FIAMMETTA BORSELLINO RASSEGNA STAMPA PROCEDIMENTO CONTRO PALMA E PETRALIA

 FIAMMETTA BORSELLINO: “IL DEPISTAGGIO SU VIA D’AMELIO, GIUSTIZIA MALATA”   Il gip di Messina ha archiviato l’indagine sugli ex pm di Caltanissetta Annamaria Palma e Carmelo Petralia. L’amarezza della figlia del giudice Paolo: “Non abbiamo avuto alcuna risposta, il Paese non ha avuto risposte. È una storia italiana che si ripete”

“È una giustizia malata quella che ad oggi non ha saputo trovare una delle verità sui tanti enigmi che hanno caratterizzato il depistaggio per via D’Amelio e il falso pentito Scarantino. Questa non è l’idea di giustizia che sognava mio padre”. Fiammetta Borsellino, la figlia del giudice Paolo, ha appena finito di leggere le 23 pagine con cui il gip di Messina ha archiviato l’inchiesta sugli ex pm di Caltanissetta Annamaria Palma e Carmelo Petralia. Dice: “Non è quello che ci aspettavamo, un’archiviazione. Chi ha lavorato male, permettendo che certe nefandezze accadessero, potrà sfuggire alla giustizia, ma non ai conti con la propria coscienza”.

La gip di Messina Simona Finocchiaro rileva che “ci furono molteplici irregolarità e anomalie nella gestione del collaboratore Scarantino”, ma non è stata “individuata alcuna condotta penalmente rilevante a carico dei magistrati”. E ricorda che nel corso delle ultime indagini Scarantino ha ritrattato nuovamente le accuse fatte nei confronti degli ex pm.  “Non capisco come si possa basare ancora una volta una decisione su Scarantino, che ha detto tutto e il contrario di tutto. Ritrattando per l’ennesima volta. E se fosse ancora oggi manovrato o condizionato da quelle menti raffinatissime che non hanno voluto che si accertasse la verità?”

Che giornata è oggi per la famiglia Borsellino?  “Non è un giorno di rabbia, né di odio, né di rancore. È uno dei tanti giorni in cui siamo costretti a tirare le somme: non abbiamo avuto alcuna risposta, il Paese non ha avuto risposte. È una storia italiana che si ripete, con le stesse dinamiche che hanno caratterizzato le indagini su altre stragi. In ogni caso, fare passare del tempo, è la strategia per compromettere quasi in modo definitivo la possibilità di arrivare alla verità”.

Ha sentito i suoi fratelli”  Condividiamo gli stessi pensieri e gli stessi sentimenti”.

C’è ancora un processo a Caltanissetta riguardante il depistaggio, sono imputati tre poliziotti. Potrebbero arrivare da lì spunti per proseguire nella ricerca della verità?  “La procura di Caltanissetta continua a fare un lavoro importante, che è ancora in corso. Ma il sistema giustizia è apparso malato nella vicenda depistaggio: è assurdo che per un processo definito il più grande errore giudiziario della storia italiana non sia stata individuata alcuna responsabilità di coloro che quel processo hanno gestito. Non ci sono stati neanche provvedimenti disciplinari. Anzi, chi ha sbagliato, oggi svolge ruoli apicali all’interno dell’ordine giudiziario. E non è la sola incongruenza in questa giustizia malata”.

A cosa si riferisce?  “Mi viene in mente il contrasto fra le tesi espresse dalla sentenza “Trattativa Stato-mafia” e quelle emesse a Caltanissetta per la strage di via D’Amelio. La prima individua quale elemento acceleratore la trattativa. La corte del Borsellino quater rileva invece che l’accelerazione sarebbe stata determinata dal dossier mafia e appalti, al quale mio padre era molto interessato. La sentenza “Trattativa” arriva a negare questo interesse. Com’è possibile avere queste due opposte valutazioni?”.

Come proseguirà il suo impegno perché si arrivi a decifrare gli enigmi che ancora avvolgono la morte di suo padre e dei poliziotti della scorta?  “Continuo a parlare con i ragazzi delle associazioni, delle scuole, l’unico ambito in cui vale la pena di investire. È la mia strada. A questo impegno dedico gran parte del mio tempo. Lo faccio con semplicità. Ogni famiglia pretende la verità, l’intero Paese che è stato duramente colpito quel 19 luglio dovrebbe pretendere la verità. Ma è difficile da raggiungere, perché vedo ancora tanta omertà istituzionale attorno a questa vicenda”.

Insomma, una giornata amara, questa.  “L’ennesimo epilogo di una putrida vicenda, è la storia dell’Italia: lo stivale dei maiali che affonda sempre di più nel fango come canta Franco Battiato in “Povera Patria”, pensando a quei corpi a terra senza più calore”.  di Salvo Palazzolo LA REPUBBLICA 4.2.2021


L’ira di Fiammetta: “Faranno i conti con la propria coscienza” Depistaggio via D’Amelio, il gip: “Anomalie su Scarantino, ma gli ex pm non fecero reati”. Le motivazioni del provvedimento che ha archiviato l’indagine sui magistrati Palma e Petralia. Il dolore della figlia del giudice ucciso in via D’Amelio. “Povera patria” “E’ tutto coerente – dice Fiammetta Borsellino – in linea col principio che ‘cane non mangia cane’. Chi ha lavorato male, permettendo che certe nefandezze accadessero, non farà i conti con la giustizia ma non potrà sfuggire ai conti con la propria coscienza”. La figlia di Paolo Borsellino è amareggiata per l’archiviazione dell’indagine sui due ex magistrati di Caltanissetta Annamaria Palma e Carmelo Petralia che si occuparono di Vincenzo Scarantino, il falso pentito della strage di via D’Amelio. Fiammetta, che da anni si batte per la verità attorno al depistaggio nelle indagini, ha parole severe per i due magistrati che erano indagati per calunnia aggravata. E aggiunge: “L’epilogo di questa putrida vicenda è la storia dell’Italia: lo stivale dei maiali che affonda sempre di più nel fango come dice Battiato in “Povera Italia”, pensando a quei corpi a terra senza più calore”.

Per il gip di Messina Simona Finoacchiaro “ci furono molteplici irregolarità e anomalie nella gestione del collaboratore Scarantino”, ma non è stata “individuata alcuna condotta penalmente rilevante a carico dei magistrati oggi indagati che fosse volta a indurre consapevolmente Scarantino a rendere false dichiarazioni e a incolpare ingiustamente”. Per questa ragione è stata archiviata l’inchiesta nei confronti di Annamaria Palma (oggi avvocato generale a Palermo) e di Carmelo Petralia (procuratore aggiunto a Catania).

Secondo il giudice Simona Finocchiaro, che in 23 pagine ha accolto la richiesta di archiviazione della procura, “non si ravvisa” neanche “l’utilità di ulteriori indagini”, perché “un eventuale approfondimento dibattimentale non consentirebbe l’esplorazione di alcun tema di indagine nuovo rispetto a quelli già ampiamente e approfonditamente analizzati nel corso degli anni e da ultimo con l’attività posta in essere dalla Procura di Messina”.

Insomma, il depistaggio attorno alle indagini sulla strage di via D’Amelio è destinato a restare un altro mistero italiano. E restano sotto accusa solo due ispettori di polizia in pensione e un funzionario, Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo e Mario Bò, accusati di essere stati gli esecutori degli ordini dell’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002. “Possibile che hanno fatto tutto da soli?”, ha continuato a chiedersi in questi mesi Fiammetta Borsellino. Non si potrà più dare risposta a questa domanda. Il caso è archiviato. E continuiamo anche a non sapere chi ha rubato l’agenda rossa di Paolo Borsellino in via D’Amelio. “C’è uno stretto collegamento fra quel furto e il depistaggio”, hanno scritto i giudici del Borsellino Quater, ricordano le strane presenze di agenti segreti sul luogo della strage, come raccontato da due poliziotti delle Volanti, arrivati per primi dopo l’esplosione. I servizi segreti, quelli che l’allora procuratore capo di Caltanissetta Gianni Tinebra invitò a partecipare alle indagini sulla bomba di via D’Amelio. Salvo Palazzolo LA REPUBBLICA 3.2.2021


Il depistaggio sulla strage di via D’Amelio, archiviata l’indagine sugli ex pm Palma e Petralia. Fiammetta Borsellino, la figlia del giudice Paolo, ha chiesto a gran voce di conoscere la verità chiamando in causa gli ex pm. Ha anche sollecitato la procura generale della Cassazione ad avviare dei procedimenti disciplinari.

Il giudice delle indagini preliminari di Messina ha accolto la richiesta della procura. Le parti offese si erano opposte Il gip di Messina ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dalla procura per i due ex sostituti procuratori di Caltanissetta Annamaria Palma (oggi avvocato generale a Palermo) e Carmelo Petralia (procuratore aggiunto a Catania) indagati per calunnia aggravata. L’accusa iniziale era pesante, aver costruito ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino, assieme all’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002. Attualmente, ci sono tre poliziotti sotto processo al tribunale di Caltanissetta: il funzionario Mario Bò, l’ex capo del gruppo d’indagine Falcone Borsellino, e gli ispettori in pensione Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Anche loro imputati per calunnia aggravata.

