Servizi segreti in Via D’Amelio

 



Dalla sentenza “Borsellino quater”: “. La circostanza (mai riferita prima dal teste, nonostante le sue diverse audizioni) veniva confermata da un altro appartenente alla Polizia di Stato, vale a dire il Vice Sovrintendente Giuseppe Garofalo, in servizio alla Sezione Volanti della Questura di Palermo. Anche quest’ultimo, che arrivava sul posto ad appena cinque minuti dalla deflagrazione, dopo aver constatato che non c’era più nulla da fare per il Magistrato ed i colleghi della Polizia di Stato che gli facevano da scorta, aiutava i residenti nello stabile di via D’Amelio, soccorrendo forse anche la madre del Magistrato. Quando riscendeva in strada, il poliziotto notava, nei pressi della Croma blindata di Paolo Borsellino, un uomo in borghese, con indosso la giacca (nonostante il torrido clima estivo) e pochi capelli in testa. Alla richiesta di chiarimenti sulla sua presenza lì, l’uomo si qualificava come appartenente ai “Servizi”, mostrando anche un tesserino di riconoscimento: sebbene il ricordo del teste, sul punto specifico, non sia affatto nitido, vi era persino un veloce scambio di battute fra i due sulla borsa di Paolo Borsellino. Infatti, l’agente dei Servizi Segreti chiedeva se c’era la borsa del Magistrato dentro l’auto blindata, oppure (addirittura) si giustificava per il fatto che aveva detta borsa in mano”

 

 


La presenza del sisde in via d’amelio. Torniamo in via D’Amelio, nei minuti immediatamente successivi alla strage. Il primo dettaglio anomalo, come anticipavamo, è l’immediata presenza di uomini del SISDE sul luogo dell’esplosione.

Riferisce alla Commissione Pietro Grasso:

GRASSO. “…le incongruenze determinate dalla presenza accertata in via D’Amelio, nell’immediatezza della strage, di appartenenti a Servizi di sicurezza intenti a cercare la borsa del magistrato attorno all’auto. Sono le testimonianze del sovrintendente Maggi e di un vice sovrintendente, Giuseppe Garofalo, che danno l’idea di questo attivismo di persone tutte vestite allo stesso modo che avevano già visto presso gli uffici di La Barbera, nel corso delle indagini di Capaci e che si aggiravano lì…”.

Un contesto peraltro puntualmente ricostruito nella sentenza del Borsellino quater (pag.783 e ss.):

“(…) è innegabile che vi sono delle oggettive incongruenze nello sviluppo delle primissime indagini per questi fatti e che rimangano diverse zone d’ombra. (…) Tutt’altro che rassicuranti, ad esempio sono le emergenze istruttorie relative alla presenza, in via D’Amelio, nell’immediatezza della strage, di appartenenti ai servizi di sicurezza, intenti a ricercare la borsa del Magistrato.

Infatti, uno dei primissimi poliziotti che arrivava in via D’Amelio, dopo la deflagrazione delle ore 16:58 del 19 luglio 1992, era il Sovrintendente Francesco Paolo Maggi, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo. (…) Il Sovrintendente Maggi, dunque, confidando di poter trovare qualche altra persona ancora in vita, si faceva strada fra i rottami, (…) notava quattro o cinque persone, vestite tutte uguali, in giacca e cravatta, che si aggiravano nello scenario della strage, anche nei pressi della predetta blindata: “uscii da… da ‘sta nebbia che… e subito vedevo che arrivavano tutti ‘sti… tutti chissi giacca e cravatta, tutti cu’ ‘u stesso abito, una cosa meravigliosa”, “proprio senza una goccia di sudore”.

Si trattava di “gente di Roma”, appartenente ai Servizi Segreti; infatti, alcuni erano conosciuti di vista (anche se non davano alcuna confidenza) ed, inoltre, venivano notati a Palermo, presso gli uffici del Dirigente della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera, anche in occasione delle indagini sulla strage di Capaci.

La circostanza (mai riferita prima dal teste, nonostante le sue diverse audizioni) veniva confermata da un altro appartenente alla Polizia di Stato, vale a dire il Vice Sovrintendente Giuseppe Garofalo in servizio alla Sezione Volanti della Questura di Palermo che arrivava sul posto ad appena cinque minuti dalla deflagrazione. Il poliziotto notava, nei pressi della Croma blindata di Paolo Borsellino, un uomo in borghese, con indosso la giacca (nonostante il torrido clima estivo) e pochi capelli in testa.

Alla richiesta di chiarimenti sulla sua presenza lì, l’uomo si qualificava come appartenente ai “Servizi”, mostrando anche un tesserino di riconoscimento. “…non riesco a ricordare se questo soggetto mi chiede della valigia, della borsetta del dottore o se lui era in possesso della valigia. Con questa persona, alla quale io chiedo, evidentemente, il motivo perché si trovava su quel luogo. Questo soggetto mi dice di appartenere ai Servizi”.

