Paul Casimir Marcinkus

 

Paul Casimir Marcinkus  Cicero15 gennaio 1922 – Sun City20 febbraio 2006) è stato un arcivescovo cattolico statunitenseNacque a Cicero, un sobborgo di Chicago (Illinois), il 15 gennaio 1922 figlio di immigrati lituani. Il padre, Mykolas Marcinkus, si guadagnava da vivere pulendo i vetri degli uffici.

Trasferitosi a diciotto anni nel seminario maggiore di St. Mary of the Lake a Mundelein, in Illinois, studiò filosofia e teologia e fu ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Chicago il 3 maggio 1947, per poi passare l’anno seguente al tribunale diocesano.

Negli anni cinquanta, trasferitosi a Roma, studiò teologia presso la Pontificia Università Gregoriana ed ebbe la possibilità di lavorare nella prestigiosa sezione inglese della Segreteria di Stato. Ebbe così l’occasione di incontrare e lavorare con monsignor Giovanni Battista Montini, il quale nel 1963 fu eletto papa col nome di Paolo VI. Nello stesso anno fece costruire Villa Stritch, un complesso progettato per ospitare i prelati statunitensi, divenendone il primo rettore[1].

Secondo quanto pubblicato il 12 settembre 1978 dalla rivista OP – Osservatore Politico[2] di Mino Pecorelli (ucciso il 20 marzo 1979), Marcinkus entrò a far parte della massoneria il 21 agosto 1967 con numero di matricola 43/649 e soprannome “Marpa”. Il suo nome era indicato in una lista pubblicata da OP contenente 121 ecclesiastici massoni, fra cui Jean-Marie Villot (Cardinale segretario di Stato), Agostino Casaroli (capo del ministero degli affari esteri del Vaticano), Pasquale Macchi (segretario di Paolo VI), monsignor Donato De Bonis (alto esponente dello IOR), Ugo Poletti (vicario generale di Roma), don Virgilio Levi (vicedirettore de «L’Osservatore Romano»), Annibale Bugnini (cerimoniere pontificio) e Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana).[3][4][5]

Il 24 dicembre 1968 fu nominato organizzatore dei viaggi papali e vescovo titolare di Orta. Ricevette la consacrazione episcopale il 6 gennaio 1969 nella basilica di San Pietro in Vaticano dallo stesso pontefice, co-consacranti gli arcivescovi Sergio Pignedoli, segretario della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e Ernesto Civardi, segretario della congregazione per i vescovi.

Negli anni settanta Paolo VI lo incaricò di organizzare anche il servizio di guardia del corpo alla sua persona. Per tale incarico, oltre che per l’aspetto imponente e le maniere spicce, fu soprannominato “Il Gorilla”[6].

Strinse amicizia con l’uomo d’affari statunitense David Matthew Kennedy, allora presidente della Continental Illinois National Bank di Chicago, poi nominato nel 1969 ministro del tesoro nell’amministrazione Nixon[7][8]. Fu proprio il banchiere-ministro a mettere Marcinkus in contatto con Michele Sindona[7] (finanziere siciliano, membro della P2 e in stretti contatti con la mafia), il quale a sua volta lo introdusse al presidente del Banco AmbrosianoRoberto Calvi[9][10](anch’egli appartenente alla loggia massonica P2). Secondo il giornalista Nick Tosches, invece, che raccolse le memorie di Sindona intervistandolo in carcere (“Il mistero Sindona”, edito nel 1986), fu quest’ultimo a presentare a Marcinkus il presidente della Continental. La Continental era in affari già dal 1960 con Sindona: la banca statunitense aveva acquistato in quell’anno un cospicuo pacchetto azionario della Banca Privata Finanziaria (24,5%).

Con Calvi fondò nel 1971 la Cisalpina Overseas Nassau Bank[11] (poi Banco Ambrosiano Overseas, indagato per riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico[12]) nelle Bahamas, nel cui consiglio di amministrazione figuravano anche Sindona e Licio Gelli[13][14][15].

Fu presidente dell’Istituto per le Opere di Religione (IOR), la banca del Vaticano, dal 1971 al 1989. Di particolare rilievo risultano i rapporti con il Banco Ambrosiano, al cui consiglio di amministrazione Marcinkus partecipò ben 23 volte.

