BONTATE Il falco, principe di Villagrazia

 

Stefano Bontate (Palermo23 aprile 1939 – Palermo23 aprile 1981) legato a Cosa Nostra.   Era noto come Il Falco per via della sua freddezza e della sua arguzia, ma amava farsi chiamare anche Principe di Villagrazia, malgrado non vantasse alcun titolo nobiliare. Dagli amici di Buccinasco era chiamato Il Maino.  Era figlio di Francesco Paolo Bontate, l’autorevole capo della cosca mafiosa di Santa Maria di Gesù, meglio noto come “don Paolino Bontà”. Il giovane Stefano frequentò il liceo Gonzaga presso i padri Gesuiti (dove imparò a parlare perfettamente inglese e francese) e insieme al fratello Giovanni venne affiliato alla cosca del padre, di cui divenne il vicecapo. Nel 1960, a soli vent’anni, Bontate ereditò le redini della cosca per via delle gravi condizioni di salute del padre, che aveva rinunciato alla funzione di capo lasciandogli in eredità tutte le sue ricchezze, insieme a quelle dello zio Mommino[2]. Bontate iniziò ad operare nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli, che si rivelò una copertura per i suoi affari illeciti, ma venne coinvolto anche in alcune attività edilizie a Palermo[3]Sposò Margherita Teresi, proveniente dall’alta borghesia siciliana, e instaurò saldi rapporti con personalità influenti come il conte Cassina, il principe Vanni Calvello di San Vincenzo e Marianello Gutierrez Spatafora. A Palermo frequenta con la moglie i salotti borghesi più ambiti, che lo accolgono come un uomo ricco e di piacevole conversazione. Alterna al lavoro viaggi di piacere in Svizzera, in Francia, ma anche a Roma e in Toscana. Importante per lui sarà l’iniziazione in una massoneria segreta detta “Loggia dei 300”, che aveva al suo interno personaggi di rilievo nella Palermo degli anni sessanta e settanta con i quali Bontate intraprese collaborazioni e rapporti d’amicizia. Don Stefano diventerà presto il principale esponente e leader del gruppo. Crea, inoltre, un articolato sistema di potere che si avvale di un grande numero di prestanome e di società di comodo che vincono con facilità tutti gli appalti pubblici nel campo dell’edilizia e della relativa speculazione, e delle attività commerciali, col conseguente riciclaggio di denaro sporco incassato dai mafiosi e successivamente “lavato” per tornare ripulito nelle loro tasche. I suoi rapporti con il mondo finanziario non solo siciliano, ma nazionale, crescono notevolmente. Nello stesso tempo Bontate consolida i suoi legami con la corrente andreottiana della Democrazia cristiana siciliana (essendo imparentato con Margherita Bontade) e con i suoi referenti statunitensi.[4] Nel 1969 Bontate fu tra gli organizzatori della cosiddetta «strage di viale Lazio» per punire il bossMichele Cavataio: infatti egli stesso scelse i suoi soldatiEmanuele D’Agostino e Gaetano Grado per fare parte del commando di killer che uccise Cavataio[5]. Nel 1970 Bontate partecipò ad un incontro a Milano insieme ad altri boss per discutere sull’implicazione dei mafiosi siciliani nel Golpe Borghese[3][6] e, durante l’incontro, costituì un “triumvirato” insieme ai bossGaetano Badalamenti e Luciano Leggio per ricostruire la “Commissione“, sciolta in seguito alla prima guerra di mafia[7].  Nel 1971 Bontate venne denunciato dai Carabinieri e dalla questura di Palermo per associazione a delinquere e traffico di stupefacenti insieme ad altri 113 mafiosi, venendo arrestato e rinchiuso per un breve periodo nel carcere dell’Ucciardone insieme a Gaetano Badalamenti, incluso pure nella denuncia[8]. In seguito alla scarcerazione, Bontate venne inviato al soggiorno obbligato a Qualiano, consentendogli di avviare rapporti con i camorristi come Michele Zaza e Giuseppe Sciorio per il contrabbando di sigarette[9][10]A metà degli anni settanta, Bontate lasciò in secondo piano il contrabbando di sigarette estere per divenire il principale approvvigionatore di morfina base dalla Turchia e dall’Estremo Oriente, grazie ai suoi stretti legami con i contrabbandieri Nunzio La Mattina e Tommaso Spadaro; inoltre Bontate instaurò ottimi rapporti personali e d’affari con il bossSalvatore Inzerillo, che inviava l’eroina raffinata in Francia e negli Stati Uniti, in collegamento con i suoi cugini Gambino di Brooklyn[11][12]. Nel 1975 però Totò Riina, reggente della cosca di Corleone in sostituzione di Luciano Leggio, fece sequestrare ed uccidere Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo, ricco e famoso esattore affiliato alla cosca di Salemi; il sequestro venne attuato per dare un duro colpo al prestigio di Bontate e Badalamenti, i quali erano legati a Salvo e non riusciranno ad ottenere né la liberazione dell’ostaggio, né la restituzione del corpo.[13][14]Durante una conversazione con Gaetano Grado (determinato a far assassinare Riina), Bontate si espresse sull’avversario corleonese: «Lascialo correre a questo cavallo, che tanto deve passare sempre da qui: è viddanu (“contadino” in italiano)». L’errore di sottovalutare Riina gli sarebbe stato fatale.[15] Nel 1978 i corleonesi eliminarono i bossGiuseppe Di Cristina e Giuseppe Calderone per demolire ancora di più il prestigio di Bontate ed Inzerillo, inoltre riuscirono a mettere in minoranza Badalamenti nella “Commissione”, che lo espulse dalla sua FamigliaNel 1981 Riina fece uccidere Giuseppe Panno, capo della cosca di Casteldaccia e strettamente legato a Bontate[16], il quale reagì organizzando un complotto contro Riina, che però venne rivelato da Michele Greco, il capo della “Commissione” che si era segretamente accordato con lo schieramento dei Corleonesi[17][18]. Riina allora decretò l’omicidio del boss: mentre si stava recando alla sua casa di campagna, dopo la festa di compleanno, a bordo della nuova Alfa Romeo Giulietta 2000 super, Bontate venne assassinato verso le 23:30 a colpi di lupara e kalashnikov mentre era fermo ad un semaforo di via Aloi a Palermo. Dopo la sua morte, Bernardo Provenzano diventerà il nuovo capo della Loggia dei 300[19]Quando la polizia esaminò il cadavere, riconobbe (nonostante i violenti sfregi causati dai proiettili) un uomo giovane con addosso un principe di Galles (pregiato abito di sartoria). Al polso l’orologio Vacheron Constantin e tra la camicia e i pantaloni una raffinata 7.65 bifilare francese già carica, con cui Bontate aveva tentato di difendersi dagli aggressori. Nella tasca dei pantaloni ben 5 milioni di lire in banconote; la carta d’identità imbrattata di sangue avrebbe lasciato le autorità senza parole: era Stefano Bontate, all’anagrafe semplice proprietario terriero, ma in realtà capo dei capi di Cosa Nostra.[20] L’omicidio, che diede inizio alla seconda guerra di mafia, richiese settimane di accurata preparazione e venne anche organizzato dal fratello minore di Bontate, Giovanni, il quale si accordò con i Corleonesi perché intendeva sostituire il fratello alla guida della Famiglia[21]; al delitto partecipò inoltre il vicecapo di Bontate, Pietro Lo Iacono, che si era recato a casa sua con la scusa di fargli gli auguri e aveva appreso dallo stesso Bontate che stava per recarsi nella casa di campagna e così aveva avvertito i killer che si erano nascosti nei dintorni[18]. Il giorno prima della morte si trovava insieme a Michele Greco, con cui aveva trascorso il venerdì santo. Il Greco lo conosceva sin da bambino (dato che si recava nella sua riserva insieme alla famiglia), ma si sospetta che anche lui sia tra i mandanti dell’omicidio.[22] La bara di Stefano venne esposta nella villa di famiglia. I funerali si svolsero nella chiesa della borgata della Guadagna mentre la salma si trova presso il cimitero di Santa Maria di Gesù. Sulla morte di Bontate numerosi giornali restarono indifferenti. Il suo nome però sarebbe riemerso durante il maxiprocesso alla mafia, dove rivestì un ruolo cruciale per numerose indagini e dichiarazioni.[23]

