scoppiata in lacrime durante il processo: “Io a questo Stato ho regalato il 50% della mia salute oltre all’affetto che mi ha fatto perdere di mio figlio per avere poi che cosa? Per essere indagata ingiustamente. Mi scuso, ma questo cosa non la tollero, soprattutto perché mi trovo nelle condizioni di dovere essere attaccata dai familiari del giudice Borsellino che io ho adorato, non la tollero perché profondamente ingiusta”. Mentre il pm Petralia si dichiarò “sconvolto per la macelleria mediatica”. A quasi 28 anni da quel tragico 19 luglio 1992, dunque, restano ancora tante ombre. Le false accuse dei pentiti, che per anni hanno retto a più vagli processuali, sono state smontate dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Dopo il pentimento dell’ex boss di Brancaccio, che si è accusato della strage e ne ha ricostruito la vera dinamica, i sette ingiustamente condannati (Cosimo Vernengo, Gaetano La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso e Natale Gambino) sono stati scarcerati. In una delle 13 domande di Fiammetta Borsellino allo Stato, la figlia del giudice ricordava che “il 26 luglio 1995 Scarantino ritrattava le sue dichiarazioni con un’intervista a Studio Aperto. Prima ancora che l’intervista andasse in onda, i pm Palma e Petralia annunciavano già alle agenzie di stampa la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, anticipando il contenuto del verbale fatto quella sera col falso pentito. Come facevano a prevederlo?“. Una domanda ancora senza risposta.  IL SICILIA 5.6.2020

Avevano seguito le indagini sulla strage di via D’Amelio Depistaggio strage Borsellino, chiesta archiviazione per ex pm I due magistrati erano accusati di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra.Processo depistaggio morte Borsellino, la figlia: non vedo volontà dare contributo Mafia. Borsellino quater, confermate in appello tutte le condanne. La Procura di Messina ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio aperta a carico degli ex pm Carmelo Petralia ed Annamaria Palma. I due magistrati facevano parte del pool che coordinò l’inchiesta sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. A entrambi si contestava il reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra. Annamaria Palma attualmente è avvocato generale a Palermo, mentre Petralia ricopre la carica di procuratore aggiunto a Catania. Per legge competente a indagare sui magistrati etnei è la Procura di Messina guidata da Maurizio de Lucia. Nell’ipotesi accusatoria, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo a Caltanissetta – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – i due pm avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio imbeccando tre falsi pentiti, tra cui Vincenzo Scarantino, e suggerendogli di accusare dell’attentato persone estranee ai fatti. La falsa verità, a cui per anni i giudici hanno creduto, è costatala condanna all’ergastolo a 7 persone: Cosimo Vernengo, Gaetano La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso e Natale Gambino . A Palma e Petralia si contestava, oltre all’aggravante di avere favorito Cosa nostra, anche quella che deriva dal fatto che dalla calunnia è seguita una condanna a una pena maggiore di 20 anni. La Procura di Messina ha aperto l’inchiesta su input dei colleghi nisseni che , un anno fa, hanno trasmesso all’ufficio inquirente della città dello Stretto la sentenza del processo Borsellino quater in cui, per la prima volta in una sentenza, si parlava espressamente del depistaggio delle indagini. Le false accuse dei pentiti, che per anni hanno retto a più vagli processuali, sono state smontate dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Dopo il pentimento dell’ex boss di Brancaccio, che si è accusato della strage e ne ha ricostruito la vera dinamica, i sette ingiustamente condannati sono stati scarcerati. Nel procedimento a carico dei tre poliziotti e in questo aperto a Messina sui due ex pm sono persone offese dal reato. Rai News

