LE RISULTANZE DELLE INDAGINI TECNICHE La Corte d’Assise ha ripercorso, quanto già accertato dal processo, cd “BORSELLINO uno”, laddove avevano reso testimonianza i tecnici ed esperti incaricati delle prime indagini e quelli investiti di CTP dall’organo requirente in una successiva fase, evidenziando come, sui luoghi teatro della strage erano stati effettuati, dopo l’indispensabile isolamento degli stessi, tutta una serie di rilievi e prelievi ad opera del Gabinetto di Polizia Scientifica di Palermo in collaborazione con i tecnici statunitensi del F.B.I. In particolare gli esperti, grazie alle indagini spettrografiche effettuate sul luogo e alle più approfondite indagini di laboratorio effettuate oltreoceano, avevano rilevato tracce di un esplosivo denominato RDX, impiegato per fabbricare un composto avente sigla C4 di utilizzo prevalentemente militare. Unitamente a ciò i tecnici avevano rinvenuto tre frammenti di una tavola di circuito elettronico che conduceva le indagini verso la verifica dell’ipotesi della presenza di un radiocomando a distanza.
Successivamente era stata affidata dal Pubblico Ministero perizia tecnica in materia balistico – esplosivistica con lo scopo di accertare, in sintesi, modalità di accadimento del fatto, tipo natura e quantitativo delle sostanze esplosive, punto di scoppio e punto di attivazione dell’ordigno. Gli esperti, avendo anche portato a termine esperimento riproduttivo delle condizioni individuate, con una carica di esplosivo C4 al 90% composto da T4, concludevano che la carica – complessivamente stimata in circa 90 kg. – era stata collocata, sopralevata rispetto al terreno, ed in particolare, all’interno del vano portabagagli di una Fiat 126 e la stessa era verosimilmente costituita in massima parte da due plastici l’uno a base di T4 e l’altro a base di pentrite, oppure dal solo SEMTEX –H (che contiene entrambe le sostanze); sopra il plastico o i plastici si trovavano alcune saponette di tritolo sfuse e poche cartucce di esplosivo per uso civile. Il sopralluogo sulla zona dell’esplosione aveva poi consentito di individuare tre possibili collocazioni del punto di attivazione della carica, costituito da un radiocomando.
Tali conclusioni la Corte d’Assise riteneva di dover privilegiare rispetto a quelle difformi cui era pervenuto il Consulente della difesa, secondo il quale la carica principale era collocata a contatto con il manto stradale, non potendosi peraltro trattare di C4 poiché questo si sarebbe liquefatto ed essendo di difficile trasporto nella piccola vettura che avrebbe così incontrato difficoltà di marcia. Secondo tale versione era verosimile la presenza di una seconda carica costituita forse da una bombola di ossigeno, collocata sulla ruota anteriore di un Audi 80 parcheggiata sempre sulla via D’Amelio, finalizzata a “sterilizzare l’area di attentato onde sviare le indagini.
La Corte, aveva ritenuto fondate le conclusioni del CTP PM, sia perché il consulente della difesa aveva lavorato esclusivamente su materiale fotografico, sia perché i risultati delle prove di scoppio effettuate erano compatibili con le conclusioni dell’elaborato nel quale era stato evidenziato in particolare, come nessun problema di liquefazione del C4 poteva profilarsi, anche a temperature elevate (circa 70° centigradi) e come la vettura era agevolmente in grado di trasportare il peso senza problemi di marcia.
Ancora più complessi risultavano gli accertamenti effettuati sul sistema di comando a distanza della carica esplosiva. La individuazione da parte dei tecnici del F.B.I. di un frammento di una scheda, riconducibile ad un sistema di ricezione a distanza, aveva portato alla individuazione del costruttore di quella scheda, la TELCOMA System di Treviso che aveva riconosciuto effettivamente come propria la stessa scheda. Il frammento recava peraltro la sigla 88 – 21 la quale indicava l’epoca di produzione, ossia la 21° settimana dell’anno 1988, cui seguiva di qualche tempo la commercializzazione avvenuta dunque, presumibilmente negli anni 89/90. Una coppia di telecomandi TELCOMA (trasmittente – ricevente), poi rinvenuta in Contrada Giambascio di S. Giuseppe Jato, nel “covo” di Giovanni BRUSCA a seguito delle informazioni fornite dal diretto interessato ed era individuata dagli investigatori, come un telecomando analogo rispetto a quello di via D’Amelio, ma di più recente fabbricazione. La Corte concludeva, in ogni caso, ritenendo non accertato l’autore materiale dell’acquisto dei telecomandi, nonostante le dichiarazioni rese sul punto dal collaborante Gioacchino LA BARBERA, in assenza di un dato certo e riscontrato relativo alla registrazione dell’acquirente da parte del rivenditore Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta
LE AUTOPSIE “RACCONTANO” L’ATROCITÀ DEL MASSACRO Meno di due mesi dopo la strage di Capaci, si verificava un’altra azione terroristica per diffondere il terrore tra la popolazione e riaffermare nel modo più violento il potere di “Cosa Nostra”, con l’eliminazione del magistrato che era divenuto un grande punto di riferimento ideale per tutto il Paese
«A poche ore dal fatto, il 20.7.1992 alle 00.25, il Pubblico Ministero di Caltanissetta in persona dei dott. Giovanni TINEBRA, Francesco Paolo GIORDANO e Francesco POLINO, ai sensi dell’art. 360 C.P.P., aveva affidato incarico di consulenza tecnica autoptica sui cadaveri delle vittime della strage a un collegio di esperti medici legali, costituito dal dott. Paolo PROCACCIANTE (rectius Procaccianti: n.d.e.), Direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Palermo, e dai dott. Livio MILONE e Antonina ARGO, assistenti nel predetto Istituto.