L’inchiesta di Messina era nata due anni fa, dopo che la procura di Caltanissetta aveva trasmesso la sentenza “Borsellino quater”, l’ultimo troncone del processo per la strage di via d’Amelio. Il pool coordinato dal procuratore di Messina Maurizio de Lucia ha riascoltato il falso pentito Scarantino e ripercorso tutti i passaggi di questa vicenda drammatica, che ha tenuto lontana la verità per tanti, troppi anni, fino a quando nel 2008 il pentito Gaspare Spatuzza ha fatto riaprire il caso: era stato lui, e non Scarantino, a rubare la Fiat 126 poi trasformata in autobomba. E undici condannati sono stati scagionati.

Indagini e processi fin qui svolti hanno fatto emergere le pressioni di La Barbera e dei suoi uomini su Scarantino. Possibile che sia avvenuto tutto all’insaputa dei magistrati? Fiammetta Borsellino, la figlia del giudice Paolo, ha chiesto a gran voce di conoscere la verità chiamando in causa gli ex pm. Ha anche sollecitato la procura generale della Cassazione ad avviare dei procedimenti disciplinari.

“Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino – si è chiesta ancora Fiammetta – e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione? Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perché i pm non ne fecero mai richiesta? E perché nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo? Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?”. E ancora: “Perché furono autorizzati dieci colloqui investigativi della polizia con Scarantino, quando già era iniziata la collaborazione con i magistrati?   Ora, la giudice delle indagini preliminari Simona Finocchiaro ha accolto le argomentazioni della procura rigettando le opposizioni presentate dagli avvocati Giuseppe Scozzola e Rosalba Di Gregorio per le “parti offese” Gaetano Scotto, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Cosimo Vernengo, accusati ingiustamente della strage dal falso pentito Scarantino. Per i pm, non c’è l’evidenza di fatti di reato commessi dai due magistrati. Anche perché Scarantino, davanti ai magistrati di Messina, ha poi ritrattato ancora una volta, non confermando le accuse che aveva fatto a Caltanissetta. Il depistaggio attorno alla strage di via D’Amelio è destinato a restare un altro mistero italiano. SALVO PALAZZOLO –  LA REPUBBLICA  2.2.2021


Depistaggio strage via D’Amelio- Archiviata l’indagine sugli ex pm. Scarantino: “Non ero una persona stabile e lo sapevano… la colpa e mia”. Secondo l’accusa iniziale i due ex sostituti procuratori di Caltanissetta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, avevano costruito ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino.  La richiesta di archiviazione, che era fondata sul fatto che non emergevano profili penali, risale al giugno dello scorso anno. Alla richiesta fece seguito una memoria integrativa presentata dai pubblici ministeri Vito Di Giorgio, procuratore aggiunto e Liliana Todaro, sostituto della Direzione distrettuale antimafia. Il Gip, Simona Finocchiaro, del tribunale di Messina, a seguito dell’opposizione presentata dai legali delle parti offese si era riservato sui due magistrati accusati di calunnia aggravata. Attualmente per la gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino, e il depistaggio che ne scaturì, a Caltanissetta sono sotto processo tre poliziotti, il funzionario Mario Bò e gli ispettori in pensione Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, imputati per lo stesso capo d’accusa che era stato mosso nei confronti dei due ex pm.  La giudice per le indagini preliminari, Simona Finocchiaro, ha sciolto la riserva accogliendo le argomentazioni della procura e rigettando le opposizioni presentate dagli avvocati Giuseppe Scozzola e Rosalba Di Gregorio, difensori legali di Gaetano Scotto, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Cosimo Vernengo, che da Scarantino erano stati accusati ingiustamente per il loro coinvolgimento nella strage di Via D’Amelio.

L’inchiesta, nata  a seguito della trasmissione della sentenza “Borsellino quater”, ha visto i magistrati del pool coordinato dal procuratore di Messina Maurizio de Lucia, impegnati a riascoltare il falso pentito Scarantino e diversi testi, tra i quali il dott. Nino Di Matteo, quest’ultimo, in particolare in merito al confronto tra Francesco Marino Mannoia e lo Scarantino.

Marino Mannoia, a proposito di quell’incontro avvenuto il 12 gennaio del ’95, ha escluso  di essere stato sollecitato a saggiare lo spessore mafioso dello Scarantino e ha respinto fermamente l’ipotesi che qualcuno gli avesse, in quella sede, chiesto se lo Scarantino fosse uomo d’onore.

Ha cosi ricordato che all’epoca gli vennero rivolte dal dott. Di Matteo domande generiche sulla conoscenza tra lui e lo Scarantino, soggetto che egli effettivamente conosceva perchè cognato di Profeta Salvatore, ed in quanto gravitante nella zona della Guadagna.

Ha ricordato di aver confermato  quanto detto dallo Scarantino in merito alla loro conoscenza, ma  ha  escluso  –  contrariamente  a  quanto  affermato dall’avv. Li Gozzi – che qualcuno gli avesse chiesto, in sede di confronto, il suo giudizio sulla caratura mafiosa dello Scarantino.

Stando a Marino Mannoia, paradossalmente, nessuno gli chiese quale fosse lo spessore mafioso di un collaboratore di giustizia che raccontava i retroscena della strage di Via D’Amelio nella quale era personalmente coinvolto (che quanto raccontato da Scarantino frottole, lo avevano capito alcuni avvocati, qualche magistrato e qualche giornalista, ma la conferma la si avrà solo con la collaborazione di Gaspare Spatuzza).  Mannoia, preso a sommarie informazioni testimoniali, il 9.07.2019, ricorda così il giorno del confronto con Scarantino:

“[Scarantino] io l’ho incontrato solo una  volta  con il  dott.  Di  Matteo…  il  dott.  Di Matteo,  in  base  a cose  che  aveva dichiarato questo Scarantino [voleva]   che  avessi  un  confronto  con  questo  ragazzo..  faccio  presente   che  questo  ragazzo  è  cognato  di Salvatore Profeta. Salvatore Profeta era della stessa famiglia di mia appartenenza, la famiglia di Stefano Bontate. Io questo ragazzo… lo vedevo ogni tanto lì in piazza alla Guadagna,  sono  diversi fratelli… Il dott. Di Matteo voleva in quella circostanza che io  avessi  un confronto  con questo  ragazzo…  il  dott.  Di  Matteo, per  motivi suoi,  ci  lascia qualche  attimo  nella stanza,  non c’era  nessuno  e  io ci ho detto:  “Ma che fai? Che cosa è?” e lui mi racconta alcune situazioni di Guadagna: “Sai Pietro Aglieri se la faceva con la moglie di Calascibetta.. “…  mi raccontava  questi pettegolezzi  di borgata…  Poi e entrato  il dott.  Di Matteo e ha fatto come un’esclamazione di rimprovero: “Ma voi  parlate  in mia assenza?!”  Io non  ho voluto  dire niente però  mi veniva da dirci: “Ma dottore Di  Matteo,  mi perdoni  ma  lei ci  lascia a  noi soli  qua e lei se n’è andato?” [.]    II  dott.  Di Matteo ha verbalizzato  la conoscenza  di questo ragazzo ..  gli ho detto “Si  e vero”… alcune banalità. ma non fatti di criminalità … Il punto del dott. Di Matteo era vedere se c’erano riscontri in quelle sommarie  cose …  che questo ragazzo  diceva,  se era vero che mi  conosceva..  se  era vero che conosceva a Pietro Aglieri .. Ma non mi ha chiesto “lei ha mai sentito se e d’uomo d’onore? “… nessuno mi ha fatto la domanda, perchè se mi facevano la domanda:  “Lei, questo, pensa che e inserito in Cosa Nostra?”  “E’ uomo d’onore? “,   questo   e  quell’altro..   poteva  essere  uno  che   può   gravitare,   che  nell’assenza   le  cose   sono cambiate e magari si mettono vicino un ragazzo,  ma non che fosse  uomo d’onore…  gli  avrei detto “voi siete  tutti pazzi, quelli che lo sostenete che e un uomo d’onore”

Escusso sul medesimo episodio il dott. Di Matteo non ha ricordato di aver partecipato ad un confronto tra Scarantino Vincenzo e Marino Mannoia Francesco, pur non escludendo tale evento.

Sugli esiti del confronto sono stati escussi anche i due pm indagati e, mentre il dott. Petralia non ha ricordato di aver preso parte a un confronto tra Scarantino Vincenzo e Marino Mannoia Francesco, la dott.ssa Palma ha riferito – in linea con la lettera del verbale di confronto – che in esito a quel confronto lo Scarantino era risultato  essere un soggetto ben inserito all’interno del quartiere della Guadagna, dedito al traffico di sostanze stupefacenti insieme al fratello Rosario e molto vicino a Profeta Salvatore, ma non ha mai parlato di uno Scarantino organicamente inserito in “Cosa Nostra” palermitana.

