‘Affari’ con la criminalità, interdittiva antimafia per azienda leader nel settore trasporti Il provvedimento è stato emesso dal prefetto di Frosinone, Ignazio Portelli, dopo una lunga serie di accertamenti da parte di Carabinieri e Guardia di Finanza
Interdittiva antimafia per un’azienda leader nel settore degli autotrasporti in provincia di Frosinone. Il delicato provvedimento, a firma del prefetto Ignazio Portelli, scaturisce da una serie di accertamenti messi in campo dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri della provincia ciociara che hanno portato a fare piena luce sugli interessi economici che legano la famiglia titolare della società di trasporti, con filiali a Colleferro e Veroli, alla criminalità organizzata casertana.
Le motivazioni Il prefetto ha motivato l’interdittiva (la quinta che la massima autorità di Governo ha emesso in sei mesi nel Frusinate dopo decenni di assordante silenzio) che blocca ogni attività imprenditoriale del gruppo, con poche ma chiare parole: “Sono stati acquisiti utili elementi, ai sensi degli articoli 84 e 91 del D.lg. n 159/2011, per ritenere sussistente il pericolo della continuazione dei rapporti con la criminalità organizzata tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi”. In sintesi il prefetto Portelli, a capo del GIA (Gruppo Interforze Antimafia e composto oltre che da Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato e un rappresentante della Direzione Investigativa Antimafia), ha raccolto una lunga serie di elementi che hanno portato a scoprire il forte ed inossidabile legame del gruppo imprenditoriale ciociaro con alcune famiglie residenti in provincia di Caserta ed oggetto di lunghe indagini della Distrettuale Antimafia e più volte colpite da interdittiva.
Legami diretti. “Ulteriori approfondimenti volti ad individuare i legali e gli assetti societari intercorrenti tra le persone fisiche e giuridiche – si legge nel dispositivo interdittivo – hanno evidenziato che la società di autotrasporti ha cointeressenze dirette o indirette con numerose società gestite/partecipate da gruppi familiari Caturano, Di Nuzzo e Ventrone già destinatari di specifiche informative interdittive antimafia”.
Economia e riciclaggio. Un provvedimento senza precedenti quello da un ‘prefetto di ferro’ che certifica definitivamente i forti interessi della criminalità organizzata verso la provincia di Frosinone, considerata per decenni ‘terra di conquista’ da parte di gruppi malavitosi, stanziali nel centro e sud Italia, e che hanno eletto il Frusinate ed il Cassinate a ‘zona franca’ dove, per le forze dell’ordine e la magistratura, il riciclaggio del danaro proveniente da attività illecite è sempre stato difficile da dimostrare. Il miglior modo per reinvestire danaro ‘sporco’ è quello di rilevare o divenire parte integrante di aziende in forte crisi economica. Un metodo che porta giovamento solo ad una ristretta cerchia di persone e che compromette fortemente chi sceglie di attuare un’imprenditoria sana. Angela Nicoletti. 02 dicembre 2020 Frosinone Today
MAFIA E TRASPORTI: intrecci pericolosi In un Paese come l’Italia, dove circa l’86% delle merci viaggia su gomma, quello dei trasporti rappresenta un comparto strategico per tutta l’economia. Un sistema imprenditoriale che da solo vale 120 miliardi di euro di fatturato.
Lo sa bene la criminalità organizzata che sfrutta il brand del Made in Italy per gestire la logistica, soprattutto ortofrutticola, ed ottenere lavori su scala internazionale gestendo così il trasferimento di merci, come materie prime e prodotti agricoli, non solo in Italia ma anche in Europa.
’Ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra hanno compreso da tempo il valore strategico di un sistema produttivo – dove l’incentivazione pubblica è ancora molto alta – che insiste nelle infrastrutture cardine come porti, interporti, aeroporti e autostrade. Il controllo degli snodi fondamentali assicura così alle organizzazioni mafiose di allargare il raggio d’azione dei propri affari oltre i confini nazionali, nonché che la gestione di una parte importante dell’economia italiana.
Le imprese di trasporti gestite dalla mafia sono spesso di piccole e medie dimensioni, ma occupano posizioni dominanti sul mercato. Non hanno necessità di far valere la qualità del lavoro perché operano in un mercato “protetto”. Possono contare su una ingente quantità di denaro da riciclare, oltre che su una estrema capacità di relazionarsi con altre aziende del settore degli autotrasporti o di settori affini, con lo scopo ultimo di condizionarne l’attività, se non addirittura di acquistarne la proprietà.
Uno dei settori chiave è proprio quello dei servizi di trasporto su gomma. Un investimento a bassa intensità espositiva per le imprese mafiose che, sostenute dal riciclaggio, riescono a far fronte ai costi di manutenzione delle flotte, ad assicurarsi il maggior numero di traffici da e per i mercati ortofrutticoli di tutta Italia e a godere, infine, dei rimborsi delle accise. Un sistema che penalizza non solo il consumatore finale, ma anche gli agricoltori sottopagati, che spesso non coprono neanche i costi di produzione, ed i trasportatori onesti.
