ANTONIO SAETTA, vittima della vendetta mafiosa

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Antonino Saetta (Canicattì25 ottobre 1922 – Caltanissetta25 settembre 1988) è stato un magistrato italianovittima della mafia insieme al figlio Stefano. Terzo di cinque figli, conseguì la maturità classica presso il liceo ginnasio statale di Caltanissetta e si iscrisse nel 1940 alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo. Dopo aver conseguito la laurea nel 1944, con 110 e lode, vinse il concorso per Uditore Giudiziario ed entrò in Magistratura nel 1948. In prima assegnazione fu collocato ad Acqui Terme con funzioni di Pretore prima e successivamente di Giudice istruttore presso il Tribunale. Si trasferì poi come Giudice di Tribunale a Caltanissetta nel 1955 e a Palermo nel 1960, e dal 1969 al 1971 fu Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sciacca, poi nuovamente a Palermo, quale Consigliere di Corte d’Appello.

Nel periodo 1976-78 fu Consigliere presso la Corte d’Assise d’Appello di Genova, dove si occupò anche di taluni processi di risonanza nazionale (Brigate Rosse; naufragio doloso Seagull), rientrando successivamente a Palermo. Successivamente, nel periodo 1985-86, fu Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta ed è qui che si occupò, per la prima volta nella sua carriera, di un importante processo di mafia, quello relativo alla strage in cui morì il giudice Rocco Chinnici, e i cui imputati erano, tra gli altri, i “Greco” di Ciaculli, vertici indiscussi della mafia di allora, e pur tuttavia incensurati. Il processo si concluse con un aggravamento delle pene e delle condanne rispetto al giudizio di I’ grado. Antonino Saetta fu poi nuovamente a Palermo, quale Presidente della I sez. della Corte d’Assise d’Appello. Qui si occupò di altri importanti processi di mafia, in particolare presiedette il processo relativo alla uccisione del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile[1], che vedeva imputati i pericolosi capi emergenti Vincenzo Puccio, Armando Bonanno e Giuseppe Madonia.

Pochi mesi dopo la conclusione di tale processo, e pochi giorni dopo il deposito della motivazione della sentenza che aveva condannato all’ergastolo gli imputati, Saetta fu assassinato, insieme con il figlio Stefano, attorno alla mezzanotte del 25 settembre 1988, sulla strada Agrigento-Caltanissetta, di ritorno a Palermo, dopo avere assistito a Canicattì al battesimo di un nipotino[2][3].

Si è detto talvolta che Stefano fosse disabile grave. Al momento della morte, invece, era un giovane di sana costituzione e sportivo (era un ottimo nuotatore), ma aveva sofferto in adolescenza di disturbi psichiatrici che lo avevano costretto ad abbandonare gli studi e a farsi riconoscere un’invalidità civile. Tuttavia negli ultimi anni di vita non aveva subito ricadute e appariva sostanzialmente guarito. Il rinvenimento del tesserino di invalidità tra i suoi documenti indusse alcuni cronisti in errore[4]. Anche il film Il giudice ragazzino, incentrato sulla figura del giudice Rosario Livatino, rappresenta erroneamente Stefano Saetta come disabile in stato vegetativo, ed è stato criticato dalla famiglia per il ritratto a loro giudizio poco fedele del padre Antonino[5]Il giorno dopo la morte di Antonino Saetta la mafia uccide a Valderice il giornalista Mauro Rostagno[6].

Antonino Saetta è ricordato ogni anno il 21 marzo nella Giornata della Memoria e dell’Impegno di Libera, la rete di associazioni contro le mafie, che in questa data legge il lungo elenco dei nomi delle vittime di mafia e fenomeni mafiosi. A lui e al figlio Stefano è dedicato il presidio di Libera di Acqui Terme, luogo in cui svolse il suo primo incarico.

Nel 1996 sono stati condannati all’ergastolo, dalla Corte d’Assise di Caltanissetta, per il duplice efferato omicidio, i capimafia Salvatore RiinaFrancesco Madonia, e il killer Pietro Ribisi. La condanna, confermata nei successivi gradi di giudizio, è passata in giudicato.

