IL PAPELLO

 

Per papello[1] (termine derivato dal siciliano papeddu) si intende “un biglietto o uno scritto, lungo e circostanziato: una lettera, un ricorso, un rapporto disciplinare”,[2][3] contenente delle indicazioni.[4]

Nel giornalismo italiano dei primi anni duemila, il termine ha assunto una certa fama in riferimento all’accordo tra elementi di Cosa nostra e pubblici ufficiali dello Stato italiano agli inizi degli anni ’90 del XX secolo. Per la prima volta una copia del “papello” venne consegnata ai Pm palermitani da Massimo Ciancimino attraverso il suo legale di fiducia avv. Francesca Russo il 15 ottobre del 2009.

La trattativa stato-mafia Le vicende di mafia degli anni ’80 e gli anni ’90, con gli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e le successive bombe del ’92 e ’93 di MilanoFirenze e Roma, sono state più volte oggetto di indagini che hanno coinvolto diversi personaggi, tra cui Vito CianciminoTotò Riina e Bernardo Provenzano.

Negli anni successivi alcuni pentiti di mafia hanno rilasciato dichiarazioni tali da mettere in dubbio la versione originaria dei fatti, testimoniando il coinvolgimento di pubblici ufficiali dello Stato in una trattativa con Cosa Nostra. Tali dichiarazioni, ad oggi, non sono ancora mai state accertate da nessun tribunale e nessuna sentenza di condanna è mai stata emessa nei confronti di alcuno per reati riconducibili a quelli ipotizzati. Attualmente, presso il tribunale di Palermo, è in corso un procedimento di primo grado[5] nei confronti di diverse imputati tra politici, uomini delle forze dell’ordine e uomini di mafia, accusati di “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”[6].

Nel 2009, in relazione a tale vicenda, sono stati ascoltati come testimoni anche i politici Nicola Mancino e Luciano Violante.

Secondo le dichiarazioni rilasciate da Massimo Ciancimino (figlio dell’ex-sindaco di Palermo Vito Ciancimino), la trattativa, avviata da Totò Riina e Bernardo Provenzano all’inizio degli anni novanta, sarebbe proseguita almeno fino al 2000, con l’aggiunta della partecipazione dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano[7].

A quanto emerge dai primi risultati dell’indagine avviata nel 2009 (nella quale è stato sentito come testimone anche l’ex-ministro Claudio Martelli) la trattativa avrebbe avuto inizialmente due fasi distinte, prima e dopo le stragi che hanno ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In entrambi i casi, emerge un ruolo attivo svolto da Vito Ciancimino.

Secondo quanto testimoniato da Massimo Ciancimino nel processo per favoreggiamento intentato dalla Procura di Palermo contro il Gen. Mario Mori ed il Col Mauro Obinu, nell’estate del 1992, subito dopo l’uccisione del giudice Giovanni Falcone, i Carabinieri avrebbero avviato una trattativa, tramite Vito Ciancimino, con i vertici di cosa nostra. Per tutta risposta, cosa nostra avrebbe avanzato delle richieste allo stato, attraverso il famigerato papello . Il documento è stato portato alla luce dal figlio di Vito CianciminoMassimo Ciancimino[8].

Nel corso del citato processo, Massimo Ciancimino è stato ascoltato numerose volte come teste principale dell’accusa, e i documenti da lui prodotti, compreso il papello, sono stati oggetto di approfondita analisi da parte della difesa dei due imputati che ne ha evidenziarne numerose incongruenze e manipolazioni. Nello specifico, Massimo Ciancimino ha presentato due versioni del papello: una redatta da Vito Ciancimino ed un’altra in una grafia che non è stato possibile ricondurre a nessuno dei capimafia fino ad oggi conosciuti[9]. Inoltre, nessuno dei documenti prodotti, compreso il papello, erano in originale, bensì in fotocopia.

Il processo si è concluso il 17 luglio 2013 con la seguente sentenza: “Il Tribunale di Palermo, visti gli articoli 378 e 530 del Codice di procedura penale, assolve Mori Mario e Obinu Mauro dell’imputazione ai medesimi ascritta perché il fatto non costituisce reato. Visto l’articolo 207 del Codice di procedura penale ordina la trasmissione di copia della presente sentenza delle deposizioni rese da Ciancimino Massimo e da Riccio Michele all’ufficio del Procuratore della Repubblica in sede per quanto di sua competenza”[10][11].