Se per il gip che ha archiviato le argomentazioni poste dai pm a fondamento della richiesta di archiviazione in merito all’insussistenza di elementi probatori certi e univoci tali da consentire la sostenibilità in un eventuale futuro dibattimento dell’accusa di calunnia a carico degli indagati, sotto il profilo soggettivo meritano accoglimento; ci sarebbe da chiedersi quali fossero i criteri investigativi di chi permise a quello che in gergo viene definito un “picciutteddu di sgarru” di attribuirsi un ruolo nella strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, facendo condannare all’ergastolo degli innocenti e mettendo al riparo dai rigori della giustizia i veri colpevoli.

Possibile che non si chieda nulla a un collaboratore di giustizia come Marino Mannoia in merito all’appartenenza a “cosa nostra” di un uomo come Scarantino? Forse sarebbe stata sufficiente questa domanda per evitare decenni di depistaggi e la lunga detenzione di innocenti.

Le domande, sarebbero anche tante altre, come quelle riportate su Repubblica e poste da Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso:  “Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino – si è chiesta ancora Fiammetta – e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione? Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perché i pm non ne fecero mai richiesta? E perché nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo? Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?”. E ancora: “Perché furono autorizzati dieci colloqui investigativi della polizia con Scarantino, quando già era iniziata la collaborazione con i magistrati?”

L’archiviazione da parte del Gip Simona Finocchiaro, se da un lato “assolve” gli indagati, non emergendo a loro carico rilievi penali, dall’altro rappresenta una dura condanna di quei “PM sprovvedutelli e scarsamente aderenti ai criteri di valutazione della prova” – così come definiti sulla propria pagina Facebook dall’avvocato Di Gregorio – che non tennero conto neppure dell’instabilità psicologica di Scarantino.  Come afferma l’ex falso pentito: “Non ero una persona stabile e lo sapevano…la colpa e mia”  Ecco, forse una volta tanto, anche persone più psicologicamente stabili, con una diversa cultura e con un diverso ruolo nella società, potrebbero fare almeno un mea culpa, e non lasciare allo Scarantino di turno l’onere di attribuirsi una responsabilità morale – nel suo caso anche penale – che forse solo parzialmente gli appartiene.

Avv. Rosalba Di Gregorio  Mi tornano in mente le parole che disse l’avvocato Rosalba Di Gregorio, quando la intervistai in occasione della pubblicazione del libro “Dalla parte sbagliata”: “Sfatiamo un altro mito… Io non c’è l’ho con i pentiti. A me non hanno fatto nulla, non li odio. Addirittura, ricordo che Cangemi, il quale era stato pure mio cliente, quando si pentì, in un processo mi volle pure salutare. Io ho una pessima opinione – che è una cosa diversa – sia della normativa vigente sui pentiti, sia delle modalità in cui la normativa vigente si applica ai collaboratori di giustizia. A me fa schifo la risultante, non il fenomeno in sé o la possibilità che si usi un collaboratore di giustizia”.  Come darle torto?  Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI 3.2.2021


L’impossibile verità sulla morte di Borsellino“.Da Palma e Petralia nessun reato nell’inchiesta su via D’Amelio”. Archiviata l’indagine sui pm che indagavano sulla morte del giudice  La verità sul depistaggio sembra sempre più lontana. È la sensazione che ha chi conosce la storia dei processi seguiti alla morte del giudice Paolo Borsellino,  all’indomani dell’archiviazione dell’inchiesta su Annamaria Palma e Carmelo Petralia. I due pm che indagarono sull’omicidio del magistrato antimafia. E che avallarono le posizioni di Vincenzo Scarantino e di altri due soggetti che poi si sono rivelati essere dei falsi pentiti che, con le loro dichiarazioni fantasiose, hanno accusato – e mandato in carcere – persone estranee ai fatti. I due magistrati – Palma attualmente è avvocato generale a Palermo, Petralia è in pensione – erano accusati di concorso in calunnia aggravata. Perché, secondo la procura di Messina che a giugno scorso ha chiesto l’archiviazione, insieme con i poliziotti – a processo a Caltanissetta – avevano costruito a tavolino i falsi collaboratori di giustizia. E quindi contribuito a costruire una verità di comodo.  Per il gip di Messina, ferme restando le “anomalie dell’inchiesta”, i due non hanno commesso reati. “La corposa attività d’indagine svolta dalla Procura non ha consentito di individuare alcuna condotta penalmente rilevante a carico dei magistrati indagati che fosse volta a indurre consapevolmente Scarantino a rendere false dichiarazioni e a incolpare ingiustamente qualcuno”, si legge nelle 23 pagine con cui Simona Finocchiaro motiva l’archiviazione. Il libro si chiude, le domande restano.

Dai mesi dopo la strage ad oggi: storia di un depistaggio. Per comprendere l’ultimo capitolo di questa storia lunga 29 anni bisogna risalire, seppure in maniera riassuntiva, alle tappe salienti. Borsellino viene ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, a Palermo. A causare la morte è un’auto imbottita di tritolo. Dalla scena del crimine sparisce l’agenda rossa del giudice, documento fondamentale che non è mai stato ritrovato. Iniziano le indagini che vengono svolte dalla procura di Caltanissetta. Pochi mesi dopo l’attentato, un giovane palermitano, piccolo delinquente ma certamente non un boss di Cosa Nostra, si accusa di aver rubato l’auto che è servita per innescare l’esplosione. E accusa altre persone del delitto. Il suo nome è Vincenzo Scarantino. Dalle sue parole parte quello che anni dopo è stato definito “il più grande depistaggio della storia d’Italia”. Ma torniamo agli anni immediatamente successivi alla strage di via D’Amelio. Nel primo processo vengono condannati all’ergastolo sette innocenti: persone tirate in ballo dai falsi pentiti ma che nella strage del 19 luglio non avevano avuto alcun ruolo. Scarantino a un certo punto decide di ritrattare, lo fa in un’intervista televisiva, ma poi ritorna sui suoi passi. E la sua verità rimane quella ufficiale fino a quando, nel 2008, Gaspare Spatuzza non si accusa del furto dell’auto e ribalta la storia. Scagionando, finalmente, gli innocenti che vedranno le loro condanne cancellate dalla revisione. Nel 2017, nel processo in cui viene stabilito l’ergastolo per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, si mette nero su bianco la parola depistaggio. Qualcuno ha volutamente allontanato la verità. Qualcuno chi? Ufficialmente al momento nessuno. Alcuni protagonisti di questa storia sono morti. C’è, poi, un processo a Caltanissetta nel quale sono indagati tre poliziotti. E c’è stata l’inchiesta su Palma e Petralia, archiviata ieri perché, scrive il gip, non hanno tenuto condotte penalmente rilevanti.

 Le carte degli gip: “Palma non autorizzò i colloqui investigativi”. Tra gli elementi poco chiari da vagliare c’erano dei colloqui che Scarantino aveva tenuto con gli investigatori. Secondo il giudice non furono autorizzati da Annamaria Palma, ma erano certamente atti singolari: “Pur non potendosi negare l’anomalia di tali colloqui – scrive il gip – anche per le motivazioni per le quali alcuni di essi vennero concessi, deve comunque tenersi conto della disciplina vigente all’epoca che non prevedeva l’attuale divieto di colloqui investigativi con il collaboratore durante la redazione dei verbali di collaborazione o comunque fino alla redazione del verbale illustrativo della collaborazione”. Il gip si sofferma poi sul finto pentimento di Scarantino. E sottolinea che le “imbeccate” erano state fatte fai poliziotti, non dai magistrati: “Vincenzo Scarantino dopo avere sostenuto che la propria collaborazione era stata stimolata da Arnaldo La Barbera (l’ex dirigente della Mobile di Palermo ndr) e Mario Bo, ha affermato che le dichiarazioni rese ai magistrati nella prima fase della sua collaborazione erano il frutto di ‘imbeccate’ provenienti dai poliziotti che lo gestivano, e in particolare da Arnaldo La Barbera. Inoltre, nel momento cui concordava con i poliziotti le dichiarazioni da rendere in sede di interrogatorio, i magistrati non erano presenti”.   

