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Mattarella, Siani testimone del migliore giornalismo
Condanne sono prova che mafie possono essere sconfitte “Sono trascorsi trentacinque anni dal feroce assassinio di Giancarlo Siani, giovane cronista de Il Mattino di Napoli, autore di coraggiosi articoli sulle attività criminali dei clan della camorra e sui loro conflitti interni. Giancarlo Siani fu ucciso proprio per il lavoro svolto, per l’onestà e l’intelligenza con cui onorava il diritto alla libera informazione, raccontando i delitti della malavita e le trame di chi ne tirava le fila”. Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messario al Presidente della Fondazione Giancarlo Siani Onlus, Gianmario Siani. “Le organizzazioni camorristiche – sostiene Mattarella – non tollerarono che fosse svelato ciò che volevano restasse occulto: dagli affari illeciti alle complicità, alla violenza, che lasciava scie di morte: comprimevano libertà e opportunità in ogni campo della vita economica e sociale. In questo giorno di memoria per Napoli e per l’intera comunità civile, desidero esprimere a Lei un sentimento di solidarietà e gratitudine per l’impegno civile che negli anni è stato promosso, a partire dal dolore di una ferita purtroppo insanabile. Giancarlo Siani è stato testimone del miglior giornalismo: sarà sempre un esempio di coraggio e di professionalità per chi ha lavorato con lui e per chi intraprende, con idealità e passione, la strada del giornalismo. Il sacrifico di Giancarlo Siani resterà nella coscienza di tante persone oneste che si battono per contrastare l’illegalità e le mafie con gli strumenti della civiltà, della cultura, con il rispetto della verità e delle regole. Le condanne inferte ai killer e ai mandanti di Siani, al termine del percorso processuale, sono una prova ulteriore che le mafie possono essere sconfitte e che verranno certamente sconfitte”. (ANSA 23.9.2020).
Giancarlo Siani, giornalista nato a Napoli il 19 settembre 1959 e ucciso dalla Camorra il 23 settembre del 1985. Inizia a scrivere sulla rivista Osservatorio sulla camorra , e successivamente come stringer per Il Mattino , il principale quotidiano di Napoli. Fu assegnato alla redazione di zona di Castellammare di Stabia . Ha scritto articoli sui legami tra criminalità organizzata, politici e contratti di costruzione.
Siani fu giustiziato nella sua capote Citroën Méhari il 23 settembre 1985 a Napoli dalla camorra , mentre si avvicinava al suo appartamento. È stato ucciso da una squadra di assassini di almeno 2 uomini che si sono avvicinati da dietro e gli hanno sparato 10 volte alla testa con armi da fuoco da 7,65 mm da almeno 2 pistole Beretta. Gli assassini sono fuggiti su una motocicletta. All’epoca stava conducendo un’indagine su uno dei loro leader, Valentino Gionta. Gionta era il capo del clan Gionta, un clan camorristico che aveva sede a Torre Annunziata e controllava il contrabbando di sigarette .
Il 10 giugno 1985, tre mesi prima di essere ucciso, Siani aveva rivelato che l’arresto di Valentino Gionta era stato deciso da Lorenzo Nuvoletta , capo del clan Nuvoletta , clan rivale della camorra. Siani stava preparando un dossier sulla strage di Torre Annunziata dell’agosto 1984, che lasciò otto morti e 24 feriti tra i Gionta, allora alleati dei Nuvoletta. Dopo il massacro le tensioni tra i due clan erano aumentate. Nel 2000 Angelo Nuvoletta, Valentino Gionta e Luigi Baccante sono stati condannati in contumacia all’ergastolo per aver ordinato l’omicidio, così come gli assassini materiali Gaetano Iacolare, Ferdinando Cataldo, Armando Del Core e Ciro Cappuccio. Nel 2009 è uscito il film Fortapàsc basato sulla sua storia di vita, diretto da Marco Risi . Il titolo (pronunciato “Fort-apash” in dialetto) è un riferimento al classico western di John Ford , ” Fort Apache “, e all’illegalità della Napoli governata dalla camorra.
