il CLAN dei CORLEONESI

 

Il clan dei Corleonesiè stata una fazione all’interno di Cosa nostra formatasi negli anni settanta, così chiamata perché i suoi leader più importanti provenivano dalla famiglia di CorleoneLuciano LiggioSalvatore RiinaBernardo Provenzano e Leoluca Bagarella[2]

corleonesi non vanno tuttavia identificati solamente come gli appartenenti alla famiglia di Corleone, ma come una fazione di cosche mafiose che hanno appoggiato prima Luciano Liggio e in seguito Totò Riina e Bernardo Provenzano.[3][4] Della fazione corleonese facevano quindi parte anche rappresentanti mafiosi di altre province, come Nitto Santapaola della provincia di Catania e Francesco Messina Denaro della provincia di Trapani.

Nel corso della seconda guerra di mafia, agli inizi degli anni ottanta, il clan dei corleonesi si contrappose alla “fazione dei palermitani” rappresentata, tra gli altri, da Gaetano BadalamentiStefano Bontate e Salvatore Inzerillo. La vittoria dei corleonesi e in particolare l’ascesa di Totò Riina al vertice dell’organizzazione segnarono una nuova era nella storia della mafia siciliana, inaugurando una stagione di attentati contro lo Stato che culminò nelle stragi del 1992-1993 e che fu all’origine, agli inizi degli anni novanta, della cosiddetta trattativa Stato-mafia.

Nel 1971Luciano Liggio organizzò il sequestro a scopo di estorsione di Antonino Caruso, figlio dell’industriale Giacomo, ed anche quello del figlio del costruttore Francesco Vassallo mentre nel 1972Salvatore Riina si rese responsabile del sequestro del costruttore Luciano Cassina, figlio del conte Arturo, nel quale vennero implicati uomini della cosca di Giuseppe Calò: Liggio e Riina provvidero a distribuire i riscatti dei sequestri tra le varie cosche della provincia di Palermo per ingraziarsele e queste si schierarono dalla loro parte, costituendo il primo nucleo della fazione corleonese, che era avversa ai bossStefano Bontate e Gaetano Badalamenti[5][6]. Secondo il collaboratore di giustizia Antonino Calderone, in quel periodo Riina lamentava che Badalamenti aveva organizzato da solo un traffico di stupefacenti «all’insaputa degli altri capimafia che versavano in gravi difficoltà economiche»[7][8].

Secondo il collaboratore di giustizia Leonardo Messina, i Corleonesi «non hanno ucciso la gente (i Cinardo di MazzarinoBontateInzerillo), li hanno fatti uccidere mettendoli in una trappola. […] Hanno creato le condizioni per far uccidere le persone dai loro uomini […] hanno creato le tragedie in tutte le Famiglie. Le Famiglie non erano più d’accordo […] così hanno fatto a Palma di Montechiaro, a Riesi, a San Cataldo, a Enna, a Catania»[9].

Per queste ragioni, all’interno delle province si vennero a creare i seguenti schieramenti:

  Bontate-Badalamenti Corleonesi
PALERMO E PROVINCIA Stefano Bontate e Mimmo Teresi (Santa Maria di Gesù), Gaetano Badalamenti (Cinisi), Salvatore Inzerillo (Passo di Rigano), Rosario Riccobono (Partanna-Mondello), Salvatore Scaglione (Noce), Antonino Salamone (San Giuseppe Jato), Giuseppe di Maggio (Brancaccio), Giovanni Di Peri (Villabate), Francesco Di Noto (Corso dei Mille), Giuseppe Panno (Casteldaccia), Calogero Pizzuto (Castronovo di Sicilia) Luciano LiggioSalvatore Riina e Bernardo Provenzano (Corleone), Michele Greco (Ciaculli), Bernardo Brusca (San Giuseppe Jato), Giuseppe Calò (Porta Nuova), Francesco Madonia (Resuttana), Antonino Geraci (Partinico), Raffaele Ganci (Noce), Pietro Aglieri (Santa Maria di Gesù), Filippo Marchese (Corso dei Mille), Giuseppe Giacomo Gambino (San Lorenzo), Francesco Di Carlo (Altofonte), Antonino Rotolo (Pagliarelli), Leonardo Greco (Bagheria), Giuseppe Farinella (San Mauro Castelverde)
PROVINCIA DI TRAPANI Salvatore Minore (Trapani), Natale e Leonardo Rimi (Alcamo), Ignazio e Nino Salvo (Salemi), Antonino Buccellato (Castellammare del Golfo) Mariano Agate (Mazara del Vallo), Francesco Messina Denaro (Castelvetrano), Vincenzo Virga (Trapani)
PROVINCIA DI AGRIGENTO Giuseppe Settecasi (Alessandria della Rocca), Leonardo Caruana (Siculiana), Carmelo Salemi (Agrigento) Carmelo Colletti (Ribera), Antonio Ferro e Giuseppe De Caro (Canicattì)
PROVINCIA DI CALTANISSETTA Giuseppe Di Cristina (Riesi), Francesco Cinardo (Mazzarino), Luigi Calì (San Cataldo) Giuseppe Madonia (Vallelunga Pratameno), Salvatore Mazzarese (Villalba)
PROVINCIA DI CATANIA Giuseppe Calderone e Alfio Ferlito (Catania) Nitto Santapaola (Catania), Calogero Conti (Ramacca)