Legami con la politica  Secondo la testimonianza del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, Bontate fu implicato nell’uccisione di Enrico Mattei (presidente dell’ENI)[24] e nella sparizione del giornalista Mauro De Mauro: «il rapimento di Mauro De Mauro […] è stato effettuato da Cosa Nostra. De Mauro stava indagando sulla morte di Mattei e aveva ottime fonti all’interno di Cosa Nostra. Stefano Bontate venne a sapere che De Mauro stava avvicinandosi troppo alla verità – e di conseguenza al ruolo che egli stesso aveva giocato nell’attentato – e organizzò il “prelevamento” del giornalista in via delle Magnolie. De Mauro fu rapito per ordine di Stefano Bontate che incaricò dell’operazione il suo vice Girolamo Teresi […]. Era stato “spento” un nostro nemico e si dette per scontato che Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio avessero autorizzato l’azione»[25]Nel 1979 Bontate, insieme ai boss Salvatore InzerilloJohn Gambino e Rosario Spatola, si occupò del falso rapimento del finanziere Michele Sindona, il quale si nascose in Sicilia in seguito alla bancarotta delle sue banche aiutato dal massone Giacomo Vitale, cognato di Bontate[26]; il vero obiettivo del finto rapimento era quello di fare arrivare un avviso ricattatorio ai precedenti alleati politici di Sindona, tra cui Giulio Andreotti, per portare a buon fine il salvataggio delle sue banche e recuperare il denaro di Bontate e degli altri boss, anche minacciando Enrico Cuccia, presidente di Mediobanca e l’avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore delle banche di Sindona, che erano i principali oppositori dei piani di salvataggio[27][28][29]Inoltre Sindona propose a Bontate un piano separatista e l’affiliazione di alcuni mafiosi siciliani in una loggia massonica coperta, anche se la proposta non venne accolta positivamente da tutta la “Commissione”[30]; Bontate e altri mafiosi però ritennero opportuno legarsi alla massoneria, dove entrarono in contatto diretto con imprenditori, giudici e uomini politici per facilitare i loro affari illeciti[31]. Inoltre Bontate era in stretti rapporti d’amicizia con Salvo Lima, con il quale s’incontrava spesso[32], ed era anche legato ai deputati Francesco Cosentino e Rosario Nicoletti, il quale lo riceveva nel suo studio[33][34]Attraverso l’onorevole Lima, Bontate incontrò due volte Giulio Andreotti nel 1979 e nel 1980 (come rievocato dai collaboratori di giustizia Francesco Marino Mannoia e Angelo Siino, che furono diretti testimoni degli incontri), in occasione dei quali si sarebbe discusso del comportamento tenuto dal presidente democristiano della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella, ritenuto in stridente contrasto con gli interessi di Cosa Nostra.[35] Tali testimonianze degli incontri con Bontate sono state ritenute veritiere dalla Corte d’Appello di Palermo, che ha assolto Andreotti per il reato di associazione mafiosa per il periodo successivo all’omicidio di Piersanti Mattarella, ritenendo tuttavia valido il reato di Andreotti per il periodo di tempo precedente al delitto Mattarella, anche se coperto dalla prescrizione. La sentenza venne confermata dalla Corte di Cassazione nell’ottobre del 2004[36]. Al processo contro il senatore Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, la Cassazione ritenne pienamente provato l’incontro avvenuto tra Bontate e l’allora imprenditore Silvio Berlusconi e Dell’Utri (all’epoca collaboratore di Berlusconi), testimoniato dal collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo e di cui hanno parlato anche altri collaboratori. L’incontro sarebbe avvenuto nel 1974 a Milano, dove venne presa la contestuale decisione di far seguire l’arrivo di Vittorio Mangano presso l’abitazione di Berlusconi per svolgere la funzione di “garanzia e protezione” a tutela della sicurezza del suo datore di lavoro e dei suoi più stretti familiari, perché Berlusconi «temeva che i suoi parenti fossero oggetto di sequestri di persona»[37]; fu Dell’Utri a mettere Berlusconi in contatto con Bontate e Vittorio Mangano, che sarebbero stati i garanti della sicurezza di Berlusconi, che per questa ragione pagò “cospicue somme” a Dell’Utri[38]. Inoltre si ritenne provato che Bontate si servì di Dell’Utri come tramite per gli investimenti di denaro sporco sulla piazza di Milano e in aziende pulite dell’Italia settentrionale[39]. Don Stefano era anche in ottimi rapporti con rilevanti membri delle istituzioni palermitane. Tra questi abbiamo il capitano Russo, che l’aiutò a riottenere la patente e un falso porto d’armi.[40]  Ricchezze  Il patrimonio accumulato da Bontate nella sua vita fu abbastanza rilevante: circa 10 miliardi di lire in contanti. Di questa somma si è trovata solo qualche traccia, come ad esempio 500.000 dollari in una valigia spedita da New York per amici del boss e rinvenuta all’aeroporto di Punta Raisi dall’allora capo della Mobile Boris Giuliano, che poco tempo dopo sarebbe stato assassinato proprio dalle cosche mafiose[41].

