PINO MASCIARI, imprenditore sotto scorta dopo aver denunciato la ‘ndrangheta e le sue collusioni con la politica

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Il mio nome è Giuseppe (Pino) Masciari, imprenditore edile calabrese, nato a Catanzaro nel 1959. Sono stato sottoposto a programma speciale di protezione dal 18 ottobre 1997, insieme a mia moglie (medico odontoiatra) e ai miei due bambini. Dal 2010, fuoriuscito dal Programma Speciale di Protezione, vivo sotto scorta.

Ho denunciato la ‘ndrangheta e le sue collusioni con il mondo della politica.

La criminalità organizzata ha distrutto le mie imprese di costruzioni edili, bloccandone le attività sia nelle opere pubbliche che nel settore privato, rallentando le pratiche nella pubblica amministrazione dove essa è infiltrata, intralciando i rapporti con le banche con cui operavo. Non ho accettato le pressioni mafiose dei politici e del racket della ‘ndrangheta.

Il sei per cento ai politici e il tre per cento ai mafiosi, ma anche angherie, assunzioni pilotate, forniture di materiali e di manodopera imposta da qualche capo-cosca o da qualche amministratore, pretese di regali di appartamenti e costruzioni gratuite, finanche acquisto di autovetture: questo fu il prezzo che mi rifiutai di pagare. Fummo allontanati dalla nostra terra per l’imminente pericolo di vita in cui ci siamo trovati esposti, insieme alla mia famiglia.

Cronostoria Da quando operavo nella mia attività con le mie aziende, non mi sono arreso mai ai soprusi della ‘ndrangheta, mi ribello, riferisco tutto all’Autorità Giudiziaria e denuncio; tanto fu ferma la mia scelta di non cedere ai ricatti che  arrivai al punto di dover chiudere tutte le mie imprese licenziando nel settembre 1994 gli ultimi 58 operai rimasti.

Ingresso nel Programma Speciale di Protezione  Il 18 Ottobre 1997 io, mia moglie Marisa e i miei due figli appena nati entrammo nel programma speciale di protezione e scompariamo dalla notte al giorno: niente più famiglia, lavoro, affetti, niente più Calabria. Testimonio nei principali processi contro la ‘ndrangheta e il sistema di collusione, quale parte offesa costituendomi come parte civile. Divento “il principale testimone di giustizia italiano”, così definito dal procuratore generale Pier Luigi Vigna. Inizia il CALVARIO: accompagnamenti con veicoli non blindati, con la targa della località protetta, fatto sedere in mezzo ai numerosi imputati denunciati, intimidito, lasciato senza scorta in diverse occasioni relative ai processi in Calabria, registrato negli alberghi con il mio vero nome e cognome, senza documenti di copertura. Troppi episodi svelano le falle del sistema di protezione che dovrebbe garantire sicurezza per me e la mia famiglia.

Lo Stato istituisce la figura del testimone di giustizia  2001. Con la legge 45/2001 si istituisce la figura del testimone di giustizia, cittadino esemplare che sente il senso civico di testimoniare quale servizio allo Stato e alla Società. Il 28 Luglio 2004, la Commissione Centrale del Ministero degli Interni mi notifica che “sussistono gravi ed attuali profili di rischio, che non consentono di poter autorizzare il ritorno del Masciari e del suo nucleo familiare nella località di origine. Ritenuto che il rientro non autorizzato nella località di origine potrebbe configurare violazione suscettibile di revoca del programma speciale di protezione”.

Revoca del programma speciale di protezione Il 27 Ottobre 2004, tre mesi dopo, la stessa Commissione Centrale del Ministero degli Interni mi notifica il temine del programma speciale di protezione. Tra le motivazioni si indica che i processi erano terminati. Cosa non vera: i processi erano in corso e la D.D.A. di Catanzaro emetteva in data , 6 febbraio 2006 successiva alla delibera, attestato che i processi era in corso di trattazione.

Ricorso contro la revoca  19 Gennaio 2005, faccio ricorso al TAR del Lazio contro la revoca, azione che mi permette di rimanere sotto programma di protezione in attesa di sentenza.

Il programma cessa in ogni caso 1 Febbraio 2005, senza tenere conto del ricorso già in atto, la Commissione Centrale del Ministero dell’Interno delibera ancora una volta di “ invitare il testimone di giustizia Masciari Giuseppe ad esprimere la formale accettazione della precedente delibera ricordando che alla mancata accettazione da parte del Masciari, seguirà comunque la cessazione del programma speciale di protezione”.

Non posso testimoniare ai processi Il 19 Maggio 2006, il mio legale invia una nota alle Autorità competenti per segnalare che i Tribunali erano stati notiziati “della fuoriuscita del Masciari dal programma di protezione” e che pertanto non risultavo essere più soggetto a scorta per accompagnamento nelle sedi di Giustizia. Mi sono recato ugualmente nei processi con senso di DOVERE, accompagnato dalla società civile.

Sentenza del TAR: diritto alla sicurezza Gennaio 2009, dopo 50 mesi a fronte dei 6 mesi stabiliti dalla legge 45/2001 art.10 comma 2 sexies-, il TAR del Lazio pronuncia la sentenza riguardo il ricorso e stabilisce l’inalienabilità del diritto alla sicurezza, l’impossibilità di sistemi di protezione o programmi a scadenza temporale predeterminata e ordina al Ministero di attuare le delibere su sicurezza, reinserimento sociale, lavorativo, risarcimento dei danni. Per tramite del mio legale faccio richiesta formale dell’ottemperanza della sentenza.

Sciopero della fame e della sete  Aprile 2009 Non avendo ricevuto nessuna risposta dalla Commissione Centrale del Ministero dell’Interno, annuncio la volontà di cominciare il 7 aprile lo sciopero della fame e della sete, fintanto che non vedrò rispettati i diritti della mia famiglia ancor prima che i miei. Lo sciopero della fame è l’ultima risorsa, supportata dlla società civile e dagli “Amici di Pino Masciari” vista l’urgente necessità di tornare a vivere che dichiarano: «Grazie a Pino Masciari abbiamo imparato ad amare lo STATO. Tredici anni di sofferenza e esilio sono un prezzo altissimo che i Masciari hanno pagato con dignità, senza mai rinnegare la scelta fatta. E’ ora che questo STATO riconosca loro quanto dovuto. Noi, Società Civile, non possiamo accettare questa scelta senza lottare fino all’ultimo istante al fine di evitare l’ennesimo estremo sacrificio della famiglia Masciari. Basta una firma, e la volontà di apporla. Per i cittadini, lo STATO e la Costituzione. Per la Famiglia Masciari.»

Il 14 maggio termina lo sciopero della fame e della sete a seguito dell’impegno preso dalla Presidenza della Repubblica attraverso la nota del 12 maggio, che da quel momento mi  assegna scorta e tutela adeguata e ulteriori vetture di staffetta, che mi hanno accompagnato

Due eventi preoccupanti  Il 21 luglio 2009, sul davanzale della mia ex sede della ditta di costruzioni (attualmente ufficio legale di mio fratello), a Vibo Valentia, è stato ritrovato un ordigno inesploso. Il 19 agosto l’abitazione in località segreta nella quale risiedo con la mia famiglia, è stata violata. In questo caso posso pensare si è trattato probabilmente di ladri comuni (cosa comunque gravissima, a riprova della vulnerabilità cui siamo soggetti), nel precedente è stata invece la ‘ndrangheta, che ricorda di non avere fretta, non dimentica.

L’uscita dal Programma speciale di protezione  Nel 2010 ho concordato la conclusione del Programma Speciale di Protezione in comune sintonia con il Ministero dell’Interno, dando cosi inizio ad una nuova fase della mia vita e quella della mia famiglia. Oggi vivo alla luce del sole, pur rimanendo “sotto scorta”.

L’inizio di una nuova vita  «”Quando istituzioni e società civile si assumono le proprie responsabilità lo Stato vince. In questo credo e continuo a credere ed è per questo che sono certo che la mia vicenda si concluderà con la giusta reintroduzione sia in ambito lavorativo che sociale ed umano“.» In questi anni ho girato l’Italia, ho solidarizzato con i familiari delle vittime di mafia ed altre associazioni, persino oltre confine, sono stato a raccontare la mia storia in numerosissimi istituti scolastici e incontri organizzati dalla società civile. Inoltre ho ottenuto la cittadinanza onoraria di molte città.  E infine, si è deciso – insieme a mia moglie – di raccontare la nostra storia in un libro. Si intitola Organizzare il coraggio. La nostra vita contro la ‘ndrangheta, lo ha pubblicato la casa editrice torinese “Add”.


23 ANNI FA’ COMINCIÒ TUTTO CiÒ CHE SIAMO E FINÌ TRISTEMENTE CIÒ CHE ERAVAMO!  Era esattamente la mezzanotte ed un minuto del 18 ottobre di 23 anni fa, quando bussarono alla porta della nostra abitazione e ci sentimmo dire: “siamo noi, dobbiamo andare!”. Partimmo con il cuore in gola e con tanta paura, ma non senza la speranza che da li a poco saremmo potuti ritornare nella nostra casa. I nostri figli molto piccoli (1 e 2 anni) non potevano realizzare quanto stesse accadendo, ma purtroppo lo avrebbero fatto col tempo, così come è stato per noi, più il tempo passava e più si materializzava una vita fatta di nascondigli e paradossi nei quali le uniche certezze erano le nostre vite in pericolo! Da quel sabato di 23 anni fa poco è cambiato e sicuramente qualcosa è rimasto, una tra tutte la paura con la quale oggi conviviamo, spesso inconsciamente dimenticandocene ma che a volte viene prepotentemente fuori a ricordarci le nostre, “imposte” diversità, il nostro stato da esiliati, impossibilitati a ritornare nella nostra casa, lì dove siamo nati e cresciuti, li dove abbiamo amato e pianto, ma sempre lì con i nostri affetti, la nostra terra! La consapevolezza di non poter vivere più una vita “normale” c’è sempre stata, forse qualche volta la speranza ci ha illusi dandoci quel briciolo di felicità che avremmo voluto e che più di tutti, i nostri figli avrebbero meritato! Questa data non ci abbandonerà mai perché tatuata nel cuore e nell’anima, perchè fa’ parte del nostro quotidiano ed ogni anno ci ricorderà inesorabilmente quel lontano 18 ottobre in cui tutto iniziò ma che paradossalmente tutto finì!  Pino Masciari 18 ottobre 2020

 

Pino Masciari, all’anagrafe Giuseppe Masciari (Catanzaro5 febbraio 1959), imprenditore italianotestimone di giustizia.  Masciari, imprenditore edile calabrese, è stato sottoposto dal 18 ottobre 1997, assieme alla moglie e ai due figli, ad un programma speciale di protezione per aver denunciato la ’ndrangheta – la criminalità organizzata calabrese – e le sue collusioni politiche. Pino Masciari intraprese l’attività lavorativa nell’impresa edile del padre rilevandola, nel 1988, alla morte di quest’ultimo. I suoi problemi iniziarono il giorno in cui decise di non sottostare ulteriormente alle pressioni mafiose dei politici e al racket della ‘ndrangheta. La criminalità organizzata, insieme a personaggi di spicco del mondo politico ed istituzionale, cominciò a intralciare le sue imprese di costruzioni edili bloccandone le attività, rallentando le pratiche nella pubblica amministrazione dove era infiltrata e intralciando i rapporti con le banche con cui egli operava. Una delle due imprese in suo possesso, la “Masciari Costruzioni”, operava nel campo degli appalti pubblici, case popolari, impianti sportivi, scuole, strade, restauri di centri storici, ecc. L’altra impresa, ereditata da suo padre, in cui Masciari svolgeva il ruolo di amministratore, si occupava del settore privato, quindi costruzione di abitazioni civile destinate alla vendita.

Fu suo padre per primo a rivolgersi alle Forze dell’Ordine per riferire le pressioni e le estorsioni che la ‘ndrangheta esercitava sulle loro imprese e, di conseguenza, del pericolo a cui era sottoposta la famiglia Masciari. Tuttavia le risposte furono un invito a prestare attenzione prima di esporsi troppo, poiché la denuncia comporta un rischio per la vita.

Nel 1988, alla morte del padre, Pino Masciari si trovò da solo con nove fratelli e per proseguire i suoi lavori egli dovette cedere alle estorsioni, ossia alla corresponsione del 3% ai mafiosi e del 6% alla parte collusa con la politica, nonché a numerose imposizioni delle cosche fra cui le assunzioni pilotate, le forniture di materiali e di manodopera, regali di appartamenti ecc. ed all’elargizione di denaro e di lavori pubblici pretesi dai politici.

Due anni dopo, nel 1990, Masciari si ribellò alle pretese dei politici e vedendo così le prime ripercussioni sulle sue aziende e ostruzionismi di varia natura.

Nel 1992 Pino Masciari si ribella anche alla ‘ndrangheta, subendo gravi ripercussioni in ambito lavorativo e familiare, cominciando ad essere oggetto di furti, incendi, danneggiamenti e minacce. Alcuni malavitosi avvicinarono uno dei suoi fratelli e gli spararono alle gambe. Pino, che nel frattempo aveva subito numerose perdite economiche, fu costretto da malavitosi a non costituirsi parte civile. Contemporaneamente le banche gli consigliavano di rivolgersi agli usurai per ottenere quella liquidità che gli veniva meno dai mancati pagamenti dei lavori, già realizzati, per i quali egli investiva le proprie risorse.

Nel 1994 Pino licenzia tutti i suoi operai e il 22 novembre incontra il Maresciallo Nazareno Lo Preiato, allora Comandante della Stazione dei Carabinieri di Serra San Bruno. Inizia così a raccontare, seppure a grandi linee, le vicende a cui egli doveva far fronte, vedendosi esprimere, a suo dire, soprattutto rassegnazione per i fatti accaduti. Le sue denunce, tuttavia, sono state consacrate presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro i cui giudici, valutate la vastità dei racconti e dei personaggi accusati, considerato il pericolo grave e imminente a cui Pino e la sua famiglia erano sottoposti, prospettarono l’assoluta necessità di entrare sotto tutela del Servizio Centrale di Protezione. Inizia così la sua collaborazione con la giustizia. Grazie alle sue dichiarazioni vengono arrestati e condannati decine di capi e gregari di importanti famiglie ndranghetiste come i Vallelunga di Serra San Bruno, i Sia di Soverato, gli Arena di Isola Capo Rizzuto, i Mazzaferro nonché politici e amministratori.

Nell’ottobre dell’anno 1996 viene dichiarata la ditta “Masciari Costruzioni” fallita.

Il 18 ottobre 1997 Masciari viene sottoposto al programma di protezione previsto per i testimoni, poiché esposto a rischio concreto a seguito della decisione di rendere testimonianza all’Autorità giudiziaria in ordine alle richieste estorsive di cui era fatto bersaglio.

Dal giorno in cui Pino ha detto basta alle pressioni mafiose dei politici ed al racket della ‘ndrangheta, la criminalità ha distrutto la sua attività sia nelle opere pubbliche che nei settori privati infiltrandosi e intralciando i rapporti con le banche con cui operava.

Pino Masciari con la sua famiglia vive da anni in località protetta, senza alcuna speciale protezione e nessun cambiamento d’identità, senza alcuna possibilità di lavoro né per lui né per Marisa, sua moglie.

Il 21 maggio 2012 il comune di Bologna gli conferisce la cittadinanza onoraria per il suo impegno nella lotta alle mafie. Durante la campagna elettorale a maggio 2014 per rinnovare la giunta comunale di Leinì (comune in provincia di Torino commissariato dal 2012 per infiltrazioni della ‘ndrangheta calabrese), Pino Masciari è stato proposto per il ruolo di assessore ai lavori pubblici dalla lista del Movimento 5 Stelle con candidata sindaco Silvia Cossu. Il nuovo Consiglio comunale di Leinì, ora governato dalla giunta guidata da Gabriella Leone, ha poi a dicembre dello stesso anno conferito a Masciari la cittadinanza onoraria leinicese. WIKIPEDIA

 

La scorta disarmata di Pino Masciari Testimone di giustizia braccato dalla ‘ndrangheta, sotto protezione da dodici anni. Nel 2004 lo Stato gli annuncia che non avrà più agenti a difenderlo. Ma attorno a Pino Masciari, ex imprenditore calabrese, si mobilita la società civile, con blog e decine di volontari pronti ad accompagnarlo ovunque. Che lo tutelano con una sola, grande arma: la visibilità.
Chi legge questo articolo allunga l’esistenza di un uomo giusto. «È così: ogni persona in più che mi conosce mi regala un giorno di vita», ripete Pino Masciari, imprenditore calabrese di cinquant’anni, sposato, due figli adolescenti. Servitore dello Stato abbandonato a se stesso, ma mai rassegnato all’idea di essere condannato.
Un’impresa di costruzioni a Vibo Valentia, parecchi appalti pubblici. Nel 1994, dopo anni di taglieggiamenti, ricatti e soprusi, decide che la misura è colma: licenzia gli ultimi 58 operai rimasti nella sua azienda stremata dalle tangenti e denuncia all’autorità giudiziaria il racket della ‘ndrangheta. Per questo, nell’ottobre del 1997 la famiglia Masciari viene fatta letteralmente scomparire: lo Stato la prende in carico con uno speciale programma di protezione. Dalla notte al giorno Pino e la moglie abbandonano casa, affetti, lavoro. Vivono in un appartamento, nascosti, senza mai uscire. Pino diventa, mese dopo mese, il «principale testimone di giustizia italiano», secondo le parole del Procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna. Con le sue deposizioni fa condannare malavitosi di quattro diverse province calabresi, politici e persino un membro del Consiglio di Stato.
Nel luglio del 2004 la Commissione centrale del ministero degli Interni gli notifica che sussistono gravi pericoli per un rientro non autorizzato nella località d’origine. Solo tre mesi dopo, però, la stessa Commissione notifica a sorpresa anche la fine del programma speciale di protezione. La famiglia Masciari, in sostanza, dopo aver perso tutto ed essersi esposta contro la ‘ndrangheta, viene abbandonata a se stessa. Non solo: i processi sono in corso e, se vuole testimoniare, il signor Masciari deve recarsi in tribunale con le sue gambe, senza scorta armata.
E Pino lo fa, dando uno schiaffo morale allo Stato che lo ha lasciato solo. Nel maggio del 2006 si presenta in un’aula di giustizia accompagnato solo da volontari dell’associazione Libera di don Luigi Ciotti. Poi decide di fare la sua prima apparizione pubblica dopo dieci anni di isolamento: parla a fianco di Gian Carlo Caselli all’università di Torino. Se lo Stato non protegge, la regola per sopravvivere non è la fuga, ma la visibilità.
Spontaneamente, da Libera, dai meetup di Beppe Grillo e da altre associazioni antimafia nasce il gruppo Amici di Pino Masciari. Ne fa parte gente comune, lo studente di vent’anni come il pensionato di settantacinque. Quando Pino e la sua famiglia si spostano, sono sempre presenti. Tecnicamente quel che fanno si chiama “difesa popolare non violenta”: circondano la famiglia Masciari coi loro corpi, indossano magliette con scritto “Sono amico di Pino Masciari”, hanno con sé macchine fotografiche e telecamere i cui fil-mati vengono caricati sul blog www.pinomasciari.org. Per dimostrare a tutti che Pino è vivo e non è più solo.
«Avevo sentito Pino parlare in pubblico e mi aveva colpito – racconta Andrea Sacco, coordinatore degli Amici -. Quando l’ho incontrato di nuovo, gli ho consegnato alcuni messaggi di solidarietà e lui mi ha detto: “Sono un tesoro per me, da dodici anni non ricevo corrispondenza”. Queste parole hanno fatto scattare qualcosa, che col tempo si è tra-sformato in amicizia. Quando hai un amico che rischia la vita non lo abbandoni. A un certo punto è sorta la necessità di accompagnarlo a un processo: lo abbiamo fatto senza pensarci due volte, avvisando le autorità competenti. Anche grazie a questo gesto, quella volta, un’auto blindata della polizia ci ha raggiunti».
Dal 2006, grazie a questo gruppo informale di cittadini, la visibilità di Pino Masciari è decollata. Oltre al blog, esistono pagine di sostenitori su Facebook, per esempio Sosteniamo Pino Masciari, con 3.747 membri, o Pino Masciari, con 1.491 fan. Ci sono delegazioni attive a Firenze, Bari, Torino, Trento, Bergamo, Brescia e in molte altre province, che organizzano incontri pubblici e lezioni alla legalità nelle scuole. Un’attività che coinvolge Pino, costringendolo a spostarsi dalla località in cui vive, più volte alla settimana. Nell’ottobre 2007 a Copanello di Stalettì, non lontano da Catanzaro, il gruppo ha organizzato un provocatorio Pino Masciari day, alla presenza del vicepresidente della Commissione antimafia. Nel gennaio 2008 sono stati consegnati al Viminale centinaia di moduli, con cui altrettanti cittadini chiedevano allo Stato di cambiare il proprio cognome in Masciari. In alcune città, infine, si sta diffondendo, sui citofoni dei palazzi, la scritta: “Qui abita Pino Masciari”.
«È stato il mio dentista a raccontarmi la storia di Pino per la prima volta – spiega Anna, neolaureata in Conservazione dei beni culturali – . Quando poi ho conosciuto Pino e sua moglie di persona, è stato normale volerli aiutare. Ma non mi sento una volontaria. È solo l’aiuto che daresti a un amico». «La nostra non è un’attività né una missione – con-ferma Fausto, 45 anni – . Neppure un servizio sostitutivo a quello fondamentale delle forze dell’ordine. Siamo suoi amici e lo accompagniamo, ecco tutto. Non si può lasciare sola una persona del genere. La cosa che mi colpisce di più è ascoltare Pino che parla di legalità nelle scuole: i bambini lo capiscono e lo ammirano, anche se provengono da quartieri in cui la criminalità organizzata è forte e i modelli culturali sono malavitosi».

Negli ultimi mesi l’imprenditore Masciari è tornato ad avere, nei suoi spostamenti, la scorta delle forze dell’ordine. Il Tar del Lazio gli ha dato ragione rispetto all'”inalienabilità del suo diritto alla sicurezza” e la Commissione centrale del ministero dell’Interno deve procedere con l’attuazione della sentenza. Ci sarà una “capitalizzazione” concordata della sua condizione di testimone: «Teoricamente la sua protezione potrebbe durare per sempre – assicura l’onorevole Alfredo Mantovano, sottosegretario al ministero dell’Interno con delega per le materie di competenza del dipartimento di Pubblica sicurezza -. A scadenza periodica l’Autorità giudiziaria verificherà se i rischi persistono, rinnovando nel caso la protezione». Rischi gravi e incertezza profonda che oggi opprimono Masciari. Il 21 luglio scorso, sul davanzale dell’ex sede della ditta di costruzioni di Pino (attualmente ufficio legale del fratello), a Vibo Valentia, è stato ritrovato un ordigno inesploso. Il 19 agosto l’abitazione in località segreta nella quale risiede Masciari con la famiglia è stata violata. In questo caso si è trattato probabilmente di ladri comuni (cosa comunque gravissima, a riprova della vulnerabilità cui sono soggetti), nel precedente è stata invece la ‘ndrangheta, che ricorda di non avere fretta. Una conferma che il sistema di protezione “a tempo determinato” è una sconfitta per lo Stato. Come insegna la vicenda di un altro testimone di giustizia: Domenico Noviello, di Castel Volturno. Nel 2001 coraggiosamente ha denunciato e fatto arrestare i suoi estorsori. Fino al 2003 è rimasto sotto scorta. Nel maggio 2008, sette anni dopo la denuncia, mentre andava al lavoro da solo, è stato massacrato con venti colpi di pistola, l’ultimo dei quali alla testa.
«Ma questo Stato ha mai avuto la volontà di combattere le mafie? – mi domanda Masciari, quasi urlando, durante l’intervista, nella località segreta dove lo andiamo a trovare -. Lo Stato non può mortificare così i suoi servitori. Bisogna ritrovare la giusta strada. Masciari non può essere l’eccezione. Io oggi non posso lavorare. Ma lo Stato, in questi anni, mi doveva obbligare a tornare a fare l’imprenditore, per dare coraggio agli altri che vorrebbero denunciare e non trovano la forza. In Calabria c’è tanta gente onesta che ha paura – continua Pino – e dalla paura nascono le “mafiocrazie”. Per come ho vissuto, nascosto e isolato, negli ultimi dodici anni, io non so più che cosa sono, se sono un cittadino italiano, uno straniero o cosa… Ho perso tutto. Ma a chi ha già emesso una sentenza su di me, dico: “Attenti ad ammazzarmi. Ho tanti amici”».
SOLE 24 ORE di Carlo Giorgi


 a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco