Il blitz Maxi operazione contro la ’ndrangheta in Italia Dei cento arresti eseguiti, la metà nella nostra provincia “Ninnè” è appena uscito di carcere. Quando, intercettato, garantisce: «Io sono quello che, dopo che lo hanno arrestato, è uscito con gli stessi principi di prima». La solfa è sempre quella: «Non cambiamo pelle». E la pelle sotto la quale cresce e si arricchisce la ’ndrangheta è piena di minacce, violenza, traffico di droga, ma da qualche anno a questa parte anche di velleità imprenditoriali, interessi nel mondo degli affari, frode fiscale. “Ninnè”, al secolo Michelangelo Belcastro, 42 anni casa a Bulgarograsso, ieri in carcere ci è tornato. Sottoposto a fermo di indiziato di delitto assieme a 53 altri indagati della Procura antimafia di Milano.
Oltre cento capi d’accusa Un’indagine mastodontica, che ha incrociato altre due inchieste delle Dda di Reggio Calabria e di Firenze, che ha portato a 104 arresti in tutta Italia, la metà dei quali messi a segno proprio qui, nella nostra provincia. Como, terra di conquista della malavita calabrese: se c’era bisogno di conferme queste sono arrivate da un’indagine portata a termine – sul Lario – dal nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Como, con l’ausilio della sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Milano. I reati contestati alle persone (l’elenco di tutti gli arrestati è pubblicato in questa pagina, nell’articolo qui sotto) finite in cella vanno dall’associazione mafiosa alla bancarotta fraudolenta, dall’estorsione con modalità mafiosa alla frode fiscale, dal traffico di cocaina al riciclaggio di denaro. E già nell’elenco dei reati ipotizzato dagli inquirenti si intuisce che la ’ndrangheta non cambierà pelle, ma allarga i propri interessi. E accanto al core business storico – la droga e le minacce – ci aggiunge la nuova anima “imprenditoriale”. Innanzitutto lo fa trasformando società cooperative in vere e proprie basi operative per far propri appalti e subappalti. Società create e poi fatte fallire (molti degli attuali indagati sono già stati condannati per bancarotta fraudolenta, su questo fronte, proprio a Como) per riuscire a gestire l’attività di facchinaggio, di pulizia e di trasporti. In questo con il supporto essenziale di due ex amministratori comaschi: Cesare Pravisano, 63 anni di Lomazzo, dov’è stato assessore negli anni ottanta, e Marino Carugati, 79 anni pure lui di Lomazzo, e sindaco del paese fino al 1987. I due non sono stati interessati dal blitz di ieri (anche se Pravisano è indagato per associazione mafiosa), ma sono a lungo citati nell’atto d’accusa per aver accettato di scendere a patti con i clan.
Affari e minacce Gli ex amministratori di Lomazzo, in buona sostanza, avrebbero spalancato il mondo delle loro società cooperative alla famiglia Ficarra, legata a doppio filo con i clan Piromalli e Molè di Gioia Tauro. In particolare Domenico Ficarra detto “Corona”, 47 anni con casa a Lomazzo, viene presentato così dallo zio a una potenziale vittima: «Ti spacca il c…. non sai neanche con chi è legato mio nipote. A lui gli hanno dato il comando». Oltre a lui Massimiliano Ficarra, commercialista che offre al sua professionalità al servizio del clan. Ma nel blitz restano imbrigliati anche tutti i presunti affiliati della locale di Fino Mornasco, capitanata – secondo l’accusa – da Bartolomeo Iaconis (già in carcere perché condannato all’ergastolo per l’omicidio al bar Arcobaleno di Bulgorello) e di cui farebbero parte tutta la famiglia Iaconis (moglie e figlio compresi) e lo storico braccio destro Alessandro Tagliente, ieri raggiunto dal provvedimento di fermo e portato in carcere assieme alla moglie e al fratello. Tra gli affiliati storici Michengelo Larosa, già arrestato nell’operazione Insubria e, finita di scontare la condanna, uscito con l’incarico – secondo l’accusa – di gestire i contatti con la Svizzera per i traffici di cocaina controllati dai clan calabresi. Infine c’è tutto il capitolo delle estorsioni al mondo dell’imprenditoria comasca, e non solo. Clamorose le minacce nei confronti di dirigenti della Spumador e altri padroncini, e in particolare agli addetti all’ufficio pianificazione trasporti, ad assegnare alla ditta Sea Trasporti srl di Lomazzo, riconducibile ad Antonio e Attilio Salerni (residenti a Gerenzano ma imparentati con i Ficarra) commesse di trasporto poi di volta in volta spartite con altri presunti affiliati. Minacce a cui avrebbe partecipato anche Angelo Molteni, 48 anni di Lomazzo.
La corruzione Nel blitz di ieri sono poi rimasti coinvolte altre due figure che nulla hanno a che fare con la ’ndrangheta, ma che nel corso dell’inchiesta hanno convinto i magistrati a intervenire. Uno di loro è Michele Contessa, sottufficiale della Guardia di finanza di Como, a cui i suoi stessi colleghi hanno fatto scattare le manette ai polsi con l’accusa di corruzione e comunicazione di notizie riservate a favore della famiglia Salerni e a favore di Luca Molteni, 43 anni di Como, già finito nei guai per le rimozioni d’auto illegali in città e ora fermato con l’accusa di aver pagato Contessa per riuscire ad avere, grazie alla banca dati delle forze di polizia, i nominativi dei proprietari delle auto che rimuoveva. LA PROVINCIA 17.11.2021 paolo moretti