Famiglia

  • Giovanni Bontate: fratello di Stefano Bontate, esercitava a Palermo la professione di avvocato. Durante la Seconda guerra di mafia si schierò con i Corleonesi, quindi contro il fratello, ma nonostante questo verrà ucciso nel 1988 insieme alla moglie Francesca Citarda.[42]
  • Francesco Paolo Bontate: figlio di Stefano Bontate. Viene arrestato nel 2003 per traffico di droga e condannato a 8 anni. Nel 2007 ottenne gli arresti domiciliari in virtù del buon percorso universitario intrapreso.[43][44]
  • Roberta Bontate: nipote di Stefano e figlia di Giovanni. Era socia di Live Europe, associazione di cui era socio anche don Mario Golesano che per il tramite di un’altra associazione aveva ottenuto l’assegnazione di un bene confiscato al padre della Bontate. Questa vicenda venne anche raccontata in un servizio di Striscia la notizia nel 2011 che fu oggetto di querela da parte della Bontate[45].  La figura di Bontate ha ispirato il personaggio de Il Mafioso nel libro Romanzo criminale, scritto nel 2002 da Giancarlo De Cataldo e riferito alle vicende realmente avvenute della Banda della Magliana.

L’assassinio di Bontade così iniziò la guerra di mafia Il 23 aprile del 1981 l’agguato al “principe di Villagrazia” annunciò l’assalto dei corleonesi alla città. Fu la prima esecuzione con i micidiali kalashnikov che diede inizio alla stagione del terrore  Quella del 23 aprile 1981 era stata una sera tiepida come tante della dolce primavera siciliana. Una bella notte da passare in giro anche se c’era stato un leggero scroscio di pioggia. L’indomani alle sette però dovevo andare al lavoro e, quindi, ero rientrato a casa a mezzanotte meno un quarto. Appena varcato l’uscio di casa, mia madre mi avverte: “Ti hanno cercato dal giornale. Cinque minuti fa. Hanno detto che c’è stato un omicidio alla circonvallazione”. Chiamo il giornale. Il portiere di notte conferma: “Omicidio in via Aloi. Il capocronista, Buzzoli, ha detto di rintracciarti”. Altri tempi trent’anni fa, senza telefonini e computer. I giri di cronaca nera a “L’Ora” si facevano dalle cabine e bisognava avere appresso il fatidico gettone. Oppure lasciare un recapito fisso, dove ti potevano rintracciare sempre. Un’altra epoca, come quella che si chiudeva quella notte, la notte in cui fu ucciso Stefano Bontade, il principe di Villagrazia, il boss in doppiopetto che controllava a Palermo la ragnatela di traffici illeciti di Cosa nostra e nello stesso tempo sedeva nei salotti buoni. Un omicidio che segnava, ufficialmente, l’apertura nella seconda guerra di mafia. Diciotto giorni dopo, l’11 maggio sarebbe stato ucciso il suo alleato Totuccio Inzerillo. Massacrato a colpi di kalashinkov prima di salire sulla sua Alfetta blindata, acquistata subito dopo l’agguato a Bontade. Ancora un mese e il 25 giugno scatterà la trappola anche per Totuccio Contorno, ma la Primula di Brancaccio riuscirà a scampare alle micidiali raffiche dell’AK 47. Da lì un crescendo di terrore, oltre 150 morti ammazzati più gli scomparsi, la cosiddetta operazione Carlo Alberto che poco più di un anno dopo, il 3 settembre ’82, avrà il suo culmine con il delitto Dalla Chiesa. Ma alla mezzanotte di quel 23 aprile, tutto questo non era noto né a me né ai palermitani. In giro ormai non c’era quasi nessuno e da via dei Cantieri a via Aloi, all’altro capo della città, arrivai in poco più di dieci minuti. Adesso tutta quella zona è stata cancellata dal raddoppio della circonvallazione. Allora invece viale Regione Siciliana era attraversato da una strada stretta, regolata da un semaforo. Quando raggiungo quell’incrocio, è tutto sbarrato da polizia e carabinieri. Ci sono sia il capo della Mobile, Ignazio D’Antone, che il comandante del nucleo operativo dei carabinieri, il capitano Tito Baldo Honorati. Guardo e prendo appunti. La scena è questa: la stradina stretta corre tra due muretti di pietra a secco, arriva sullo stradone della circonvallazione e poi lo scavalca. Qui, proprio al semaforo, deve essere scattato l’agguato. I killer hanno sparato dal lato guida. Forse hanno affiancato in moto l’auto ferma al rosso. Ed eccola la vettura: è nuovissima, una Giulietta 2000 super marrone scuro, ha ancora la targa prova. L’auto ha superato di scatto l’incrocio, come dicono i segni delle ruote per terra. L’asfalto qui è asciutto, la sgommata evidente. La corsa dell’auto è finita