Nel 1972 entrò in contrasto con l’allora patriarca di Venezia Albino Luciani (poi papa Giovanni Paolo I) riguardo alla cessione da parte dello IOR del 37% delle azioni della Banca Cattolica del Veneto al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, senza avvisare i vescovi veneti[1][16].

Il 26 aprile 1973 fu interrogato da William Lynch, capo della Organized Crime and Racketeering Section (OCRS) del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, e William Aronwald, vice capo della Strike Force del distretto sud di New York, riguardo a un caso di riciclaggio di denaro e obbligazioni false che partiva dalla mafia newyorkese e approdava in Vaticano[16], per un totale di 950 milioni di dollari. Alle indagini fecero seguito alcuni arresti, ma Marcinkus fu assolto per insufficienza di prove[17][18].

Il 26 settembre 1981 papa Giovanni Paolo II lo elevò alla dignità di arcivescovo[19] e lo nominò pro-presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano[1], posizione da cui si dimise il 30 ottobre 1990.

In quanto presidente dello IOR rimase invischiato nello scandalo del crack del Banco Ambrosiano, riuscendo a evitare, grazie al passaporto diplomatico vaticano, il mandato di cattura emesso il 20 febbraio 1987 dal giudice istruttore del tribunale di Milano.

Il suo nome è citato anche in altri scandali, quali la morte di papa Giovanni Paolo I, la sparizione di Emanuela Orlandi e gli abusi sessuali compiuti su giovani seminaristi romani .

Rimase in Vaticano sino al 1997, quando, come prescritto dal Codice di Diritto canonico[20], al compimento del 75º compleanno, si dimise da ogni incarico, conservando solo il titolo di arcivescovo, ormai ridotto a una pura onorificenza. Nel 1998 fece ritorno alla sua arcidiocesi di Chicago per poi trasferirsi definitivamente a Sun City, in Arizona, dove, da “pensionato”, ricoprì la carica di quarto parroco della chiesetta di San Clemente[21].

Morì il 20 febbraio 2006 a Sun City ed è sepolto presso il St. Casimir Catholic Cemetery di Chicago[22].

Scandali e questioni irrisolte

 

«Sono stato accusato di aver assassinato il Papa e di essere coinvolto nello scandalo del Banco Ambrosiano, entrambe le cose sono completamente infondate. Dico a me stesso che questo potrebbe essere il modo con il quale Dio si assicura che ho messo il dito nella porta del Paradiso. Perché se io l’ho fatto Egli non può più sbatterla»
(difesa di Paul Marcinkus)


In particolare fu accertato che lo IOR, a quel tempo diretto da Marcinkus, aveva avuto un ruolo primario nel crack del 
Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, in un complicato “risiko bancario” che aveva come ulteriori protagonisti personaggi discussi come Michele Sindona e il “venerabile maestro” della loggia massonica P2Licio Gelli.Il crack del Banco Ambrosiano e il “caso IOR”All’inizio degli anni ottanta, il nome di Marcinkus fu collegato a scandali finanziari riportati in prima pagina sulla stampa di tutto il mondo.