Il Tribunale ha quindi assolto con formula piena Mori e Obinu dall’accusa di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano e ha ravvisato, a carico dei due principali testi dell’accusa, Massimo Ciancimino e Michele Riccio, ai sensi dell’art. 207[12] del Codice di Procedura Penale, indizi del reato previsto dall’articolo 372 del Codice Penale (falsa testimonianza)[13].

Anche il capitano “Ultimo“, ha ritenuto non attendibili le dichiarazioni di Ciancimino sulla collaborazione tra Stato e mafia nella cattura di Riina, indicando nel figlio dell’ex sindaco di Palermo un servo di Totò Riina[14].

La volontà di Cosa Nostra, allora comandata dallo stesso Riina, passò attraverso le mani di Vito Ciancimino con dodici richieste allo Stato, contenute appunto in un papeddu:

  1. Revisione della sentenza del maxi-processo;
  2. Annullamento dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario (cosiddetto carcere duro);
  3. Revisione della legge Rognoni-La Torre (reato di associazione mafiosa);
  4. Riforma della legge sui pentiti;
  5. Riconoscimento dei benefici dissociati per i condannati per mafia (come per le Brigate Rosse);
  6. Arresti domiciliari dopo i 70 anni di età;
  7. Chiusura delle super-carceri;
  8. Carcerazione vicino alle case dei familiari;
  9. Nessuna censura sulla posta dei familiari;
  10. Misure di prevenzione e rapporto con i familiari;
  11. Arresto solo in flagranza[15] di reato;
  12. Defiscalizzazione della benzina in Sicilia (come per Aosta)[16][17].

Al primo elenco di richieste, prodotte direttamente da Cosa Nostra, ne venne allegato un altro, con modifiche alle richieste prodotte da Vito Ciancimino, come mostrato dal figlio dell’ex sindaco di Palermo, che ha consegnato ai giudici che si occupano del caso entrambi i manoscritti[18].

Note

  1. ^ Da papiropapýrus in latino e pàpyros in greco, che sono all’origine degli etimi moderni riguardanti la carta da scrivere: in francese papier, in inglese paper, in portoghese e spagnolo papel e in napoletano papiéllo.
  2. ^ Papellu, citato da Vincenzo Consolo nel La parola. Corriere della sera. Archivio storico. 20 luglio 2009.
  3. ^ Dal siciliano “papellu” (a sua volta da papýrus in latino e pàpyros in greco, che sono all’origine degli etimi moderni riguardanti la carta da scrivere: in francese papier, in inglese paper, in portoghese e spagnolo papel e in napoletano papiéllo).
  4. ^ Papellu
  5. ^ Trattativa Stato-mafia, via al processo La Procura: “Aggravante per Mancino” – Palermo – Repubblica.it
  6. ^ Trattativa Stato-mafia, il gup ha deciso: rinvio a giudizio per tutti i 10 imputati – Il Messaggero
  7. ^ 
  8. ^ Ciancimino jr consegna ai pm il papello originale
  9. ^ Corriere della Sera – Ecco il «papello»
  10. ^ Mafia, assolti Mori e Obinu. Per i giudici non favorirono Provenzano – Il Sole 24 ORE
  11. ^ Assolto l’ex generale del Ros Mario Mori “Non favorì la latitanza del boss Provenzano” – Palermo – Repubblica.it
  12. ^ https://www.testolegge.com/procedura-penale/articolo-207-4
  13. ^ https://www.testolegge.com/codice-penale/articolo-372
  14. ^ Ciancimino jr: “Riina tradito da Provenzano” Insorge il capitano Ultimo: “Tutto falso” – cronaca – Repubblica.it
  15. ^ “fragranza” nel testo originario
  16. ^ Stato-mafia, ecco il papello, in L’Espresso, 15 ottobre 2009 (archiviato dall’url originale il 1º settembre 2010).
  17. ^ Ecco il papello, in Corriere della Sera, 16 ottobre 2009.
  18. ^ Stato-mafia, ecco il papello, in L’Espresso, 15 ottobre 2009 (archiviato dall’url originale il 1º settembre 2010).

 

Il clan dei Corleonesi è stata una fazione all’interno di Cosa nostra formatasi negli anni settanta, così chiamata perché i suoi leader più importanti provenivano dalla famiglia di CorleoneLuciano LiggioSalvatore RiinaBernardo Provenzano e Leoluca Bagarella[2]

corleonesi non vanno tuttavia identificati solamente come gli appartenenti alla famiglia di Corleone, ma come una fazione di cosche mafiose che hanno appoggiato prima Luciano Liggio e in seguito Totò Riina e Bernardo Provenzano.[3][4] Della fazione corleonese facevano quindi parte anche rappresentanti mafiosi di altre province, come Nitto Santapaola della provincia di Catania e Francesco Messina Denaro della provincia di Trapani.