appena dieci metri dopo, sul muretto che costeggia la strada. Probabilmente il guidatore, già colpito a morte, ha perso il controllo ma il piede gli è rimasto sull’acceleratore. La Giulietta è appoggiata sulla sinistra, lo sportello del conducente non si può aprire. La scena che si vede all’interno, però, è eloquente. L’uomo che era alla guida è riverso sul sedile del passeggero e sul tappetino davanti a lui c’è un lago, letteralmente, di sangue. Da sotto l’auto partono delle evidenti tracce. Qualcuno con le suole sporche di sangue si è allontanato dalla Giulietta. Questo può voler dire due cose: che c’era una persona accanto alla vittima e che quindi è scampata all’agguato o che, c’è stato uno che è salito dopo il delitto sulla vettura, forse per il colpo di grazia. Quella scia di sangue sbiadisce per diversi passi sino a scomparire. Il capo della mobile la guarda perplesso. Che farete? Gli chiedo. Queste impronte ci servono, dice, le faremo prelevare con tutto l’asfalto dalla Scientifica. Impartisce l’ordine mentre arriva il carro attrezzi per spostare l’auto. Sino ad ora era stata proprio la Giulietta al centro delle attenzioni: è un’auto particolare, appena commercializzata, in tutta Italia ce ne sono appena 1500.
Ed ecco la scena clou. I faretti illuminano l’interno della Giulietta. Il medico legale, il dottor Alfonso Verde si appresta ad affrontare l’ennesimo cadavere: alza la testa di quell’uomo è subito si accorge che quello non è un delitto qualunque. La faccia della vittima non c’è più, è stata portata via dalla scarica di pallettoni. Con i suoi guanti bianchi, il dottore scosta la giacca blu. Dalle spalle viene fuori una pistola. Decine di flash immortalano la scena: quell’arma in mano a Verde sarà una delle foto più pubblicate dai giornali durante la guerra di mafia.
“Bella pistola, una bifilare francese da 14 colpi, roba di classe”, commenta il capitano dei carabinieri. Solo che non ha avuto il tempo di tirarla fuori. Ecco il portafogli: ci sono dentro quattro milioni e mezzo in contanti. Certo non era un poveraccio. Sono quasi cinque mesi di stipendio di un lavoratore medio. Attorno c’è un silenzio irreale, nonostante sul posto ci siano decine di persone. Honorati ha in mano il documento del morto, prende il microfono della radio di bordo della sua vettura: “Attenzione centrale, mi sentite? Allora…, il nome del morto è Bontade. Stefano Bontade, nato Palermo il 23 aprile 1941. Ricevuto?”. Poi poggia il microfono e sussurra: “Minchia, adesso sono cazzi amari”.
In redazione l’indomani Gianni Lo Monaco, il decano dei cronisti di giudiziaria, mi avrebbe spiegato che quello era un vero “padrino”, forse l’ultimo secondo la Cosa nostra descritta tre anni dopo da Tommaso Buscetta. Nella notte si era saputo che era stato massacrato da raffiche di kalashinkov, per la prima volta la mafia aveva usato la micidiale arma dell’Armata rossa. Un fucile mitragliatore da guerra, dunque, per uccidere Stefano Bontade, il figlio di don Paolino, il boss che prendeva a schiaffi gli onorevoli. La cugina Margherita era stata deputata e consigliere comunale mentre lui frequentava la Palermo bene, i circoli della città che conta e anche qualche redazione. Passione per il poker e le belle auto, soprannome il principe di Villagrazia, o, come avrebbe rivelato più tardi Contorno, il Falco. E infatti proprio quella sera mentre cronisti e investigatori cercavano di capire qualcosa attorno a quel cadavere, alla Favarella, la tenuta dei Greco nelle campagne di Ciaculli, si festeggiava. “Il Falco è morto”, annunciò Michele, il “papa”, e Riina e gli altri stapparono lo champagne. Ucciso nel suo territorio, nel giorno del suo compleanno: uno sfregio completato dal tradimento di uno dei suoi uomini più fidati. Perché dopo quasi quattro anni saltò fuori pure il Giuda, il traditore che sedeva accanto a Bontade e che aveva lasciato le tracce di sangue sull’asfalto.
La guerra tra i clan, l’arrivo dei kalashinkov, il potere ai corleonesi e l’addio al vecchio padrino: tutto in una notte. Nessuno poteva prevederlo, ma nel tunnel dell’orrore della seconda guerra di mafia, quel 23 aprile 1981, segnava la svolta di Cosa nostra: quella da cui partì l’attacco diretto allo Stato e finisce nel precipizio delle stragi, da Chinnici, appena due anni dopo, sino al ’92, a Falcone e Borsellino. 
23 aprile 2011 La Repubblica