Il movente dell’assassinio è stato ritenuto triplice: “punire” un magistrato che, per la sua fermezza nel condurre il processo Basile, e, prima, il processo Chinnici, aveva reso vane le forti pressioni mafiose esercitate; “ammansire” con un’uccisione eclatante, gli altri magistrati giudicanti allora impegnati in importanti processi di mafia; “Prevenire” la probabile nomina di un magistrato ostico, quale Antonino Saetta, a Presidente del cosiddetto Maxiprocesso d’appello alla mafia.

  1. ^ Aveva condannato i killer di Basile e Rocco Chinnici, repubblica.it.
  2. ^ L’ultimo massacro firmato mafia, repubblica.it.
  3. ^ Giustizia per un popolo di onesti, repubblica.it.
  4. ^ Due delitti annunciati, repubblica.it.
  5. ^ Stefano Saetta, Antonino Saetta magistrato scomodo nemico dichiarato dei centri di potere, Associazione Amici del giudice Rosario Livatino.
  6. ^ La Piovra alza il tiro, vuol bloccare i processi, repubblica.it.

 

 Il ricordo del CSM

Antonino Saetta nasce a Canicattì il 25 ottobre 1922 Conseguita la maturità classica a Caltanissetta, nel 1940 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Palermo. Concilia studi e lavoro presso il Consorzio agrario provinciale agrigentino e sul finire del 1943 partecipa anche alle operazioni belliche, poi interrotte col cessare delle ostilità. Si laurea in giurisprudenza nel 1944 e, dopo una breve parentesi lavorativa presso il Ministero dei Lavori Pubblici a Roma, nel 1948 vince il concorso in magistraturaIl 18 novembre 1948 presta giuramento presso il Tribunale di Palermo, ove svolge il prescritto tirocinio. All’età di 26 anni la prima sede di destinazione è Acqui Terme. Il 15 giugno 1949 è immesso nel possesso del nuovo ufficio e gli vengono attribuite le funzioni giurisdizionali. E’ assegnato prima all’ufficio istruzione e poi alla Pretura. Il 28 novembre 1951 viene promosso aggiunto giudiziario ed il 2 agosto 1954 è destinato al medesimo Tribunale di Acqui ma con funzioni di giudice. Nel rapporto informativo redatto il 16 agosto 1954 per la nomina a magistrato di Tribunale e nel successivo parere favorevole redatto dal Consiglio Giudiziario presso la Corte d’appello di Torino il 23 settembre del 1954 può leggersi come il dott. Saetta: “si è rivelato ottimo magistrato[…]di vivace intelligenza e di pronto intuito giuridico” e che “alla spiccata indipendenza di carattere non disgiunge un alto senso di dignità della funzione che pure esplica con affabilità verso gli avvocati i funzionari di cancelleria ed il pubblico” dimostrando ”particolare attaccamento al dovere” meritando, quindi, “l’elogio del Presidente del Tribunale per l’opera svolta”. Nel 1955, a domanda, viene trasferito al Tribunale di Caltanissetta ove prende possesso con funzioni di giudice il 25 luglio dello stesso anno. Resta a Caltanissetta per quasi cinque anni ricevendo per l’attività svolta gli elogi del Presidente del Tribunale (7 aprile 1959) e del Presidente della Corte di Appello (20 settembre 1960). Il 13 ottobre 1960 lascia Caltanissetta per trasferirsi a Palermo, ove prende possesso il 29 ottobre 1960 e dove svolge, salvo qualche rara parentesi, la maggior parte della propria carriera. Anche a Palermo il dott. Saetta viene apprezzato per le doti umane e professionali e per il profondo senso del dovere: il Presidente della Corte d’appello e quello del Tribunale di Palermo gli tributeranno, infatti, un ulteriore encomio il 16 febbraio 1963. Le predette doti vengono inoltre sottolineate nel favorevole parere emesso dal Consiglio Giudiziario presso la Corte di appello di Palermo il 16 marzo 1963 per l’ammissione al concorso per esami per la promozione a magistrato di appello. Tale atto ne sottolinea le qualità già evidenziate in passato; la notevole laboriosità del dott. Saetta è inoltre dimostrata dalle statistiche degli affari trattati dal 1958 al 1960 e allegate ai fini del concorso a magistrato di Corte d’appello. Anche il parere favorevole alla promozione alle funzioni superiori redatto dal Consiglio Giudiziario presso la Corte d’appello di Palermo il 19 giugno del 1965  riporta la notevole mole di affari trattata sia in materia civile che in materia penale.  