Preso atto dell’archiviazione, restano gli interrogativi. Ne ha tanti l’avvocato Giuseppe Scozzola, avvocato di Gaetano Scotto e Vincenzo Orofino, due dei sette condannati ingiustamente. Con Rosalba Di Gregorio, legale degli altri uomini ingiustamente condannati, si era opposto all’archiviazione. “Il provvedimento di archiviazione – spiega ad HuffPost – è illogico e carente nelle motivazioni”. Per il legale alcuni approfondimenti erano necessari per appurare le eventuali condotte errate “dolose o non dolose” nell’operato dei magistrati. La lista delle domande è lunga: “Nell’atto di opposizione avevamo chiesto un confronto tra Marino Mannoia e l’avvocato Li Gotti, perché c’era da appurare se Mannoia avesse detto o no che Scarantino non era un uomo d’onore. Perché è stato considerato inutile? Il giudice scrive che nelle condotte dei due pm potrebbero essere ravvisati illeciti disciplinari, perché non ha inviato gli atti al Csm? Davvero i poliziotti sono gli unici che anno depistato?”.  E ancora: “Nel processo di Caltanissetta è stato appurato che non furono i guasti tecnici a impedire la registrazione dei colloqui telefonici tra pm e Scarantino e che semplicemente la registrazione fu interrotta. Il giudice di Messina esclude che sia stato fatto per motivi illeciti, perché se non avessero voluto captare quei colloqui Scarantino avrebbe potuto usare i cellulari dei funzionari addetti alla sicurezza. Io mi chiedo: qualcuno ha accertato che questi avessero un cellulare?”. Tante le domande alle quali, insiste l’avvocato, avrebbero dovuto rispondere gli inquirenti. “Arrivare alla verità – conclude – dopo tutti questi anni è difficile. Eppure se si vuole, se non si guarda solo all’appartenenza, è probabile che qualcosa venga fuori. A me sembra che forse non si voglia conoscere la verità”.

Fiammetta Borsellino: “Vicenda putrida, chi ha lavorato male non farà i conti con la giustizia”. Per la figlia più piccola di Paolo Borsellino, Fiammetta, l’archiviazione ”è del tutto coerente in linea col principio che ‘cane non mangia cane’. Chi ha lavorato male, permettendo che certe nefandezze accadessero, non farà i conti con la giustizia, ma non potrà sfuggire ai conti con la propria coscienza”, ha detto a Repubblica. “L’epilogo di questa putrida vicenda – ha concluso – è la storia dell’Italia”. Una storia fatta anche di mezze verità.  HUFFINGTON POST 3.2.2021


L’ondivago falso pentito Scarantino non ha confermato le accuse ai magistrati. Quindi va creduto?  Archiviata la posizione dei magistrati per il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio basato sulle dichiarazioni di Scarantino  Come già annunciato è stata archiviata dal gip di Messina la posizione dei magistrati per il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio, nella quale morirono Borsellino e la sua scorta. Il procedimento archiviato ha preso le mosse dalla trasmissione da parte della Procura della Repubblica di Caltanissetta alla Procura della Repubblica di Messina – a seguito del deposito della sentenza di primo grado del “Borsellino quater” – degli atti relativi al procedimento n. 916/18 modello 45 «al fine valutare le condotte dei magistrati all’epoca in servizio presso il distretto di Corte d’Appello di Caltanissetta in ordine alle indebite pressioni rivolte, in particolare, nei confronti di Scarantino Vincenzo, nell’ambito dei procedimenti conseguenti la strage di via D’Amelio».

Il 4 giugno del 2015 per Scarantino i giudici erano consapevoli che le sue dichiarazioni fossero false. Nel corso dell’udienza del 4 giugno del 2015 nell’ambito del procedimento summenzionato, il falso pentito Scarantino aveva fatto esplicito riferimento alla consapevolezza da parte dei magistrati che avevano gestito la sua collaborazione – nello specifico Giovanni Tinebra (poi deceduto), Carmelo Petralia e Anna Maria Palma Guarnier – che le dichiarazioni da lui rese nella fase delle indagini preliminari sulla strage di via D’Amelio fossero false.Ma nulla, nessuna responsabilità penale. L’indagine da parte della Procura di Messina guidata da Maurizio De Lucia è partita, per poi però appunto chiedere l’archiviazione.

A Caltanissetta è in corso un processo a 3 poliziotti con le stesse accuse  Mentre, per gli stessi fatti e per la stessa accusa (concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra) a Caltanissetta è in corso un processo contro tre dei poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, membri del gruppo Falcone-Borsellino che indagò sulle stragi mafiose del ’92 di via D’Amelio e di Capaci. I tre, secondo l’accusa, avrebbero in qualche maniera manovrato le dichiarazioni rese da Scarantino, costringendolo a fare nomi e cognomi di persone innocenti in merito all’attentato in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.Un’inchiesta, ribadiamo, quella nei confronti degli investigatori e dei pm (ora archiviata), nata sulla scorta delle motivazioni della sentenza Borsellino quater in cui si parla in maniera chiara del depistaggio delle indagini certificando che Scarantino è stato «indotto a mentire». Eppure, secondo il giudice dell’udienza preliminare, «la corposa attività d’indagine posta in essere dall’Ufficio di Procura presso questo Tribunale non ha consentito – a parere di questo Giudice – di individuare alcuna condotta penalmente rilevante a carico dei magistrati oggi indagati che fosse volta ad indurre consapevolmente Scarantino Vincenzo a rendere false dichiarazioni e a incolpare».

Le dichiarazioni discordanti del falso pentito. Per arrivare a questa conclusione, il gip prende le mosse delle dichiarazioni discordanti di Scarantino. Prima dice di essere stato indotto dai soli poliziotti senza la presenza dei magistrati, ma poi dice l’esatto contrario. «Chiesti chiarimenti- scrive il giudice – in merito alla diverse dichiarazioni rese nel tempo sulle condotte dei magistrati che si erano occupati della sua collaborazione, alle sue varie ritrattazioni, alle dichiarazioni reticenti e ai vari “non ricordo”, lo Scarantino ha giustificato la sua condotta in maniera confusa, addossandosi la colpa in quanto soggetto emotivamente instabile e additando la Polizia come la causa della “rovina della sua vita”». In sostanza Vincenzo Scarantino viene creduto solamente quando accusa esclusivamente la polizia. O meglio, quando davanti ai magistrati di Messina ritratta nuovamente la sua versione. Si legge sempre nell’ordinanza di archiviazione che «d’altronde, senza la successiva collaborazione di Spatuzza Gaspare (iniziata nel giugno 2008), della falsità delle dichiarazioni di Scarantino Vincenzo non vi sarebbe stata alcuna certezza».

La totale mancanza di attendibilità di Scarantino era nota dal 1995. Eppure, molti anni prima qualche altra certezza c’era stata. Parliamo del 3 gennaio del 1995, quando c’è stato il confronto tra Scarantino e i collaboratori di giustizia Totò Cancemi, Gioacchino La Barbera e Mario Santo Di Matteo. Ed è proprio in quel confronto che emerse la totale mancanza di attendibilità di Scarantino. Ma è accaduto che il verbale del confronto è rimasto nel cassetto per diverso tempo. Alla data dei confronti, ovvero il 13 gennaio 1995, nessuno dei processi riguardante la strage di via D’Amelio era stato ancora definito. La sentenza del primo processo concluso, il Borsellino 1, viene pronunciata solo nel gennaio del 1996, a distanza di oltre un anno dall’avvenuta assunzione dei confronti. Il deposito di quei verbali demolitori della figura di Scarantino, quanto al profilo criminale quanto al contenuto delle dichiarazioni, avrebbe potuto quindi incidere sensibilmente sulle conclusioni di quel processo. Che invece, com’è noto, si concluse accettando l’intero impianto accusatorio basato sulla parola di Scarantino e condannandolo all’ergastolo.

Scarantino congedato dal servizio militare perché ritenuto «neurolabile». Il verbale uscì fuori grazie alla tenacia dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, che all’epoca difese alcuni imputati poi condannati ingiustamente per la strage. La commissione Antimafia della Sicilia, nella sua relazione, ha evidenziato che il mancato deposito di detti verbali nella segreteria del pubblico ministero ha «sicuramente determinato una grave deviazione processuale, perché ha impedito alla Corte di Assise di Caltanissetta una piena cognizione ed una corretta valutazione dell’inesistente affidabilità di Scarantino». Un iter processuale, quindi, che già nel 1995 avrebbe avuto un esito diverso, se solo si fosse portato a conoscenza di quel verbale, il perno principale che avrebbe fatto decadere tutte le accuse senza arrivare fino al Borsellino Quater. Come se non bastasse, nel 2019, durante il processo depistaggio contro i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, esce fuori un documento che attesta che Vincenzo Scarantino fu congedato dal servizio militare perché ritenuto dai medici «neurolabile». È stato prodotto dall’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale di Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina e Gaetano Murana, ex imputati falsamente accusati e poi scagionati e scarcerati. Secondo quanto risulta nel documento del 1986 a Scarantino venne diagnosticata una «reattività nevrosiforme persistente in neurolabile». Motivo in più per chiedersi del come mai non si siano fatti tutti quegli accertamenti quando a suo tempo presero per oro colato le false dichiarazioni di Scarantino. Una Fiammetta Borsellino, delusissima dell’archiviazione, si è lasciata andare a un amaro «cane non mangia cane» Damiano Aliprandi DIRE 4 febbraio 2021