Nel corso della seconda guerra di mafia, agli inizi degli anni ottanta, il clan dei corleonesi si contrappose alla “fazione dei palermitani” rappresentata, tra gli altri, da Gaetano BadalamentiStefano Bontate e Salvatore Inzerillo. La vittoria dei corleonesi e in particolare l’ascesa di Totò Riina al vertice dell’organizzazione segnarono una nuova era nella storia della mafia siciliana, inaugurando una stagione di attentati contro lo Stato che culminò nelle stragi del 1992-1993 e che fu all’origine, agli inizi degli anni novanta, della cosiddetta trattativa Stato-mafia.

Nel 1971Luciano Liggio organizzò il sequestro a scopo di estorsione di Antonino Caruso, figlio dell’industriale Giacomo, ed anche quello del figlio del costruttore Francesco Vassallo mentre nel 1972Salvatore Riina si rese responsabile del sequestro del costruttore Luciano Cassina, figlio del conte Arturo, nel quale vennero implicati uomini della cosca di Giuseppe Calò: Liggio e Riina provvidero a distribuire i riscatti dei sequestri tra le varie cosche della provincia di Palermo per ingraziarsele e queste si schierarono dalla loro parte, costituendo il primo nucleo della fazione corleonese, che era avversa ai bossStefano Bontate e Gaetano Badalamenti[5][6]. Secondo il collaboratore di giustizia Antonino Calderone, in quel periodo Riina lamentava che Badalamenti aveva organizzato da solo un traffico di stupefacenti «all’insaputa degli altri capimafia che versavano in gravi difficoltà economiche»[7][8].

Secondo il collaboratore di giustizia Leonardo Messina, i Corleonesi «non hanno ucciso la gente (i Cinardo di MazzarinoBontateInzerillo), li hanno fatti uccidere mettendoli in una trappola. […] Hanno creato le condizioni per far uccidere le persone dai loro uomini […] hanno creato le tragedie in tutte le Famiglie. Le Famiglie non erano più d’accordo […] così hanno fatto a Palma di Montechiaro, a Riesi, a San Cataldo, a Enna, a Catania»[9].

Per queste ragioni, all’interno delle province si vennero a creare i seguenti schieramenti:

 

  Bontate-Badalamenti Corleonesi
Palermo e provincia Stefano Bontate e Mimmo Teresi (Santa Maria di Gesù), Gaetano Badalamenti (Cinisi), Salvatore Inzerillo (Passo di Rigano), Rosario Riccobono (Partanna-Mondello), Salvatore Scaglione (Noce), Antonino Salamone (San Giuseppe Jato), Giuseppe di Maggio (Brancaccio), Giovanni Di Peri (Villabate), Francesco Di Noto (Corso dei Mille), Giuseppe Panno (Casteldaccia), Calogero Pizzuto (Castronovo di Sicilia) Luciano LiggioSalvatore Riina e Bernardo Provenzano (Corleone), Michele Greco (Ciaculli), Bernardo Brusca (San Giuseppe Jato), Giuseppe Calò (Porta Nuova), Francesco Madonia (Resuttana), Antonino Geraci (Partinico), Raffaele Ganci (Noce), Pietro Aglieri (Santa Maria di Gesù), Filippo Marchese (Corso dei Mille), Giuseppe Giacomo Gambino (San Lorenzo), Francesco Di Carlo (Altofonte), Antonino Rotolo (Pagliarelli), Leonardo Greco (Bagheria), Giuseppe Farinella (San Mauro Castelverde)
provincia di Trapani Salvatore Minore (Trapani), Natale e Leonardo Rimi (Alcamo), Ignazio e Nino Salvo (Salemi), Antonino Buccellato (Castellammare del Golfo) Mariano Agate (Mazara del Vallo), Francesco Messina Denaro (Castelvetrano), Vincenzo Virga (Trapani)
provincia di Agrigento Giuseppe Settecasi (Alessandria della Rocca), Leonardo Caruana (Siculiana), Carmelo Salemi (Agrigento) Carmelo Colletti (Ribera), Antonio Ferro e Giuseppe De Caro (Canicattì)
provincia di Caltanissetta Giuseppe Di Cristina (Riesi), Francesco Cinardo (Mazzarino), Luigi Calì (San Cataldo) Giuseppe Madonia (Vallelunga Pratameno), Salvatore Mazzarese (Villalba)
provincia di Catania Giuseppe Calderone e Alfio Ferlito (Catania) Nitto Santapaola (Catania), Calogero Conti (Ramacca)