Dai dati dei sequestri delle aziende sottratte alla mafia, emerge una presenza sempre più rilevante di società di trasporti.
Come la Geotrans, impresa italiana di autotrasporti sequestrata a maggio 2014 che, sotto la guida del rampollo di una nota famiglia di Cosa Nostra catanese, aveva conquistato il sostanziale monopolio dei trasporti di frutta e verdura dalla Sicilia orientale verso il resto d’Italia. La Geotrans, definitivamente confiscata a marzo 2019, rappresenta un caso virtuoso di impresa sottratta alla mafia e restituita al mercato legale. In seguito alla gestione giudiziaria ha acquisito la certificazione di Responsabilità Sociale SA8000, diventando così l’unica impresa di autotrasporto siciliana a presentare ogni anno, oltre al classico bilancio economico e patrimoniale, anche il bilancio sociale.
Una vittoria per lo Stato, ma soprattutto per alcuni degli ex dipendenti che hanno deciso di costituire una cooperativa con il sostegno di Banca Etica e di Cooperazione Finanza Impresa. È stato già raggiunto un accordo per la concessione di Geotrans da parte dell’Anbsc, che sarà formalizzato a breve.
Una importante soddisfazione per l’amministratore giudiziario, Luciano Modica, presidente del CdA della Coop che, in un’intervista al quotidiano “La Sicilia”, racconta i traguardi raggiunti non senza difficoltà e i progetti futuri della Coop Geotrans che ha conservato il suo nome originario quasi a voler dimostrare che le aziende confiscate ce la possono fare. 20 Agosto 2020 a cura di Marcella Vulcano ADVISORA
CNA FITA – MAFIA. AZIENDE TRASPORTO, ALLARME INFILTRAZIONI: BASTA SILENZI. “Sulle infiltrazioni c’é un colpevole silenzio. Nei trasporti e nella logistica Cosa Nostra c’é e c’é da tempo e oggi a rischio non sono solo le imprese, ma anche il sistema di rappresentanza. Ma non vi sono dati, non vi sono prove e non vi sono denunce, se non quelle generiche, fatte se messi alle strette. Perché tacere ancora?”. L’allarme é stato lanciato da Cinzia Franchini, presidente della Cna Fita, che ha promosso un incontro su “Legalità, Trasporti e Logistica”
“Sulle infiltrazioni c’é un colpevole silenzio. Nei trasporti e nella logistica Cosa Nostra c’é e c’é da tempo e oggi a rischio non sono solo le imprese, ma anche il sistema di rappresentanza. Ma non vi sono dati, non vi sono prove e non vi sono denunce, se non quelle generiche, fatte se messi alle strette. Perché tacere ancora?”. L’allarme é stato lanciato da Cinzia Franchini, presidente della Cna-Fita, che ha promosso un incontro su “Legalita’, Trasporti e Logistica”.
Sono 59 le aziende del settore confiscate, un comparto appetibile per i clan visto che l’86% del trasporto merci in Italia è su gomme. “Nella logistica e nei trasporti lavorano i tanti piccoli imprenditori, i padroncini devono tenere bassi i prezzi, in più è un settore contiguo alla filiera di altre attività illecite”, ha detto Piero Luzzati, presidente della Confetra. Tanti sono i casi che vengono alla luce con le inchieste giudiziarie, come l’accordo tra i clan per il controllo del mercato ortofrutticolo di Fondi, il traffico di immigrati nei porti dell’adriatico; il commissariamento di 6 filiali della Tnt in Lombardia, infiltrate da soggetti ‘ndranghetisti vicini a Giuseppe Flachi e – come ha ricordato Anna Canepa, magistrato della Direzione nazionale antimafia – commissariate per 5 mesi; e ancora le infiltrazioni nella protesta dei Forconi, denunciata a suo tempo dal presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, con la presenza del figlio del boss Giuseppe Ercolano tra gli organizzatori dei blocchi dei tir.
Lo Bello che denuncia come ”ancora oggi questi soggetti hanno una sorta di legittimazione sociali, ci sono organizzazioni di categoria che hanno ancora gli Ercolano, gli Zuccaro, imprese del cartello della non-concorrenza, come iscritti. Credo che prima o poi queste associazioni – ha detto il neo-vicepresidente di Confindustria – debbano rispondere del fatto che tengano dentro gente impresentabile, ancora in attesa che un magistrato li metta in galera”.
“Abbiamo una società civile mafiosetta”, troppo remissiva nei confronti della corruzione, del traffico di rifiuti, dei reati ambientali. Per questo, secondo don Luigi Ciotti, “non c’é da prendersela solo con la politica, ma individuare anche altre responsabilità, di imprenditori che sapevano”.