Lo IOR, infatti, aveva concesso nel 1981 a Calvi lettere di patronage, con le quali confermava che «direttamente o indirettamente» esercitava il controllo su Manic. S.A. (Lussemburgo), Astolfine S.A. (Panama), Nordeurop Establishment (Liechtenstein), U.T.C. United Trading Corporation (Panamá), Erin S.A (Panamá), Bellatrix S.A (Panamá), Belrosa S.A (Panamá), Starfield S.A (Panamá)[1], società fantasma con sede in noti paradisi fiscali, che avevano fatto da “paravento” alla destinazione dell’ingarbugliato flusso di denaro che aveva drenato duemila miliardi di lire dalle casse dell’Ambrosiano[23].
Inoltre, secondo le dichiarazioni rese dal pentito di Cosa nostra Vincenzo Calcara, considerate credibili nel 2003 con sentenza del tribunale di Roma (nona sezione penale, con sentenza del 6 giugno 2003)[24], e rese pubbliche solo nel 2008, Marcinkus sarebbe stato il personaggio di raccordo fra l'”entità vaticana” e quella di Cosa nostra per le attività di riciclaggio di denaro. Il pentito, fra l’altro, riferisce di aver trasportato a Roma, pochi mesi prima dell’attentato a Giovanni Paolo II nel 1981, per conto di Tonino Vaccarino (presunto consigliere della famiglia di Castelvetrano) dieci miliardi di lire da investire in Sud America e nei Caraibi attraverso Marcinkus, la Banca Vaticana e il notaio Francesco Albano. L’incontro si sarebbe svolto a casa di quest’ultimo (a detta di Calcara membro, come Marcinkus, dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, “contatto” fra Cosa nostra e il Vaticano, nonché notaio personale di Giulio Andreotti, del boss Luciano Liggio e di Frank Coppola[25]), alla presenza del notaio stesso, di Marcinkus, di un cardinale, di Roberto Calvi, Vincenzino Culicchia (deputato al Parlamento siciliano), Stefano Accardo (detto «cannata»), Vincenzo Furnari, Enzo Leone (anch’egli componente del Parlamento siciliano), Antonino Marotta e il suo padrino Tonino Vaccarino[24].

A seguito dello scandalo, l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta impose lo scioglimento dell’Ambrosiano e la sua liquidazione coatta, avvenuta il 6 agosto 1982. Andreatta stesso tenne uno storico discorso in Parlamento l’8 ottobre 1982, riferendo pubblicamente delle responsabilità della banca vaticana e dei suoi dirigenti, fra cui lo stesso Marcinkus. Secondo i suoi calcoli il Vaticano fu coinvolto nello scandalo per una somma di circa 1.500 miliardi di lire. Nel 1987 Marcinkus venne indagato, assieme ad altri due dirigenti dello IOR, per concorso in bancarotta fraudolenta e venne emesso un mandato di cattura dalla magistratura italiana in rapporto al crack dell’Ambrosiano, ma dopo pochi mesi la Corte di cassazione prima, e quella Costituzionale poi, annullarono il mandato in base all’articolo 11 dei Patti lateranensi[26], facendo venir meno anche la conseguente richiesta di estradizione[27].

L’opinione del Vaticano, accreditata da recenti esternazioni di Giulio Andreotti e dall’opinione di Angelo Caloia[28], è che si agì con leggerezza nel delegare incarichi così delicati a una persona che si rivelò alla fine inadeguata e inesperta. Per David Yallop[29], però, Paul Marcinkus era tutt’altro che un incapace. Semmai, attraverso la conoscenza di Roberto CalviMichele Sindona e Licio Gelli, portò il livello economico del Vaticano a vette mai raggiunte prima, influenzando direttamente o indirettamente svariati governi.

I fatti dell’Ambrosiano tuttavia rimangono ancora tutti da chiarire e costituiscono una zona oscura della recente storia italiana. In particolare, tanto Calvi quanto Sindona furono trovati morti in circostanze misteriose. Il primo, fuggito a Londra, fu trovato impiccato il 18 giugno 1982 sotto il ponte dei Frati Neri sul Tamigi. Il secondo, in carcere per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, fu avvelenato da un caffè al cianuro il 20 marzo 1986 e morì due giorni dopo. Inoltre, la segretaria di Calvi, Graziella Corrocher, fu trovata morta dopo un volo da una finestra del Banco Ambrosiano di Milano il 17 giugno 1982, il giorno prima del ritrovamento del corpo di Calvi.[30][31]