Il 14 aprile 1966 il Consiglio Superiore della Magistratura attribuisce al dott. Saetta la qualifica di merito distinto con idoneità alle funzioni giudicanti e requirenti e a quelle direttive. Dal 1969 fino ai primi mesi del 1972 Antonino Saetta svolge le funzioni di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sciacca (all 6). Anche nel suddetto ruolo le statistiche dei lavori espletati non fanno che confermare la grande laboriosità e le spiccate attitudini del magistrato. domanda torna a Palermo il 20 marzo 1972 con l’incarico di Consigliere di Corte d’appello.  Il consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Palermo, il 13 luglio 1974, nell’esprimere parere favorevole alla nomina del dott. Saetta a magistrato di Cassazione, ripercorre anche l’esperienza direttiva esercitata dal dott. Saetta rimarcando come: “E’ ancor vivo, in quell’ambiente giudiziario, il ricordo della laboriosità e diligenza, della notevole preparazione giuridica, della obiettività e dell’equilibrio con cui il dott. Saetta esercitò le funzioni di cui era allora investito” sottolineando come il Procuratore Generale di Palermo ebbe ad indicare che “attraverso la lettura degli atti processuali e nei contatti personali ho potuto constatare la profonda preparazione giuridica della S.V., la conoscenza di tutti i rami del diritto, la spiccata intelligenza e il grande intuito, l’assoluta obiettività, doti questa che l’hanno posta in grado di poter assolvere i suoi compiti nel migliore dei modi”.Nel medesimo parere viene, inoltre, riportato un ampio e lusinghiero rapporto del Presidente della sezione Magistratura del Lavoro cui il dott. Saetta è assegnato presso la Corte d’appello di Palermo: “… ho avuto modo di constatare, attraverso la sua diuturna collaborazione, che i precedenti anzicennati lusinghieri rapporti rispecchiano fedelmente la personalità e le doti del dott. Saetta e posso, senz’altro, affermare che le suindicate qualità, più che confermate, si sono migliorate e perfezionate in quest’ultimo periodo”. Lo stesso Presidente, ribadendo l’eccezionale laboriosità del magistrato, sottolinea: “Merita, poi, una particolare segnalazione la sua sollecitudine nella redazione delle sentenze, nonostante l’enorme mole di lavoro espletato, specie in seguito all’entrata in vigore del nuovo processo del lavoro […] Soltanto nell’ultimo semestre (gennaio-giugno 1974) sono stati definiti ben 101 (centouno) processi assegnati al consigliere Saetta, il quale mi ha già passato per il «visto» tutte le relative sentenze, alcune delle quali alquanto complesse e , tutte molto pregevoli per la chiarezza dello stile e per la motivazione sobria, ma completa e tale da far comprendere agevolmente l’«iter» logico del ragionamento e la soluzione adottata”.

I numeri degli affari trattati, anche in questo caso, ribadiscono le non comuni qualità professionali di Antonino Saetta. Il Consiglio Superiore della Magistratura, con provvedimento del 29 gennaio 1975, ne delibera la nomina a magistrato di Cassazione.  Nel 1976 il dott. Antonino Saetta chiede di essere trasferito alla Corte di appello di Genova e il 16 dicembre 1976 prende possesso del nuovo ufficio e delle nuove funzioni.