Ricorda in Commissione, su questo punto, il giornalista Salvo Palazzolo:

PALAZZOLO. “Nel contesto delle stragi ci sono altre presenze. A 50 metri dal cratere di Capaci un agente del Centro Sisde di Palermo perde un bigliettino… Viene ritrovato questo bigliettino che dà atto di un guasto a un telefono, una utenza di un cellulare 337, che è riconducibile al vicecapocentro (del SISDE) Lorenzo Narracci. E fa riferimento a un guasto ‘numero due’ che, nel codice dei telefonini dell’epoca, è riferito a una possibilità che il telefonino sia clonato. Questa è una storia piena di coincidenze. Perché clonato era anche il telefonino di uno degli attentatori della strage. E sicuramente è una coincidenza, una strana coincidenza, che quel bigliettino sia caduto lì e che faccia riferimento a Narracci che poi è personaggio molto vicino a Contrada.

Soltanto cinque anni dopo l’agente Festa (che aveva materialmente ricevuto in consegna quel telefonino ndr.) si presenta alla magistratura per dire ‘non sono venuto prima perché avevo timore di polemiche però voglio riferivi che avevo ricevuto questo telefonino da un altro collega che mi aveva detto: tu hai tuo suocero che lavora alla SIP, il telefonino del vicecapocentro del SISDE non funziona, vedi se puoi darlo a tuo suocero per farlo riparare…’. Sembra alquanto inverosimile che un telefonino così delicato del vicecapocentro del SISDE, in caso di guasto, non sia stato affidato a una agenzia specializzata, quindi con procedure specializzate, ma venga affidato al suocero di un collega”.

Ed ancora.:

PALAZZOLO. “Un’altra coincidenza molto strana è quella relativa alla presenza, il pomeriggio della strage, su una barca a largo di Mondello, di Bruno Contrada, di un imprenditore del settore degli abiti da sposa e di Narracci. Cosa accade? Un minuto dopo la strage risultano dei contatti telefonici sui telefonini delle persone che stanno in barca. Questo imprenditore sostiene che fu la figlia a dargli la notizia un minuto dopo la strage che c’era stato l’attentato a Borsellino. I magistrati si sono interrogati come avesse fatto questa ragazza un minuto dopo a sapere che l’attentato era ai danni del Borsellino… Questo imprenditore del settore degli abiti da sposa rilevano le indagini, aveva avuto contatti con personaggi legati alla famiglia mafiosa dei Ganci”.

È di quei primi concitati momenti la sparizione dell’agenda rossa del giudice Borsellino. Così la ricostruisce il pm Gozzo:

GOZZO. “Io sono alla procura di Palermo dal 1992 e quindi molti di questi soggetti li conoscevo. Ad esempio il capitano Arcangioli. Ho visto che ha preso la borsa dalla macchina, o qualcuno gliel’ha consegnata, e lui l’ha portata impettito lontano dalla macchina, praticamente fuori dalla zona transennata… Ha riportato, poi, di nuovo, la borsa nella macchina in fiamme e l’ha rilasciata dentro. Io gliel’ho chiesto: ‘E’ normale, secondo lei, comportarsi in un modo del genere?’. La risposta che mi venne data dal capitano Arcangioli fu che era una cosa che si usava fare in Polizia e tra i Carabinieri, cioè si usava vedere se una cosa fosse utile, prenderla ed eventualmente poi rimetterla nello stesso posto. Io ho detto: ‘Guardi a me non è mai capitato di verificare una cosa di questo genere in tutta la mia carriera professionale…’”.

GOZZO. “Il collega Ayala ha reso diverse versioni… non so quanto tutto questo appartenga al modo di essere di Ayala oppure evidentemente a una voglia in qualche modo di depistare le indagini. Saranno i colleghi di Caltanissetta a stabilirlo”.

Singolare è anche la gestione dei reperti recuperati nella macchina del giudice Borsellino.

GOZZO. “…gestione assolutamente sui generis. Prima da parte della Squadra mobile e della Questura di Palermo, poi da parte della Procura di Caltanissetta. Perché parlo di Squadra mobile? Perché successivamente al riposizionamento della borsa all’interno dell’autovettura, fu poi un agente della Squadra mobile, tale Maggi, a prenderla e portarla nello studio di La Barbera. Ma La Barbera sostiene di essersi accorto di questo solo a cinque mesi dai fatti. Stiamo parlando da luglio a fine dicembre. Questa borsa sembra che abbia giaciuto là senza nessuna attenzione per tutti questi mesi. Dai colleghi (magistrati) a cui viene infine riportata la borsa viene fatta una repertazione di ciò che c’era all’interno della borsa. Una repertazione che però non comprende l’agenda marrone… Tra l’altro non esiste un verbale di restituzione di tutto questo, c’è semplicemente a margine di un verbale: ‘vengono restituiti alla signora Borsellino alcuni effetti personali appartenuti e ritrovati in via D’Amelio’. Punto”.  Fonte mafie blog autore repubblica 8.11.2020