Omicidio Borsellino e falso pentito Scarantino, chiesta l’archiviazione per gli ex pm accusati del depistaggio Pur con alcune “anomalie”, non ci sono profili di rilevanza penale. Per questo la Procura di Messina ha chiesto al Gip l’archiviazione del procedimento nei confronti di Carmelo Petralia e Annamaria Palma, i due ex sostituti procuratori di Caltanissetta indagati per calunnia aggravata e accusati di aver costruito ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino. Con Petralia, oggi procuratore aggiunto a Catania, e Palma, avvocato generale a Palermo, era accusato anche l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002. L’inchiesta messinese, nata due anni fa, è stata coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Vito Di Giorgio e si è aperta dopo la sentenza “Borsellino quater”, l’ultimo sulla strage di via d’Amelio. Il pool ha infatti ascoltato nuovamente Scarantino, tirato in ballo dal pentito Gaspare Spatuzza che aveva rivelato di aver rubato lui, e non Scarantino, la Fiat 126 trasformata poi in autobomba, con sette condannati poi scagionati dalle accuse. L’inchiesta messinese era nata grazie alla scoperta di alcune intercettazioni rimaste sepolte per anni e risalenti al periodo in cui Scarantino era sotto protezione. Dalle telefonate emergono i rapporti tra il falso pentito e Mario Bo, ex funzionario del pool investigativo e ora imputato nel processo per il depistaggio a Caltanissetta. Non solo. In uno dei nastri depositati a Caltanissetta, datato 8 maggio 1995, si sentono queste parole del sostituto procuratore Carmelo Petralia: “Scarantino, ci dobbiamo tenere molto forti perché siamo alla vigilia della deposizione”. In questa stessa telefonata Petralia annuncia a Scarantino una visita insieme al procuratore Giovanni Tinebra e al capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera (oggi, entrambi deceduti). “Ci sarà tutto quanto lo staff delle persone che lei conosce, potrà parlare di tutti i suoi problemi così li affrontiamo in modo completo e vediamo di trovare una soluzione. Contemporaneamente iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento”. I condannati ingiustamente per le dichiarazioni di Scarantino, le parti offese, potranno anche presentare opposizione alla richiesta di archiviazione. IL RIFORMISTA

Via d’Amelio, chiesta l’archiviazione per gli ex pm accusati del depistaggio del falso pentito ScarantinoLa strage di via D’Amelio, il 19 luglio 1992  .Anna Palma e Carmelo Petralia erano indagati dai pm di Messina per calunnia aggravata. A Caltanissetta il processo a tre poliziotti

E’ stato definito “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria d’Italia”, ma è destinato a restare un mistero. La procura di Messina chiede l’archiviazione per i due ex sostituti procuratori di Caltanissetta Annamaria Palma (oggi avvocato generale a Palermo) e Carmelo Petralia (procuratore aggiunto a Catania) indagati per calunnia aggravata. L’accusa era pesante, aver costruito ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino, assieme all’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002. Attualmente, ci sono tre poliziotti sotto processo al tribunale di Caltanissetta: il funzionario Mario Bo’, l’ex capo del gruppo d’indagine Falcone Borsellino, e gli ispettori in pensione Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Anche loro imputati per calunnia aggravata. L’inchiesta di Messina era nata due anni fa, dopo che la procura di Caltanissetta aveva trasmesso la sentenza “Borsellino quater”, l’ultimo troncone del processo per la strage di via d’Amelio. Il pool coordinato dal procuratore di Messina Maurizio de Lucia ha riascoltato il falso pentito Scarantino e ripercorso tutti i passaggi di questa vicenda drammatica, che ha tenuto lontana la verità per tanti, troppi anni, fino a quando nel 2008 il pentito Gaspare Spatuzza ha fatto riaprire il caso: era stato lui, e non Scarantino, a rubare la Fiat 126 poi trasformata in autobomba. E undici condannati sono stati scagionati.Indagini e processi fin qui svolti hanno fatto emergere le pressioni di La Barbera e dei suoi uomini su Scarantino. Possibile che sia avvenuto tutto all’insaputa dei magistrati? Fiammetta Borsellino, la figlia del giudice Paolo, ha chiesto a gran voce di conoscere la verità chiamando in causa gli ex pm. Ha anche sollecitato la procura generale della Cassazione ad avviare dei procedimenti disciplinari, un fascicolo preliminare è stato già aperto. “Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino – si è chiesta Fiammetta – e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione? Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perché i pm non ne fecero mai richiesta? E perché nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo? Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?”. E ancora: “Perché furono autorizzati dieci colloqui investigativi della polizia con Scarantino, quando già era iniziata la collaborazione con i magistrati?   Domande su domande. Che sono destinate a restare senza risposta. Almeno, per il momento. Bisognerà leggere la richiesta di archiviazione della procura di Messina per comprendere come si è arrivati a questo ulteriore passaggio della vicenda. Sulla richiesta dei pubblici ministeri dovrà pronunciarsi un gip, che potrà chiudere il caso o sollecitare nuove indagini. Le “parti offese”, ovvero i condannati ingiustamente sulla base delle dichiarazioni di Scarantino, possono anche presentare opposizione alla richiesta di archiviazione LA REPUBBLICA Salvo Palazzolo