Nel capoluogo ligure affronterà alcuni processi che avranno una particolare eco mediatica come il processo alle Brigate Rosse e quello del naufragio doloso della “Seagull” (una carretta del mare scomparsa nelle acque internazionali al largo di Licata il 17 febbraio 1974 provocando la morte di trenta marittimi. La sentenza di condanna dei responsabili diverrà determinante per l’approvazione di nuove regole sulla sicurezza nella navigazione). Il 17 novembre 1978 il dott. Saetta torna a Palermo per ricoprire nuovamente le funzioni di Consigliere di Corte di Appello. Anche per questo periodo i dati statistici attestano un’attività professionale fuori dal comune. Nella relazione redatta il 15 giugno 1979  per il conferimento delle funzioni direttive superiori il Procuratore Generale ed il Presidente della Corte d’appello di Palermo rimarcano la “...solidissima preparazione giuridica e spiccata capacità professionale” che “lo mettono in grado di collaborare con molta efficacia alla soluzione di delicate e complesse questioni che sovente sorgono in Camera di Consiglio, nel decidere cause affidate anche ad altri relatori.[…]tali qualità, lo additano negli ambienti giudiziari per uno dei migliori magistrati…”. 

Il Consiglio superiore della Magistratura nella seduta plenaria del 18 luglio 1979 conferisce al dott. Saetta le funzioni direttive superiori. Antonino Saetta rimane nel capoluogo siciliano fino al 1984 quando verrà trasferito, a domanda, alla Corte d’appello di Caltanissetta. Prende possesso nella nuova funzione di Presidente di sezione della Corte d’appello di Caltanissetta il 26 settembre 1984A Caltanissetta si occupa del processo di appello per la strage di via Pipitone Federico dove, insieme al Consigliere istruttore Rocco Chinnici, persero la vita gli uomini della scorta allo stesso assegnati e il portiere dello stabile in cui viveva il giudice. La sentenza conferma la condanna ai fratelli Michele e Salvatore Greco (fino ad allora incensurati) e inasprisce notevolmente le pene per gli altri coimputati. La conduzione del processo di appello e l’esito dello stesso contribuiscono ad alzare il livello di pericolosità per la vita del magistrato. Il 3 giugno 1987 Antonino Saetta rientra nuovamente a Palermo con le funzioni di Presidente di Sezione presso la Corte di appello e sarà impegnato in altri delicati processi di mafia: il processo per la strage di Piazza Scaffa e il delicato processo per l’omicidio dell’ufficiale dei carabinieri Emanuele Basile. Dalle carte processuali relative all’omicidio del dott. Saetta emerge che furono il processo Basile ed il pericolo che venisse assegnato alla sua sezione il processo di appello del cd. maxiprocesso a costituire i motivi dell’agguato mortale organizzato da Cosa Nostra. Sono le 22.40 circa del 25 settembre 1988. Antonino Saetta guida la sua Lancia Prisma lungo la statale 640, al suo fianco è seduto il figlio Stefano: ritornano entrambi a Palermo dopo essere stati alla festa per il battesimo del nipote del dott. Saetta….

In contrada Giulfo, nel territorio di Caltanissetta, l’auto del giudice viene affiancata da un’altra automobile, una Bmw, dalla quale cominciano a partire diversi colpi di arma da fuoco che danneggiano la fiancata sinistra dell’auto di Saetta raggiungendo anche gli occupanti. La macchina del dott. Saetta finirà la sua corsa sul guardrail nel senso opposto di marcia. I killer raggiungono l’automobile e completeranno il duplice omicidio esplodendo numerosi colpi dal lato destro dell’autovettura. Sul luogo verranno rinvenuti più di 50 bossoli di proiettili, lungo un tratto di strada lungo meno di 100 metri. 

Il plenum del Consiglio viene convocato il 27 settembre 1988: per la seconda volta si svolgerà fuori dalla sede istituzionale (la prima in occasione dell’omicidio del dott. Gian Giacomo Ciaccio Montalto) presso l’aula magna del Palazzo di Giustizia di Palermo, alla presenza del Ministro di Grazia e Giustizia Giuliano Vassalli.

