Il 25 gennaio 1983 Cosa nostra uccide Giangiacomo Ciaccio Montalto

L’ORA 25 gennaio 1983

 


25.1.2024 L’omicidio Ciaccio Montalto, la targa cancellata e l’impegno degli studenti

 

Quarantuno anni fa la mafia uccideva il magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto. Nel giorno dell’anniversario docenti e studenti dell’Istituto Mario Rutelli di Palermo hanno organizzato un momento di ricordo.

“Riteniamo essenziale, specialmente in un contesto in cui taluni sembrano minimizzare la pericolosità della mafia e del crimine organizzato, che la memoria di Ciaccio Montalto catalizzi un impegno collettivo. In questo momento cruciale in cui prepariamo il terreno per il nostro futuro – scrive il collettivo degli studenti – non possiamo sottostimare l’importanza di abbracciare la conoscenza di storie come quella di Ciaccio Montalto, che fu tra i primi ad indagare sull’intreccio criminale fra mafia, politica e massoneria, in un territorio, la provincia di Trapani, crocevia di sporchi affari e indicibili accordi, che toccano il potere anche ai piani più alti”.

“La figura del magistrato, il suo metodo investigativo che anticipa quello di Giovanni Falcone, la sua caparbietà e il suo sacrificio sono ancora oggi, ingiustamente, poco valorizzati, e pagano anni di negazione”, spiega Giulia Argiroffi, consigliere comunale e professoressa del Rutelli. Nei mesi scorsi gli studenti si sono accorti che qualcuno aveva cancellato la parola “MAFIA” dalla targa della piazza a lui intitolata davanti alla scuola, nella zona di corso Calatafimi. Stamani ne sarà apposta una nuova. Non si può e non si deve cancellare l’orrore mafioso.

Nella notte tra il 24 e il 25 gennaio 1983, killer rimasti ignoti assassinarono il sostituto procuratore di Trapani. Aveva appena ottenuto il trasferimento a Firenze. Fecero fuoco con due pistole e una mitraglietta non appena lo videro varcare in macchina il cancello di ingresso della sua villetta a Valderice. Aveva 42 anni. All’indomani avrebbe dovuto tenere la requisitoria in un processo per omicidio.

Grande conoscitore dei fenomeni mafiosi, Ciaccio Montalto nel corso della sua carriera si era occupato di inchieste delicate, come quella sulle distrazioni di denaro legate alla ricostruzione post terremoto del Belice. Fu tra i primi a capire che bisognava colpire gli interessi economici delle cosche, applicando la legge “Rognoni-La Torre” del 1982.

Eppure a lungo il delitto non fu trattato come un omicidio di mafia.Qualcuno parlò addirittura di pista passionale. Ed invece furono Salvatore Riina e Mariano Agate a volere la morte del magistrato. Le sue indagini avevano dato fastidio e temevano che una volta giunto a Firenze Ciaccio Montalto avrebbe seguito gli affari mafiosi lontano dalla Sicilia. Le condanne sono definitive, i killer sono ancora senza volto. Per fortuna c’è la memoria coltivata dai ragazzi.

 

“Mio papà, Ciaccio Montalto, era solo. Via dalla Sicilia per le minacce”

“Mio padre è stato lasciato solo. Ha lottato ed è stato assassinato. Io non posso credere più nella giustizia”.

Maria Irene Ciaccio Montalto è figlia di Giangiacomo, il giudice, ucciso dalla mafia il 25 gennaio del 1983. Tutti la chiamano Marene, un’onda sonora aggraziata, un fluire che, alla fine, ha avuto la meglio sul dolore aguzzo di uno strappo. Sono passati quarantuno anni. Il dottore Ciaccio Montalto era un magistrato rigoroso, un gentiluomo schivo, uno dei pionieri del contrasto a Cosa nostra. Era un marito e un padre innamorato di sua moglie Marisa e delle sue figlie, Marene, Elena e Silvia. Amava la musica classica. Gli spararono di notte, tra il 24 e il 25 gennaio, il corpo fu ritrovato la mattina dopo. Ha lasciato un vuoto, quest’uomo appartato e affettuoso, che va colmato per quanto possibile con incessante impegno.

Signora Marene, grazie per questa chiacchierata, in giorni talmente densi.
“Sono io che ringrazio chi sostiene la memoria di mio padre. Che è stato dimenticato”.

