La doppia vita del pescivendolo mafioso di giorno, pentito di notte. Mancava poco a Salvatore Giordano, titolare di una pescheria allo Zen, per fare il grande salto. Dopo mesi di gavetta criminale, ben presto i boss della zona lo avrebbero “battezzato” uomo d’ onore. «Ma io non voglio – confidò un giorno di inizio d’ anno a un investigatore della Dia – io non voglio farlo questo salto». Così, un po’ per paura di quel destino che sembrava già scritto, un po’ per la voglia di dare un futuro diverso ai propri figli, Salvatore Giordano ha cominciato a svelare gli ultimi segreti di Cosa nostra. E a 50 anni si è ritrovato a immaginare una nuova vita. All’ inizio registrava i colloqui con i suoi capi allo Zen, Francesco Costa detto “il puffetto” e Nicola Ferrara detto “mazzè”. Per giorni, Salvatore Giordano si è mosso su un crinale rischioso. Di giorno continuava a interpretare il ruolo che aveva ormai da qualche anno, quello del temuto commerciante che chiedeva e riscuoteva il pizzo fra i palazzoni dormitorio della periferia. Di notte riferiva agli investigatori della Dia, consegnando appunti e nastri. Nessuno ha sospettato nulla. Poi però il gioco si è fatto pesante. Dopo l’ ennesimo blitz, Giordano si è inventato una scusa facile: «Per qualche tempo cambio aria, vado a Milano». Invece stava andando a riempire pagine e pagine di verbali con i magistrati della Direzione antimafia di Palermo: Marcello Viola, Gaetano Paci, Lia Sava, Francesco Del Bene e Annamaria Picozzi. Dal 22 febbraio Giordano è ufficialmente un collaboratore di giustizia. Ma nessuno del suo clan ha mai sospettato nulla. Le prime dichiarazioni del neo-pentito hanno riguardato Antonino Di Giovanni. «All’ Acquasanta – ha spiegato – è come se fosse Tanino Fidanzati», lo storico boss del quartiere. «Di Giovanni è un personaggio chiave – ha messo a verbale Giordano – tutti i capi mandamento di Palermo vanno a prendere consigli da lui». Giordano spiega di conoscere Di Giovanni da almeno vent’ anni: «Quando faceva il bagnino all’ hotel Villa Igiea – dice – ci assicurava la disponibilità di alcune stanze, dove noi andavamo con delle ragazze». Di recente, invece, Di Giovanni organizzava veri e propri summit nella sua rimessa di barche all’ Acquasanta: «Io non ho mai preso parte agli incontri- spiega Giordano – perché io non ero ancora combinato. Ma vedevo arrivare soggetti mafiosi di rilievo, tra cui Nicola Ferrara, Francesco Costa, Franco Lo Cicero, Ino Corso e Giuseppe Provenzano». Per i magistrati è stata una conferma importante dell’ alleanza che sarebbe stata sancita fra il clan di Santa Maria di Gesù (rappresentato da Corso) e quello di San Lorenzo (con Giuseppe Provenzano). «In realtà – prosegue Giordano – l’ architetto Liga si era lamentato della presenza di Ferrara e di Costa, perché ancora non combinati». Giordano, che arrivava all’ Acquasanta come «accompagnatore» di Costa e Ferrara, prosegue così il suo racconto: «Di Giovanni si fidava di me. Io avevo una funzione di referente dello Zen, dove Di Giovanni veniva a trovarmi per prendere gli appunti con alcune persone». Da bagnino, Di Giovanni era diventato il vice direttore di fatto di Villa Igiea. Correvano i ruggenti anni Ottanta, all’ Acquasanta. «Oggi – dice Salvatore Giordano – è invece un esponente molto, molto forte a Palermo. Direi, quasi insospettabile, perché conosce avvocati, conosce magistrati, che lì hanno la barca». Un giorno, al rimessaggio di Antonino Di Giovanni arrivò pure «l’ americano», l’ ambasciatore delle cosche siciliane a Miami: «È Roberto Settineri», ha confermato il pescivendolo dello Zen. Ma cosa fosse venuto a fare il padrino italo-americano in quel porticciolo resta ancora un mistero. SALVO PALAZZOLO15 giugno 2010 La Repubblica
Salvatore Giordano, pentirsi dentro Cosa Nostra Salvatore Giordano, ex “uomo d’onore” del quartiere Zen di Palermo, collabora dal mese di Febbraio 2010 con i magistrati della Dda per le indagini di giustizia. Ed è in parte da attribuire a lui l’arresto del fratello Domenico Giordano, 54 anni, referente mafioso della zona di Partanna Mondello e dello Zen. Con lui altri tre fermati: Sandro Di Fiore, Gioacchino Intravaia e Giovanni Sammarco punti di riferimento nella raccolta del “pizzo” e nella custodia di armi per Cosa Nostra dello Zen e Resuttana. I fratelli Giordano restano però al centro della scena: uno è un boss mafioso che percorre ora il suo ingresso in carcere, l’altro un neo pentito che ha voltato le spalle alla malavita e abbracciato una nuovo modo di guardare la Sicilia. Certo è che l’opinione su Salvatore Giordano sarà diversa a seconda del punto dal quale lo si guarderà: tra i clan mafiosi sarà un venduto e un uomo senza onore (di che onore si parli non c’è chiaro in questi casi). Per altri sarà un uomo a metà, tra il sangue di mafia che per sempre gli scorrerà nelle vene e il tentativo di redimersi per sfuggire alle sue colpe. E poi per altri sarà anche un barlume di speranza per credere che in fondo dalla polvere ci si possa rialzare, che questa Sicilia non sia destinata per sempre a soggiacere al pugno del malaffare, che la mentalità omertosa degli ambienti palermitani possa essere ribaltata e rieducata. Giordano aveva già contribuito a svelare gli accordi tra pezzi di Cosa Nostra per ricostruire l’unità dell’organizzazione. Le sue dichiarazioni, insieme a quelle di un altro pentito della stessa zona, Manuel Pasta, avevano infatti consentito agli inquirenti di ricostruire gli organigrammi della famiglia di San Lorenzo, di scoprire il tentativo delle cosche di stringere nuove alleanze per superare le difficoltà che gli ultimi arresti avevano provocato alla mafia. Oggi invece si trova davanti al dovere, o alla necessità, di opporsi al Noi mafioso che non permette individualità e nel quale è cresciuto, all’omertà sociale che gli è stata tramandata, all’idea che sia preferibile morire piuttosto che tradire la famiglia mafiosa. Salvatore Giordano ha accusato il proprio fratello ma ciò costituisce anche una riflessione sul fatto che ogni violazione del codice dell’omertà è un piccolo progresso dello spirito comunitario della polis. Il regno della morale capovolta, dove tacere è bene e parlare è male può ancora essere abbattuto. 27/10/2010 BLOG SICILIA
Il pentito Giordano: il pizzo anche ai negozianti abusivi dello Zen 13 Giugno 2011 Lo ha svelato l’ambulante interrogato a Torino nel corso del processo contro Giuseppe Liga, diventato capo-mandamento per conto dei Lo Piccolo. Anche i rivenditori senza licenza versavano 5-10 euro a settimana come riconoscimento dell’autorità mafiosa
Dovevano pagare tutti allo Zen, dagli ambulanti ai gommisti. Erano inclusi anche i negozianti abusivi, per lo più proprietari di rivendite di detersivi, alimentari e abbigliamento, aperti senza alcuna autorizzazione in magazzini o scantinati di fortuna. La somma da versare era di 5-10 euro alla settimana, come riconoscimento dell’autorità mafiosa.
A svelare questi dettagli è il pentito Salvatore Giordano, chiamato a testimoniare davanti la terza sezione del tribunale di Torino al processo contro Giuseppe Liga. Giordano, che girava allo Zen con la sua moto ape per vendere pesce, ha dichiarato di non aver mai incontrato Liga, ma di sapere chi era e cosa aveva fatto. Giordano, infatti, pur ammettendo di non aver mai avuto contatti diretti con Liga, sapeva che l’architetto era diventato il reggente del mandamento per conto dei Lo Piccolo.
Oltre alla pratica delle estorsioni, Giordano ha parlato della volontà del nuovo boss di mettere un pò di ordine nella cosca dello Zen. Dopo aver ricevuto alcune lamentele Liga, infatti, aveva estromesso Nicola Ferrara, il “cassiere” della cosca che si occupava di scommesse clandestine e totonero, perché sospettato di aver approfittato degli incassi. E al suo posto aveva piazzato Francesco Costa, detto “puffetto” e Guido Spina.
Nuovo pentito di mafia Domenico Giordano referente mafioso allo Zen e a Partanna Mondello, ha deciso di saltare il fosso. Segue le orme del fratello Salvatore. Sta raccontando i segreti della nuova mafia di San Lorenzo. I parenti si sono dissociati dalla sua scelta. Clan di Tommaso Natale
Domenico Giordano, 56 anni, ha scelto di saltare il fosso due anni dopo essere finito in carcere. Ha seguito l’esempio del fratello Salvatore, l’uomo che con le sue dichiarazioni lo ha spedito in galera, nell’ottobre del 2010. Era stato lui a tracciarne il ruolo di referente mafioso a Partanna Mondello e allo Zen, dove il neo pentito passava a riscuotere il pizzo. I soldi servivano per rimpinguare le casse dell’organizzazione e campare le famiglie dei carcerati. Un ruolo delicato che aveva imparato a ricoprire restando vicino a Franco Franzese, il bracciio destro di Salvatore Lo Piccolo. Franzese è stato il primo a decidere di voltare pagina, offrendo agli investigatori la chiave per conoscere i segreti del granitico mandamento di San Lorenzo. Dopo di lui, in tanti hanno scelto di passare dalla parte dello Stato.
Due anni fa arrivò il turno di Salvatore Giordano, insospettabile pescivendolo di giorno e mafioso di notte. Aveva fatto tutta la trafila senza mai finire in carcere. Quando mancava davvero poco a fare il definito salto di qualità. Quando era tutto pronto per il suo battesimo di Cosa nostra, Salvatore Giordano mise il suo destino nella mani degli agenti della Direzione investigativa antimafia. Immaginava un futuro diverso, per lui e per i suoi figli. Per mesi fece l’infiltrato. Un doppio gioco pericoloso, ma mai venuto a galla. E così tracciò i nuovi assetti della mafia di San Lorenzo che cercava di riorganizzarsi trovando alleanze a Santa Maria del Gesù.
Ora tocca al fratello seguirne le orme. E’ già sotto protezione in una località segreta. I familiari più stretti si sono dissociati dalla sua scelta. Adesso tocca a lui offrire una mappa aggiornata del potere. Chi comanda oggi a San Lorenzo dopo l’arresto dell’ultimo reggente, quel Giulio Caporrimo che organizzava i summit nel maneggio di Villa Pensabene? Chi sono i gregari della nuova mafia a caccia di credibilità? Risposte che partono da una certezza investigativa. La mafia, a San Lorenzo come altrove, sta cercando di rialzare la testa. 24.9.2012 LIVE SICILIA