L’ispezione esterna dei cadaveri e l’esame autoptico dei medesimi, per la determinazione delle cause della morte, sono stati effettuati nell’immediatezza del conferimento dell’incarico, come appare dai relativi verbali e relazioni autoptiche.
Il cadavere di Paolo BORSELLINO, trovato con indosso una cintura in cuoio marrone con frammento in stoffa, residuo della cintola dei pantaloni e frammento di stoffa di cotone verde, residuo di maglietta tipo “polo”, si presentava depezzato, risultando assenti l’arto superiore destro ed entrambi gli arti inferiori.
All’esame esterno si rilevava vasta area di ustione su buona parte dell’addome e del torace, nonché al viso, con colorito nerastro sulle regioni frontali e parietali.
Al capo si riscontrava soluzione di continuo lineare interessante il cuoio capelluto dalla regione frontale al padiglione auricolare destro, con distacco pressoché completo del padiglione stesso ed esposizione del condotto uditivo e della sottostante teca cranica; ferita all’arcata sopraciliare destra, frattura alle ossa nasali, ampia ferita lacero-contusa al cuoio capelluto.
Inoltre, si riscontrava asimmetria dell’emitorace destro con spianamento della regione mammaria, e fratture costali multiple; deformazione del profilo dell’addome; squarcio perineale; numerose soluzioni di continuo alla superficie cutanea del dorso.
L’esame con il “metal-detector” rilevava in varie sedi la presenza di numerosi frammenti metallici di varie dimensioni, ritenuti superficialmente sino ai piani muscolari, in particolare rinvenuti al capo in regione temporo-occipitale e al dorso in regione lombare.
Unitamente al cadavere si rinvenivano altri residui umani, verosimilmente appartenuti al medesimo, elencati e descritti nella relazione autoptica agli atti.
I medici legali concludevano che il decesso di Paolo BORSELLINO era stato determinato “da imponenti lesioni cranio-encefaliche e toraco-addominali da esplosione”.
GLI ACCERTAMENTI SUI CORPI DEGLI AGENTI Il cadavere di Walter CUSINA veniva trovato con indosso un paio di pantaloni tipo “jeans” di colore verde, camicia in cotone a righe, slip in cotone bianco.
L’ispezione esterna evidenziava aree di affumicamento cutaneo alla nuca e alla regione cervicale, nonché deformazione del massiccio facciale, frattura della mandibola e delle ossa nasali; ampio squarcio cutaneo alla regione anteriore del collo, da un angolo all’altro della mandibola, “… da cui protrude grosso frammento metallico, che viene repertato; detto frammento appare penetrare in profondità pervenendo sino alla cavità orale, con ampio sfacelo delle parti molli e recisione del fascio vascolo-nervoso destro del collo”.
Inoltre, si rilevava: uno squarcio in regione sternale e soluzioni di continuo al tronco e alle regioni anteriori degli arti inferiori; area di sfacelo delle parti molli alla coscia destra, con perdita di sostanza ed esposizione dei piani ossei; deformazione
della coscia sinistra con aumento di volume; analoga area di sfacelo delle parti molli a carico della gamba destra.
I consulenti concludevano che il decesso di Walter CUSINA era stato determinato da “lesione degli organi vascolo-nervosi del collo e da politraumatismo da esplosione”.
L’ispezione esterna del cadavere di Emanuela LOI evidenziava la copertura della superficie cutanea da induito nero, vaste aree di disepitelizzazione e carbonizzazione delle estremità; sulla superficie anteriore del tronco si riscontravano varie soluzioni di continuo interessanti il torace e il collo.
Il cadavere appariva depezzato, perché mancante dell’avambraccio destro, degli arti inferiori all’altezza del terzo medio superiore femorale.
Alla regione sottomammaria si trovava ampia breccia interessante i piani ossei, con esposizione dei visceri della cavità toracica; inoltre si rilevavano: un ampio sfacelo delle parti molli residue del piano perineale; lesione da scoppio di tutto l’ovoide cranico, ampia ferita a spacco del cuoio capelluto in regione occipitale con sottostante scoppio della teca cranica; zona di distruzione delle parti molli ed ossee alla regione claveare e latero-cervicale sinistra; fratture costali multiple e squasso di tutti i visceri toracici; eviscerazione completa della matassa intestinale.
