COSA NOSTRA – Sacerdoti di un trono di sangue.

Quanti morti occorreranno per rendersi conto che siamo in guerra? Chi mandare allo sbaraglio? Che fare?

di  ENZO BIAGI
Hanno il vero potere, e lo dimostrano. Colpiscono quando e come vogliono. Nel loro territorio, la Sicilia, che intendono proteggere dalle intrusioni di un’ altra forza, assai più debole, ma che li disturba. Lo Stato. Non si salva chi viaggia nell’ automobile blindata, ma credo che non basterebbe neppure, per proteggersi, l’ elicottero: hanno i timer e l’ esplosivo, possono trovare i razzi. Abbattono chi non rispetta i patti: perchè, coi politici, stipulano accordi, e si vedono voti che passano, con una ventata, da una lista all’ altra. Avvertono anche e ripetono: «Chi tondo è nato non morirà quadrato». E chi ha intenzione di combatterli sul serio, si chiami Giovanni Falcone o Paolo Borsellino, sa che la sentenza prima o poi verrà eseguita. Non c’è nomina, non c’è bunker, non c’è scorta che possa difenderti: rischiano l’ impossibile, con una pazienza che non ha limiti, ma debbono mantenere viva la leggenda della loro invincibilità. Fanno, in parole volgari, quello che gli pare, e mi meraviglia la sorpresa, quando l’ avvocato di Salvatore Riina, detto Toto’ , con aria di sfida, fa sapere che il suo cliente, latitante dal 1967, o dal 1968, sta a Palermo. E considerato il discepolo prediletto di Luciano Liggio, e gli attribuiscono «un’ intelligenza diabolica».

Buscetta me lo ha detto, e l’ ho scritto, sei anni fa: pare che faccia vita quasi normale, partecipa ai vertici, stabilisce alleanze, è impietoso, astuto, pronto a capovolgere rapporti e a decretare sentenze di morte. Questi non sono quelli che Sciascia chiamava “quaquaraqua’ “, tipi senza spina dorsale: pensano, decidono, agiscono. Fanno parte di un’ organizzazione “seria”: che ha delle regole, e le fa rispettare. Non grida, agisce. Non organizza cerimonie, ma assassinii. Entrare nel giro e’ come entrare in seminario: e si resta preti e mafiosi per sempre. Non si diventa “uomo d’ onore” se, tra i precedenti, c’ e’ un padre carabiniere o uno zio giudice, se non si sa tenere la bocca chiusa, se non si rispettano le donne degli altri, se si ruba, se non si dimostra, agli occhi del mondo, la buona condotta, se non si e’ capaci di affrontare il rischio dell’ isolamento; c’è un detto che insegna: «Chi gioca da solo non perde mai». E un modo di vivere, e se non e’ irriverente direi: è come un sacerdozio.

Non bisogna mitizzarli, sicuro: ma che fare? Il consueto cerimoniale, i soliti proclami? E poi? La rassegnazione, o qualche nuovo progetto? Li considereremo, finalmente, dei veri nemici? Chi manderemo allo sbaraglio? Bastano sei uomini per Borsellino, basta una vettura staffetta per Falcone, basta sdegnarsi con uno sciopero? Un’ ora, per Giovanni Falcone, un giorno, per Paolo Borsellino? E al balcone, che cosa sventoleremo? Che cosa occorre per ottenere, secondo la collaudata formula, «una presa di coscienza collettiva»? Quanti defunti occorrono per rendersi conto che siamo in guerra e che, come dice il Presidente della Repubblica: «E l’ ora della responsabilità»? Falcone, Borsellino, Ayala, mentre conducevano le loro inchieste nel rifugio blindato del Palazzo di Giustizia di Palermo, scherzavano con una lugubre fantasia: che necrologi compariranno, dopo il “fatto”, per noi, sul Giornale di Sicilia? C’è da sorridere tristemente quando nei Telegiornali si sente parlare di «un attacco senza precedenti»: Dio mio, Dalla Chiesa, Chinnici, Scopelliti, pieta’ per le vostre e per le nostre anime.

E quando si sente chiedere a Oscar Luigi Scalfaro che cosa ha provato alla notizia della strage: non era, anche questa, una morte annunciata, non solo da un pentito, ma da un tribunale che non assolve, e ignora la pieta’ ? Cosa Nostra taglia il braccio del figlio di Totuccio Inzerillo con un colpo d’ accetta, cosi’ non prendera’ piu’ la mira e non vendichera’ nessuno, a un altro tagliano la testa e gli riempiono la bocca di monetine per dire: era una persona da pochi soldi. Uccidono travestiti da infermieri o da poliziotti: anche le donne e i bambini. Figuriamoci i giudici. Quelle toghe, oltretutto, sono dei simboli. E, ormai, soprattutto dei bersagli. Cosa Nostra e’ il dramma che ci perseguita, e non riusciamo a cambiare il finale. Non e’ facile capire, non e’ facile operare. «Mi ci rompero’ la testa», dice il capitano dei carabinieri Bellodi, il personaggio inventato da Sciascia nel “Giorno della civetta”.

DAL CORRIERE DELLA SERA DEL 20 LUGLIO 1992