Perché?
“Una domanda dolorosa che non ha ricevuto ancora risposta e che, forse, mai l’avrà. Papà non meritava l’oblìo, è stato uno dei primi a intraprendere certe indagini molto pericolose. Qualcuno, anche al tribunale di Trapani, ha preferito non vedere”.

Chi?
“Io mi riferisco a un certo contesto. Papà era completamente solo, ma si è esposto lo stesso in prima persona quando non c’era niente che lo sostenesse”.

Girava senza scorta e senza auto blindata. Come mai?
“Non si sentiva così importante. Un suo amico giudice, Mario Almerighi, purtroppo scomparso, ne aveva parlato con lui e glielo aveva chiesto: perché non ti impunti? L’ho saputo dal diretto interessato”.

Quale era stata la risposta di suo padre?
“Che non voleva mettere a rischio le ragazze e i ragazzi di una scorta. Che preferiva affrontare il pericolo da solo”.

Suo padre viene ucciso e voi lasciate la Sicilia qualche mese dopo. Volevate allontanarvi dall’epicentro della sofferenza o temevate per la vostra incolumità?
“Mia madre si è ritrovata sola a quarant’anni, con tre figlie. Le minacce continuavano, con le telefonate anonime, specialmente contro di me, la figlia più grande. Io ho avuto la scorta mai data a papà. A giugno, con la fine delle scuole, mamma ha capito che non potevamo vivere così e siamo andate via, a Parma. La scelta più saggia, compiuta da una donna meravigliosa, pure lei morta troppo presto. Siamo state fortunate ad avere due genitori così”.

La voce della Signora Marene appartiene allo stesso fluire del suo nome. E’ piana e scorre con dolcezza, in mezzo alle lacrime sedimentate dagli anni. Una voce e tante voci. La donna che non si è arresa. La bambina di dodici anni a cui portarono la notizia che suo padre non c’era più.

Come l’avete appreso?
“Papà si era trasferito da Trapani a Valderice, in campagna, per proteggerci. La mattina del 25 gennaio ero a scuola. Venne a prendermi un amico di famiglia che mi accompagnò a casa sua con una scusa. Il giorno dopo tornai a casa nostra e c’erano tanti parenti, persone che non vedevo da tempo. Mamma aveva gli occhi rossi e il viso stravolto. Ci disse: “Bambine mie, è successa una cosa tremenda: papà è morto… Mi perdoni se mi commuovo. Sono cose intime”.

Lei, in una intervista alla Gazzetta di Parma, in occasione della cattura di Messina Denaro, aveva espresso la speranza di sapere tutto, finalmente, nei dettagli.
“In effetti una vera speranza non l’ho mai nutrita. Comunque, con la sua morte, il discorso è chiuso. Pensi che lavoro all’ospedale Maggiore di Parma, dove era ricoverato Totò Riina… Però non c’è mai stato un pentimento in persone che hanno seminato tanti lutti”.

Con suo padre, condivide la passione della musica.
“Papà era verdiano, poi amava molto Puccini. Stravedeva per Beethoven. Un giorno, nel suo studio, mi fece ascoltare il Don Carlos con un magnifico assolo di violoncello. Strumento che ho studiato”.

Signora Marene, lei crede nello Stato e nella giustizia?
“Vorrei tanto. Ma, mio malgrado e secondo la mia esperienza, devo risponderle di no”.