Lo strumento della confisca dei beni ha consentito, ricorda Cna Fita, di sottrarre 20 miliardi ai malavitosi: “un dato da cui partire per affrontare la battaglia della gestione dei beni che, se tornassero nella disponibilità dei mafiosi rappresenterebbero un arretramento dello Stato”.
Ortofrutta, le mafie controllano il trasporto. E i prezzi triplicano dal campo alla tavola Le mani del crimine organizzato su logistica e autotrasporti si riflettono sui prezzi finali degli alimenti. Ottimi profitti, pochissimi controlli Come è possibile che i produttori agricoli vengano spesso pagati una miseria per i loro prodotti eppure, arrivando sui banchi dei mercati, il prezzo di frutta e verdura sia nel frattempo triplicato? Colpa delle storture della filiera di distribuzione ma non solo. C’è anche una questione di illegalità e di criminalità organizzata: mafia, camorra e ‘ndragheta hanno infatti messo le proprie mani, pesantemente, sulla logistica e sul trasporto dell’ortofrutta. Così il cibo fresco che arriva sulle nostre tavole diventa pretesto per il riciclaggio di denaro sporco e per coprire affari illeciti come il traffico di droga e rifiuti.
Il monopolio della criminalità nell’autotrasporto Anche dopo gli arresti e le grandi inchieste giudiziarie che hanno svelato gli accordi tra il clan dei Casalesi e Cosa nostra, continua imperterrito, infatti, il controllo della criminalità organizzata sui più importanti mercati ortofrutticoli d’Italia e d’Europa: da Fondi, a Vittoria, fino a Milano, oggetto delle attenzioni della famiglia ndranghetista dei Piromalli di Gioia Tauro. Il peso della criminalità organizzata è ancora più forte nella gestione, praticamente in regime di monopolio, degli autotrasporti, uno dei settori trainanti della nostra economia, con oltre un milione di addetti, costituito per il 48% da imprese di piccole e medie dimensioni. La denuncia parte dall’ultimo rapporto sulle Agromafie di Fondazione Coldiretti ed Eurispes, dalle relazioni della Direzione Investigativa Antimafia e dal sociologo Marco Omizzolo.Intervista a Gian Carlo Caselli su Agrobusiness
«Si parla di mafie liquide, presenti in tutti i segmenti della filiera agroalimentare: dal campo, allo scaffale, alla ristorazione, fino al trasporto dei prodotti che riveste un’importanza strategica» sottolinea a Valori l’ex magistrato Gian Carlo Caselli, responsabile scientifico del rapporto sulle Agromafie. «L’ortofrutta viene sottopagata agli agricoltori su valori che non coprono neanche i costi di produzione, ma i prezzi si moltiplicano fino al 300% anche per effetto del controllo monopolistico dei mercati operato dalla malavita in certe realtà territoriali» sostiene, infatti, la Coldiretti.
Per le mafie pochi rischi e visibilità, massima resa Uno dei punti più sensibili, oltre gli imballaggi, come già denunciato da Valori, è proprio quello dei servizi di trasporto su gomma, da e per i mercati. Ribadisce Caselli: «L’agroalimentare consente ottimi guadagni. La normativa vigente non funziona. E quindi chi compie reati rischia poco e niente. L’ideale per le mafie che prediligono gli investimenti a bassa intensità espositiva. Minimo investimento, massima resa». A farne le spese, oltre i consumatori, sono proprio gli stessi trasportatori, quelli onesti, a discapito delle imprese che, sostenute anche dal riciclaggio, riescono a sostenere i costi di manutenzione delle flotte, accaparrarsi il maggior numero di traffici e godere pure dei rimborsi delle accise. Secondo uno studio effettuato da Nomisma – Società di studi economici, infatti, il costo chilometrico dell’autotrasporto è mediamente più alto in Italia (1,59 euro) rispetto ai Paesi come la Germania (1,35 euro), la Francia (1,32 euro) e la Spagna (1,21 euro).
Agromafie. Business da 24,5 miliardi all’anno. De Raho: “Solo repressione non basta” “Le mafie non sono più quelle che sparano ma quelle che entrano nei mercati” spiega il procuratore nazionale Antimafia. Dal rapporto emerge inoltre come l’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi… rainews.it Rosy Battaglia 15.04.2019
Dentro i camion frigo viaggia qualsiasi cosa. «Chi controlla la logistica governa ogni forma di economia criminale» conferma a Valori Giorgio Straquadanio, responsabile organizzativo della CNA di Vittoria, la confederazione nazionale di artigiani, piccola e media impresa, in provincia di Ragusa. Il punto di osservazione è il territorio dove è insediato uno dei mercati ortofrutticoli alla produzione più importanti d’Italia. Ma anche uno dei più infiltrati da parte della criminalità organizzata, arrivata fino all’amministrazione comunale, già sciolta per mafia nel 2018. «Ogni giorno partono da qui in media dai 300 ai 500 camion dal sud al nord. Chi controlla davvero questo flusso? All’interno dei camion frigo puoi far viaggiare qualunque cosa» ribadisce Straquadanio che, conti alla mano, ha dimostrato come i margini per le piccole imprese di autotrasporti siano così risicati, ormai, che a rimanere sul mercato, sono solo i cartelli che, spesso gestiscono ben altri traffici.
