GALLIANO Antonino Inserito dal 1986 nella “famiglia” mafiosa della Noce diretta da GANCI Raffaele, del quale era nipote, dopo gli arresti avvenuti nel giugno del 1993 di quest’ultimo e dei figli Domenico e Calogero, il GALLIANO aveva preso le redini di quella “famiglia” e del relativo mandamento, sino al suo arresto, intervenuto solo nel luglio del 1996, a seguito della collaborazione intrapresa da GANCI Calogero, atteso che il CANCEMI, come si è già detto, ne aveva nascosto la partecipazione all’attività di preparazione della strage di Capaci, attività che non era nota agli altri collaboratori perché limitata al pedinamento dell’auto blindata usata dal dottor FALCONE per i suoi spostamenti in Sicilia.
Il GALLIANO iniziò a collaborare al momento stesso del suo arresto, e pur essendo stata presa tale decisione dopo le dichiarazioni del GANCI, di cui il GALLIANO aveva conoscenza perché contenute nelle loro linee essenziali nel provvedimento restrittivo allo stesso notificato, quest’ultimo ha comunque mostrato di possedere una conoscenza autonoma di tutti i fatti riferiti, per il carattere circostanziato delle sue propalazioni e la parziale diversità delle esperienze personali maturate nell’ambiente criminale di COSA NOSTRA.
Nel presente processo sono state acquisite ex art. 238 c.p.p. anche le dichiarazioni rese dal GALLIANO nell’udienza del 26.11.1996 nel processo di primo grado per la strage di Capaci ed il suo contributo è stato utile anche per la conoscenza di vicende organizzative che riguardavano la commissione provinciale di Palermo, note al collaboratore sia per i rapporti di parentela con il cugino GANCI Domenico, che sostituì il padre Raffaele detenuto tra la fine del 1986 ed il novembre del 1988 in alcune delle riunioni della medesima commissione, sia perché alcune di queste riunioni ebbero luogo presso l’abitazione della nonna, sicché egli ebbe la possibilità di vedere alcuni dei partecipanti. Per quanto poi attiene alle propalazioni del GALLIANO in ordine alla fase esecutiva della strage per cui è processo si fa rinvio all’esposizione svolta nella sede specifica. MISTERI D’ITALIA
UN BANCARIO SPIAVA FALCONE
CALTANISSETTA – Il fronte mafioso cede giorno dopo giorno, l’ ala militare di Cosa Nostra sembra allo sbando, gli uomini d’ onore si pentono e si “consegnano” allo Stato. Nel quarto anniversario dell’ uccisione di Paolo Borsellino gli ultimi collaboratori di giustizia raccontano altre verità, fanno nuovi nomi, accusano complici. Si scoprono particolari sul massacro di via D’ Amelio, si individua un altro assassino di Giovanni Falcone, si svelano retroscena anche sull’ autobomba che uccise il consigliere istruttore Rocco Chinnici. Ad azionare il telecomando dell’ ordigno è stato Nino Madonia, sicario della “famiglia” di Resuttana. Era dentro un camion, a trenta metri dal magistrato: l’ ha visto saltare in aria. Gli ultimi pentiti si chiamano Calogero Ganci e Giovanbattista Ferrante, sono due imputati del processo per la strage di Capaci, entrambi hanno confessato i loro delitti e indicato poi alcuni responsabili dei massacri dell’ estate 1992. Mafiosi che non erano mai entrati nelle indagini, mafiosi che curiosamente non erano stati “chiamati” da altri pentiti. Come Antonino Galliano, impiegato della Sicilcassa, “reggente” della “famiglia” della Noce e cugino di Calogero Ganci. Anche lui – Galliano – era a Capaci il 23 maggio del 1992. Aveva il compito di “avvistare” le auto blindate di Giovanni Falcone e avvertire poi Giovanni Brusca, il boia del giudice. “Mio cugino Antonino Galliano seguiva tutti i movimenti di quelle auto da almeno 11 giorni, sicuramente dal 12 maggio…”, ha spiegato Calogero Ganci ai magistrati. L’ impiegato della Sicilcassa è il quinto uomo della strage dell’ autostrada individuato dopo quattro anni di investigazioni. I procuratori di Caltanissetta hanno firmato per lui un’ ordinanza di custodia cautelare, il provvedimento gli è stato notificato in carcere: Antonino Galliano era detenuto all’ Ucciardone per una maxi rapina compiuta un anno fa a Palermo. Ma i magistrati di Caltanissetta che indagano sui massacri del 1992 hanno trovato anche un collegamento – il primo nonostante i quattro anni di inchieste – tra la strage di Capaci e quella di via D’ Amelio. Il punto di contatto certo è un mafioso che si è pentito, è Giovanbattista Ferrante, l’ ultimo collaboratore di giustizia. Ferrante ha partecipato alla strage di Capaci come “vedetta” e, qualche giorno fa, ha confessato di avere fatto pure l’ “avvistatore” in via D’ Amelio. E tornando indietro nel tempo, al 1983, ha svelato anche di avere guidato un camion nel giorno dell’ attentato al consigliere istruttore Rocco Chinnici: “Io ero al volante… dietro, dentro il furgone, c’ era Nino Madonia con il telecomando, subito dopo il botto io ero frastornato, Nino Madonia picchiò allora i pugni sul tetto del camion e mi disse: ‘ vai, vai..’ e io misi subito in moto il camion…”. Tutti questi collaboratori di giustizia sono “gestiti” in gran parte dalla Procura di Caltanissetta. Dice il procuratore aggiunto Paolo Giordano, uno dei Pubblici ministeri del processo per la strage di Capaci: “I mafiosi più giovani si sono resi conto ormai di essere in un vicolo cieco…l’ unica loro scelta è quella della collaborazione”. E aggiunge il procuratore capo Gianni Tinebra: “Il numero degli imputati per le stragi si estende ma vi sono zone d’ ombra ancora da scandagliare”. E mentre a Caltanissetta si continua ad indagare sui massacri, ieri mattina al Palazzo di giustizia di Palermo il procuratore capo Gian Carlo Caselli si è incontrato con il procuratore capo di Firenze Pier Luigi Vigna. Un faccia a faccia di un paio di ore. Una riunione top secret. I due procuratori hanno forse parlato di altri pentimenti eccellenti? LA REPUBBLICA 19 LUGLIO 1996