IL FIGLIO DEL BOSS STEFANO BONTADE, AI DOMICILIARI PER TRAFFICO DI DROGA, È RIUSCITO A DIVENTARE ”DOTTORE”   27 LUGLIO 2007 GUIDA SICILIA  Figlio di boss mafioso, trafficante di droga ma con un sogno… ”normale”: quello di fare l’agronomo. Un sogno che adesso Francesco Paolo Bontade, 32 anni, figlio del capo mafia Stefano Bontade ucciso da Cosa nostra nel 1981 in piena guerra di mafia, potrà realizzare, grazie alla laurea conseguita nei giorni scorsi all’Università di Palermo, studiando in carcere e agli arresti domiciliari. Una laurea ottenuta studiando veramente sodo, tanto da meritare, con la sua tesi sull’agrumicultura, il voto finale di 105 su 110, e i complimenti della Commissione per l’impegno e la qualità della tesi. Bontade junior, venne arrestato nel 2003 quando era già studente universitario, per traffico di droga. Da allora ha sostenuto otto esami mentre stava in carcere e uno materia durante il periodo degli arresti domiciliari. Nel frattempo è stato processato, condannato a otto anni, e gli sono stati anche confiscati molti beni di famiglia. ”Voglio diventare agronomo – ha spiegato il neo dottore – e lavorare nelle mie terre”.