Depistaggio su strage via D’Amelio, gip di Messina archivia l’inchiesta sugli ex pm che indagarono sull’attentato a Paolo BorsellinoA entrambi si contestava il reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra. All’istanza si erano opposti i legali delle persone offese dal reato ovvero i sette uomini condannati ingiustamente per la strage. A otto mesi dalla richiesta della procura di Messina è stata archiviata dal giudice per le indagini preliminari l’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio a carico degli ex pm Carmelo Petralia e Annamaria Palma. I due magistrati facevano parte del pool che coordinò l’indagine sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e ad Agostino CatalanoWalter Eddie CosinaEmanuela LoiClaudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli, gli agenti della scorta. A entrambi si contestava il reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra. All’istanza si erano opposti i legali delle persone offese dal reato ovvero i sette uomini condannati ingiustamente per la strage. Il gip di Messina ha fissato un’udienza nel corso della quale l’accusa e le difese che avevano presentato opposizione alla archiviazione hanno motivato le loro istanze. Annamaria Palma attualmente è avvocato generale a Palermo, mentre Petralia, che ha ricoperto la carica di procuratore aggiunto a Catania, da novembre è in pensione. Per legge competente a indagare sui magistrati etnei è la Procura di Messina guidata da Maurizio de Lucia. Nell’ipotesi accusatoria, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo a Caltanissetta – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo rinviati a giudizio nel settembre del 2018 – i due pm avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio imbeccando tre falsi pentiti, tra cui Vincenzo Scarantino, e suggerendo loro di accusare dell’attentato persone ad esso estranee. La falsa verità, a cui per anni i giudici hanno creduto, è costata la condanna all’ergastolo a 7 persone: Cosimo Vernengo, Gaetano La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso e Natale Gambino. I sette, ora persone offese dal reato, si erano opposti alla richiesta di archiviazione presentata dai pm.  A Palma e Petralia si contestava, oltre all’aggravante di avere favorito Cosa nostra, anche quella che deriva dal fatto che dalla calunnia è seguita una condanna a una pena maggiore di 20 anni. La Procura di Messina aveva aperto l’inchiesta su input dei colleghi nisseni che, un anno fa, hanno trasmesso all’ufficio inquirente della città dello Stretto la sentenza del processo Borsellino quater in cui, per la prima volta, si parlava espressamente del depistaggio delle indagini. Le false accuse dei pentiti, che per anni hanno retto a più vagli processuali, sono state smontate dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Dopo il pentimento dell’ex boss di Brancaccio, che si è accusato della strage e ne ha ricostruito la vera dinamica, i sette ingiustamente condannati sono stati scarcerati ovvero Gaetano Murana, Giuseppe Orofino, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Salvatore Profeta, Giuseppe La Mattina, Gaetano Scotto. IL FATTO QUOTIDIANO 2.2.2021

FIAMMETTA BORSELLINO: “QUESTO PAESE É INCAPACE DI ONORARE I SUOI MORTI” La Repubblica 6.6.2020  “Mio padre è morto con dignità, perché è anche vissuto con dignità. Però credo anche che possa vivere e morire con dignità chi, avendo fatto del male, riconosce il danno che ha fatto alle famiglie e alla società e ripara il danno. Credo che la giustizia in sé non sia un giudizio eterno e incontrovertibile, si configura come un equilibrio di molteplici poteri e verità. Avendo delle figlie, so che una verità non è davvero sensata se non può essere spiegata a una bambina di 8 anni. Io dico sempre alle mie figlie che non bisogna mai smettere di sognare, forse io stessa sono una bambina che crede nel cambiamento, quello vero, delle coscienze.”

LO SFOGO DI FIAMMETTA BORSELLINO: “LA FAMIGLIA RICORRE CONTRO L’ARCHIVIAZIONE DELLE INDAGINI SUI MAGISTRATI PALMA E PETRALIA”. Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, è intervenuta in videoconferenza all’Università di Messina in occasione del dibattito “Eroi. Costruttori di bellezza”, organizzato dalla stessa Università. Tra l’altro, la Borsellino ha annunciato ricorso contro l’archiviazione disposta a Messina alle indagini sui magistrati Annamaria Palma e Carmelo Petralia. E poi si è soffermata sul depistaggio. Le sue parole: “Indagini fatte male, 20 anni di processi sbagliati. Un barlume di luce è arrivato solo con la recente sentenza al processo Borsellino quater. Ma quello non è un punto di arrivo, è solo un punto di partenza. Oggi c’è un’indagine a Caltanissetta con imputati tre poliziotti. Mentre a Messina di recente hanno archiviato le indagini sui pm dell’epoca, Annamaria Palma e Carmelo Petralia. Noi, come famiglia Borsellino, abbiamo fatto ricorso contro questa prematura archiviazione fatta dalla Procura di Messina.

Dopo 28 anni oggi sappiamo con certezza che ci fu un “colossale depistaggio” nelle indagini, tanto che le sentenze lo hanno definito come “uno dei più grandi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Rimane e rimarrà una ferita aperta visto che è passato troppo tempo; le prove si sgretolano e via via muoiono anche alcune persone coinvolte. Quando si cerca di arrivare a livelli oltre la mano armata mafiosa, le indagini purtroppo subiscono questi arresti”. Poi, sul padre, Fiammetta Borsellino aggiunge: “Mio padre non era un extraterrestre, era un una persona normale. E’ troppo facile parlare oggi di eroi, perché l’eroe è qualcosa di irraggiungibile, di inarrivabile; mentre mio padre era una persona semplice, normale, che ha combattuto la criminalità organizzata semplicemente facendo il proprio dovere. Chiunque, nel proprio piccolo, può far pratica facendo antimafia quotidiana. Bisogna dare l’esempio ai giovani, ai ragazzi, per far conoscere loro il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale. Senza fare antimafia di facciata, che va smascherata. Come diceva mio padre, il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare. Questa è stata sempre per noi l’unica strada possibile”. Poi, in conclusione, un affondo contro Silvana Saguto. Ancora le parole di Fiammetta Borsellino: “Qualcuno dopo 30 anni ci ha definito come “dei cretini che continuano a piangere la morte dei nostri familiari”. Mi riferisco alle recenti dichiarazioni dell’ex magistrato Saguto. Sono ferite ancora aperte. Stiamo pagando un prezzo altissimo, soprattutto mia sorella Lucia per il suo stato di salute personale. Fare memoria non significa fare il ricordo dell’uomo Paolo e basta. Occorre “far proprio” il patrimonio morale e comportamentale che ci hanno lasciato questi uomini. Non c’è memoria se non c’è giustizia. E l’unico modo per onorarli è la ricerca della verità. Noi come famiglia Borsellino pretendevamo e pretendiamo impegno dalla magistratura e dalle forze inquirenti per capire perché sia avvenuta una strage di questo tipo. Mio padre era un morto che camminava e ci sono responsabilità da accertare già su quei 57 giorni tra Capaci e via D’Amelio. Al discorso alla Biblioteca comunale si diede quasi la zappa sui piedi, dicendo di voler esser sentito dalla Procura di Caltanissetta. Cosa che non avvenne mai”12.12.2020 ITALY FLASH

La figlia del giudice trucidato, Fiammetta Borsellino, ha più volte puntato l’indice contro i tre magistrati: Palma, Petralia e Di Matteo. Si riuscirà ad arrivare ai primi bagliori di luce? Stiamo adesso a vedere cosa decide il tribunale di Messina su quella richiesta di archiviazione.

VIA D’AMELIO: GIP SI RISERVA SU RICHIESTA ARCHIVIAZIONE PER PALMA E PETRALIA I due pm sono indagati per calunnia aggravata nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini della strage E’ stata discussa questa mattina la richiesta di archiviazione presentata dalla procura di Messina per i magistrati Carmelo Petralia e Annamaria Palma, indagati per calunnia aggravata nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio. Il gip di Messina Simona Finocchiaro si è riservato la decisione sulla richiesta della procura. Petralia e Palma, rispettivamente Procuratore aggiunto di Catania e Avvocato generale di Palermo, furono tra i pm che coordinarono le indagini sull’attentato in cui morirono Paolo Borsellino e gli agenti della scorta il 19 luglio 1992. Nell’udienza presieduta dal gip Simona Finocchiaro, i pubblici ministeri Vito Di Giorgio, procuratore aggiunto e Liliana Todaro, sostituto della Direzione distrettuale antimafia, hanno presentato e illustrato una memoria integrativa alla richiesta di archiviazione. Sono quindi intervenuti gli avvocati della difesa. Quelli delle parti offese hanno presentato opposizione all’archiviazione. Lo scorso giugno la procura di Messina ha chiesto l’archiviazione per entrambi non essendo emersi profili di rilevanza penale nel corso dell’inchiesta durante la quale sono state esaminate anche delle bobine audio. Le vittime del depistaggio del falso pentito Vincenzo Scarantino avevano presentato opposizione alla richiesta di archiviazione. AMDuemila 19 Ottobre 2020


