BORSELLINO, PRESO L’ UOMO DELLA STRAGE

La giornata di ieri (9 OTTOBRE 1993)  non ha portato fortuna ai mafiosi. E’ stato un sabato nero per gli uomini di Cosa Nostra. Alcuni boss sono stati arrestati, altri sono stati definitivamente incastrati. Indagini incrociate della Dia sull’ asse Palermo-Caltanissetta hanno scoperto vecchi misteri e nuove piste sui massacri delle ultime estati siciliane. Ieri è stato preso Salvatore Profeta, il mafioso “che ha materialmente curato la strage di via Mariano D’ Amelio”. Un sabato nero per i mafiosi e un sabato nerissimo per Salvatore Profeta, uomo d’ onore della “famiglia” di Santa Maria del Gesù che è stato catturato per due distinte ordinanze di custodia cautelare. La prima firmata dai giudici di Caltanissetta “per concorso in strage”, la seconda firmata dai giudici di Palermo “per estorsione”. Salvatore Profeta era coinvolto anche nell’ inchiesta sul libro mastro del racket, quel registro trovato quattro anni fa a Nino Madonia in un covo – sinistra circostanza – di via Mariano D’ Amelio, la strada dove è saltato in aria Paolo Borsellino con i cinque agenti della sua scorta. Gli sviluppi investigativi di queste storie sono stati illustrati in una conferenza stampa dal procuratore capo di Palermo Gian Carlo Caselli, dai suoi sostituti Ignazio De Francisci e Vittorio Teresi, dal procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra e dal suo aggiunto Paolo Giordano. Una conferenza stampa “congiunta”, un avvenimento abbastanza insolito, un’ anomalia nel protocollo. Conferenza stampa serena, tanti sorrisi, ma circostanze e sensazioni riportano a incomprensioni tra i giudici di Palermo e quelli di Caltanissetta. Sullo sfondo c’ è una polemica (speriamo costruttiva) su come bisogna condurre le grandi inchieste di mafia.

UN BOSS NELL’ INCHIESTA BORSELLINO. L’ indagine sull’ uccisione di Paolo Borsellino ha fatto un altro passo avanti. Dopo un anno e tre mesi, l’ inchiesta sta prendendo forma e spessore. Dopo gli arresti dell’ uomo che ha rubato l’ auto della strage (Vincenzo Scarantino), dell’ uomo che ha custodito il mezzo per qualche giorno (Giuseppe Orofino) e dell’ uomo che ha spiato le telefonate del magistrato (Vincenzo Scotto), è stato preso il mafioso che ha materialmente organizzato il massacro. Si chiama Salvatore Profeta, ha quarantotto anni, è cognato di Vincenzo Scarantino ed è legatissimo a Pietro Aglieri, u signurinu, il nuovo capo della “famiglia” di Santa Maria del Gesù. U signurinu è il primo dei “wanted”, il primo dei ricercati di mafia dopo l’ arresto di Totò Riina. “Con Salvatore Profeta si è arrivati al livello intermedio di Cosa Nostra che ha commissionato la strage”, ha spiegato il procuratore Tinebra. Il magistrato ha parlato anche “della collaborazione di un pentito” senza naturalmente fornire altri particolari. Scarne, per esigenze investigative, anche le notizie sulla modalità della cattura di Salvatore Profeta. E’ avvenuta a Piombino, non si sa altro. L’ inchiesta sulla strage di via Mariano D’ Amelio ha imboccato una strada senza ritorno. E’ un’ indagine che, lentamente, scalino dopo scalino, sta arrivando ai mafiosi che il 19 luglio del 1992 hanno deciso l’ uccisione di Paolo Borsellino. Un’ indagine che sin dalle prime battute è stata affidata al questore Arnaldo La Barbera, un funzionario del Servizio Centrale Operativo che è al comando di un nucleo speciale. Ma nelle investigazioni sulla morte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino sono entrati naturalmente anche gli 007 della Dia. E “dei risultati di grande rilievo ottenuti” parla in un messaggio al prefetto Parisi, al direttore della Dia De Gennaro e ai procuratori di Palermo e Caltanissetta il ministro dell’Interno Nicola Mancino. Analogo messaggio è partito anche dal ministro di Giustizia Giovanni Conso.