Il crimine che viaggia su gomma Cinzia Franchini – Presidente CNA-Fita, Unione Nazionale Imprese di Trasporti Sono passati cinque anni da quando nel primo Forum nazionale “Perché Tacere?” contro le infiltrazioni malavitose nella logistica e nei trasporti, organizzato dall’associazione che presiedo Cna-Fita (Unione Nazionale Imprese di Trasporto), affrontammo il tema della natura cangiante del crimine organizzato e delle mafie che da coppola e lupara sono passate ad utilizzare strumenti di intervento e penetrazione, nell’economia e nella società, più raffinati ed evoluti. Sfruttando società per azioni, colletti bianchi e finanziarie. Allora affrontammo per il settore dei trasporti e della logistica, il protagonismo, della cosiddetta mafia mercatista. Questa è il risultato di una metamorfosi che lo stesso procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato ha ben descritto in questo blog, l’evoluzione naturale di un crimine nato al Sud, con le estorsioni violente, cresciuto con il sistema predatorio dei fondi pubblici e del monopolio del settore edilizio e trasferitasi poi al Centro e al Nord del Paese per servire illegalmente la domanda di una società malata “bisognosa” di droghe, prostituzione, gioco d’azzardo ma anche di scorciatoie e facilitazioni per un’imprenditoria sempre più in crisi e più incerta nel procurarsi i necessari frutti d’impresa. Un’incertezza che ha visto parte del mondo produttivo incline a piegarsi a determinate logiche, fino anche a cogliere non più il risultato del sacrificio imprenditoriale quanto invece il frutto malato di una collusione con capitali mafiosi e in certi casi con gli stessi esponenti malavitosi. Nel settore dei trasporti e della logistica questa metamorfosi appare in tutta la sua evidenza anche nel processo Aemilia dove la presenza malavitosa ha condizionato il settore del movimento terra e più in generale quello dei trasporti e della logistica. Se è vero che le organizzazioni criminali, vedendo ridotti i profitti derivanti dall’utilizzo distorto di fondi pubblici e la crisi del ciclo dell’edilizia al Sud, hanno reinvestito al nord e al centro per trovare nuova linfa, va sottolineato invece come nel settore che rappresento le mafie non solo vi sono rimaste, al sud, ma si sono egualmente distribuite radicandosi sempre più ovunque perché in questo settore l’incentivazione pubblica è ancora molto alta e perché il nostro resta un comparto strategico per tutta l’economia. Chi come il crimine organizzato, ha fatto del controllo del territorio il suo tratto distintivo conosce bene il valore strategico di un sistema produttivo che insiste nelle infrastrutture cardine come porti, interporti, aeroporti e autostrade. In un Paese, il nostro, dove ancora quasi il 90 per cento delle merci viaggia su gomma, quindi sui nostri camion, controllare in parte questi snodi strategici significa di fatto gestire una fetta rilevante dell’economia italiana. A questo si somma che l’incentivazione pubblica è spesso gestita da snodi aggredibili come i consorzi di servizio che per anni hanno e continuano ad erogare lauti finanziamenti di Stato come i rimborsi sui pedaggi autostradali e la formazione. A questo pericoloso protagonismo delle mafie pure le associazioni di rappresentanza del mio settore hanno risposto con armi spuntate e in certi casi con semplici dichiarazioni di intenti. Penso in particolare alla lunga stagione dei protocolli di legalità e alla loro più recente e pessima evoluzione nei “bollini di legalità”. Personalmente ritengo necessario un rilancio del ruolo delle associazioni su questo fronte fatto di meno retorica e clamore e più evidenze che debbono coincidere, nei casi più gravi, anche con il preventivo allontanamento di imprese e funzionari dalle associazioni stesse. Altre volte però l’associazione sa e può mettere in guardia imprenditori e funzionari dal rischio di certe vicinanze. Per questo, però, quando nulla accade – oppure, nel caso peggiore, determinate vicinanze diventano veri e propri matrimoni – all’interno delle gerarchie associative deve esserci coerenza individuando le responsabilità del caso. Troppo spesso la rappresentanza, già in crisi di consensi, perde di credibilità, perché rimane inerme di fronte a chiare evidenze.