Il 10 giugno 1985 l’uscita dell’articolo sull’arresto di Valentino Gionta che decretò la condanna a morte di Giancarlo Siani
Una data, quindi, che è diventata un po’ un simbolo. Perchè, chissà, magari quel giorno Giancarlo si sentiva anche fiero di aver contribuito a diramare l’intricata matassa della camorra dopo l’arresto del boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta. Nell’articolo di Giancarlo Siani, definito come “il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino”. E furono proprio i due sicari dei Nuvoletta a premere il grilletto contro di lui, nella sera del 23 settembre 1985, poco più di tre mesi dopo dall’uscita del pezzo, per farla pagare al “giornalista giornalista”. Colpevole solo di aver scritto e firmato questo articolo:
Potrebbe cambiare la geografia della camorra dopo l’arresto del super latitante Valentino Gionta. Già da tempo, negli ambienti della mala organizzata e nello stesso clan dei Valentini di Torre Annunziata si temeva che il boss venisse «scaricato», ucciso o arrestato.
Il boss della Nuova famiglia che era riuscito a creare un vero e proprio impero della camorra nell’area vesuviana, è stato trasferito al carcere di Poggioreale subito dopo la cattura a Marano l’altro pomeriggio. Verrà interrogato da più magistrati in relazione ai diversi ordini e mandati di cattura che ha accumulato in questi anni. I maggiori interrogativi dovranno essere chiariti, però, dal giudice Guglielmo Palmeri, che si sta occupando dei retroscena della strage di Sant’Alessandro.
Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio. Ma il boss di Torre Annunziata, negli ultimi anni, aveva voluto «strafare».
La sua ascesa tra il 1981 e il 1982: gli anni della lotta con la «Nuova camorra organizzata» di Raffaele Cutolo. L’11 settembre 1981 a Torre Annunziata vengono eliminati gli ultimi due capizona di Cutolo nell’area vesuviana, Salvatore Montella e Carlo Umberto Cirillo. Da boss indiscusso del contrabbando di sigarette (un affare di miliardi e con la possibilità di avere a disposizione un elevato numero di gregari) Gionta riesce a conquistare il controllo del mercato ittico.
Con una cooperativa, la Do. Gi. pesca (figura la moglie Gemma Donnarumma), mette le mani su interessi di miliardi. È la prima pietra della vera e propria holding che riuscirà a ingrandire negli anni successivi. Come «ambulante ittico», con questa qualifica è iscritto alla Camera di Commercio dal ‘68, fa diversi viaggi in Sicilia dove stabilisce contatti con la mafia. Per chi può disporre di alcune navi per il contrabbando di sigarette (una viene sequestrata a giugno al largo della Grecia, un’altra nelle acque di Capri) non è difficile controllare anche il mercato della droga.
È proprio il traffico dell’eroina uno degli elementi di conflitto con gli altri clan in particolare con gli uomini di Bardellino che a Torre Annunziata avevano conquistato una fetta del mercato. I due ultimatum lanciati da Gionta (il secondo scadeva proprio il 26 agosto) sono alcuni dei motivi che hanno scatenato la strage. Ma il clan dei Valentini tenta di allargarsi anche in altre zone. Il 20 maggio a Torre Annunziata viene ucciso Leopoldo Del Gaudio, boss di Ponte Persica, controllava il mercato dei fiori di Pompei. A luglio Gionta acquista camion e attrezzature per rimettere in piedi anche il mercato della carne. Un settore controllato dal clan degli Alfieri di Boscoreale, legato a Bardellino.
Troppi elementi di contrasto con i rivali che decidono di coalizzarsi per stroncare definitivamente il boss di Torre Annunziata. E tra i 54 mandati di cattura emessi dal Tribunale di Napoli il 3 novembre dell’anno scorso ci sono anche i nomi di Carmine Alfieri e Antonio Bardellino. Con la strage l’attacco è decisivo e mirato a distruggere l’intero clan. Torre Annunziata diventa una zona che scotta. Gionta Valentino un personaggio scomodo anche per gli stessi alleati. Un’ipotesi sulla quale stanno indagando gli inquirenti e che potrebbe segnare una svolta anche nelle alleanze della «Nuova famiglia». Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana. Con la cattura di Valentino Gionta salgono a ventotto i presunti camorristi del clan arrestati da carabinieri e polizia dopo la strage. Ancora latitanti il fratello del boss, Ernesto Gionta, e il suocero, Pasquale Donnarumma. Fonte: RoadTV
Omicidio Siani, dopo 35 anni la camorra pagava ancora i killer del giornalista.