Nel 1978 Riina mise Badalamenti in minoranza nella “Commissione” con una scusa e lo fece espellere[10], facendo passare l’incarico di dirigere la “Commissione” a Michele Greco, con cui era strettamente legato[4]; fu in questo periodo che la fazione corleonese prese la maggioranza nella “Commissione” perché Riina fece nominare nuovi capi mandamento tra i suoi associati attraverso Michele Greco: dopo aver preso il sopravvento, i Corleonesi procedettero all’eliminazione dei propri avversari, che sfociò nella cosiddetta «seconda guerra di mafia» nella provincia di Palermo, ed insediarono una nuova “Commissione” provinciale e regionale, composte soltanto da esponenti della fazione corleonese fedeli a Riina e Provenzano[6][11].

Nel 1993, dopo l’arresto di Riina, si creò una divisione all’interno dello schieramento corleonese: infatti vi era una fazione contraria alla continuazione della cosiddetta “strategia stragista“, guidata da Provenzano e composta dai boss Nino GiuffrèPietro AglieriBenedetto SperaRaffaele GanciSalvatore Cancemi, Michelangelo La Barbera, Matteo Motisi, Giuseppe Madonia e Nitto Santapaola, mentre l’altra fazione era guidata da Leoluca Bagarella e comprendeva l’ala militare dell’organizzazione, composta da Giovanni BruscaMatteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano, i quali erano favorevoli alla continuazione degli attentati dinamitardi e riuscirono a mettere in minoranza la fazione di Provenzano, il quale confermò il suo appoggio alle stragi ma riuscì a porre la condizione che avvenissero in continente, cioè fuori dalla Sicilia, come già deciso prima dell’arresto di Riina[12][13].

Legami con la politica e la finanza

Vito Ciancimino Il principale referente politico dei Corleonesi inizialmente fu Vito Ciancimino[14], il quale nel 1976 instaurò un rapporto di collaborazione con la corrente dell’onorevole Giulio Andreotti, in particolare con Salvo Lima, che sfociò poi in un formale inserimento in tale gruppo politico e nell’appoggio dato dai delegati vicini a Ciancimino alla corrente andreottiana in occasione dei congressi nazionali della Democrazia Cristiana svoltisi nel 1980 e nel 1983[15]. Per proteggere gli interessi di Ciancimino, Riina propose alla “Commissione” gli omicidi dei suoi avversari politici, che vennero approvati dal resto della fazione corleonese, che ormai era la componente maggioritaria della “Commissione“: il 9 marzo 1979 fu ucciso Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana che era entrato in contrasto con costruttori legati a Ciancimino; il 6 gennaio 1980 venne eliminato Piersanti Mattarella, presidente della Regione che contrastava Ciancimino per un suo rientro nel partito con incarichi direttivi; il 30 aprile 1982 venne trucidato Pio La Torre, segretario regionale del PCI che aveva più volte indicato pubblicamente Ciancimino come personaggio legato a Cosa Nostra[16].

Negli anni settanta i Corleonesi, attraverso Giuseppe Calò, si avvalevano di Roberto Calvi e Licio Gelli per il riciclaggio di denaro sporco, che veniva investito nello IOR e nel Banco Ambrosiano, la banca di Calvi[17][18]. Nel 1981, a seguito del fallimento definitivo del Banco Ambrosiano, Calvi cercherà di tornare alla guida della banca per salvare il denaro investito dai Corleonesi andato perduto nella bancarotta, però i suoi tentativi falliranno e nel 1982 Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano subentrato a Calvi, sopravvisse ad un agguato compiuto da esponenti della banda della Magliana legati a Giuseppe Calò; Calvi partì per Londra, forse per tentare un’azione di ricatto dall’estero verso i suoi precedenti alleati politici, tra cui l’onorevole Giulio Andreotti, ma il 18 giugno 1982 venne ritrovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge[18][19].

