Gli scherzi, le risate e le lacrime. Tutto nel bunkerino dei due giudici.
“Se la papera vuoi ritrovare, cinquemila lire devi lasciare…”. Sul viso di Giovanni Paparcuri scende una goccia che somiglia a una lacrima, ma è troppo pesante per essere solo una lacrima. La leggerezza appare in forma successiva di sorriso.
L’autista Paparcuri era con Rocco Chinnici quando la ‘bomba’ scoppiò in via Pipitone Federico. Ne uscì vivo, con l’anima integra e il corpo a pezzi. Dopo qualche anno, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ne apprezzarono le doti, in una stagione di sangue e di eroi, e se lo tennero stretto come collaboratore sceltissimo. “’Se la papera vuoi ritrovare, cinquemila lire devi lasciare’. Era il bigliettino che il dottore Borsellino metteva sulla scrivania del dottore Falcone, dopo avere nascosto un esemplare della smisurata collezione di papere in miniatura che il dottore Falcone conservava gelosamente”.
La lacrima sulla guancia di Paparcuri si è fermata sull’orlo della tazzina, intanto, nella pausa al bar. Le scolaresche che accorrono quotidianamente sono una fatica e un premio. Lui racconta e si vede tutto, come in un film in bianco e nero. Un cortile interno sfiorato dal sole. Una porticina. La stanza di Rocco Chinnici. Giovanni Falcone che, ogni mattina, si ferma lì e chiacchiera con il consigliere istruttore. Infine sale una rampa di scale. Il citofono. L’allarme con l’iconcina di una pistola per segnalare gli ingressi di eventuali figuri armati.
La prima stanza che segue il ‘rifugio’ del collaboratore scelto. Qui lavorava Falcone. Le papere sulla scrivania. La confezione di Chivas in un angolo. La lettera con cui il magistrato rinunciò a un ciclo di lezioni in collaborazione con l’Università di Palermo per dribblare polemiche, sospetti e accuse di protagonismo. “Faceva finta di arrabbiarsi – sussurra Paparcuri – e gridava: ‘Paolo, ridammi la papera!’. Ma già lo sapeva che era stata infilata nella cassaforte. E il dottore Borsellino, per farsi perdonare, raccontava una delle sue famose barzellette”. Computer antidiluviani, microfilm e fascicoli completano la descrizione.
Due passi più in là, la stanza del dottore Borsellino. “Sulla sua scrivania – racconta ‘Papa’, come lo chiamano – c’è il tocco, il copricapo indossato per il funerali del dottore Falcone”. Paparcuri ha dei ricordi dolcissimi legati a entrambi. Alla generosità di Giovanni Falcone che talvolta celava una natura timida sotto l’apparente bruschezza. Ai dialoghi con Paolo Borsellino. “Dopo la strage Chinnici, ero in ospedale e stavo sul lettino pronto per entrare in sala operatoria. Il mio corpo era tutto pieno di spilli… sentivo un dolore pazzesco. Il dottore Borsellino mi salutò, appoggiandomi una mano sul petto. Gridai. Ricordo che si mortificò moltissimo. Era un’anima gentile. Andammo a trovarlo al villino. Aprì, personalmente, in pantaloncini corti e felpa verde. Un uomo grande e semplice. Il dottore Falcone regalò un pigiamino a mia figlia Giorgia, quando nacque. Rammento l’imbarazzo di chi non era abituato a lasciarsi andare”.
E un’altra volta, passando con la famiglia in via Cilea, sotto casa dei Borsellino: “Vidi il dottore Paolo che camminava solo, senza scorta. Fermò la mia macchina con un gesto. Aprì lo sportello posteriore. Diede un bacio in fronte a mia figlia che aveva appena un mese. Poi mormorò: ‘a picciridda…’ e se ne andò”. Il caffè di lacrime e memorie si è freddato. Ma niente è stato perduto. Le barzellette di Paolo Borsellino galleggiano, con le sue risate, tra i muri che le ascoltarono. Le papere di Giovanni Falcone sono tornate a casa.