Note

  1. ^ Tribunale di Palermo, II Sezione, Sentenza nel Proc. pen. a carico di Dell’Utri Marcello +1. La sentenza di primo grado a carico di Marcello Dell’Utri riporta correttamente il cognome come “Bontate”.
  2. ^ Il Viandante – Sicilia 1960
  3. ^ a b I conti economici – Documenti della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA (PDF).
  4. ^ DIZIONARIO DELLA MAFIA PADRINO/10 nSTEFANO BONTATE TRA MASSONERIA E MAFIA – l’Unità.it, su cerca.unita.it. URL consultato il 6 giugno 2014 (archiviato dall’url originale il 14 luglio 2014).
  5. ^ «Strage di viale Lazio, il killer era Provenzano»
  6. ^ Il Golpe Borghese e Cosa Nostra
  7. ^ Il contesto mafioso e don Tano Badalamenti – Documenti del Senato della Repubblica XIII LEGISLATURA (II parte) (PDF).
  8. ^ Cenni biografici su Badalamenti Gaetano – Documenti della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA (PDF).
  9. ^ Copia archiviata (PDF), su csm.it. URL consultato il 5 febbraio 2007 (archiviato dall’url originale il 5 febbraio 2007).
  10. ^ Nuova pagina 1
  11. ^ Quando la ‘pasta’ li fece tutti ricchi – Repubblica.it» Ricerca
  12. ^ Il Viandante – Sicilia 1978
  13. ^ 
  14. ^ Il Viandante – Sicilia 1975
  15. ^ MAFIA ZERO: “Volevo uccidere Riina”
  16. ^ Ordinanza contro Michele Greco+18 per gli omicidi Reina-Mattarella-La Torre (PDF).
  17. ^ ‘La Mattanza Dei Corleonesi’ In Tre Anni Oltre Mille Morti – La Repubblica.It
  18. ^ a b E LEGGIO SPACCO’ IN DUE COSA NOSTRA – Repubblica.it» Ricerca
  19. ^ Trent’anni fa l’assassinio di Bontade così iniziò la guerra di mafia – Palermo – Repubblica.it
  20. ^ Raccolto rosso: la mafia, l’Italia e poi venne giù tutto
  21. ^ Il Viandante – Sicilia 1977
  22. ^ MAFIA: MICHELE GRECO INTERVISTATO DA ITALIA 1
  23. ^ BUSCETTA: ‘ COSA NOSTRA UCCISE ENRICO MATTEI’ – Repubblica.it» Ricerca
  24. ^ Omicidio De Mauro | Articoli Arretrati Archiviato il 24 febbraio 2013 in Internet Archive.
  25. ^ SCOMPARE IL COGNATO DEL BOSS BONTADE UN’ALTRA VITTIMA DELLA LUPARA BIANCA – Repubblica.it» Ricerca
  26. ^ 
  27. ^ 1970-1982:Banchieri, faccendieri e massoni
  28. ^ Il Viandante – 1979 – Economia Archiviato l’8 aprile 2014 in Internet Archive.
  29. ^ ‘ QUANDO SINDONA SBARCO’ IN SICILIA’ – Repubblica.it» Ricerca
  30. ^ [1]
  31. ^ da don Paolino a Giovanni, saga di una famiglia d’onore
  32. ^ MAFIA, POLITICA E OMICIDI CHE COSA DISSE MANNOIA – Repubblica.it» Ricerca
  33. ^ Documenti del Senato della Repubblica XIV LEGISLATURA (PDF).
  34. ^ Livio Pepino, Andreotti, la mafia, i processi, Torino, Ega Libri, 2005, ISBN 88-7670-543-0.
  35. ^ Andreotti assolto ma amico dei boss – Antimafiaduemila.com Archiviato il 6 giugno 2013 in Internet Archive.
  36. ^ La motivazione integrale della sentenza di condanna del senatore Dell’Utri | Magistratura Democratica
  37. ^ Dell’Utri come Andreotti: “Mediò tra la mafia e Berlusconi, ma c’è la prova solo fino al 1977″ – Il Fatto Quotidiano
  38. ^ Dell’Utri condannato a sette anni riconosciuti i suoi rapporti con Cosa nostra – Repubblica.it» Ricerca
  39. ^ Dove sono finiti i mille miliardi di Stefano Bontate?» Ricerca, su gattoantonio.it. URL consultato il 7 giugno 2014 (archiviato dall’url originale il 17 settembre 2014).
  40. ^ archivio-repubblica
  41. ^ 
  42. ^ 
  43. ^ “Io, figlia di mafioso, e la mia strada diversa” – Live Sicilia

 


L’eliminazione di Stefano Bontate e poi quella di Salvatore Inzerillo

Le indagini non consentirono di trovare una causale specifica che giustificasse un omicidio di così rilevante portata, ma non sfuggì la possibile relazione con l’omicidio e l’occultamento del cadavere di PANNO Giuseppe da Casteldaccia (11 marzo 1981), ed il valore da dare alla circostanza che il BONTATE portava con se un’arma e preferiva dormire fuori casa.

È infatti impensabile che un individuo navigato ed esperto come BONTATE rischiasse una severissima condanna per porto e detenzione abusiva di arma, a meno di non voler ritenere che lo stesso si trovasse in una situazione di pericolo tale da sentirsi necessitato a portare con se la pistola.

Le modalità dell’agguato evidenziano poi una perfetta conoscenza delle abitudini della vittima e si ipotizzo quindi, sin da allora, l’eventualità che tra i promotori dell’uccisione potessero esservi elementi facenti parte della stessa cosca mafiosa capeggiata dall’ucciso.

Il giorno 11 maggio dello stesso anno, all’interno del condominio di via Brunelleschi numero 51, venne ucciso INZERILLO Salvatore, anch’egli a colpi di Kalashnikov e di fucile caricato a lupara. Si riscontrò che l’INZERILLO, boss indiscusso di Passo di Rigano, Uditore, Bellolampo, Bocca di Falco, Borgo Nuovo etc., era in possesso di un’Alfetta2000 blindata e di un revolver 357 magnum.

Si accertò che l’INZERILLO aveva avuto la disponibilità dell’autovettura blindata solo il giorno prima della sua uccisione e che i bossoli del Kalashnikov erano stati sparati dalla stessa arma usata per l’omicidio di BONTATE Stefano.

Dall’esame di alcuni fatti obiettivi e da notizie confidenziali provenienti da fonte di già riscontrata attendibilità, emerse: che la sera del 9 maggio 1981 ignoti avevano esploso numerosi colpi con un fucile mitragliatore Kalaschnikov contro le vetrine blindate della gioielleria CONTINO; che anche tali bossoli erano stati sparati dal medesimo fucile mitragliatore; che l’INZERILLO si era recato nel complesso edilizio di via Brunelleschi, costruito dall’impresa SPATOLA , INZERILLO, GAMBINO, di cui faceva parte, per far visita ad una donna a cui era sentimentalmente legato.

Da quanto sopra si dedusse che gli autori dell’omicidio sapeva già che la vittima sarebbe stata in possesso di un’auto blindata prima che la vettura giungesse a Palermo tanto é che provarono l’efficacia dell’arma sparando contro i vetri blindati della gioielleria CONTINO; che gli stessi autori conoscevano bene, se non addirittura intimamente, le abitudini dell’INZERILLO, tanto da sapere l’esatta ubicazione dell’abitazione della sua amante.