21.10.2020 DEPISTAGGIO BORSELLINO / PALMA E PETRALIA, SI ARCHIVIA TUTTO?La figlia del giudice trucidato, Fiammetta Borsellino, ha più volte puntato l’indice contro i tre magistrati: Palma, Petralia e Di Matteo. Una delle più brutte pagine della nostra storia. La strage di via D’Amelio dove persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta. E poi il vergognoso depistaggio di Stato, che ha impedito – fino ad ora – di scoprire i killer e i mandanti, rimasti sempre a volto coperto. Il 18 ottobre, infatti, è stata discussa al tribunale di Messina la richiesta di archiviazione presentata dalla procura per i magistrati Annamaria Palma e Carmine Petralia, indagati per calunnia aggravata nell’ambito dell’inchiesta per depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Il gip Simona Finocchiaro si è riservata la decisione sulla richiesta avanzata dalla procura di archiviare il fascicolo. Nel corso dell’udienza, i pm Vito Di Giorgio, procuratore aggiunto, e Liliano Todaro, sostituto della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno illustrato una memoria integrativa alla richiesta di archiviazione. Già a giugno i due pm avevano chiesto di archiviare il tutto, non essendo – a loro parere – emerso nulla di rilevante sotto il profilo penale e tale da consentire di indagare ancora sui comportamenti tenuti da Palma e Petralia. Al centro di tutto il giallo del depistaggio c’è il teste taroccato Vincenzo Scarantino, le cui dichiarazioni hanno sviato il corso delle indagini, portando addirittura alla condanna di imputati del tutto innocenti per quella vicenda. E solo le successive verbalizzazioni di Giuseppe Spatuzza hanno permesso di accertare che Scarantino era un pentito del tutto fasullo e le sue verbalizzazioni costruite a tavolino da cima a fondo. Quali gli autori del taroccamento di Scarantino e, quindi, del depistaggio? Imputati, in un altro processo, i poliziotti che hanno fatto parte del team guidato dall’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera (che non può più difendersi dalle accuse perché è morto quindici anni). I quali però – di tutta evidenza – non potevano non eseguire ordini ricevuti. Da chi? Dal solo La Barbera che a questo punto avrebbe avuto l’ardire di agire in perfetta autonomia? La catena di comando, è ovvio, porta ai superiori, ossia ai magistrati che coordinavano all’epoca le indagini, quindi Palma e Petralia; ai quali, dopo alcuni mesi, si è aggiunto Nino Di Matteo, poi diventato un’intoccabile icona antimafia. O chi mai altro è intervenuto dall’alto? La figlia del giudice trucidato, Fiammetta Borsellino, ha più volte puntato l’indice contro i tre magistrati: Palma, Petralia e Di Matteo. Si riuscirà ad arrivare ai primi bagliori di luce? Stiamo adesso a vedere cosa decide il tribunale di Messina su quella richiesta di archiviazione .LA VOCE DELLE VOCI21.10.2020

DEPISTAGGIO VIA D’AMELIO: ANOMALIE SENZA RILIEVO PENALE E RICHIESTA ARCHIVIAZIONE PER I PM PALMA E PETRALIA. I SILENZI DI SCARANTINO E LA REAZIONE DI FIAMMETTA BORSELLINO: “NESSUNA VERITÀ SUL DEPISTAGGIO. QUESTO PAESE È INCAPACE DI ONORARE I SUOI MORTI

FIAMMETTA BORSELLINO: “QUESTO PAESE É INCAPACE DI ONORARE I SUOI MORTI” La Repubblica 6.6.2020

“Mio padre è morto con dignità, perché è anche vissuto con dignità. Però credo anche che possa vivere e morire con dignità chi, avendo fatto del male, riconosce il danno che ha fatto alle famiglie e alla società e ripara il danno. Credo che la giustizia in sé non sia un giudizio eterno e incontrovertibile, si configura come un equilibrio di molteplici poteri e verità. Avendo delle figlie, so che una verità non è davvero sensata se non può essere spiegata a una bambina di 8 anni. Io dico sempre alle mie figlie che non bisogna mai smettere di sognare, forse io stessa sono una bambina che crede nel cambiamento, quello vero, delle coscienze.”


FIAMMETTA BORSELLINO: “Il colossale depistaggio che ha tenuto lontana la verità sulla morte di mio padre e dei suoi agenti di scorta continua a non avere responsabili”

DEPISTAGGIO BORSELLINO: I DUBBI DI FIAMMETTA SUI PM PALMA E DI MATTEO Dalle carte della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Messina, nell’ambito del depistaggio sulle indagini della strage di via D’Amelio (per cui erano indagati i pm Anna Maria Palma Carmelo Petralia), dalla pagina 47 emerge anche una deposizione inedita di Fiammetta Borsellino, sentita il 25 marzo 2019. Sono passaggi delicati, in cui la figlia del magistrato ucciso in quel tragico 19 luglio 1992 passa in rassegna i suoi ricordi e avanza qualche dubbio sui pm che si occuparono delle indagini.

Già nell’incipit della deposizione si capisce il forte dolore di Fiammetta per una verità negata ormai da quasi 28 anni: Io ho deciso di uscire allo scoperto… mio padre mi ha insegnato che lo si fa quando si hanno delle cose certe da dire, sennò si diventa urlatori e basta”. E la procura di Messina elogia infatti la “compostezza e determinazione con le quali i familiari del Dottor Borsellino hanno contribuito, e tutt’ora contribuiscono al ricordo di un Uomo la cui figura è di esempio per tutta la magistratura e per la nazione, per impegno e rettitudine”.

L’approccio di Fiammetta alla ricerca della verità è passato attraverso anni di lettura approfondita delle carte processuali, soprattutto grazie al cognato, Fabio Trizzino il marito di Lucia… abbiamo fatto questo lavoro di conoscenza, di apprendere quante più cose possibili… lui mi ha aiutato molto in questo lavoro di sintesi insomma”. Trizzino è il loro difensore di parte civile. Oltre ai passaggi già noti sui colloqui in carcere coi fratelli Graviano, Fiammetta parla anche dei pm Palma e Di Matteo.

I RICORDI SU ANNA MARIA PALMA Fiammetta racconta che «la Palma nasce come amica di famiglia, ma poi perché mio padre, mischina, l’aiutò a fare un po’ di carriera (…) quando fu messa a Caltanissetta, a me sembrava una persona competente avendola vista a casa; poi leggo le deposizioni e lei stessa dichiara che non si era mai occupata di mafia. (…) Lei era una di quelle che frequentava casa nostra». 

Fiammetta rivela che un giorno la Palma «fece un po’ incavolare» suo padre, perché «dopo che è morto Falcone addirittura la Palma ad un certo punto lo invitò per San Pietro e Paolo a casa di Giammanco. Tant’è che mio padre gli disse: “Ma scusa non non lo sai che a questo fra poco lo arrestiamo?” …Poi la Palma è stata anche una grande frequentatrice di salotti palermitani cosa che insomma mio padre non ha mai fatto. Quindi, comunque, nella vicinanza c’era anche una enorme distanza».

Poi si sofferma sulla mancata verbalizzazione del sopralluogo effettuato da Scarantino con la polizia dove sarebbe stata rubata la Fiat 126: «Non esiste un verbale – lamenta Fiammetta – ho letto le deposizioni della signora Palma al processo “Borsellino quater” quando gli viene chiesto» il motivo della mancanza del verbale «e lei risponde “Mh mh”, “non lo so”, “forse non mi ricordo”… cioè addirittura a volte si autoaccusa di non essere lei abbastanza preparata, non sapendo proprio cosa dire (…) il suo mutismo, il non sapere dare una risposta, diciamo, fa acquisire come dato di fatto che probabilmente le cose sono avvenute, insomma, non so».

In effetti, dagli atti del processo “quater”, la Palma dichiarava: «Non mi sono posta assolutamente il problema, devo dire forse sarò stata ignorante». 

I DUBBI SU NINO DI MATTEO Fiammetta riferisce poi che il pm Di Matteo aveva un rapporto confidenziale con sua sorella Lucia Borsellino.

Di Matteo «in una fase più finale entra in questo rapporto di enorme confidenza con Lucia tanto che io spesso ho chiesto a Lucia “Ma com’è che…” perché poi questa vicinanza, alla luce tutto quello che è successo ti fa anche pensare un po’ male, no? Nel senso, diciamo, sei vicino e ci metti in guardia o sei vicino perché questo è, ad un certo punto funzionale, a questo percorso che stai intraprendendo?… cioè sto pensando ad alta voce mi vengono tanti dubbi».

La grande confidenza con Di Matteo «poi si è interrotta improvvisamente perché fino a quando la famiglia è educata accondiscendente e va tutto bene, quando invece poi è successo un episodio, che pare sia l’inizio della frizione, anche io ho cercato diciamo facendo un lavoro quasi da psicologa di capire anche con Lucia e Fabio cosa fosse successo con Nino Di Matteo tanto da provocare una rottura e loro mi raccontano che tutto inizia, è una frizione, una incomprensione profonda che inizia quando Lucia decide di fare l’assessore di mettere a disposizione le sue competenze tecniche diciamo per questa missione. Allora a quanto pare Nino ha da ridire su questa cosa, non capendo quasi da alto valore morale con cui Lucia, che non è un politico si accingeva, a fare questo opera lì c’è l’inizio di una rottura». Il riferimento è agli anni in cui Lucia Borsellino accetta di fare l’assessore alla Sanità nella Giunta regionale di Rosario Crocetta.