Roberto Puglisi LIVE SICILIA 25.1.2024


Giangiacomo Ciaccio Montalto (Milano, 20 ottobre 1941 – Valderice, 25 gennaio 1983) magistrato vittima di Cosa nostra.  Nato a Milano da famiglia trapanese[1], suo padre, Enrico, era magistrato di Cassazione. Il nonno materno, Giacomo Montalto, era notaio e fu sindaco di Erice. Il fratello Enrico, giovane dirigente comunista[2], partecipò alle lotte bracciantili nel dopoguerra. Enrico morì a 22 anni in un incidente stradale. Entrò in magistratura nel 1970 e divenne Sostituto procuratore della Repubblica di Trapani, dove era arrivato nel 1971. Negli anni ’70 è stato pubblico ministero nel processo contro Michele Vinci, condannato per i delitti del cosiddetto “mostro di Marsala”, che nella città siciliana aveva rapito, gettato in un pozzo e lasciato morire tre bambine, tra cui una nipote.[1] Dal 1977 Ciaccio Montalto si trovò ad indagare sui mafiosi della provincia di Trapani e sui loro legami con il mondo imprenditoriale e bancario trapanese[3]: le inchieste si basarono anche su indagini patrimoniali, ricostruendo il percorso del denaro sporco nelle banche di Trapani.
A fine anni ’70 il suo lavoro si concentrò sul clan dei Minore: Antonino detto “Totò”, Calogero, Giuseppe e Giacomo. Sulla scrivania di Montalto finì, su sua richiesta, un dossier dei carabinieri in cui venivano riportate le attività del clan: omicidi, corruzione, spaccio di stupefacenti, traffico d’armi[4]. I Minore furono coinvolti in varie indagini come il finto sequestro dell’industriale Rodittis e il sequestro di Luigi Corleo. Il clan dei Minore era alleato dei corleonesi. Montalto fece riesumare perfino la salma di Giovanni Minore per verificare che fosse realmente morto d’infarto e si dice che quest’azione fu considerata blasfema dai Minore[2]. Nel ’79 Ciaccio Montalto chiese un mandato di cattura per traffico di materiale bellico[4] per Antonino Minore che fuggì da Trapani per evitare di essere arrestato.

Infine nell’ottobre 1982 Ciaccio Montalto spiccò quaranta ordini di cattura per associazione mafiosa contro mafiosi e imprenditori della zona, che però furono tutti scarcerati per insufficienza di prove nel giro di qualche mese. Ciaccio Montalto ricevette delle minacce e una croce nera fatta con una bomboletta spray sul cofano della sua Volkswagen Golf[2].
Montalto fino al 1982 visse con la moglie Marisa La Torre, anch’ella trapanese, e con le loro tre figlie Maria Irene, Elena e Silvia. Nel 2001 Marisa diverrà per alcuni mesi vicesindaco di Trapani.[5]
Deluso dallo scarso risultato delle sue inchieste, Ciaccio Montalto all’inizio degli anni ’80 decise di chiedere il trasferimento a Firenze in Toscana.
Tre settimane prima di essere ucciso, Ciaccio Montalto andò a Trento per incontrarsi con il procuratore Carlo Palermo al fine di scambiarsi informazioni riservate sull’inchiesta che riguardava il traffico di stupefacenti[4].
Omicidio Tuttavia nella notte del 25 gennaio 1983 alle 01:30 venne ucciso a Valderice da tre uomini armati di mitraglietta e due pistole calibro 38[6] mentre rientrava a casa, privo di scorta e a bordo della sua auto non blindata nonostante le minacce ricevute.
I vicini non avvertirono le autorità perché sospettavano fossero spari legati ai cacciatori di frodo[2] e così il corpo esanime del magistrato venne ritrovato da un pastore alle 6:45. Ciaccio Montalto aveva quarantadue anni[7].
Esequie Le esequie di stato furono celebrate nella cattedrale di San Lorenzo dal vescovo di Trapani monsignor Emanuele Romano. Accorsero circa ventimila persone[2]. Il Presidente della repubblica Sandro Pertini presiedette poche ore dopo una convocazione ufficiale del consiglio superiore della magistratura a Palermo dove disse: « il popolo italiano non può essere confuso con il terrorismo e il popolo siciliano non può essere confuso con la mafia »[2].  di Caltanissetta e la sentenza d’assoluzione venne confermata nel 1994 dalla Cassazione[9].
Nel 1995 le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Rosario Spatola, Giacoma Filippello, Vincenzo Calcara e Matteo Litrico) portarono all’identificazione dei veri responsabili dell’omicidio: vennero infatti rinviati a giudizio i boss mafiosi Salvatore Riina, Mariano Agate, Mariano Asaro (ritenuto l’esecutore materiale) e l’avvocato massone Antonio Messina, che avevano ordinato il delitto perché il trasferimento ormai deciso del magistrato alla Procura di Firenze avrebbe minacciato gli interessi mafiosi in Toscana[10]. 
Nel 1998 Riina e Agate vennero condannati all’ergastolo in primo grado mentre l’avvocato Messina e Mariano Asaro vennero assolti; la sentenza venne anche confermata nei successivi due gradi di giudizio[11].