IL KILLER DI LIBERO GRASSI. Investigazioni lunghe un anno sono servite a confermare gli indizi raccolti subito dopo la morte di Libero Grassi. A uccidere il coraggioso industriale che non voleva piegarsi al racket sono stati proprio i Madonia di San Lorenzo. Uno dei mandanti fu Ciccio Madonia, uno degli assassini suo figlio Salvino. Ci sono le nuove indagini, ma c’ è anche un mafioso pentito che ha raccontato ai poliziotti il “film” dell’ omicidio. Il pentito è Marco Favaloro, il titolare di un autosalone di via Ammiraglio Rizzo, zona controllata dai Galatolo, alleati storici dei Madonia. Marco Favaloro era al volante dell’automobile utilizzata dai sicari che stavano uccidendo Libero Grassi. E il primo a sparare fu proprio Salvino Madonia, il figlio di don Ciccio. “Ma non è stato il solo”, avverte il sostituto procuratore della repubblica Vittorio Teresi, “c’ erano quel giorno altri killer, li abbiamo già individuati”. Nomi non ne sono stati fatti, sono in corso riscontri, gli ultimi riscontri. Le rivelazioni di questo pentito, testimone oculare dell’ omicidio, confermano i racconti di altri collaboratori di giustizia come Asparino Mutolo e Pino Marchese. E confermano, soprattutto, le prime indicazioni investigative fornite dalla Criminalpol e dalla squadra mobile di Palermo sulla matrice del delitto e sui mandanti. “Un omicidio che però non è stato voluto solo dai Madonia, ma da tutti i componenti della Commissione di quel tempo”, avvertono i sostituti procuratori della Repubblica Vittorio Teresi e Ignazio De Francisci. In serata Pina Maisano, la vedova di Libero Grassi, ha commentato così la scoperta di uno dei killer del marito: “Sono sempre stata convinta della responsabilità dei Madonia, ma che addirittura a Libero fosse riservato l’ onore di essere eliminato dal figlio del capomafia non me lo aspettavo”. Il ‘ libro mastro’ Nel contesto dell’ indagine sul libro mastro sono stati arrestati altri tre mafiosi: Giuseppe Contorno (non parente di Totuccio, il pentito), Vincenzo Ammirata e, infine, Salvatore Profeta. L’ ordinanza di custodia cautelare firmata per estorsione contro Profeta contemporaneamente a quella per concorso in strage riporta, obiettivamente, a quella frattura che si sta profilando tra la procura di Caltanissetta e quella di Palermo.

L’ IMPRENDITORE MICHELE REINA. Il segretario provinciale della Dc Michele Reina è stato ucciso perché “voleva espandersi”. E non solo nella politica, ma anche negli affari. Con l’ arresto per falsa testimonianza del costruttore palermitano Masino D’ Alia, sembrano ad una svolta anche le indagini sull’ omicidio del segretario della Dc. Emergono particolari sulla “voglia di costruire” alberghi (come ad esempio il Politeama) o residence a Mondello, emergono nuovi racconti di pentiti, emergono intrecci tra la politica e gli affari. Al centro di questi business c’ era lui, Michele Reina. Un uomo spigoloso che non accettava i “consigli” degli amici. Né quelli di Lima, né quelli di Ciancimino. “Ma Reina aveva pestato i piedi soprattutto ai corleonesi di Ciancimino”, spiegano magistrati e investigatori ricostruendo la storia imprenditoriale di un segretario provinciale democristiano troppo vicino ai mafiosi.

UN VESCOVO TRA GLI APPALTI. Il primo ad essere ascoltato dal sostituto Roberto Scarpinato è stato padre Giuseppe Governanti, il sacerdote che un paio di anni fa aveva sollevato alcuni interrogativi su presunte tangenti pagate per il restauro del Duomo di Monreale. Un interrogatorio a sorpresa avvenuto ieri mattina intorno a mezzogiorno. Padre Governanti è un testimone. Top secret il contenuto del faccia a faccia con il giudice. Di queste presunte tangenti ne ha parlato anche il geometra pentito Giuseppe Li Pera, di questa inchiesta se ne sta occupando anche Antonio Di Pietro. Dopo la testimonianza di Padre Governanti, nella stanza di Roberto Scarpinato sono entrati anche padre Vincenzo Gaglio e padre Girolamo Soresi, due parroci che avrebbero raccontato altri particolari su vicende che riguardano la ricca diocesi di Monreale e, soprattutto, il suo vescovo, monsignor Salvatore Cassisa.

ATTILIO BOLZONI 1 0 ottobre 1993 LA REPUBBLICA