Dopo l’inizio della «seconda guerra di mafia», i cugini Ignazio e Nino Salvo, ricchi e famosi esattori affiliati alla cosca di Salemi, furono risparmiati dai Corleonesi per “i possibili collegamenti con Lima ed Andreotti”, venendo incaricati di curare le relazioni con l’onorevole Salvo Lima, che divenne il loro nuovo referente politico, soprattutto per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali, dopo essere stato legato a Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti sempre attraverso i cugini Salvo[20][21]; infatti, secondo i collaboratori di giustizia, l’onorevole Lima si sarebbe attivato per modificare in Cassazione la sentenza del Maxiprocesso di Palermo che condannava Riina e molti altri boss all’ergastolo[15].

Tuttavia però il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò gli ergastoli del Maxiprocesso[22] e sancì la validità delle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta. Sempre secondo le testimonianze dei collaboratori di giustizia, Riina decise allora di lanciare un avvertimento all’allora presidente del consiglio Andreotti, che si era disinteressato alla sentenza ed anzi aveva firmato un decreto-legge che aveva fatto tornare in carcere gli imputati del Maxiprocesso scarcerati per decorrenza dei termini e quelli agli arresti domiciliari[15][23]: per queste ragioni il 12 marzo 1992 Lima venne ucciso alla vigilia delle elezioni politiche[24] ed, alcuni mesi dopo, la stessa sorte toccò ad Ignazio Salvo[25].

Interesse per l’industria televisiva I Corleonesi avevano in progetto l’acquisto di una rete televisiva Fininvest nei primi anni ’90. Per ottenere la richiesta venne minacciato di morte con una lettera scritta a mano da Riina l’allora imprenditore Silvio Berlusconi, alla missiva si ricollegano quindi precedenti intercettazioni telefoniche in cui l’uomo parlava di violente pretese di estorsioni, e l’allontanamento dei familiari all’estero per un po’ di tempo voluto dallo stesso.[26]

  1. ^ La fine del potere dei corleonesi. Riina parla della trattativa Stato mafia, a modo suo
  2. ^ lacndb.com::Italian Mafia
  3. ^ Il Viandante – Sicilia 1978
  4. ^ a b ‘La Mattanza Dei Corleonesi’ In Tre Anni Oltre Mille Morti – La Repubblica.It
  5. ^ La quarta mafia – Documenti della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA (PDF).
  6. ^ a b E LEGGIO SPACCO’ IN DUE COSA NOSTRA – Repubblica.it» Ricerca
  7. ^ Interrogatorio del collaboratore di giustizia Antonino Calderone
  8. ^ Il contesto mafioso e don Tano Badalamenti – Documenti del Senato della Repubblica XIII LEGISLATURA (II parte) (PDF).
  9. ^ Testimonianza di Leonardo Messina dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia – IX legislatura
  10. ^ Il contesto mafioso e don Tano Badalamenti – Documenti del Senato della Repubblica XIII LEGISLATURA (III parte) (PDF).
  11. ^ Procedimento penale contro Greco Michele ed altri – Procura della Repubblica di Palermo (PDF).
  12. ^ I pentiti del terzo millennio | Articoli Arretrati Archiviato il 19 ottobre 2013 in Internet Archive.
  13. ^ Audizione del procuratore Sergio Lari dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia – XVI LEGISLATURA (PDF).
  14. ^ è morto Vito Ciancimino la Dc ai tempi dei Corleonesi – la Repubblica.it
  15. ^ a b c Processo di 1º grado al senatore Giulio Andreotti Archiviato il 9 maggio 2013 in Internet Archive.
  16. ^ DELITTI POLITICI, FU SOLO COSA NOSTRA – la Repubblica.it
  17. ^ Mannoia: ” Gelli riciclava in Vaticano i soldi di Riina “
  18. ^ a b Il caso Calvi, un mistero italiano
  19. ^ 1970-1982:Banchieri, faccendieri e massoni
  20. ^ Andreotti assolto ma amico dei boss – Antimafiaduemila.com Archiviato il 6 giugno 2013 in Internet Archive.
  21. ^ ‘ LIMA GARANTIVA COSA NOSTRA E IL SUO CAPOCORRENTE SAPEVA’ – Repubblica.it
  22. ^ Archivio – LASTAMPA.it Archiviato il 19 ottobre 2013 in Internet Archive.
  23. ^ QUANDO RIINA DECISE DI FAR LA GUERRA ALLO STATO – Repubblica.it
  24. ^ Stragi, il ‘papello’ e tangentopoli 1992, l’anno che cambiò l’Italia – Inchieste – la Repubblica
  25. ^ Il Viandante – Sicilia 1992
  26. ^ Minacce della mafia a Berlusconi: giallo su una lettera dell’89, La Stampa, 3 luglio 2009. URL consultato il 18 maggio 2017.