Una deposizione – quella di Fiammetta – che dunquetorna a sollevare interrogativi sui pm che gestirono il falso pentito Vincenzo Scarantino. Oggi, dopo quasi 28 anni da quella strage, i punti oscuri sono ancora troppi. Intanto a Caltanissetta prosegue il processo ai tre poliziotti (Mario Bo’, Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo) unici indagati per il depistaggio. di Davide Guarcello 20 Giugno 2020 IL SICILIA


VITTIME SI OPPONGONO ALL’ARCHIVIAZIONE – Una memoria depositata dall’avvocato Di Gregorio, per conto di Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Cosimo Vernengo, tre dei sette che furono arrestati sulla base delle dichiarazioni di Scarantino Le vittime del depistaggio Scarantino si oppongono alla richiesta di archiviazione dei pm di Messina sul presunto depistaggio dei magistrati nel processo Borsellino. L’opposizione è stata presentata all’ufficio del gip peloritano dagli avvocati Rosalba Di Gregorio e Gaetano Scozzola, difensori delle parti civili riconosciute nell’indagine sugli ex pm di Caltanissetta, Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, accusati di calunnia aggravata, in concorso tra loro. Centrale il ritrovamento di 19 bobine di registrazioni telefoniche, in cui i due – all’epoca titolari dell’indagine sulla Strage di via d’Amelio, in cui fu ucciso il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della scorta – parlavano con Vincenzo Scarantino, che già all’epoca cercò di ritrattare le sue dichiarazioni. “La procura di Messina ha ‘letto’ gli atti assunti e acquisiti rifuggendo da una analisi di insieme e privilegiando la parcellizzazione, l’atomizzazione degli atti medesimo”, si legge nella memoria depositata dall’avvocato Di Gregorio, per conto di Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Cosimo Vernengo, tre dei sette che furono arrestati sulla base delle dichiarazioni di Scarantino. I legali (l’avvocato Scozzola rappresenta il boss Gaetano Scotto, nel frattempo tornato in carcere) chiedono al gip di Messina “un’ordinanza per la formulazione di imputazione” nei confronti dei due magistrati indagati, ma in alternativa si chiede che la Procura di Maurizio De Lucia “prosegua le indagini”. A partire da un “confronto tra Luigi Ligotti (storico avvocato ndr) e i pubblici ministeri oggi indagati, nonche’ il dottor Nino Di Matteo, sull’incontro e il confronto con Marino Mannoia e sulle circostanze riferite in ordine al giudizio, palesato, su Scarantino”, scrive ancora l’avvocato Di Gregorio. Inoltre la legale palermitana ha chiesto un confronto: “l’esame di Giovanni Guerrera e Pietro Giovanni Guttadauro sui ‘colloqui investigativi” del luglio 94 a Pianosa, oltre “all’acquisizione attivita’ di indagini depositate a Caltanissetta sulle intercettazioni”, “l’attivita’ d’indagine su Vincenzo Pipino” e il confronto tra “l’avvocato Santi Foresta (ex legale di Scarantino) e i magistrati Petralia, Palma e (Francesco Paolo) Giordano”. LA REPUBBLICA 23.6.20

La figlia del giudice sentita sui colloqui con Graviano Tra i testi sentiti dai pm di Messina nell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio c’è stata anche Fiammetta Borsellino, figlia del giudice, che da anni combatte una battaglia per arrivare alla verità sulla morte del padre. La Borsellino ha raccontato ai magistrati del suo incontro in carcere con i boss Giuseppe e Filippo Graviano, capimafia di Brancaccio condannati per l’attentato. La figlia del magistrato ha definito l’incontro “un percorso personale”, ma non nasconde di aver sperato che da quel colloquio arrivasse un contributo alla verità pur nella consapevolezza che sarebbe stato molto difficile vista la caratura criminale dei due boss. Fiammetta Borsellino ha raccontato ai pm dei “grotteschi” tentativi di Graviano di discolparsi addossando la colpa del depistaggio delle indagini ai magistrati. “L’unica cosa che mi sono limitata a dire è che spostare la responsabilità su altri non serviva ad eludere le sue di responsabilità, soltanto questo”, ha raccontato ai pm. Diverso sarebbe stato invece il tono del colloquio con Filippo Graviano che si sarebbe presentato “in uno stato di dolore e prostrazione visibile”. “Una persona – ha detto Fiammetta Borsellino – che non aveva imparato la lezioncina a memoria, cioè, lì c’è stato spazio per parlare di dolore, di insicurezze, del fatto che lui, appunto, non rinnegava quello che aveva fatto.”  QUOTIDIANO DI SICILIA  11.6.2020

VIA D’AMELIO E QUEI GIUDICI CHE NON C’ERANO E SE C’ERANO, DORMIVANOPER LE NON-INDAGINI SULLA STRAGE DI VIA D’AMELIO, “UNO DEI MAGGIORI DEPISTAGGI DELLA STORIA REPUBBLICANA”, CHIESTA L’ARCHIVIAZIONE DEI PM. BORSELLINO È SERVITO      Ma i magistrati, possono mai entrarci qualcosa, con un’indagine preliminare? Perciò: si archivi. Ancora, a cercare “verità”? Cara Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, 28 anni sono passati: non lo capisci? Siamo in Sicilia. Anzi Italia. Non tira più. Basta… Va bene così. I Pubblici Ministeri potevano non sapere. Ce lo dice un altro Pubblico Ministero. E non se ne parli più. Anche se le non-indagni sulla strage di Via D’Amelio costituiscono “uno dei maggiori depistaggi della storia repubblicana” (secondo la sentenza che ha concluso il Processo Borsellino quater), nè il Capo, nè i Sostituti della Procura di Caltanissetta del tempo, videro, seppero, vollero alcunché. Di ingiusto, di illecito, s’intende. Solo giustizia. Al più, qualche “anomalia”. Lo dice, anzi, lo scrive, la “Collega” Procura di Messina. Notizia fresca fresca. È tutto chiarito. E che volete? Mica erano Ministri? O, generalmente, “politici”? Magistrati erano; addetti alla direzione e al coordinamento delle indagini con al centro il collaborante Scarantino; e chi ne sa niente, di una fonte di prova? Quale magistrato assegnatario delle indagini, può mai sapere nulla di una fonte di prova? Ma qui si vuole forse scherzare? La Polizia, odorosa di “politica”: lei sí, che sa. Ma i magistrati, possono mai entrarci qualcosa, con un’indagine preliminare? Perciò: si archivi. Che poi, a parte Fiammetta Borsellino, la quale, diciamocelo, pare che non voglia capire come si sta al mondo, con tutte le sue domande, a chi interessa, di suo padre Paolo, e dei giovani agenti fatti a pezzi? Sono cose vecchie. Ancora, a cercare “verità”? 28 anni sono passati, Fiammetta: non lo capisci? Sicilia, Italia? Non tira più. Basta. Peraltro, tutto quello che dovevano fruttare, le stragi, lo hanno fruttato. Si deve distruggere un uomo? E che ci vuole? Abbiamo pure un Codice Antimafia. Basta la parola “mafia” e comincia il divertimento. Gli sequestrano tutto: due lire, se ha due lire, mille, se ne ha mille; non occorre nemmeno mandarlo in galera. Basta far sapere che il suo nome è “iscritto”, ed è già un paria. L’ebreo in un ripristinato III Reich. Nessuno lo guarda come un uomo; ma ciascuno è in diritto, anzi, “in dovere”, di scansarlo come un rognoso, un infetto. Perché, “è” un rognoso, un infetto. È “un iscritto”. La P.A. lo esclude da ogni contatto. I vicini, i conoscenti, se non vogliono finire pure loro male, si girano dall’altra parte. Le banche? Non ne parliamo nemmeno. Già hanno ricevuto la notificazione dei sequestri, e chi si ci mette, a “distinguere”? Qui si parla di “soldi”. E, se si parla di “soldi”, schiere di decenni, legioni di “pubblicazioni”, eserciti di “pensieri critici” e di “elaborazioni consapevoli”, si ergono a scovare il maligno Capitale, la sentina di ogni nequizia, il germe della “disuguaglianza”. Ci esercitiamo da un secolo, “noi”, con simili schifezze: hai voglia a “mascherarti”, sporco capitale, “noi” ti riconosceremo sempre. L’Armata della Retorica Palingenetica, del “levati di qua, che mi ci metto io”, ha sostituito “ricco” (qualsiasi cosa s’intenda: anche un auto, due smart-phone e un appartamento incolore in comunione dei beni), con “mafioso”; e “l’accumulazione primitiva” col “denaro di provenienza illecita”. Si vuole “difendere”, “il sudicio mercante/mafioso”? Faccia pure: sempre che facciano entrare il suo avvocato in Tribunale (con il Covid è richiesto il passaporto e il visto all’ingresso, a parte la play-legal-station, così carina da usare come narcotico collettivo verso l’ingombrante presenza della sofferenza in carne ed ossa), in ogni caso deve provare lui di “non essere”. Non di non aver fatto, detto, agito; ma di “non essere mafioso”: giacché, ogni parola, azione, non valgono per sè, ma solo quale “sintomo” di uno status, di una “condizione”; anche se l’azione è lecita o, addirittura, evidentemente imposta, come il prezzo di un’estorsione, o la rata di un “prestito” usurario. Non importa. La “condizione” qualifica l’atto e, da bianco, lo rende nero. E la condizione si stabilisce “per contatto”. Non è magnifico? Non è un sistema perfetto? E sapete perché? Perché “la mafia” ha fatto le stragi, e ognuno che sia “sospettato”, porta in sè tutto il carico di quell’abominio. Il “contatto rende complici”. Una moltitudine di “non possono non sapere” è posta, suo malgrado, ad alimentare un Apparato votato alla perennità, che si bea, lui solo e alla faccia vostra, della opposta “regola”: non potevano sapere. E chi lo smonta? Ciascun buono a nulla, ciascun frustrato e parassita, ciascun imbecille che abbia imparato a memoria il suo piccolo Mein Kampf Antimafia, può aspirare ad ogni sorta di carriera, togato-dirigenziale, avvocatesco-ministeriale, giudiziario-narrativa, sceneggiatrice, fictional, prodiga di lubríco appagamento materiale e morale. Può definire “società giusta” un sistema che non chiede mai scusa, che afferma immoralmente di non sbagliare mai; perché se rovina, “c’era il sospetto”, e se il sospetto risulterà farneticante o anche solo inconsistente, “c’è l’assoluzione, che vuole ancora?”; che pone “una regola” e la divide in due, come una mela; e di qua, staranno quelli della “metà sbagliata”, e di là, quelli della “metà giusta”. Che ha capito come fottere il prossimo alla grande: in nome della Legge. Perciò, a chi interessa, sapere “la verità”, questa sopravvalutata? A cialtroni finiti a fare i petrolieri? A mestatori che per trent’anni, in prime time, hanno lanciato ogni specie di avventuriero togato? Che hanno chiesto a folle di fanatici se erano pubblicamente entusiaste di un omicidio? A saltafossi che hanno sputato sul cadavere di Falcone, “a futura memoria”, e poi passando il resto della vita ad illustrarsi del suo sangue, come fosse un cosmetico cannibalesco? Ai “fustigatori della casta”, 5000 Euro a pezzo, capaci di fare le pulci a tutto quello che sa “di politica”, fino al consigliere di quartiere, ma mai, mai, leggere la busta-paga di un magistrato (e non parliamo delle sue “progressioni in carriera”)? Sulle “stragi” si sa tutto. Sappiamo anche che chi le ha fatte finire, incastrando i colpevoli, è stato messo sulla graticola, e ve lo hanno fatto rimanere senza sosta da oltre vent’anni, nonostante la catasta delle assoluzioni e delle archiviazioni ormai sia venuta raggiungendo altezze himalayane. E si deve capire, insomma; il Generale Mori e i suoi collaboratori rischiavano di rompere l’Apparato/Giocattolo. E come avrebbero fatto, allora, tutti quei “decenni”, di “pubblicazioni”, di “elaborazioni” condotte sin dai tempi della “partitocrazia”, a farsi mestiere, rendita, sopraffazione sistemica, culturale, istituzionale, politica? Come avrebbero fatto, a sostituire ai partiti democratici, il Partito Unico, immune dal “peccato del voto”, dalla turpitudine del consenso democratico? Come avrebbero fatto, poverini? È stata legittima difesa. D’altra parte, “la difesa è sempre legittima”, sappiamo. E sappiamo anche che la menzogna rende forti: alla stessa maniera di come “il lavoro rende liberi”. Fuori dal Coro di Fabio Cammalleri La Voce di New York 5.6.2020
 