Anche a proposito di tale omicidio si avanzò il sospetto di un tradimento verificatosi all’interno stesso della consorteria mafiosa guidata da INZERILLO Salvatore. E non sfuggiva neppure l’analogia con l’omicidio BONTATE, a proposito della singolare arma usata nei due delitti e della circostanza che anche l’INZERILLO portava con se, illegalmente, un’arma, con tutte le possibili conseguenze penali che ciò avrebbe potuto comportare.

In considerazione della personalità criminale di Salvatore INZERILLO, ricercato per associazione per delinquere dedita al traffico di stupefacenti ed altro, e del breve periodo di tempo intercorso con l’omicidio di Stefano BONTATE sorsero dubbi sull’interpretazione da dare ai due fatti delittuosi e vennero fatte ipotesi contrastanti: se cioè il secondo omicidio fosse stato la reazione del gruppo BONTATE alla soppressione del loro capo o se invece tutti e due gli omicidi promanassero da uno stesso disegno criminoso e quindi da uno stesso gruppo mafioso non ancora ben individuato.

Alcune considerazioni di carattere strettamente logico, successivamente avallate da serie notizie confidenziali e riscontrata da precise testimonianze, privilegiavano però l’ipotesi che sia BONTATE Stefano che INZERILLO Salvatore fossero stati uccisi per identico motivo e dalla stessa mente organizzativa. Infatti appariva inverosimile che INZERILLO Salvatore, avendo decretato la morte di BONTATE Stefano non avesse preliminarmente predisposto una serie di cautele ma, solo a distanza di venti giorni, si fosse premunito con l’acquisto di una macchina blindata.

Che anzi, l’essersela procurata nel breve volgere di venti giorni dall’omicidio BONTATE e l’essere stato trovato in possesso di un’arma, dimostrano che, proprio a causa dell’omicidio BONTATE lo stesso INZERILLO era preoccupato della propria incolumità fisica.

A distanza di pochi giorni veniva acquisita notizia confidenziale, proveniente da persona legata da vincoli di parentela con i BONTATE, secondo cui in una notte immediatamente successiva all’omicidio BONTATE, INZERILLO Santo fratello di Salvatore, anch’egli latitante, si era portato in casa BONTATE per formulare le condoglianze della propria famiglia.

Inoltre nelle dichiarazioni rilasciate da DE GREGORIO Salvatore cugino di DE GREGORIO Stefano, indicate quale guardia spalle di Stefano BONTATE nonché nipote di DE GREGORIO Carlo cognato di Stefano BONTATE, si legge che INZERILLO Santo e BONTATE Stefano viaggiavano sulla medesima auto nella via Aloi e zone limitrofe ed erano stati più volte notati dal teste. A ciò si aggiunge che la comune gestione del finto sequestro di Michele SINDONA e i continui rapporti d’affari che andavano emergendo nel corso dell’istruzione relativa al procedimento a carico di SPATOLA Rosario ed altri, confermavano l’ipotesi e consolidavano la tesi che i gruppi mafiosi BONTATE ed INZERILLO fossero saldamente legati e costituissero un fronte comune.

Il clan di Bontate viene sterminato, si salva solo Totuccio Contorno

Frattanto il giorno 8 giugno 1981, si registrava l’allontanamento di CHIAZZESE Filippo, amico e complice, in numerose imprese criminose del noto GRECO Giovanni, inteso “Giovannello”.

In quel periodo non si riusci a valutare la reale portata dell’ennesima “lupara bianca”, poiché si riteneva, sulla scorta di precedenti indagini, che il CHIAZZESE, al pari di GRECO Giovanni ed al cognato di quest’ultimo MARCHESE Pietro, facesse parte di quei gruppi di mafiosi che sino a quel momento non avevano subito alcuna perdita ed anzi incominciavano ad essere sospettati di essere i promotori della guerra.

I motivi dell’eliminazione di CHIAZZESE Filippo incominciarono ad intravedersi nel corso delle indagini relative al sequestro di Hajed Hagida Bent Mohammed, convivente di SPICA Antonio, quest’ultimo figlioccio di MARCHESE Pietro; trovarono ulteriore chiarimento con l’arresto, il 12 giugno 1981, a Zurigo, di MARCHESE Pietro, GRECO Giovanni, SPICA Antonio, GRECO Rosaria e FICANO Francesca; ebbero definitivo riscontro con l’uccisione, nel carcere di Palermo, di MARCHESE Pietro e nella città di Milano di SPICA Antonio. Ma di questi episodi delittuosi si parlerà diffusamente quando verrà ricostruito, nelle sue varie fasi l’evolversi della faida mafiosa.

Intanto, il 15 giugno 1981 , veniva ucciso GNOFFO Ignazio, elemento di spicco della famiglia INZERILLO, gravitante nella zona “Noce”, più volte sospettato di essere l’autore materiale di omicidi commissionati dalla famiglia di Passo di Rigano.

Nello stesso giorno SEVERINO Ignazio denunciàva la scomparsa dei figli Vincenzo Salvatore, asserendo che gli stessi si erano allontanati il 28 o il 29 maggio 1981, senza dare più notizie di loro. Anche i fratelli SEVERINO erano conosciuti dagli organi di Polizia quali killers al servizio del clan INZERILLO – DI MAGGIO e GAMBINO cd erano considerati gli autori di omicidi e di attentati dinamitardi perpetrati su indicazione della citata famiglia mafiosa.