Ciro Cappuccio e Armando Del Core, condannati in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio del giornalista Giancarlo Siani, ricevevano ancora la “mesata” dal clan, prima dai Nuvoletta e successivamente dai Polverino e dagli Orlando. Emerge dall’ordinanza che ha portato all’arresto di 16 persone ritenute legate alla cosca dei Polverino, attiva da oltre 30 anni a Marano di Napoli. La camorra pagava ancora i killer di Giancarlo Siani, il giornalista de Il Mattino, ucciso 35 anni fa. Tra i soggetti indagati nell’ambito della maxi-inchiesta sulla camorra condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Napoli figurano anche Ciro Cappuccio e Armando Del Core, entrambi condannati in via definitiva all’ergastolo in qualità di esecutori materiali dell’omicidio di Giancarlo Siani, il cronista de Il Mattino trucidato la sera del 23 settembre 1985. “In considerazione dello status detentivo – precisano i carabinieri in una nota – Cappuccio e Del Core non figurano tra i destinatari del provvedimento cautelare – che oggi ha portato a 16 arresti di persone ritenute vicine al Clan Polverino (ndr) – benché a loro carico siano stati raccolti idonei elementi d’accusa in ordine alla trentennale affiliazione al clan Nuvoletta. Al riguardo è stato accertato che i Nuvoletta prima, e ad oggi i Polverino e gli Orlando, hanno provveduto al sostentamento economico delle famiglie dei due killer che non hanno mai rescisso il loro vincolo criminale”. FANPAGE 20 maggio 2020
Questo volume, curato dal prof. Isaia Sales, con la collaborazione della Fondazione Giancarlo Siani onlus, raccoglie 57 articoli e inchieste di Giancarlo Siani, che si trovò ad affrontare, dal 1980 al 1985, dalle pagine della rivista Il Lavoro nel Sud e da Il Mattino, due grandi questioni sociali: la spietata crisi industriale e l’affermarsi dei clan di camorra, come mai era avvenuto nel passato. Siamo negli anni Ottanta, gli anni del dopo terremoto. Giancarlo Siani scrive reportage da fabbriche in crisi, pubblica resoconti di manifestazioni di protesta degli operai, intervista sindacalisti, studenti e disoccupati, e si spinge a scrivere analisi e soluzioni per contrastare la chiusura di centinaia di fabbriche di tutti i distretti industriali campani, con la perdita di migliaia di posti di lavoro. Solo nella città di Napoli si perdono 15.416 addetti all’industria. Questo volume contiene gli interventi di Paolo Siani, Luigi Sbarra, Pieropaolo Bombardieri, Maurizio Landini, Isaia Sales, Carlo Borgomeo, Doriana Buonavita, Nicola Ricci, Giovanni Sgambati. Gli scritti di Giancarlo dedicati al lavoro sono un documento straordinario per i giovani, gli operai e per i sindacalisti.
Ultimo articolo: Pubblicato su “Il Mattino” del 22 settembre 1985.
NONNA MANDA IL NIPOTE A VENDERE L’EROINA
“Mini-corriere” della droga per conto della nonna: dodici anni, già coinvolto nel “giro” dell’eroina. Ancora una storia di “muschilli”, i ragazzi utilizzati per consegnare le bustine. Questa volta ad organizzare il traffico di eroina era una “nonna-spacciatrice”. Era lei a tenere le fila della vendita con altre due persone ed il nipote.
La casa-basso nel centro storico di Torre Annunziata era diventata il punto di riferimento per i tossicodipendenti della zona. Al ragazzo il compito di portare le dosi ed incassare i soldi. A scoprire il traffico di droga sono stati i carabinieri della Compagnia di Torre Annunziata che hanno arrestato la donna, Maria Cappone, sessant’anni e Luigi Cirillo, di 34 anni, anche lui coinvolto nel “giro”.
Un altro uomo, parente della donna, è stato identificato ma è riuscito a scappare. Il ragazzo è stato affidato ai genitori. La madre, impiegata comunale a Torre del Greco, era all’oscuro di tutto. Sapeva che il figlio la mattina si recava dalla nonna ad aiutarla nei servizi di casa. In realtà l’aiuto consisteva nel fare da staffetta per consegnare le bustine. I carabinieri da diversi giorni tenevano sotto controllo la casa di via Carlo III, nel centro storico di Torre Annunziata. Avevano osservato tutti i movimenti dei tre spacciatori e avevano notato anche il ruolo che era stato affidato al ragazzo (minorenne e quindi non imputabile: nessun rischio se veniva trovato con l’eroina).