Chi depistò su via D’Amelio? Chiesta l’archiviazione per due magistrati. Al centro del caso vi è la gestione del pentito Vincenzo Scarantino, su cui non è ancora stata fatta chiarezza. “Sembra che tutto – disse Fiammetta Borsellino – sia avvenuto per virtù dello Spirito santo”  La Procura di Messina ha chiesto l’archiviazione per due magistrati, Carmelo Petralia e Annamaria Palma in merito al depistaggio dell’indagine sulla strage di via D’Amelio che aveva al centro la gestione del pentito Vincenzo Scarantino. Petralia e Palma – il primo oggi è procuratore aggiunto a Catania mentre la Palma è avvocato generale a Palermo – erano indagati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Entrambi, da pm a Caltanissetta, avevano indagato sull’attentato in via D’Amelio in cui, il 19 luglio 1992, fu ucciso il giudice Paolo Borsellino insieme con agenti della sua scorta. La Procura di Messina, guidata da Maurizio de Lucia, aveva aperto una indagine un anno fa, dopo che da Caltanissetta era stata trasmessa la sentenza del “Borsellino quater”, in cui si faceva un esplicito riferimento alle deviazioni. E’ tuttora in corso a Caltanissetta il processo a carico di tre poliziotti – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – che, secondo le tesi accusatorie avrebbero depistato le indagini in particolare “guidando” le dichiarazioni di alcuni pentiti tra cui Vincenzo Scarantino. Definito il “pupo vestito” – e arrestato dalla squadra di poliziotti guidata da Arnaldo La Barbera – Scarantino ha più volte prima accusato, poi ritrattato e fatto nuovamente marcia indietro, facendo condannare all’ergastolo persone estranee alla strage. A smontare le dichiarazioni di Scarantino – che avevano retto a più gradi di giudizio – è stato il pentimento di Gaspare Spatuzza, ex mafioso di Brancaccio, vicino ai fratelli Graviano, che si è auto accusato della strage. Il 13 luglio 2017 la Corte di appello di Catania – davanti a cui si celebrava il processo di revisione delle condanne – ha assolto tutti gli imputati dall’accusa di strage: Gaetano Murana, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Salvatore Profeta, Giuseppe La Mattina, Gaetano Scotto, Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura ,Giuseppe Orofino. (Candura era stato condannato per il furto della Fiat 126 poi imbottita di tritolo, e non per il reato di strage; Orofino era stato ritenuto responsabile di appropriazione indebita, favoreggiamento e simulazione di reato). Nel processo in corso a Caltanissetta – a carico dei tre poliziotti – sono stati anche sentiti i pm che facevano parte del pool nisseno che indagò sulla strage di via D’Amelio: a dicembre aveva deposto Annamaria Palma, il 20 gennaio è stata la volta di Petralia. Entrambi, in veste di testimoni assistiti, pur avendo il diritto della facoltà di non rispondere, si sono sottoposti all’esame.Ma a Caltanissetta hanno deposto anche l’ex pm Ilda Boccassini (il 20 febbraio), che ha confermato i suoi dubbi su Scarantino, sollevati già all’epoca. E prima di lei – il 3 febbraio – sul banco dei testimoni anche Nino Di Matteo, attuale consigliere del Csm e all’epoca dei fatti pm della Procura nissena guidata da Gianni Tinebra. Le deposizioni dei magistrati avevano “deluso” e “amareggiato” Fiammetta Borsellino. “Vedo – disse la figlia del magistrato assassinato – che c’è una enorme difficoltà a fare emergere la verità”. “Non ho constatato da parte di nessuno – proseguì – la volontà di dare un contributo al di là delle proprie discolpe a capire che cosa è successo. Penso che nessuno di questi magistrati abbia capito niente di mio padre. Quello che sento dire sempre è di essere arrivati in un momento successivo e sembra che tutto quello che riguarda Scarantino, il depistaggio e le stragi sia avvenuto per virtù dello spirito santo” agi

 

Messina oggi

a cura di Claudio Ramaccini, Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF – www.progettosanfrancesco.it