Mafia dei Tir, il grande cartello Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta si sono messe d’accordo per controllare insieme migliaia di camion che ogni giorno attraversano l’Italia. Chiedono il pizzo ai guidatori, a cui in cambio procurano affari con i colossi europei DI MICHELE SASSO E GIOVANNI TIZIAN
L’ultimo sequestro c’è stato la scorsa settimana: un’azienda con quaranta tir, che secondo la procura di Napoli appartiene a ai casalesi. Per gli investigatori non è una sorpresa: delle 312 imprese sottratte alla criminalità organizzata negli ultimi diciotto mesi, oltre la metà si occupano di autotrasporto, il nuovo business delle cosche. «Le mafie si adattano alle tendenze del mercato, forti del know how di professionisti che suggeriscono i settori più redditizi», spiega Michele Prestipino, procuratore aggiunto alla Direzione antimafia di Reggio Calabria.
In Italia l’86 per cento delle merci viaggia su gomma: ogni giorno sterminate processioni di camion si mettono in marcia, spesso lungo l’A1 formano un’unica colonna ininterrotta da Napoli a Bologna. Quelle carovane sono una sorgente di guadagni, quasi infinita: il giro d’affari complessivo del settore supera i 60 miliardi l’anno. Una torta che interessa ben 97 mila società, di cui 65 mila però sono solo padroncini: la loro ditta è il mezzo che guidano. Lo scenario perfetto per gli strateghi dei clan, che hanno capitali da investire e armi per imporre le loro regole.
Il mercato è talmente ghiotto che Cosa nostra, casalesi e ‘ndrangheta hanno creato un’intesa nazionale, per evitare di litigare nell’ingorgo dei loro tir: l’embrione di una potentissima “Anonima Trasporti”, in grado di piegare anche le multinazionali.
Francesco Ventrici, uomo della cosca calabrese Mancuso, è stato intercettato mentre metteva in guardia i dirigenti della Lidl Italia, filiale della holding tedesca dei discount: «Voi volete la guerra, ma la guerra in Calabria non la vince nemmeno il Papa».
Il messaggio era chiaro: dovevano continuare a usare i camion della famiglia, qualunque concorrente avrebbe fatto una brutta fine. Ci vuole poco per fermare un mezzo, incendiarlo è facilissimo: solo tra marzo e aprile le fiamme ne hanno distrutti 48, soprattuto al Nord, spesso senza permettere di identificare la natura del rogo. Ma il fumo dei sospetti arriva lontano.
In silenzio, i padrini da anni si sono inseriti nelle code dei bisonti della strada. Hanno creato società con dinamismo manageriale e capacità di mimetismo. Come spiegava un boss calabrese attivo in Lombardia: «Se ti siedi con un professionista di Tnt, gli devi parlare da professionista; se ti siedi con uno shampista napoletano, gli devi parlare allo stesso modo».
Non è un esempio a caso. I Flachi di Milano, che da venticinque anni dominano la scena criminale padana, avevano creato un consorzio che faceva da mediatore tra Tnt, il colosso olandese della logistica, e i padroncini. Il clan si presentava con un’offerta competitiva, senza esplicitare minacce: «Siamo da dieci anni dentro. Il nostro interesse è che la Tnt inizi a fare un percorso nuovo e noi gli garantiamo immagine, efficienza di lavoro e tutto».
Il rapporto è andato avanti per anni, finché la magistratura non ha certificato le relazioni pericolose e commissariato per sei mesi le sedi incriminate. «Le imprese gestite dalla ‘ndrangheta sono di piccole e medie dimensioni, ma sul mercato occupano posizioni dominanti», chiarisce il procuratore Prestipino: «Sono proiezioni imprenditoriali dell’organizzazione che non hanno necessità di far valere la qualità del lavoro perché operano in un mercato protetto».
Spesso si limitano a mediare tra i padroncini e chi ha bisogno di trasferire la merce, fabbriche o catene di supermarket. La mediazione ha un costo: una provvigione tra il 10 e il 15 per cento, che diventa una sorta di pizzo legalizzato. E finisce per colpire le già magre entrate dei piccoli proprietari. «Non possiamo stare a galla perché la concorrenza mafiosa ci strozza: un viaggio di 1.500 chilometri a noi costa 3.500 euro mentre loro lo fanno per 800 euro», denuncia Filippo Casella, imprenditore catanese con 20 camion. Nel 1998 si ribellò alle richieste dei boss e ha testimoniato contro il padrino Nitto Santapaola: gli chiedevano due milioni e mezzo di lire al mese, ma pretendevano anche l’assunzione di amici degli amici e l’assegnazione di subappalti per le loro ditte.
Una pratica diffusa messa a nudo da decine di operazioni che hanno svelato la presenza di broker mafiosi in tutta la Sicilia: a Gela, Catania, Palermo, e soprattutto Vittoria, cuore di un distretto che produce pomodori e primizie esportati ovunque.
È nell’ortofrutta che l’Anonima Trasporti riesce ad avere il ruolo più importante, condizionando l’intera filiera.