Nel 1978 Riina mise Badalamenti in minoranza nella “Commissione” con una scusa e lo fece espellere[10], facendo passare l’incarico di dirigere la “Commissione” a Michele Greco, con cui era strettamente legato[4]; fu in questo periodo che la fazione corleonese prese la maggioranza nella “Commissione” perché Riina fece nominare nuovi capi mandamento tra i suoi associati attraverso Michele Greco: dopo aver preso il sopravvento, i Corleonesi procedettero all’eliminazione dei propri avversari, che sfociò nella cosiddetta «seconda guerra di mafia» nella provincia di Palermo, ed insediarono una nuova “Commissione” provinciale e regionale, composte soltanto da esponenti della fazione corleonese fedeli a Riina e Provenzano[6][11].

Nel 1993, dopo l’arresto di Riina, si creò una divisione all’interno dello schieramento corleonese: infatti vi era una fazione contraria alla continuazione della cosiddetta “strategia stragista“, guidata da Provenzano e composta dai boss Nino GiuffrèPietro AglieriBenedetto SperaRaffaele GanciSalvatore Cancemi, Michelangelo La Barbera, Matteo Motisi, Giuseppe Madonia e Nitto Santapaola, mentre l’altra fazione era guidata da Leoluca Bagarella e comprendeva l’ala militare dell’organizzazione, composta da Giovanni BruscaMatteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano, i quali erano favorevoli alla continuazione degli attentati dinamitardi e riuscirono a mettere in minoranza la fazione di Provenzano, il quale confermò il suo appoggio alle stragi ma riuscì a porre la condizione che avvenissero in continente, cioè fuori dalla Sicilia, come già deciso prima dell’arresto di Riina[12][13].

Legami con la politica e la finanza  Vito Ciancimino Il principale referente politico dei Corleonesi inizialmente fu Vito Ciancimino[14], il quale nel 1976 instaurò un rapporto di collaborazione con la corrente dell’onorevole Giulio Andreotti, in particolare con Salvo Lima, che sfociò poi in un formale inserimento in tale gruppo politico e nell’appoggio dato dai delegati vicini a Ciancimino alla corrente andreottiana in occasione dei congressi nazionali della Democrazia Cristiana svoltisi nel 1980 e nel 1983[15]. Per proteggere gli interessi di Ciancimino, Riina propose alla “Commissione” gli omicidi dei suoi avversari politici, che vennero approvati dal resto della fazione corleonese, che ormai era la componente maggioritaria della “Commissione“: il 9 marzo 1979 fu ucciso Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana che era entrato in contrasto con costruttori legati a Ciancimino; il 6 gennaio 1980 venne eliminato Piersanti Mattarella, presidente della Regione che contrastava Ciancimino per un suo rientro nel partito con incarichi direttivi; il 30 aprile 1982 venne trucidato Pio La Torre, segretario regionale del PCI che aveva più volte indicato pubblicamente Ciancimino come personaggio legato a Cosa Nostra[16].

Negli anni settanta i Corleonesi, attraverso Giuseppe Calò, si avvalevano di Roberto Calvi e Licio Gelli per il riciclaggio di denaro sporco, che veniva investito nello IOR e nel Banco Ambrosiano, la banca di Calvi[17][18]. Nel 1981, a seguito del fallimento definitivo del Banco Ambrosiano, Calvi cercherà di tornare alla guida della banca per salvare il denaro investito dai Corleonesi andato perduto nella bancarotta, però i suoi tentativi falliranno e nel 1982 Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano subentrato a Calvi, sopravvisse ad un agguato compiuto da esponenti della banda della Magliana legati a Giuseppe Calò; Calvi partì per Londra, forse per tentare un’azione di ricatto dall’estero verso i suoi precedenti alleati politici, tra cui l’onorevole Giulio Andreotti, ma il 18 giugno 1982 venne ritrovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge[18][19].

Dopo l’inizio della «seconda guerra di mafia», i cugini Ignazio e Nino Salvo, ricchi e famosi esattori affiliati alla cosca di Salemi, furono risparmiati dai Corleonesi per “i possibili collegamenti con Lima ed Andreotti”, venendo incaricati di curare le relazioni con l’onorevole Salvo Lima, che divenne il loro nuovo referente politico, soprattutto per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali, dopo essere stato legato a Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti sempre attraverso i cugini Salvo[20][21]; infatti, secondo i collaboratori di giustizia, l’onorevole Lima si sarebbe attivato per modificare in Cassazione la sentenza del Maxiprocesso di Palermo che condannava Riina e molti altri boss all’ergastolo[15].

Tuttavia però il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò gli ergastoli del Maxiprocesso[22] e sancì la validità delle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta. Sempre secondo le testimonianze dei collaboratori di giustizia, Riina decise allora di lanciare un avvertimento all’allora presidente del consiglio Andreotti, che si era disinteressato alla sentenza ed anzi aveva firmato un decreto-legge che aveva fatto tornare in carcere gli imputati del Maxiprocesso scarcerati per decorrenza dei termini e quelli agli arresti domiciliari[15][23]: per queste ragioni il 12 marzo 1992 Lima venne ucciso alla vigilia delle elezioni politiche[24] ed, alcuni mesi dopo, la stessa sorte toccò ad Ignazio Salvo[25].

Interesse per l’industria televisiva I Corleonesi avevano in progetto l’acquisto di una rete televisiva Fininvest nei primi anni ’90. Per ottenere la richiesta venne minacciato di morte con una lettera scritta a mano da Riina l’allora imprenditore Silvio Berlusconi, alla missiva si ricollegano quindi precedenti intercettazioni telefoniche in cui l’uomo parlava di violente pretese di estorsioni, e l’allontanamento dei familiari all’estero per un po’ di tempo voluto dallo stesso.[26]

  1. ^ La fine del potere dei corleonesi. Riina parla della trattativa Stato mafia, a modo suo
  2. ^ lacndb.com::Italian Mafia
  3. ^ Il Viandante – Sicilia 1978
  4. ^ a b ‘La Mattanza Dei Corleonesi’ In Tre Anni Oltre Mille Morti – La Repubblica.It
  5. ^ La quarta mafia – Documenti della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA (PDF).
  6. ^ a b E LEGGIO SPACCO’ IN DUE COSA NOSTRA – Repubblica.it» Ricerca
  7. ^ Interrogatorio del collaboratore di giustizia Antonino Calderone
  8. ^ Il contesto mafioso e don Tano Badalamenti – Documenti del Senato della Repubblica XIII LEGISLATURA (II parte) (PDF).
  9. ^ Testimonianza di Leonardo Messina dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia – IX legislatura
  10. ^ Il contesto mafioso e don Tano Badalamenti – Documenti del Senato della Repubblica XIII LEGISLATURA (III parte) (PDF).
  11. ^ Procedimento penale contro Greco Michele ed altri – Procura della Repubblica di Palermo (PDF).
  12. ^ I pentiti del terzo millennio | Articoli Arretrati Archiviato il 19 ottobre 2013 in Internet Archive.
  13. ^ Audizione del procuratore Sergio Lari dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia – XVI LEGISLATURA (PDF).
  14. ^ è morto Vito Ciancimino la Dc ai tempi dei Corleonesi – la Repubblica.it
  15. ^ a b c Processo di 1º grado al senatore Giulio Andreotti Archiviato il 9 maggio 2013 in Internet Archive.
  16. ^ DELITTI POLITICI, FU SOLO COSA NOSTRA – la Repubblica.it
  17. ^ Mannoia: ” Gelli riciclava in Vaticano i soldi di Riina “
  18. ^ a b Il caso Calvi, un mistero italiano
  19. ^ 1970-1982:Banchieri, faccendieri e massoni
  20. ^ Andreotti assolto ma amico dei boss – Antimafiaduemila.com Archiviato il 6 giugno 2013 in Internet Archive.
  21. ^ ‘ LIMA GARANTIVA COSA NOSTRA E IL SUO CAPOCORRENTE SAPEVA’ – Repubblica.it
  22. ^ Archivio – LASTAMPA.it Archiviato il 19 ottobre 2013 in Internet Archive.
  23. ^ QUANDO RIINA DECISE DI FAR LA GUERRA ALLO STATO – Repubblica.it
  24. ^ Stragi, il ‘papello’ e tangentopoli 1992, l’anno che cambiò l’Italia – Inchieste – la Repubblica
  25. ^ Il Viandante – Sicilia 1992
  26. ^ Minacce della mafia a Berlusconi: giallo su una lettera dell’89, La Stampa, 3 luglio 2009. URL consultato il 18 maggio 2017.