Chi depistò su via D’Amelio? Chiesta l’archiviazione per due magistrati. Al centro del caso vi è la gestione del pentito Vincenzo Scarantino, su cui non è ancora stata fatta chiarezza. “Sembra che tutto – disse Fiammetta Borsellino – sia avvenuto per virtù dello Spirito santo”  La Procura di Messina ha chiesto l’archiviazione per due magistrati, Carmelo Petralia e Annamaria Palma in merito al depistaggio dell’indagine sulla strage di via D’Amelio che aveva al centro la gestione del pentito Vincenzo Scarantino. Petralia e Palma – il primo oggi è procuratore aggiunto a Catania mentre la Palma è avvocato generale a Palermo – erano indagati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Entrambi, da pm a Caltanissetta, avevano indagato sull’attentato in via D’Amelio in cui, il 19 luglio 1992, fu ucciso il giudice Paolo Borsellino insieme con agenti della sua scorta. La Procura di Messina, guidata da Maurizio de Lucia, aveva aperto una indagine un anno fa, dopo che da Caltanissetta era stata trasmessa la sentenza del “Borsellino quater”, in cui si faceva un esplicito riferimento alle deviazioni. E’ tuttora in corso a Caltanissetta il processo a carico di tre poliziotti – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – che, secondo le tesi accusatorie avrebbero depistato le indagini in particolare “guidando” le dichiarazioni di alcuni pentiti tra cui Vincenzo Scarantino. Definito il “pupo vestito” – e arrestato dalla squadra di poliziotti guidata da Arnaldo La Barbera – Scarantino ha più volte prima accusato, poi ritrattato e fatto nuovamente marcia indietro, facendo condannare all’ergastolo persone estranee alla strage. A smontare le dichiarazioni di Scarantino – che avevano retto a più gradi di giudizio – è stato il pentimento di Gaspare Spatuzza, ex mafioso di Brancaccio, vicino ai fratelli Graviano, che si è auto accusato della strage. Il 13 luglio 2017 la Corte di appello di Catania – davanti a cui si celebrava il processo di revisione delle condanne – ha assolto tutti gli imputati dall’accusa di strage: Gaetano Murana, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Salvatore Profeta, Giuseppe La Mattina, Gaetano Scotto, Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura ,Giuseppe Orofino. (Candura era stato condannato per il furto della Fiat 126 poi imbottita di tritolo, e non per il reato di strage; Orofino era stato ritenuto responsabile di appropriazione indebita, favoreggiamento e simulazione di reato). Nel processo in corso a Caltanissetta – a carico dei tre poliziotti – sono stati anche sentiti i pm che facevano parte del pool nisseno che indagò sulla strage di via D’Amelio: a dicembre aveva deposto Annamaria Palma, il 20 gennaio è stata la volta di Petralia. Entrambi, in veste di testimoni assistiti, pur avendo il diritto della facoltà di non rispondere, si sono sottoposti all’esame.Ma a Caltanissetta hanno deposto anche l’ex pm Ilda Boccassini (il 20 febbraio), che ha confermato i suoi dubbi su Scarantino, sollevati già all’epoca. E prima di lei – il 3 febbraio – sul banco dei testimoni anche Nino Di Matteo, attuale consigliere del Csm e all’epoca dei fatti pm della Procura nissena guidata da Gianni Tinebra. Le deposizioni dei magistrati avevano “deluso” e “amareggiato” Fiammetta Borsellino. “Vedo – disse la figlia del magistrato assassinato – che c’è una enorme difficoltà a fare emergere la verità”. “Non ho constatato da parte di nessuno – proseguì – la volontà di dare un contributo al di là delle proprie discolpe a capire che cosa è successo. Penso che nessuno di questi magistrati abbia capito niente di mio padre. Quello che sento dire sempre è di essere arrivati in un momento successivo e sembra che tutto quello che riguarda Scarantino, il depistaggio e le stragi sia avvenuto per virtù dello spirito santo” agi

La figlia del giudice sentita sui colloqui con Graviano  Tra i testi sentiti dai pm di Messina nell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio c’è stata anche Fiammetta Borsellino, figlia del giudice, che da anni combatte una battaglia per arrivare alla verità sulla morte del padre. La Borsellino ha raccontato ai magistrati del suo incontro in carcere con i boss Giuseppe e Filippo Graviano, capimafia di Brancaccio condannati per l’attentato. La figlia del magistrato ha definito l’incontro “un percorso personale”, ma non nasconde di aver sperato che da quel colloquio arrivasse un contributo alla verità pur nella consapevolezza che sarebbe stato molto difficile vista la caratura criminale dei due boss.  Fiammetta Borsellino ha raccontato ai pm dei “grotteschi” tentativi di Graviano di discolparsi addossando la colpa del depistaggio delle indagini ai magistrati. “L’unica cosa che mi sono limitata a dire è che spostare la responsabilità su altri non serviva ad eludere le sue di responsabilità, soltanto questo”, ha raccontato ai pm. Diverso sarebbe stato invece il tono del colloquio con Filippo Graviano che si sarebbe presentato “in uno stato di dolore e prostrazione visibile”. “Una persona – ha detto Fiammetta Borsellino – che non aveva imparato la lezioncina a memoria, cioè, lì c’è stato spazio per parlare di dolore, di insicurezze, del fatto che lui, appunto, non rinnegava quello che aveva fatto”. 11 Giugno 2020 Quotidiano di Sicilia