L’altro giorno i militari, diretti dal capitano Sensales, sono intervenuti, hanno bloccato Luigi Cirillo (aveva in tasca una bustina d’eroina) ed hanno fermato il dodicenne che al pretore di Torre Annunziata, Luigi Gargiulo, ha confermato il suo ruolo, l’attività della nonna e degli altri due spacciatori. Il Cirillo contattava i tossicodipendenti, stabiliva il prezzo e fissava l’appuntamento davanti all’ingresso di Maria Cappone. Al ragazzo veniva affidata l’eroina, la consegnava ai tossicodipendenti ed incassava i soldi. Quando i carabinieri sono intervenuti la donna di sessant’anni è riuscita ad allontanarsi, ma è stata arrestata dopo qualche ora.
L’altro parente della donna, invece, è riuscito a sfuggire all’arresto; contro di lui la Procura della Repubblica di Napoli ha emesso un ordine di cattura per detenzione e spaccio di droga. I militari hanno sequestrato altre due bustine di eroina. Secondo le indagini i tre non avevano collegamenti con clan camorristici. L’appartamento era un centro di vendita al “dettaglio”. La madre del ragazzo (ogni mattina per lavoro si spostava a Torre del Greco) era certa che il figlio andasse a trovare la nonna perché ammalata. Li chiamano “muschilli”. Sono minori, non imputabili Li chiamano i “muschilli”, gli spacciatori in calzoncini, i corrieri-baby. Un “lavoro” da intermediario, un compito di appoggio. Il ragazzo di dodici anni di Torre Annunziata non è né il primo né l’unico caso. A maggio scorso il caso di Gennarino di Secondigliano, a dieci anni forzato della droga. Ma tanti altri ancora. Quanti ne sono? Impossibile azzardare un dato statistico, certo è che il fenomeno esiste in proporzioni molto più vaste di quanto si creda.
Gli spacciatori li utilizzano per non correre rischi. I “muschilli” sono agili, si spostano da un quartiere all’altro e soprattutto non danno nell’occhio, sfuggono al controllo di polizia e carabinieri. Ma soprattutto sono minorenni: anche se trovati con la bustina d’eroina in tasca non sono imputabili. Ed ecco che il meccanismo perverso dello spaccio di droga li coinvolge. Generalmente si muovono seguiti a poca distanza dal “manager-spacciatore” contattato il tossicodipendente parte la staffetta con la droga, consegna, incassa i soldi e torna. A Torre Annunziata la stessa tecnica, a dirigere il ragazzo era la nonna.
Come del resto faceva cinque o sei anni fa quella madre a San Biagio dei Librai a Napoli che si serviva dei tre figli per portare in strada l’eroina, fino a quando non è stata arrestata. Ragazzi, molto spesso bambini, già inseriti in un “giro” di droga. Per loro quale futuro? Se non diventano consumatori di eroina, se riescono a sopravvivere, è difficile che possano imboccare altre strade che non siano quelle dell’illegalità, dello spaccio diretto, dello scippo, del furto. E in provincia di Napoli lo spaccio della droga è diffuso, ramificato, controllato dai grossi clan della camorra. A Torre Annunziata un traffico che fino all’agosto dell’anno scorso era direttamente gestito dal boss Valentino Gionta. Dai grandi distributori alla vendita al dettaglio ed in questa seconda attività è più facile organizzarsi in proprio, poche bustine per guadagnarsi da vivere ma l’eroina entra in casa diventa familiare, anche per i ragazzi. Un fenomeno diffuso contro il quale c’è stata già la ribellione delle madri antidroga dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Lì dove l’eroina ha ucciso, ha distrutto giovani e famiglie.
“Basta con la droga” lo hanno gridato nelle piazze, lo hanno detto a Sandro Pertini, lo ripetono ormai da tempo per ottenere strutture, comunità terapeutiche, un aiuto per liberarsi dalla “piovra”. E nella provincia il malessere, il degrado, l’abbandono sono sempre più acuti. Dove gli intrecci tra camorra e droga sembrano imbattibili. Dove alla cronica carenza di tutto, dalle case al lavoro, agli ospedali, si aggiunge anche il ritardo negli interventi per il recupero dei tossicodipendenti. A Torre Annunziata e nella zona vesuviana si aspetta una comunità terapeutica, una “Zattera”, un presidio sanitario da anni, ma fino ad oggi non è stato realizzato niente.