Presunto coinvolgimento nella morte di Papa Giovanni Paolo I

Oltre a questi scandali, alcuni autori[32] (fra cui il giornalista britannico David Yallop, autore del best seller In nome di Dio, pubblicato nel 1984), ipotizzarono che il monsignore fosse coinvolto, insieme al cardinale Villot (all’epoca Segretario di Stato), al cardinale Cody, a Licio Gelli e allo stesso Roberto Calvi, nella morte di papa Giovanni Paolo I, il cui pontificato durò solo 33 giorni e col quale esisteva una forte ostilità. Questa risaliva agli anni settanta, quando Marcinkus aveva venduto a Roberto Calvi del Banco Ambrosiano di Milano il 37% delle azioni della Banca Cattolica del Veneto di Vicenza (fondata per contribuire al lavoro assistenziale del clero veneto), senza informare il patriarca di Venezia (a quei tempi Albino Luciani, futuro Papa Giovanni Paolo I) e i vescovi veneti. Essi, per protesta, chiusero i loro conti presso la Banca Cattolica del Veneto e Luciani trasferì i conti dell’arcivescovado nel Banco di San Marco[16].
Divenuto Papa, riconosciuto come innovatore e rinnovatore, Luciani intendeva riportare la Chiesa cattolica agli ideali originari di umiltà e semplicità, operando riforme nello IOR e nella stessa Curia[33]. Secondo Yallop e il vaticanista Gianni Gennari, infatti, il Papa aveva con sé un taccuino, sparito poco dopo il ritrovamento del corpo, che conteneva un piano di ristrutturazione delle gerarchie ecclesiastiche (fra cui la sostituzione di Villot e Marcinkus).
Secondo questa tesi, la morte del papa, nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1978, sarebbe avvenuta per avvelenamento da digitale.
A dar ulteriore adito all’ipotesi dell’avvelenamento, concorrono le rivelazioni del pentito Vincenzo Calcara rilasciate a Paolo Borsellino e pubblicate nel suo memoriale[34]. Calcara scrive di un colloquio con l’imprenditore e politico mafioso Michele Lucchese (membro di una loggia massonica segreta, secondo Calcara) subito dopo l’attentato a Giovanni Paolo II (al quale i mafiosi partecipano indirettamente[34]). Lucchese rivela a Calcara che Giovanni Paolo II stava perseguendo un disegno simile a quello di Papa Luciani, il quale intendeva «rompere gli equilibri all’interno del Vaticano», attuando una redistribuzione dei beni della Banca Vaticana sostituendo i vertici dello IOR e della Segreteria di Stato (Marcinkus e Villot). Calcara parla così di una “congiura” di quattro cardinali (tra cui Jean-Marie Villot, Giovanni Benelli e un certo Gianvio[35][36]) che, usando Marcinkus, avrebbero fatto uccidere Papa Luciani per mezzo di ingenti dosi di calmante, con l’aiuto del suo medico personale.[34]
Calcara è già stato considerato attendibile, in merito ad altre dichiarazioni, dal tribunale di Roma, nona sezione penale, con sentenza del 6 giugno 2003.[24]
Queste ipotesi non hanno avuto seguito per il momento, ma sussistono dubbi in merito, anche a causa del diniego delle autorità ecclesiastiche a effettuare l’autopsia sul corpo.

Un malvivente statunitense, Antony Luciano Raimondi, della famiglia mafiosa dei Colombo, nipote del famoso padrino Charles “Lucky” Luciano nonché cugino del presule, nel suo libro di memorie intitolato When the Bullet Hits the Bone, pubblicato negli USA dalla casa editrice Page Publishing (2019), sostiene la versione dell’omicidio compiuto direttamente dall’arcivescovo. Questi l’avrebbe convocato a Roma, inserendolo all’interno del Vaticano stesso, affinché studiasse le abitudini del papa. Secondo quanto scritto, Marcinkus avrebbe aggiunto del valium nella tazza di tè che il pontefice era solito bere prima di andare a letto, per indurgli un sonno profondo, per poi inserirgli del cianuro, tramite un contagocce, in bocca. Lo stesso, con gli altri suoi complici, poi, in seguito alla notizia della morte del santo padre, sarebbero accorsi al suo capezzale, simulando stupore per non dare alcun sospetto. L’autore afferma, inoltre, che anche Giovanni Paolo II rischiò di fare la medesima fine, se non fosse stato che abbia accantonato l’idea di perseguire i responsabili della frode in cui erano coinvolti i congiurati.


Scandali, affari e misteri tutti i segreti dello Ior di CURZIO MALTESE   LA CHIESA cattolica è l’unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla lotta alla povertà e la demonizzazione del danaro, “sterco del diavolo”. Vangelo secondo Matteo: “E’ più facile che un cammello passi nella cruna dell’ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. Ma è anche l’unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari e investimenti, l’Istituto Opere Religiose.

La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all’interno delle mura vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da Niccolò V, con mura spesse nove metri alla base. Si entra attraverso una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il presidio delle guardie svizzere notte e giorno ne segnala l’importanza. All’interno si trovano una grande sala di computer, un solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna dell’ago passano immense e spesso oscure fortune. Le stime più prudenti calcolano 5 miliardi di euro di depositi. La banca vaticana offre ai correntisti, fra i quali come ha ammesso una volta il presidente Angelo Caloia “qualcuno ha avuto problemi con la giustizia”, rendimenti superiori ai migliori hedge fund e un vantaggio inestimabile: la totale segretezza. Più impermeabile ai controlli delle isole Cayman, più riservato delle banche svizzere, l’istituto vaticano è un vero paradiso (fiscale) in terra. Un libretto d’assegni con la sigla Ior non esiste. Tutti i depositi e i passaggi di danaro avvengono con bonifici, in contanti o in lingotti d’oro. Nessuna traccia.
Da vent’anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo Ior è un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 406 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni di dollari dovuti secondo l’allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l’avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un killer della mafia venuto dall’America al portone di casa.

Senza contare il mistero più inquietante, la morte di papa Luciani, dopo soli 33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere Paul Marcinkus e i vertici dello Ior. Sull’improvvisa fine di Giovanni Paolo I si sono alimentate macabre dicerie, aiutate dalla reticenza vaticana. Non vi sarà autopsia per accertare il presunto e fulminante infarto e non sarà mai trovato il taccuino con gli appunti sullo Ior che secondo molti testimoni il papa portò a letto l’ultima notte.
Era lo Ior di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri lituano, nato a Cicero (Chicago) a due strade dal quartier generale di Al Capone, protagonista di una delle più clamorose quanto inspiegabili carriere nella storia recente della chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di baseball e golf, era stato l’uomo che aveva salvato Paolo VI dall’attentato nelle Filippine. Ma forse non basta a spiegare la simpatia di un intellettuale come Montini, autore della più avanzata enciclica della storia, la Populorum Progressio, per questo prete americano perennemente atteggiato da avventuriero di Wall Street, con le mazze da golf nella fuoriserie, l’Avana incollato alle labbra, le stupende segreterie bionde e gli amici di poker della P2.
Con il successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito un’intesa. A Karol Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell’Est che parla bene il polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di Solidarnosc. Quando i magistrati di Milano spiccano mandato d’arresto nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte per proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana, sbandiera i passaporti esteri e l’extraterritorialità. Ci vorranno altri dieci anni a Woytjla per decidersi a rimuovere uno dei principali responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza dello Ior. Ma senza mai spendere una parola di condanna e neppure di velata critica: Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche “una vittima”, anzi “un’ingenua vittima”.
Dal 1989, con l’arrivo alla presidenza di Angelo Caloia, un galantuomo della finanza bianca, amico e collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo Ior cambiano. Altre no. Il ruolo di bonificatore dello Ior affidato al laico Caloia è molto vantato dalle gerarchie vaticane all’esterno quanto ostacolato all’interno, soprattutto nei primi anni. Come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un libro fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003). “Il vero dominus dello Ior – scrive Galli – rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporti con tutta la Roma che contava, politica e mondana. Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. E poi aristocratici, finanzieri, artisti come Sofia Loren. Questo spiegherebbe perché fra i conti si trovassero anche quelli di personaggi che poi dovevano confrontarsi con la giustizia. Bastava un cenno del monsignore per aprire un conto segreto”.
A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i correntisti con i contanti o l’oro nel caveau, attraverso una scala, in cima alla torre, “più vicino al cielo”. I contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria sottoposto, saranno frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli: “Un’aurea legge manageriale vuole che, in caso di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest’ultimo a soccombere. Ma essendo lo Ior istituzione particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione di gradi”.
La glasnost finanziaria di Caloia procede in ogni caso a ritmi serrati, ma non impedisce che l’ombra dello Ior venga evocata in quasi tutti gli scandali degli ultimi vent’anni. Da Tangentopoli alle stragi del ’93 alla scalata dei “furbetti” e perfino a Calciopoli. Ma come appare, così l’ombra si dilegua. Nessuno sa o vuole guardare oltre le mura impenetrabili della banca vaticana.
L’autunno del 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4 ottobre arriva al presidente dello Ior una telefonata del procuratore capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: “Caro professore, ci sono dei problemi, riguardanti lo Ior, i contatti con Enimont…”. Il fatto è che una parte considerevole della “madre di tutte le tangenti”, per la precisione 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo Ior. Sul conto di un vecchio cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato nell’inchiesta “Why Not” di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di Borrelli, il presidente Caloia si precipita a consulto in Vaticano da monsignor Renato Dardozzi, fiduciario del segretario di Stato Agostino Casaroli. “Monsignor Dardozzi – racconterà a Galli lo stesso Caloia – col suo fiorito linguaggio disse che ero nella merda e, per farmelo capire, ordinò una brandina da sistemare in Vaticano. Mi opposi, rispondendogli che avrei continuato ad alloggiare all’Hassler. Tuttavia accettai il suggerimento di consultare d’urgenza dei luminari di diritto. Una risposta a Borrelli bisognava pur darla!”. La risposta sarà di poche ma definitive righe: “Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale”.
I magistrati del pool valutano l’ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto “ente fondante della Città del Vaticano”, è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta deve partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola. In compenso l’effetto di una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull’opinione pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione ufficiale: “Lo Ior non poteva conoscere la destinazione del danaro”.
Il secondo episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta, durante il processo per mafia a Marcello Dell’Utri. In video conferenza dagli Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che “Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano”. “Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione”. Fin qui Mannoia fornisce informazioni di prima mano. Da capo delle raffinerie di eroina di tutta la Sicilia occidentale, principale fonte di profitto delle cosche. Non può non sapere dove finiscono i capitali mafiosi. Quindi va oltre, con un’ipotesi. “Quando il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) venne in Sicilia e scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far esplodere due bombe davanti a due chiese di Roma”. Mannoia non è uno qualsiasi.
E’ secondo Giovanni Falcone “il più attendibile dei collaboratori di giustizia”, per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto ad accertare i fatti, quella sullo Ior. I magistrati del caso Dell’Utri non indagano sulla pista Ior perché non riguarda Dell’Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli altri sono a conoscenza del precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva: “Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?”.
Sulle trame dello Ior cala un altro sipario di dieci anni, fino alla scalata dei “furbetti del quartierino”. Il 10 luglio dell’anno scorso il capo dei “furbetti”, Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati: “Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non esagero, due o tre miliardi di euro”. Al pm milanese Francesco Greco, Fiorani fa l’elenco dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane: “I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente dell’Apsa, l’amministrazione del patrimonio immobiliare della chiesa, ndr), quando ho comprato la Cassa Lombarda. M’ha chiesto trenta miliardi di lire, possibilmente su un conto estero”.
Altri seguiranno, molti a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani nell’incontro con il cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della congregazione dei vescovi e braccio destro di Ruini: “Uno che vi ha sempre dato i soldi, come io ve li ho sempre dati in contanti, e andava tutto bene, ma poi quando è in disgrazia non fate neanche una telefonata a sua moglie per sapere se sta bene o male”.
Il Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino all’ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del “complotto politico” contro il governatore. Del resto, la carriera di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche, si spiega in buona parte con l’appoggio vaticano. In prima persona di Camillo Ruini, presidente della Cei, e poi di Giovanni Battista Re, amico intimo di Fazio, tanto da aver celebrato nel 2003 la messa per il venticinquesimo anniversario di matrimonio dell’ex governatore con Maria Cristina Rosati.
Naturalmente neppure i racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello Ior e dell’Apsa, i cui rapporti con le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono quantomeno singolari. E’ difficile per esempio spiegare con esigenze pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman dalla naturale diocesi giamaicana di Kingston, per proclamarle “missio sui iuris” alle dirette dipendenze della Santa Sede e affidarle al cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio dello Ior.
Il quarto e ultimo episodio di coinvolgimento dello Ior negli scandali italiani è quasi comico rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli. Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea, la società di mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia della Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre dell’azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello Ior sarebbe custodito anche il “tesoretto” personale di Luciano Moggi, stimato in 150 milioni di euro. Al solito, rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode di grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa cattolica sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini, Moggi è da poco diventato titolare di una rubrica di “etica e sport” su Petrus, il quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove l’ex dirigente juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a scagliare le prime pietre contro la corruzione (altrui).
Con l’immagine di Luciano Moggi maestro di morale cattolica si chiude l’ultima puntata dell’inchiesta sui soldi della Chiesa. I segreti dello Ior rimarranno custoditi forse per sempre nella torre-scrigno. L’epoca Marcinkus è archiviata ma l’opacità che circonda la banca della Santa Sede è ben lontana dallo sciogliersi in acque trasparenti. Si sa soltanto che le casse e il caveau dello Ior non sono mai state tanto pingui e i depositi continuano ad affluire, incoraggiati da interessi del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire cifre precise è, come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con oltre 407 mila dollari di prodotto interno lordo pro capite, la Città del Vaticano è di gran lunga lo “stato più ricco del mondo”, come si leggeva nella bella inchiesta di Marina Marinetti su Panorama Economy. Secondo le stime della Fed del 2002, frutto dell’unica inchiesta di un’autorità internazionale sulla finanza vaticana e riferita soltanto agli interessi su suolo americano, la chiesa cattolica possedeva negli Stati Uniti 298 milioni di dollari in titoli, 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine, più joint venture con partner Usa per 273 milioni.
Nessuna autorità italiana ha mai avviato un’inchiesta per stabilire il peso economico del Vaticano nel paese che lo ospita. Un potere enorme, diretto e indiretto. Negli ultimi decenni il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte tradizionale delle minoranze laiche e liberali italiane, la finanza. Dal tramonto di Enrico Cuccia, il vecchio azionista gran nemico di Sindona, di Calvi e dello Ior, la “finanza bianca” ha conquistato posizioni su posizioni. La definizione è certo generica e comprende personaggi assai distanti tra loro. Ma tutti in relazione stretta con le gerarchie ecclesiastiche, con le associazioni cattoliche e con la prelatura dell’Opus Dei. In un’Italia dove la politica conta ormai meno della finanza, la chiesa cattolica ha più potere e influenza sulle banche di quanta ne avesse ai tempi della Democrazia Cristiana.
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
(26 gennaio 2008 LA REPUBBLICA)


Note

  1. ^ a b c d Marcinkus, come farsi un tesoro in terra (e forse pure in Cielo), in Il Foglio, 25 giugno 2008 (archiviato dall’url originale il 20 febbraio 2010).
  2. ^ Anno I, N. 21-22 del 12 settembre 1978
  3. ^ Giuseppe Ardagna. La scoperta della lista P2 nella stampa italiana. Napoli, 2004
  4. ^ Domčnech Matilló Rossend. L’avventura delle finanze Vaticane. Pironti. Napoli, 1988
  5. ^ Aldo Musci, Marco Minicangeli, Malaroma, Castelvecchi, 2000, p. 90, ISBN 978-88-8210-211-1.
  6. ^ 
  7. ^ a b Alberto Statera, Storia del banchiere di Dio “amico” di Calvi e Sindona, in repubblica.it, 22 febbraio 2006. URL consultato il 18 dicembre 2009.
  8. ^ Lista dei Ministri del Tesoro degli Stati Uniti Archiviato il 16 maggio 2006 in Internet Archive.
  9. ^ Scheda di Marcinkus su Avvenimenti Italiani, su rifondazione-cinecitta.org (archiviato dall’url originale il 12 maggio 2006).
  10. ^ Da Calvi a Ricucci, articolo su Liberal Giovani Archiviato il 28 agosto 2006 in Internet Archive.
  11. ^The Shady Deals of God’s Banker in The Boot
  12. ^ L’ombra del narcotraffico sul Banco da “Il Corriere della Sera” del 19 aprile 1992
  13. ^ Articolo sul sito della Fondazione Cipriani
  14. ^ Articolo sul sito di “Polizia e Democrazia”
  15. ^ La storia della banca Rasini, sul sito di cobraf.wallstreetitalia.com[collegamento interrotto]
  16. ^ a b c La strana morte di Papa Luciani: un decesso all’italiana? da “Storia in Network Archiviato il 5 agosto 2011 in Internet Archive.
  17. ^Pope John Paul I – a saint for our hour – Part four di Ruth BertelsArchiviato il 12 maggio 2008 in Internet Archive.
  18. ^ 
  19. ^ AAS 74 (1981), p. 564
  20. ^ 
  21. ^ La morte di Paul Marcinkus «banchiere di Dio» in esilio, articolo dal “Corriere della Sera” del 22 febbraio 2006
  22. ^ 
  23. ^ Sergio Bocconi, dalle lettere di patronage all'”esilio” di Marcinkus, in Il Corriere della Sera, 19 aprile 1992. URL consultato il 30 agosto 2008 (archiviato dall’url originale il 1º maggio 2010).
  24. ^ a b c Giorgio Bongiovanni, Assoluzione Piena per il pentito Calcara. La sentenza del giudice Almerighi: il suo racconto è verosimile, in Antimafia Duemila, 35 ottobre 2003 (archiviato dall’url originale il 12 maggio 2008).
  25. ^ Rita Di Giovacchio, Giovanni Pellegrini. Il libro nero della prima Repubblica. Fazi editore, 2005, pag. 328
  26. ^ Sentenza della Corte Costituzionale n.609/1988 che dichiara inammissibile la questione di illegittimità costituzionale sollevata dal giudice istruttore del Tribunale penale di Milano in merito alla sentenza del 17 luglio 1987 della Corte di Cassazione che annullava l’ordinanza confermativa del mandato di cattura.
  27. ^ La richiesta era stata avanzata in base all’articolo 22 del Trattato della Santa Sede con l’Italia, che recita: “La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano, imputate di atti, commessi nel territorio italiano, che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati”: cfr. Domenico Del Rio, MARCINKUS, PARTE L’ESTRADIZIONE, Repubblica — 24 marzo 1987, pagina 9. Marcinkus era in possesso di un passaporto diplomatico vaticano, il che lo sottraeva dall’arresto quando passava in territorio italiano; gli altri due contabili rimasero dietro il Portone di bronzo fino alla pronuncia della Corte di cassazione.
  28. ^ Finanza Bianca, Giancarlo Galli, Mondadori, 2004
  29. ^ David Yallop, “In nome di Dio”, Tullio Pironti Editore, 1992
  30. ^ Graziella Corrocher: una segretaria scomoda, da Girodivite, 2 marzo 2006
  31. ^ITALY’S MYSTERIOUS, DEEPENING BANK SCANDAL, “The New York Times” del 28 luglio 1982
  32. ^ ad es. Matillò R.D.. L’avventura delle finanze Vaticane. Ed.Pironti, Napoli, 1988;
    Don Jesus Lopez Saez Se pedirá cuenta. Muerte y figura di Juan Pablo I. Edizioni Origenes, Madrid, 1990;
    Luigi Incitti. Papa Luciani: una morte sospetta. L’Airone Editrice, Roma, 2001;
    Max Morgan-Witts e Thomas Gordon. Dentro il Vaticano. Storia segreta del pontificato di Giovanni Montini, Albino Luciani e Karol Wojtyla. Pironti Editore, Napoli, 1989 e 1995
  33. ^ I fioretti di papa Luciani, parte IV, da “Humilitas” – anni 1994 – 1995
  34. ^ a b c Lettere e memoriali di Vincenzo Calcara (parte 2), paragrafi 5-6
  35. ^ Forse un errore di trascrizione
  36. ^ Lettere e memoriali di Vincenzo Calcara (parte 5)
  37. ^ a b c d Caso Orlandi, parla la superteste “Rapita per ordine di Marcinkus” da la Repubblica del 24 giugno 2008.
  38. ^ Chi l’ha visto?, puntata andata in onda il 7 luglio 2008
  39. ^ «Sequestro Orlandi, ecco l’auto». Parcheggiata da 13 anni, articolo da “Il Corriere della Sera” del 14 agosto 2008
  40. ^ Vatican Diplomacy: «Il Vaticano: “Accuse infamanti su Marcinkus”»
  41. ^Cidadãos Estrangeiros Agraciados com Ordens Portuguesas, su Página Oficial das Ordens Honoríficas PortuguesasURL consultato il 28 gennaio 2017.

Bibliografia

Voci correlate