Il 25 gennaio 1983 Cosa nostra uccide Giangiacomo Ciaccio Montalto


Giangiacomo Ciaccio Montalto (Milano, 20 ottobre 1941 – Valderice, 25 gennaio 1983) magistrato vittima di Cosa nostra.  Nato a Milano da famiglia trapanese[1], suo padre, Enrico, era magistrato di Cassazione. Il nonno materno, Giacomo Montalto, era notaio e fu sindaco di Erice. Il fratello Enrico, giovane dirigente comunista[2], partecipò alle lotte bracciantili nel dopoguerra. Enrico morì a 22 anni in un incidente stradale. Entrò in magistratura nel 1970 e divenne Sostituto procuratore della Repubblica di Trapani, dove era arrivato nel 1971. Negli anni ’70 è stato pubblico ministero nel processo contro Michele Vinci, condannato per i delitti del cosiddetto “mostro di Marsala”, che nella città siciliana aveva rapito, gettato in un pozzo e lasciato morire tre bambine, tra cui una nipote.[1] Dal 1977 Ciaccio Montalto si trovò ad indagare sui mafiosi della provincia di Trapani e sui loro legami con il mondo imprenditoriale e bancario trapanese[3]: le inchieste si basarono anche su indagini patrimoniali, ricostruendo il percorso del denaro sporco nelle banche di Trapani.

A fine anni ’70 il suo lavoro si concentrò sul clan dei Minore: Antonino detto “Totò”, Calogero, Giuseppe e Giacomo. Sulla scrivania di Montalto finì, su sua richiesta, un dossier dei carabinieri in cui venivano riportate le attività del clan: omicidi, corruzione, spaccio di stupefacenti, traffico d’armi[4]. I Minore furono coinvolti in varie indagini come il finto sequestro dell’industriale Rodittis e il sequestro di Luigi Corleo. Il clan dei Minore era alleato dei corleonesi. Montalto fece riesumare perfino la salma di Giovanni Minore per verificare che fosse realmente morto d’infarto e si dice che quest’azione fu considerata blasfema dai Minore[2]. Nel ’79 Ciaccio Montalto chiese un mandato di cattura per traffico di materiale bellico[4] per Antonino Minore che fuggì da Trapani per evitare di essere arrestato.

Infine nell’ottobre 1982 Ciaccio Montalto spiccò quaranta ordini di cattura per associazione mafiosa contro mafiosi e imprenditori della zona, che però furono tutti scarcerati per insufficienza di prove nel giro di qualche mese. Ciaccio Montalto ricevette delle minacce e una croce nera fatta con una bomboletta spray sul cofano della sua Volkswagen Golf[2].

Montalto fino al 1982 visse con la moglie Marisa La Torre, anch’ella trapanese, e con le loro tre figlie Maria Irene, Elena e Silvia. Nel 2001 Marisa diverrà per alcuni mesi vicesindaco di Trapani.[5]

Deluso dallo scarso risultato delle sue inchieste, Ciaccio Montalto all’inizio degli anni ’80 decise di chiedere il trasferimento a Firenze in Toscana.

Tre settimane prima di essere ucciso, Ciaccio Montalto andò a Trento per incontrarsi con il procuratore Carlo Palermo al fine di scambiarsi informazioni riservate sull’inchiesta che riguardava il traffico di stupefacenti[4].

Omicidio Tuttavia nella notte del 25 gennaio 1983 alle 01:30 venne ucciso a Valderice da tre uomini armati di mitraglietta e due pistole calibro 38[6] mentre rientrava a casa, privo di scorta e a bordo della sua auto non blindata nonostante le minacce ricevute.
I vicini non avvertirono le autorità perché sospettavano fossero spari legati ai cacciatori di frodo[2] e così il corpo esanime del magistrato venne ritrovato da un pastore alle 6:45. Ciaccio Montalto aveva quarantadue anni[7].

Esequie Le esequie di stato furono celebrate nella cattedrale di San Lorenzo dal vescovo di Trapani monsignor Emanuele Romano. Accorsero circa ventimila persone[2]. Il Presidente della repubblica Sandro Pertini presiedette poche ore dopo una convocazione ufficiale del consiglio superiore della magistratura a Palermo dove disse: « il popolo italiano non può essere confuso con il terrorismo e il popolo siciliano non può essere confuso con la mafia »[2].  di Caltanissetta e la sentenza d’assoluzione venne confermata nel 1994 dalla Cassazione[9].

Nel 1995 le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Rosario Spatola, Giacoma Filippello, Vincenzo Calcara e Matteo Litrico) portarono all’identificazione dei veri responsabili dell’omicidio: vennero infatti rinviati a giudizio i boss mafiosi Salvatore Riina, Mariano Agate, Mariano Asaro (ritenuto l’esecutore materiale) e l’avvocato massone Antonio Messina, che avevano ordinato il delitto perché il trasferimento ormai deciso del magistrato alla Procura di Firenze avrebbe minacciato gli interessi mafiosi in Toscana[10].
Nel 1998 Riina e Agate vennero condannati all’ergastolo in primo grado mentre l’avvocato Messina e Mariano Asaro vennero assolti; la sentenza venne anche confermata nei successivi due gradi di giudizio[11].


LA MACCHINA SBAGLIATA
(era di Vincenzo e non dei killer)
 
E’ la mattina del 25 gennaio 1983, quarant’anni fa.
Sopra Trapani, a Valderice, tre killer uccidono Giangiacomo Ciaccio Montalto un magistrato che in solitudine indaga sui misteri mafiosi.
Partiamo da Palermo molto presto per raggiungere Valderice.
L’auto è una vistosissima Fiat 128 coupè di colore giallo.
La guida Vincenzo Vasile, un bravissimo giornalista, inviato del quotidiano L’Unità.
Su uno dei tornanti l’auto sbanda e va fuori strada, paura, le ruote anteriori girano a vuoto e sotto c’è un burrone.
Miracolosamente nessuno si fa male.
L’auto non si muove più, è in bilico sul precipizio.
Ci arrampichiamo verso Valderice a piedi, con le macchine per scrivere fra le mani, poi recuperiamo un passaggio e riscendiamo a Trapani per seguire il clamoroso caso dell’uccisione di un sostituto procuratore della repubblica.
Palazzo di Giustizia, polizia, carabinieri, fonti trapanesi, il Comune.
Intorno all’ora di pranzo troviamo riparo in un bar per concederci un caffè e riordinare le idee.
La televisione è accesa, c’è il telegiornale.
All’improvviso spunta la faccia del questore di Trapani – ricordo che si chiamava Gonzales o Gonsales con “s” e a prima vista mi sembrava che portasse un parrucchino rosso – che annuncia davati a una telecamera:
«ABBIAMO INDIVIDUATO L’AUTO DEI KILLER, STRANAMENTE NON L’HANNO DATA ALLE FIAMME”.
Un lungo istante di silenzio.
Poi io scoppio a ridere, Vincenzo resta a bocca aperta, stordito.
Sullo schermo scorrono le immagini, che si soffermano su una vistosissima Fiat 128 coupè di colore giallo targata Palermo.
E’ la macchina di Vincenzo.
E’ la macchina sbagliata.
Mi racconterà Vincenzo che, nel pomeriggio, è risalito a Valderice con il fotografo dell’Ansa Nino Sgroi e che, intorno all’auto, la sua auto, c’erano ancora numerosi poliziotti della Scientifica.
“Sono un giornalista”, ha urlato lui tirando fuori dalla tasca la sua tessera professionale.
Panico fra i presenti.
Negli anni successivi – mi racconterà sempre Vincenzo – alcune agenzie di stampa riprendevano “il mistero dell’auto gialla” usata dai killer di Giangiacomo Ciaccio Montalto. Arricchendo la storia di altri improbabili dettagli. Qualcuno arrivò a dichiarare pure: “Quel giorno fu la prima volta che la mafia usava un’auto pulita”.
Quarant’anni fa, capitava spesso a Trapani che le forze di polizia TROVAVASSERO LA MACCHINA SBAGLIATA
ATTILIO BOLZONI

 

Note

  1. ^ a b scheda muro della memoria – Per Non Dimenticare
  2. ^ a b c d e f Saverio LodatoAnche l’83 fu un anno tremendo, in Trent’anni di mafia, Rizzoli, 2008, pp. 116-123, ISBN 978-88-17-01136-5.
  3. ^ ‘COSTA SI È VENDUTO, CI SONO LE PROVE’ – Repubblica.it
  4. ^ a b c UCCISERO IL GIUDICE CHE SAPEVA – Repubblica.it
  5. ^ https://www.bottegheoscure.it/rassegna/notdett.asp?quale=33
  6. ^ SCOTLAND YARD ESAMINA LE ARMI DELLA MAFIA – Repubblica.it
  7. ^ 25 gennaio 1983 Valderice (TP). Ucciso il Magistrato Gian Giacomo Ciaccio Montalto
  8. ^ UCCISI 2 KILLER DELLA MAFIA – Repubblica.it
  9. ^ TUTTI ASSOLTI PER L’OMICIDIO CIACCIO MONTALTO – Repubblica.it
  10. ^ FU RIINA A CONDANNARE A MORTE IL GIUDICE CIACCIO MONTALTO – Repubblica.it
  11. ^ NOTIZIE IN BREVE N3 | Articoli Arretrati Archiviato il 4 ottobre 2013 in Internet Archive.

Bibliografia