Il fatto che i due fratelli siano scomparsi il 29 maggio, che fossero legati da vincoli di amicizia con GNOFFO Ignazio ed INZERILLO Salvatore come ha recentemente dichiarato il loro padre, che sporse denuncia proprio il giorno dell’uccisione di GNOFFO Ignazio, serve ad avallare ulteriormente la tesi che tutti e tre fossero stati eliminati per completare la decimazione del clan INZERILLO.

Sui motivi della loro morte si tornerà inseguito, quando verranno illustrate l’origine e la motivazione della terribile guerra di mafia scoppiata nel marzo millenovecentottantuno.

L’attuazione del programma di eliminazione dei maggiorenti della famiglia BONTATE proseguiva il 25 giugno 1981 con il tentato omicidio in pregiudizio di CONTORNO Salvatore, considerato il braccio destro operativo della famiglia di Villagrazia.

Anche quest’agguato, predisposto in piazzetta Dei Signori, centro della zona d’influenza del CONTORNO, venne attuato con l’uso di quell’arma micidiale usata già per gli omicidi di Stefano BONTATE e Salvatore INZERILLO. Solo la prontezza di riflessi della vittima designata, che certamente temeva una possibile azione violenta nel suoi confronti, impediva ai killers, muniti del solito Kalashincov, di portare a termine l’ennesimo omicidio.

Il CONTORNO forse leggermente ferito, trovava scampo rifugiandosi in una delle vicine abitazioni e rimanendo nascosto nella zona per un certo periodo presso persone di fiducia e parenti appartenenti allo stesso clan mafioso.

La mancata realizzazione del programma delittuoso e la indiscussa personalità criminale del CONTORNO avrebbero poi provocato, nei mesi – successivi, un’altra serie di omicidi che venivano a colpire quanti potevano essere sospettati di aver dato rifugio al CONTORNO stesso.

Il clima di terrore instaurato nella zona di Brancaccio, via Conte Federico e via Giafar da chi stava lucidamente portando a compimento lo sterminio della cosca di Villagrazia, induceva i sopravvissuti ad allontanarsi precipitosamente da Palermo, spesso con tutto il gruppo familiare e ad abbandonare anche le attività apparentemente lecite.

Ci si intende riferire all’allontanamento dei fratelli GRADO, cugini di Salvatore CONTORNO, i quali abbandonavano il cantiere sito nelle adiacenze di via Oreto Nuova per la costruzione di un edificio di civile abitazione; all’allontanamento di TERESI Pietro cognato dei citati fratelli GRADO e loro socio nell’impresa edilizia, nonché socio di Stefano BONTATE e di Girolamo TERESI nella Centralgas; all’allontanamento di D’AGOSTINO Rosario già denunciato con CONTORNO Salvatore ed a lui particolarmente legato anche da vincoli di parentela per avere il primo sposato una LOMBARDO, cugina della moglie del secondo; all’allontanamento di D’AGOSTINO Emanuele, sulla cui esistenza in vita si nutrono forti dubbi, non potuti immediatamente dissipare in quanto latitante, ma che recentemente voce confidenziale ha riferito essere stato soppresso ad opera del noto boss di Partanna RICCOBONO Rosario; all’allontanamento del costruttore edile CAPITUMMINO Filippo nei cui cantieri, siti nei pressi del corso Dei Mille, non viene più notato dall’estate dello scorso anno, perché ufficialmente portatosi fuori Palermo per cure oculistiche.

A proposito di D’AGOSTINO Emanuele altra fonte ha specificato che il 28 maggio 1981 il predetto era stato prelevato dalla sua abitazione dopo che, per ben due volte, aveva declinato, con scuse varie, l’invito a partecipare a riunioni chiarificatrici, l’ultima delle quali era stata indetta per il 26 maggio 1981 e si era rivelata fatale per GIROLAMO Teresi ed i tre che lo accompagnavano.

Detta ultima fonte, opportunamente richiesta, asseriva che il D’AGOSTINO era il pupillo di Rosario RICCOBONO In perfetta aderenza logica con la motivazione sopra esposta circa la fuga dei superstiti, va evidenziata la puntuale soppressione dei congiunti delle persone sopra citate fuggite da Palermo.

Infatti nel gennaio del corrente anno, tra il giorno 8 e 11, venivano uccisi nella zona di Villagrazia, Bonagia e via Conte Federico, TERESI Francesco Paolo, fratello del già citato TERESI Pietro, GRADO Antonino cugino dei menzionati fratelli GRADO e D’AGOSTINO Ignazio, padre di Rosario. Questi delitti e molti altri di cui si parlerà in seguito evidenziano la ferocia e la determinazione spietata delle famiglie mafiose emergenti, uscite vittoriose dalla lotta per il predominio che non hanno esitato a coinvolgere nella faida persone non direttamente interessate in fatti di mafia, ma responsabili unicamente di essere congiunti di quelli che erano sfuggiti al massacro. Ciò é stato inconfutabilmente evidenziato nel corso di alcune conversazioni telefoniche intercettate tra parenti di D’AGOSTINO Ignazio i quali, commentavano il suo assassinio, asserendo che era stato soppresso per l’allontanamento del figlio da Palermo, specificando che quest’ultimo apparteneva al CONTORNO.

 

A cura  di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro le mafie – Progetto San Francesco