Nelle parole del vicepresidente Cesare Mirabelli è possibile ritrovare la profonda essenza dell’uomo e del magistrato Saetta: “Antonino Saetta: un magistrato come molti, moltissimi, incontrati nel cammino personale e professionale di ciascuno. Quaranta anni di vita in magistratura, senza timidezze e senza protagonismi; il coraggio dell’impegno quotidiano, che non evita il rischio sottile del processo difficile e che «espone», né si gloria di questo; la testimonianza del lavoro silenzioso, costante, incisivo; tanto più efficace quanto meno clamoroso ed appariscente. Antonino Saetta: un uomo giusto. Giusto per abito professionale e per consuetudine di vita; ma ancor più pienamente «giusto» per la profonda ed evidente umanità, assai nota a chi lo conosceva. Una vita legata solidamente alla famiglia, alle radici degli affetti profondi, esaltati dalle difficoltà e dai drammi personali. Un legame particolarmente ricco con lo sfortunato figlio Stefano, tanto profondo da fargli mutare, per stare vicino al figlio, la propria sede di lavoro. Un legame che anche l’atrocità assassina ha profondamente violato e, per assurdo, rispettato ad un tempo”. Sul luogo del duplice omicidio verrà eretta in memoria del giudice Saetta e del figlio Stefano una stele. Nel 2017, alla memoria di Antonino Saetta viene intitolato anche un viadotto della statale 640.

L’eroismo di un lavoro silenzioso  Fino all’omicidio del dott. Saetta gli obiettivi privilegiati della violenza mafiosa erano stati essenzialmente magistrati inquirenti o funzionari e agenti impegnati sul fronte delle indagini: venivano presi di mira i soggetti ritenuti le “fonti” da cui i processi avevano origine. Con Antonino Saetta Cosa Nostra cambia strategia. E’infatti il primo magistrato giudicante colpito dalla mafia. La lettura di alcuni passaggi delle sentenze che si sono occupate dell’omicidio del magistrato rendono piena luce non solo sulla personalità sulla professionalità e sull’integrità del giudice Saetta, ma anche sui motivi che portarono la Cosa Nostra a decidere di ucciderlo e sulle modalità con cui l‘organizzazione criminale svolgeva la sua azione. Nelle motivazioni della sentenza della Corte di assise di Caltanissetta del 5 agosto 1998, confermate dalla definitiva  sentenza di II grado emessa dalla Corte di assise di Appello di Caltanissetta dell’8 aprile 2003 può leggersi che: “deve ritenersi pienamente provato che l’omicidio in esame è maturato in un contesto e in un momento storico in cui l’assassinio del dott. Saetta, per le funzioni giurisdizionali svolte in determinati processi, per l’impegno profuso, per la fermezza dimostrata, per il rigore morale che ebbe ad ispirarne l’attività professionale, divenne funzionale ad un interesse strategico complessivo di quella potente e pericolosissima organizzazione criminosa, tipicamente mafiosa, denominata Cosa Nostra...” L’assassinio del giudice Saetta, magistrato incorruttibile per i processi che aveva trattato e per quelli che avrebbe potuto trattare, era dunque interesse strategico complessivo dell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra.  La volontà di condizionare l’esito del processo per l’omicidio del capitano Basile emerge da concordi dichiarazioni di collaboratori di giustizia escussi nell’ambito del procedimento per l’omicidio del giudice Saetta e del figlio Stefano. Nel giudizio di secondo grado, relativo all’omicidio del capitano Basile, difatti, dopo l’assoluzione in Corte d’assise, erano stati condannati Giuseppe Madonia, Vincenzo Puccio e Armando Bonanno ritenuti responsabili dell’omicidio stesso (sentenza poi annullata dalla Corte di Cassazione e pervenuta quindi all’esame della sezione presieduta del dott. Saetta). La condanna era stata emessa anche sulla base di elementi indiziari corroborati dalle dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia, Salvatore Contorno e Tommaso Buscetta. Il calibro dei personaggi arrestati non poteva non indurre i vertici dell’organizzazione a dispiegare in tutta la propria potenzialità l’azione di inquinamento e condizionamento delle indagini e del processo stesso per scongiurare il pericolo di condanna e l’attendibilità di collaboratori che saranno coinvolti a vario titolo in altri delicati procedimenti (primo fra tutti il maxi processo).