Si repertavano poi alcuni resti ritenuti appartenenti al cadavere, elencati e descritti nella relazione dei consulenti.
Gli stessi concludevano che la morte di Emanuela LOI era stata determinata da “ustioni diffuse in soggetto con squasso cranio-encefalico, depezzamento ed eviscerazione toraco-addominale da esplosione”.
Il cadavere di Agostino CATALANO veniva trovato con indosso brandelli di camicia e dei pantaloni, con la relativa cintola.
Il cadavere, la cui intera superficie cutanea appariva ricoperta da induito nero, risultava depezzato, perché mancante dell’arto superiore sinistro all’altezza del terzo superiore omerale e degli arti inferiori, all’altezza del terzo medio superiore femorale, con ampio sfacelo delle parti molli residue del piano perineale ed esposizione del piano osseo sacrale.
Si rilevava un’estesa carbonizzazione alla cute del viso, alla faccia anteriore del torace e all’addome; la cute del dorso e dei glutei appariva interessata da numerose soluzioni di continuo.
Inoltre, si riscontrava un’ampia soluzione di continuo alla cute della regione occipitale, con frattura della teca cranica; distacco della base di impianto del padiglione auricolare destro; soluzione di continuo in regione frontale destra.
L’apertura della calotta cranica permetteva di rilevare, in corrispondenza delle lesioni sopra descritte, l’infossamento dei margini ossei con presenza di numerose schegge ossee infisse nella materia cerebrale e con fuoriuscita di materiale cerebrale; frammenti di materiale metallico si rinvenivano alla regione temporo-auricolare destra e alle parti molli residue dell’arto inferiore sinistro.
I consulenti del Pubblico Ministero concludevano che la morte di Agostino CATALANO era stata determinata da “ustioni diffuse in soggetto con squasso cranio-encefalico e depezzamento da esplosione”.
Il cadavere di Vincenzo LI MULI era stato trovato con indosso brandelli di stoffa appartenenti alla cintola, residuo di “slip” e frammenti di tessuto carbonizzato non identificabile.
L’ispezione esterna del cadavere permetteva di rilevare una copertura pressoché totale di induito nero e il depezzamento conseguente alla mancanza
dell’avambraccio e della mano sinistra, dell’arto inferiore sinistro e del terzo superiore della gamba destra.
Si rilevava la presenza di vaste aree di abbruciamento agli arti superiori, con carbonizzazione completa degli strati superficiali; inoltre si osservavano: otorragia destra; ampio squarcio in regione occipitale e cervico-occipitale con esposizione dei piani ossei sottostanti; soluzione di continuo in regione frontale, con esposizione della teca cranica, apparsa fratturata con avvallamento di grosso frammento osseo; vasta perdita di parti molli alla regione pubo-perineale, con sfacelo traumatico della regione pelvica.
I medici legali perciò stabilivano che la morte di Vincenzo LI MULI era stata determinata da “ustioni diffuse a tutta la superficie corporea, politraumi e depezzamento da esplosione”.
Il cadavere di Claudio TRAINA si presentava depezzato, mancando l’arto superiore sinistro, e interamente ricoperto da induito nero.
Si riscontrava lo sfacelo completo di tutto il distretto cervico-cefalico e dell’arto superiore destro, con componenti ossee pluriframmentate e vasta perdita di sostanza dell’avambraccio e della mano, ampio squarcio del cavo ascellare; inoltre si osservavano numerose soluzioni di continuo all’addome e al dorso, lo sfacelo dell’intero distretto pelvico, con eviscerazione della matassa intestinale; squasso degli arti inferiori e numerose soluzioni di continuo in tutta la relativa superficie cutanea; frattura della clavicola destra e di quattro costole; squarcio del sacco pericardico; lesione da scoppio della parete laterale del lobo inferiore del polmone sinistro; lesioni da scoppio a carico della faccia anteriore del fegato e della milza.
I consulenti del Pubblico Ministero concludevano che il decesso di Claudio TRAINA
era stato provocato da “squasso cranio-encefalico e dal politraumatismo toraco-addominale con maciullamento degli arti, da esplosione”».
L’atrocità del delitto era, dunque, tale da evidenziare una chiara intenzione di diffondere il terrore tra la popolazione e di riaffermare nel modo più violento il potere di “Cosa Nostra”, compiendo una vera e propria azione di guerra contro lo Stato italiano attraverso l’eliminazione di un Magistrato che era divenuto un grande punto di riferimento ideale per tutto il Paese e degli uomini delle Forze dell’Ordine impegnati nella sua tutela.
Questo progetto criminale di straordinaria gravità veniva portato a compimento meno di due mesi dopo la strage di Capaci, determinando così un effetto di enorme portata sull’opinione pubblica, sulla società civile e sulle istituzioni, a livello nazionale e internazionale. E’ quindi naturale domandarsi quale fosse l’obiettivo perseguito da “Cosa Nostra” con la realizzazione di due stragi a brevissima distanza di tempo. Una problematica, questa, che va ricollegata all’analisi della fase deliberativa del delitto, nonché degli eventi che la precedettero e la seguirono.