LA MACCHINA SBAGLIATA
(era di Vincenzo e non dei killer)
 
E’ la mattina del 25 gennaio 1983, quarant’anni fa.
Sopra Trapani, a Valderice, tre killer uccidono Giangiacomo Ciaccio Montalto un magistrato che in solitudine indaga sui misteri mafiosi.
Partiamo da Palermo molto presto per raggiungere Valderice.
L’auto è una vistosissima Fiat 128 coupè di colore giallo.
La guida Vincenzo Vasile, un bravissimo giornalista, inviato del quotidiano L’Unità.
Su uno dei tornanti l’auto sbanda e va fuori strada, paura, le ruote anteriori girano a vuoto e sotto c’è un burrone.
Miracolosamente nessuno si fa male.
L’auto non si muove più, è in bilico sul precipizio.
Ci arrampichiamo verso Valderice a piedi, con le macchine per scrivere fra le mani, poi recuperiamo un passaggio e riscendiamo a Trapani per seguire il clamoroso caso dell’uccisione di un sostituto procuratore della repubblica.
Palazzo di Giustizia, polizia, carabinieri, fonti trapanesi, il Comune.
Intorno all’ora di pranzo troviamo riparo in un bar per concederci un caffè e riordinare le idee.
La televisione è accesa, c’è il telegiornale.
All’improvviso spunta la faccia del questore di Trapani – ricordo che si chiamava Gonzales o Gonsales con “s” e a prima vista mi sembrava che portasse un parrucchino rosso – che annuncia davati a una telecamera:
«ABBIAMO INDIVIDUATO L’AUTO DEI KILLER, STRANAMENTE NON L’HANNO DATA ALLE FIAMME”.
Un lungo istante di silenzio.
Poi io scoppio a ridere, Vincenzo resta a bocca aperta, stordito.
Sullo schermo scorrono le immagini, che si soffermano su una vistosissima Fiat 128 coupè di colore giallo targata Palermo.
E’ la macchina di Vincenzo.
E’ la macchina sbagliata.
Mi racconterà Vincenzo che, nel pomeriggio, è risalito a Valderice con il fotografo dell’Ansa Nino Sgroi e che, intorno all’auto, la sua auto, c’erano ancora numerosi poliziotti della Scientifica.
“Sono un giornalista”, ha urlato lui tirando fuori dalla tasca la sua tessera professionale.
Panico fra i presenti.
Negli anni successivi – mi racconterà sempre Vincenzo – alcune agenzie di stampa riprendevano “il mistero dell’auto gialla” usata dai killer di Giangiacomo Ciaccio Montalto. Arricchendo la storia di altri improbabili dettagli. Qualcuno arrivò a dichiarare pure: “Quel giorno fu la prima volta che la mafia usava un’auto pulita”.
Quarant’anni fa, capitava spesso a Trapani che le forze di polizia TROVAVASSERO LA MACCHINA SBAGLIATA
ATTILIO BOLZONI


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Note

  1. ^ a b scheda muro della memoria – Per Non Dimenticare
  2. ^ a b c d e f Saverio LodatoAnche l’83 fu un anno tremendo, in Trent’anni di mafia, Rizzoli, 2008, pp. 116-123, ISBN 978-88-17-01136-5.
  3. ^ ‘COSTA SI È VENDUTO, CI SONO LE PROVE’ – Repubblica.it
  4. ^ a b c UCCISERO IL GIUDICE CHE SAPEVA – Repubblica.it
  5. ^ https://www.bottegheoscure.it/rassegna/notdett.asp?quale=33
  6. ^ SCOTLAND YARD ESAMINA LE ARMI DELLA MAFIA – Repubblica.it
  7. ^ 25 gennaio 1983 Valderice (TP). Ucciso il Magistrato Gian Giacomo Ciaccio Montalto
  8. ^ UCCISI 2 KILLER DELLA MAFIA – Repubblica.it
  9. ^ TUTTI ASSOLTI PER L’OMICIDIO CIACCIO MONTALTO – Repubblica.it
  10. ^ FU RIINA A CONDANNARE A MORTE IL GIUDICE CIACCIO MONTALTO – Repubblica.it
  11. ^ NOTIZIE IN BREVE N3 | Articoli Arretrati Archiviato il 4 ottobre 2013 in Internet Archive.

Bibliografia