L’inchiesta “Sud Pontino” ha svelato il cartello delle famiglie siciliane, campane e calabresi per dominare la distribuzione agricola su larga scala: una rete che dai campi del Sud arrivava fino al grande ortomercato di Fondi, che rifornisce la capitale, e ancora più su a Latina, Bologna, Milano. Acquistano, trasportano, rivendono. In questo modo, i clan federati hanno la certezza di mettersi in tasca il 40 per cento del prezzo finale della merce: è come se per ogni chilo di fragole o di melanzane, quattro etti fossero cosa loro. «A Rosarno la distribuzione alimentare medio-grande è controllata dalla cosca Pesce attraverso proprie aziende o ditte che hanno accettato il compromesso», commenta Prestipino, citando la località dove lo sfruttamento della manodopera nei campi ha provocato la più grande rivolta di immigrati mai avvenuta in Europa.
Anche i corleonesi cominciarono con i camion. Li comprarono nel dopoguerra per portare il bestiame, loro o rubato, nei macelli di Palermo. Poi li usarono per trasferire terra e materiali dai cantieri delle prime opere pubbliche. Un ciclo che adesso si ripete spesso. «L’infiltrazione avviene attraverso la catena dei subappalti e per contiguità con i settori dell’edilizia e del commercio che sono tradizionalmente i più controllati dalla criminalità organizzata», analizza Rita Palidda, docente all’università di Catania ed esperta del rapporto tra mafia ed economia nell’isola. Dai suoi studi emerge il ritratto di un predominio ormai consolidato nelle regioni meridionali: «È un paradosso la violenza negli autotrasporti: più esteso e duraturo è il controllo e meno si ricorre ad azioni violente perché l’infiltrazione è ormai consolidata e le imprese e gli amministratori si adeguano». La Sicilia è la prima patria di questo business: delle 59 ditte di trasporti confiscate in via definitiva, 32 hanno sede lì. Nelle mappe delle forze dell’ordine Catania appare come una capitale della logistica di Cosa nostra. L’ultima operazione è scattata a marzo, con il blocco di beni per 20 milioni di danni di Giovanni Puma, accusato di essere uomo del clan Madonia. Fino al blitz, le sue imprese hanno lavorato per conto di Eurodifarm, la società lombarda controllata da Dhl, uno dei leader mondiali delle consegne, rimasta all’improvviso senza mezzi con cui distribuire i medicinali in Sicilia. E anche i “supplenti” avrebbero dovuto chiedere il permesso al signor Puma. Il provvedimento di sequestro è stato poi revocato dai giudici del riesame ma le indagini proseguono.
Il caso forse più clamoroso è quello della Riela, confiscata nel 1999 a una famiglia alleata di Santapaola: da allora i dipendenti hanno lavorato duro per farla sopravvivere nella legalità e far fruttare i duecento tir, e sono diventati un esempio. Pericolosissimo per i boss, che non sono rimasti a guardare. Hanno aspettato il momento giusto e l’hanno tagliata fuori dai contratti. Di fronte alla voragine nei fatturati, a gennaio l’Agenzia nazionale che gestisce i beni sequestrati si è arresa e ha messo l’azienda in liquidazione. Ma le istruttorie hanno svelato chi c’era dietro la crisi: l’antico padrone Filippo Riela, che è stato arrestato per concorso esterno in mafia. Riela avrebbe stabilito un patto per rilevare i mezzi e girarli a una società fidata, nel tentativo di sottrarli agli inquirenti. Secondo le indagini, la rete dei Riela è composta da tante ditte “amiche” nella Sicilia orientale: impresari ragusani considerati a lui vicini hanno l’appalto per la quasi totalità dei viaggi tra Nord e Sud dei supermercati Auchan e del salumificio Rovagnati.
Ora per i padrini dei tir si prospetta un altro affare: quello dei contributi pubblici destinati all’autotrasporto. La rivolta dei Forconi che ha paralizzato collegamenti e forniture in tutta Italia è nata in Sicilia. Ha causato danni per duecento milioni di euro al giorno. E si è chiusa con la loro vittoria: il governo Monti ha promesso incentivi per lenire gli effetti dell’aumento di carburante e agevolazioni per la costruzione di nuove infrastrutture. Oggi ogni anno lo Stato spende 454 milioni di euro per sostenere i tir italiani.
A sbarrare le strade sono stati i camionisti isolani, riuniti nel movimento Forza d’Urto, a cui poi si sono aggregati pescatori e agricoltori, altre vittime del caro gasolio. Nel giro di qualche giorno la protesta è divampata in tutta Italia, dando volto al potere della categoria. Anche se le forze dell’ordine hanno numerosi sospetti sugli animatori dei presidi, soprattutto nelle regioni meridionali. L’impresario che ha guidato gli sbarramenti nel trapanese è poi finito in manette: i pm di Napoli lo accusano di avere messo i suoi camion al servizio delle cosche. Ci sono state altre denunce, respinte dal leader di Forza d’Urto, il catanese Richici, come insinuazioni per affossare «il grande movimento popolare».