Calogero Gangi ha riferito che “rientrava in un sistema operativo di cosa nostra cercare di “avvicinare” magistrati e giudici popolari tutte le volte che in un processo erano coinvolti degli affiliati”, circostanza confermata da altro collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi che, riguardo al processo di secondo grado per l’omicidio del capitano Basile, ha riferito che: “… per il suo «aggiustamento» vi era un particolare interesse dell’organizzazione in quanto vi erano coinvolti il figlio di un esponente di spicco, Madonia Giuseppe e Puccio Vincenzo, affiliato alla famiglia di Ciaculli, il cui massimo esponente era quel Michele Greco all’epoca capo della Commissione”, precisando inoltre che “quel processo «stava tanto a cuore» al Riina sia perché vi erano coinvolte persone  a lui particolarmente vicine – il Madonia Giuseppe era suo compare in quanto suo testimone di nozze ed il Salvatore suo figlioccio di affiliazione – sia perché voleva «vincere questa battaglia di fronte allo Stato ottenendo l’assoluzione in questo processo delicato»”.

Salvatore Ciulla, altro collaboratore di giustizia, ha riferito dei tentativi di aggiustamento del processo a carico degli imputati dell’omicidio del capitano Basile. In particolare racconta ai magistrati di avere personalmente portato a Francesco Madonia su richiesta di Carollo (“ci servono tanti soldi, vedi quelli che tu ci puoi mandare”) la somma di cinquanta milioni che dovevano servire “per fare uscire i picciotti”; circostanza confermata da Salvatore Cancemi che ha aggiunto che ci fu una “raccolta di fondi” (servivano 600 milioni) e la destinazione era il processo Basile. Cancemi ha inoltre riferito di aver saputo da Riina e da Biondino che il presidente Saetta “si era rifiutato…che lo avevano avvicinato e che era lui, diciamo, che alzava la testa

Con sentenza del 23 giugno 1988 la Corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta dal dott. Saetta, condanna all’ergastolo Giuseppe Madonia, Vincenzo Puccio e Armando Bonanno come coautori materiali dell’omicidio del capitano Basile.

Salvatore Cancemi ha inoltre riferito “di aver appreso dal Riina, dal Biondino Salvatore e dal Raffaele Gangi, durante lo svolgimento del dibattimento presieduto dal dr. Saetta ed anche successivamente alla sentenza nel corso di qualche commento che il primo era stato informato da un giudice popolare che il presidente non intendeva assolvere gli imputati. Il componente non togato, cioè, faceva sapere all’esterno «l’andazzo della camera di consiglio» nel senso che forniva informazioni sugli orientamenti del presidente il quale «era per la condanna»

Anche Francesco Marino Mannoia, altro collaboratore di giustizia, ribadendo che era a conoscenza del tentativo di “avvicinamento” nel processo presieduto dal dott. Saetta sottolineava che “…dopo la prima fase del maxi-processo di Palermo era stato detenuto nella stessa cella con il Puccio Vincenzo il quale era impegnato in una delle fasi del processo a suo carico per l’omicidio del capitano Basile «forse l’appello o comunque un ritorno dalla Cassazione» ed in quel periodo il Puccio quando rientrava in cella al termine delle udienze, diceva che le cose stavano andando discretamente e che «da parte di Madonia erano riusciti ad avvicinare alcuni componenti giurati». In particolare il Puccio ebbe a riferirgli «in epoca successiva al verdetto di condanna» che, secondo quanto dallo stesso appreso tramite i Madonia, al momento della camera di consiglio «il dr. Saetta aveva sbattuto i pugni sul tavolo dicendo: “qui non usciamo se non vi è un verdetto di condanna”». 

La circostanza viene confermata da altro collaboratore di giustizia, Gaetano Costa, già esponente della ‘ndrangheta e compagno di cella di Vincenzo Puccio il quale riferisce che quest’ultimo, in un’occasione dopo la condanna, gli aveva riferito di “essere a conoscenza che il dottor Saetta in Camera di Consiglio si era fortemente battuto per un verdetto di condanna” ed inoltre il movente dell’omicidio del dottor Saetta era il fatto che quest’ultimo “era il candidato più accreditato a presiedere il giudizio di appello del cd. maxi-processo...”.

Alla data del 25 settembre 1988, giorno prima dell’omicidio del Presidente Saetta, Salvatore Riina e Francesco Madonia erano imputati appellanti nel cd. maxiprocesso quali mandanti dell’omicidio Basile. Riportando nuovamente le parole della Corte d’assise di Caltanissetta nella sentenza del 5 agosto 1993, era dunque evidente che “in una fase in cui era ancora in discussione il dato dell’unitarietà di Cosa Nostra e della collegialità o meno delle decisioni, la constatazione che l’omicidio di un rappresentante dello Stato non era stato frutto dell’iniziativa di una sola famiglia o di un solo mandamento, era assolutamente importante, perché ogni decisione sul punto avrebbe potuto costituire una conferma o una smentite sulle prime dichiarazioni dei pentiti, sentiti nel procedimento di I grado del “maxi” sulla regola della collegialità delle decisioni in ordine agli omicidi eccellenti. Ogni accertamento giudiziario sulla identità dei mandanti dell’omicidio di Monreale (luogo in cui fu assassinato il capitano Basile ndr) avrebbe refluito più generalmente sulla credibilità o meno delle dichiarazioni di questi pentiti, con particolare riferimento a quelle rivelazioni concernenti la struttura unitaria e verticistica dell’organizzazione e la responsabilità dei membri della commissione per i cd. delitti eccellenti. Era in gioco, in altri termini, la stessa validità del cd. Teorema Buscetta”. 

Antonino Saetta non è mai voluto apparire come un uomo simbolo: solo come un normale uomo di legge, chiamato ad applicare normalmente il diritto e cercare giustizia. Avrebbe potuto ergersi a paladino dell’antimafia: continuò invece, in silenzio, ad attendere alle sue mansioni come se nulla di straordinario avesse compiuto: del resto stava solamente svolgendo diligentemente e con rigore il proprio dovere.

Le tappe della vicenda processuale relativa all’omicidio del dott. Antonino Saetta e del figlio Stefano

con sentenza del 5 agosto 1988 la Corte di Assise di Caltanissetta condannerà alla pena dell’ergastolo per l’omicidio del dott. Antonino Saetta e di suo figlio Stefano:  Salvatore Riina e Francesco Madonia come mandanti della strage nonchè Pietro Ribisi, Michele Montagna, Nicola Brancato e Giuseppe di Caro come esecutori materiali dell’eccidio.

la Corte di Assise di appello di Caltanissetta in data 8 gennaio 2003, dichiarando inammissibile l’appello proposto da Salvatore Riina, ordinerà l’esecuzione della sentenza di primo grado.

I documenti pubblicati


<>  Uomo indipendente e all’apparenza riservato era anche Antonino Saetta.  Il giudice Saetta era il presidente della Corte d’assise d’Appello di Palermo. Il 25 settembre 1988 stava percorrendo lo scorrimento veloce Agrigento-Caltanissetta con il figlio Stefano, invalido civile di 35 anni. Entrambi furono raggiunti dal fuoco dei sicari. Saetta era stato presidente in Assise a Caltanissetta, dove aveva diretto il processo d’appello contro i fratelli Greco accusati di essere i mandanti della strage in cui era stato assassinato il giudice Rocco Chinnici e per questo condannati all’ergastolo. A Palermo aveva presieduto il processo d’appello contro Madonia, Puccio e Bonanno, i killer del capitano Basile che erano stati clamorosamente assolti in primo grado. La corte presieduta da Antonino Saetta aveva ritenuto, al contrario, che vi fossero buoni motivi per condannarli all’ergastolo. La Cassazione, quasi ponendosi come un ulteriore grado di giudizio, aveva in seguito annullato tutto. Antonino Saetta era un uomo riservato ma era bastato il suo lavoro per metterlo in mostra, per esporlo troppo. Per la prima volta la mafia non ammazzava un giudice inquirente ma uno che sedeva ai vertici di un collegio giudicante. Non era un salto da poco. Le cosche della provincia di Agrigento erano cresciute in spregiudicatezza e potenza militare. la loro ascesa era dovuta all’indifferenza di quello Stato che, salvo poche eccezioni, non aveva saputo garantire sul territorio una presenza che fosse almeno decorosa. (UOMINI CONTRO LA MAFIA di Vincenzo Ceruso)