Al fianco di Richichi nelle barricate dei Forconi c’era Enzo Ercolano, figlio dello storico capomafia di Catania Pippo e fratello di Aldo, condannato per l’omicidio del giornalista Giuseppe Fava. Enzo si occupa di trasporti: insieme al padre è stato indagato e poi prosciolto nella maxi inchiesta “Sud Pontino”. Ma non è l’unico della dinastia Ercolano, famiglia imparentata con i Santapaola, ad avere investito nei tir. I cugini, Angelo, Maria e Aldo Ercolano, hanno fatto molta più strada: la loro Sud Trasporti si è insediata nel polmone economico del Paese, creando la base principale nell’interporto piemontese di Rivalta.
Angelo Ercolano è un imprenditore apprezzato, che non è mai stato coinvolto in indagini penali. Gli investigatori si sono occupati di lui in una sola circostanza, prima del 2005, a causa dei suoi incontri con Giovanni Pastoia. È il figlio di Ciccio Pastoia, boss di Belmonte Mezzagno e braccio destro di Bernardo Provenzano morto suicida in cella. Anche lui si occupa di trasporti, con filiali a Catania. Ma questa frequentazione non ha mai dato luogo a contestazioni penali: erano solo affari.
Invece gli altri fratelli-soci della Sud Trasporti, Aldo e Maria, finirono sotto accusa nel 1995 in un’inchiesta sui boss della logistica in cui spuntavano anche i nomi del padre Angelo Ercolano e di Nitto Santapaola. Ma tutto è stato archiviato, senza ostacolare la crescita del loro gruppo. Adesso operano in tutta Europa con una branca polacca e da pochi mesi hanno aperto una nuova società: smaltimento e trasporto di rifiuti, pericolosi e non. Hanno anche un nuovo logo: “My Way. La strada del successo”. 01 agosto 2012
sca ‘ndranghetista Sgrò-Sciglitano.on il monopolio si schiacciano i prezzi verso il basso. Così i piccoli hanno accesso a crediti agevolati presso le banche e che non hanno problemi di natura fiMen
L’Operazione PAPA dei Carabinieri Merci su gomma favoriscono il crimine. In Lombardia, invece, l’arresto di diciannove persone al termine di un’inchiesta, avviata nel 2016, sulle infiltrazioni della mafia calabrese nel trasporto di ortofrutta. I Carabinieri hanno intercettato i due imprenditori, individuando due persone, ritenute appartenenti alla cosca dei De Stefano, che erano arrivate dalla Calabria a Bergamo per “favorire” con incendi dolosi una delle due imprese. Così come le confische della Guardia di Finanza di Cremona, per un valore di 40 milioni di euro, dopo le condanne del processo Aemilia, confermano l’infiltrazione della ‘ndrangheta negli autotrasporti emiliani. Confische che hanno coinvolto diciannove società compreso un intero parco di 50 veicoli industriali di un’azienda in provincia di Reggio Emilia, più 253 immobili industriali, commerciali e abitazioni nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova, La Spezia e Crotone.
«In un Paese, il nostro, dove ancora il 90 per cento delle merci viaggia su gomma, quindi sui nostri camion, controllare questo snodo strategico significa di fatto gestire una fetta rilevante dell’economia italiana» conferma a Valori l’imprenditrice Cinzia Franchini, ex presidente nazionale della Cna-Fita, associazione dedicata agli artigiani e alle piccole imprese operanti nel settore dell’autotrasporto, ora candidata sindaco a Modena.
La good news della Geotrans grazie alla finanza etica Anche a lei dobbiamo il salvataggio della Geotrans, unica impresa italiana di autotrasporti confiscata alla mafia e riportata in attività finora, dopo l’amministrazione controllata, (e sostenuta in questo da Banca Etica).
Geotrans era fino a pochi anni fa l’azienda del boss mafioso Vincenzo Ercolano, nipote di Pippo, reggente del clan Ercolano-Santapaola a Catania, in Sicilia. Agiva in modalità di monopolio. «Le aziende che io rappresentavo non potevano concorrere con quei prezzi. Perché Ercolano dovendo immettere nel circuito legale denaro sporco, non aveva nessuna difficoltà ad abbassare i costi dei trasporti e a distruggere economia legale». Oggi, la “nuova” Geotrans, è stata nuovamente associata alla CNA-Fita, mentre lo scorso novembre Enzo Ercolano è stato condannato, nell’ambito dell’inchiesta Caronte, in cui la magistratura è riuscita ad azzerare “la cupola” degli autotrasportatori a Catania. Cinzia Franchini 2.3.2016
L’impegno antimafia resta sporadico. «Come presidente dell’associazione mi sono costituita contemporaneamente parte civile a Catania e al processo Aemilia – racconta l’imprenditrice – la CNA Fita è stata riconosciuta come parte civile e si è vista riconoscere un danno economico in 40mila euro». Franchini però si è dimessa, non senza clamore, nel 2017. «Dopo la mia uscita non c’è più stata una presa di posizione ufficiale dell’associazione CNA-FITA contro le mafie, nessuno ha più partecipato al processo Aemilia». Un segnale inquietante che segna come le stesse imprese e alcune associazioni di categoria abbiano abbassato la guardia contro le infiltrazioni della criminalità organizzata.
Che fare allora? Risponde Giancarlo Caselli: «Da una parte lo spostamento del trasporto merci su rotaia potrebbe essere un ostacolo, un modo indiretto, per controllare le presenze a predominio mafioso». Dall’altra il quadro rimane drammatico ed è lo Stato che deve agire: «Non basta l’intervento della magistratura e delle Forze dell’Ordine: ci vuole anche qualcosa di più a livello politico, amministrativo e normativo». Ma il disegno di legge di riforma sui reati agroalimentari ispirato alle proposte di Caselli, ad oggi, dopo quasi tre anni, giace ancora in Senato. VALORI
Il 9,6% delle attività sequestrate alla Mafia operano nei trasporti 12 Gennaio 2012. C’è una forte stretta creditizia? È vero, ma non per tutti. Le organizzazioni mafiose, rivela un rapporto della Confesecerti, anche in tempi di crisi continuano a macinare una massa enorme di denaro. Il fatturato complessivo di quella che viene chiamata Mafia Spa si aggira infatti sui 140 miliardi di euro, con utile ovviamente altissimo, pari a ben 100 miliardi. Ma la cosa veramente preoccupante è che questo fiume di denaro crea una liquidità enorme, stimata in circa 65 miliardi di euro. E in tempi in cui di denari ne circolano pochi è chiaro che chi ne dispone in abbondanza può permettersi di comprare tanto e peraltro a prezzi stracciati. Peggio: perché nei contesti più depressi la Mafia sta diventando l’unico imprenditore sul mercato, al punto che molto finiscono per ritenerlo un soggetto economico “legale”, mentre in quelli più evoluti cresce la tendenza a porre “ostacoli” – per così dire – alle imprese normali, al punto che ogni giorno, in base alle stime, tali imprese arrivano a subire 1.300 reati.
Insomma, la Mafia – se questi dati sono veritieri – starebbe allargando il suo perimetro di affari e soprattutto accanto alle attività malavitose starebbe investendo anche in altre attività, scommettendo anche su una nuova capacità dei suoi manager, non più pratici soltanto di intimidazioni o malaffare, ma anche di economia e di finanza.
E qui arriviamo alla domanda fatidica: ma quale sarebbe il settore su cui maggiormente questa Mafia dalla potenza finanziaria accresciuta starebbe investendo? La risposta lascia di stucco: la logistica e l’autotrasporto. Si tratta, peraltro, di una risposta che non è tanto il frutto di stime avventate: nel corso del 2010 il numero di imprese sequestrate perché macchiatesi di reati connessi all’attività mafiose è drasticamente aumentato e di queste ben il 9,6% era attivo nel settore dei trasporti. Evidentemente dove le difficoltà si rivelano maggiori, dove quindi esiste maggiore potenzialità di occupare spazi di mercato approfittando della debolezza degli attori esistenti, le organizzazioni criminose trovano terreno più fertile.
Le mani delle mafie sul trasporto dei prodotti made in Italy, un business da 120 miliardi di Ivan Cimmarusti
Le mani delle mafie sul settore dei trasporti, un sistema imprenditoriale che da solo vale 120 miliardi di euro di fatturato. Un business da capogiro su cui si concentrano le attenzione di ’ndrangheta, camorra e cosa nostra, che sfruttano il brand Made in Italy per gestire la logistica – soprattutto ortofrutticola – non solo in Italia ma anche in Europa. «La criminalità organizzata – ha detto il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti – esercita il proprio controllo lungo tutta la filiera, provocando alle imprese agricole danni diretti e indiretti che minano profondamente la loro competitività, compromettendo fortemente la qualità e la sicurezza dei prodotti e quindi indirettamente l’immagine e il valore del Made in Italy».
Anche il tema dei trasporti è stato al centro dell’incontro organizzato dall’Università Luiss e da Confagricoltura. Un dibattito cui hanno preso parte, tra gli altri, Paola Severino, vice presidente della Luiss; Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia; il ministro dell’Interno Matteo Salvini; Alessandra Pesce, sottosegretario ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo; Jacopo Morrone, sottosegretario ministero della Giustizia; Francesco Minisci, presidente Associazione nazionale magistrati e Angelo Agovino, comandante unità forestali, ambientali e agroalimentari dei Carabinieri. Le mani delle mafie sul trasporto dei prodotti Made in Italy, un business da 120 miliardi, dati 2018. Fonte: Sesto rapporto sulle agromafie. SOLE 24 ore
DOVE INVESTE LA CRIMINALITÁ ORGANIZZATA – RICERCA
a cura di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco