Daphne Caruana Galizia, vittima della verità

 

Il racconto del figlio – video Il figlio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, Matthew, intervistato da Forbidden Stories per il progetto “The Daphne Project”, ripercorre i terribili momenti di quel 16 ottobre 2017, quando sua madre venne uccisa da un’autobomba, poco dopo essere uscita da casa.
Prima il rumore sordo dell’esplosione, poi la corsa di Matthew per strada e la macchina di Daphne ridotta ormai a una palla di fuoco, poi la corsa di Matthew per strada e la macchina di Daphne ridotta ormai a una palla di fuoco.



Report  – Daphne Caruana Galizia e l’inchiesta sui contrabbandieri di petrolio – 19/11/2018

VIDEO



 

 

GALLERIA FOTOGRAFICA

Il luogo dell’attento a Mosta  – A Malta

 

 

La carcassa dell’autobomba – video



La bomba che uccise Daphne Caruana Galizia arrivò da Pozzallo con il catamarano. Come avevamo scritto il primo dicembre del 2019 (LEGGI) la bomba che, purtroppo, ha strappato alla vita Daphne Caruana Galizia arrivò dalla Sicilia. La novità di oggi è che venne portata, usando il catamarano di linea tra le due isole, da Pozzallo a Malta. Lo ha detto ai giudici maltesi Vince Muscat, il pentito che ha ammesso di essere stato uno dei killer assoldati per uccidere la reporter nel 2017, come riporta il Times of Malta. Secondo quanto riferito da Muscat nelle tre ore testimonianza nell’ambito dell’udienza contro i complici, a portare la bomba a Malta – con altri due ordigni – e’ stato Jamie Vella, anche lui arrestato. Vella e Robert Agius, hanno poi fisicamente fornito la bomba a Muscat e ai fratelli Degiorgio (Alfred e George), spiegando loro il funzionamento e come posizionarla sotto il sedile del guidatore. “Sembrava un ordigno serio”, ha ricordato Muscat, “si poteva capire che veniva dall’estero”. Da Paolo Borrometi – 16 Marzo 2021 LA SPIA


Daphne Caruana Galizia, l’uomo accusato dell’omicidio confessa alla Reuters: «L’ho uccisa per 150 mila euro»

L’uomo accusato di avere fatto esplodere l’autobomba che ha ucciso Daphne Caruana Galizia ha confessato l’omicidio in un’intervista rilasciata alla Reuters. George Degiorgio si trova attualmente in carcere ed è accusato insieme ad altre due persone – suo fratello Alfred e Vince Muscat – dell’omicidio della giornalista maltese, avvenuto nel 2017. «Per me erano solo affari», ha detto al giornalista Stephen Grey, spiegando di essere stato pagato 150 mila euro e dicendosi dispiaciuto. L’ammissione arriva dopo diversi tentativi da parte degli avvocati di Degiorgio di ottenere la grazia in cambio della testimonianza sul suo ruolo nell’omicidio e su altri presunti crimini che coinvolgerebbero figure di spicco di Malta.

La condanna a Muscat e il presunto mandante

Degiorgio ha detto che altre persone sarebbero coinvolte nell’omicidio e in un precedente tentativo – poi non portato a termine – di uccidere la giornalista. Interpellate dalla Reuters, le persone citate da Degiorgio hanno negato qualsiasi coinvolgimento. Finora, entrambi i fratelli Degiorgio avevano negato il coinvolgimento nell’omicidio di Daphne Caruana Galizia. Muscat, invece, si è dichiarato colpevole nel 2020 ed è stato condannato a una pena detentiva ridotta di 15 anni in cambio della testimonianza su questo caso e su altri crimini. Uno degli uomini d’affari più ricchi dell’isola, Yorgen Fenech, è stato accusato nel novembre 2019 di aver incaricato Degiorgio e i suoi due complici dell’omicidio. Fenech ha negato l’accusa ma non ha ancora presentato le sue difese.

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Daphne Caruana Galizia, il killer confessa: «Se avessi saputo di più avrei chiesto più soldi»

Prima dice «se avessi saputo, avrei chiesto di più», poi aggiunge anche un «certo che mi dispiace», spiazzante. Dopo cinque anni dall’omicidio di Daphne Caruana Galizia , parla dal carcere George Degiorgio l’uomo accusato con altri due – il fratello Alfred e Vincent Muscat – di aver fatto esplodere l’autobomba che il 16 settembre 2017 ha ucciso la giornalista investigativa maltese in un campo davanti a casa, perché fu la prima a scoprire «17 Black», la misteriosa offshore del miliardario Yorgen Fenech, accusato di essere il mandante.
In un’intervista rilasciata a Stephen Grey, giornalista della Reuters che sta lavorando a un podcast sulla ricostruzione del caso, Degiorgio spiega che se avesse saputo di più su Galizia, avrebbe chiesto molti più soldi per portare a termine il “lavoro”: «Avrei chiesto 10 milioni di euro. Non 150.000». Ha continuato: «Per me erano solo affari. Sì. Affari come al solito!». Poi arriva una risposta che disorienta. Alla domanda se fosse dispiaciuto ha risposto: «Certo che mi dispiace».
L’ammissione di Degiorgio arriva dopo anni di «non sono stato io», ma è dal 2021, che gli avvocati cercano di ottenere la grazia in cambio della testimonianza sul ruolo di Degiorgio nell’omicidio e su altri crimini che coinvolgerebbero diverse figure di spicco di Malta.
Mentre i due fratelli Degiorgio negavano tutto, nel 2020 il complice Vince Muscat, confessava ed è stato condannato a una pena detentiva ridotta a 15 anni in cambio delle dichiarazioni su altri casi che lo vedevano coinvolto.
Sempre alla Reuters, Degiorgio ha raccontato di aver deciso di confessare non tanto per una riduzione di pena ma perché «non voglio andare giù da solo!».
Tramite l’avvocato, i Degiorgio hanno fatto sapere che si aspettano una pena «in linea con quella di Vincent Muscat. Siamo disposti a divulgare tutto ciò che sappiamo su altri omicidi, bombe e crimini».
«Le parole di George Degiorgio mostrano che è un killer spietato che non merita grazia», ha commentato Matthew Carauna Galizia, il figlio della giornalista. Il 16 ottobre del 2017 era stato lui a trovare il corpo della madre senza vita nel campo davanti a casa. CORRIERE DELLA SERA  5.7.2022 


Si chiama 17 Black. È la società offshore al centro delle indagini sull’omicidio di Daphne Caruana Galizia. Appartiene al miliardario maltese arrestato come presunto mandante e finanziatore dell’assassinio della giornalista anti-corruzione. Era la sua cassaforte segreta: una tesoreria anonima utilizzata per pagare politici e, come ora emerge, per gestire affari riservati, senza comparire. E che portano in Italia, a una società petrolifera coinvolta in altri intrighi e scandali giudiziari di casa nostra. Per capire la notizia bisogna fare due passi indietro. Daphne Caruana Galizia è stata uccisa con un’autobomba il 16 ottobre 2017 davanti alla sua casa a Bidnija, nella parte nord dell’isola. I tre presunti esecutori, Vince Muscat e i fratelli George ed Alfred Degiorgio, legati alla criminalità maltese, sono stati arrestati nel dicembre 2017. Due anni dopo, il 20 novembre 2019, è finito in carcere il sospetto mandante: Yorgen Fenech, uno dei più ricchi imprenditori di Malta, che è ancora in attesa di giudizio e si proclama innocente. Daphne, una giornalista indipendente, una delle più popolari testate online di Malta, ha firmato i primi scoop su quell’appalto già nel 2016. E ha rivelato che il capo di gabinetto del governo, Keith Schembri, e il ministro dell’energia, Konrad Mizzi, avevano due società offshore a Panama, mai dichiarate pubblicamente. Nell’aprile 2016 l’inchiesta giornalistica Panama Papers, coordinata dal consorzio @icijorg ha confermato che Daphne aveva scritto la verità: quelle offshore appartenevano ai due politici maltesi. Che stavano cercando di aprire conti esteri per incassare almeno due milioni di dollari da un’altra società estera, anonima e segreta: 17 Black. Daphne ha pubblicato la notizia che probabilmente le è costata la vita nel febbraio 2017, otto mesi prima di morire. Un titolo con quattro foto. «17 Black: il nome di una società costituita a Dubai». Sotto, le immagini di Schembri, Mizzi e altri due big del governo maltese. Oggi gli affari segreti della 17 Black vengono finalmente svelati da una serie di documenti interni ottenuti da L’Espresso e The Times of Malta. L’ESPRESSO MAGGIO 2022


SCHEMBRI TORNA IN LIBERTÀ, MA INCHIESTA-BIS PROSEGUE  L’ex capo di gabinetto del governo Muscat, Keith Schembri, ha ottenuto la revoca del provvedimento di libertà condizionata che era stato emesso dalla polizia per il filone d’indagine parallelo per fatti di corruzione e riciclaggio scaturito dall’analisi delle chat fra Schembri e Yorgen Fenech, il tycoon accusato di essere il mandante dell’omicidio di Daphne Caruana Galizia. Schembri era stato arrestato a settembre scorso assieme ai tre soci della Nexia BT, società di consulenza, per tangenti pagate per favorire la vendita dei passaporti maltesi a personaggi con profili discutibili. I legali di Schembri hanno dichiarato che l’arresto era stato revocato per chiusura dell’inchiesta. La polizia, secondo quanto riportato dal Times of Malta, ha precisato che invece sono tuttora in corso indagini sui contenuti delle chat WhatsApp di Schembri con “clienti ed altri“, tra i quali lo stesso Fenech.AMDuemila 05 Febbraio 2021


Muscat sentito per 5 ore attacca la commissione d’inchiesta. Nel mentre sui social dell’ex premier avviata un’iniziativa per smontare le accuse della commissione. Jospeh Muscat, l’ex premier maltese, ha reso testimonianza per circa cinque ore davanti alla Commissione d’inchiesta indipendente da lui stesso nominata nell’autunno 2019, su pressione del Consiglio d’Europa e della comunità internazionale, per valutare se lo stato maltese avesse fatto tutto il possibile per evitare l’assassinio della giornalista Daphne Caruana Galizia. All’inizio della seduta l’ex primo ministro ha letto una dichiarazione in cui ha affermato che la Commissione aveva “miserabilmente fallito il suo scopo” perché negli ultimi 12 mesi si sarebbe trasformata in un “esercizio di curiosità” e, su spinta dell’opposizione, si sarebbe concentrata nell’analizzare “i comportamenti del governo in carica e non il funzionamento dello Stato maltese, che non è nato nel 2013 e le cui mancanze sono il risultato di decenni di eredità di tanti diversi governi”. Mentre Muscat parlava in aula, il suo profilo Facebook ha lanciato una ventina di commenti pubblici sulla sua stessa testimonianza. Muscat “ha persino assunto qualcuno per screditare l’inchiesta”, ha commentato Tahhew Caruana Galizia, uno dei figli della giornalista uccisa. Rispondendo alle domande dei membri della Commissione (ma non a quelle dei legali della famiglia, con i quali gli avvocati dell’ex premier si sono spesso scontrati durante il dibattito) Muscat ha, tra tante altre cose, ammesso di aver saputo che il suo capo di gabinetto, Keith Schembri, ed il suo ministro, Konrad Mizzi, avevano conti offshore a Panama legati ad affari con Yorgen Fenech (il tycoon arrestato lo scorso anno ed accusato di essere il mandante dell’assassinio), ma di aver creduto alla versione che non avessero nulla a che fare con fatti di corruzione legati alla centrale elettrica di Malta ed al contratto di fornitura di gas dall’Azerbaigian. Muscat ha anche sottolineato che le notizie pubblicate dalla giornalista sul conto Egrant che la moglie dell’ex premier avrebbe aperto a Panama “si sono rivelate la più grande bugia di Malta”. Le indagini di polizia hanno accertato che quella parte del dossier, ricevuto dalla Caruana Galizia da mani russe, era falsa (compresa la presunta firma di Michelle Muscat). L’ex premier ha inoltre puntualizzato, come sintetizza il titolo di apertura del Times of Malta online, che “Daphne è stata uccisa quando era diventata irrilevante”, perché Muscat dopo la pubblicazione delle accuse si dimise, ma a sorpresa stravinse anche le successive elezioni anticipate arrivando a conquistare un ampia maggioranza assoluta. Infine Muscat ha sostanzialmente ammesso di aver commesso errori di giudizio nei confronti di Schembri e Mizzi.ANTIMAFIA DUEMILA/Ansa 5.12.20


Omicidio Caruana Galizia, la polizia ha arrestato l’ex ministro maltese Mizzi. L’ex ministro del Turismo di Malta, Konrad Mizzi, è stato arrestato dalla polizia dopo essere stato interrogato dall’unità contro i crimini economici. Lo riporta il Times of Malta.   Mizzi si era dimesso da ministro un anno fa dopo gli sviluppi delle indagini sull’omicidio della giornalista d’inchiesta Daphne Caruana Galizia e l’arresto dell’imprenditore Yorgen Fenech. A giugno, era stato espulso anche dal partito laburista. La sua caduta è legata al coinvolgimento nelle rivelazioni dei Panama Papers e dai rapporti con la 17 Black, la società di Fenech, accusato di aver ordito l’assassinio della reporter nel 2017. Un anno prima di essere assassinata, Caruana Galizia aveva rivelato che Mizzi e l’ex capo di gabinetto del premier, Keith Schembri, possedevano società segrete offshore, poi confermate dai leak dei Panama Papers. “Troppo tardi”, ha commentato la notizia su Twitter il figlio della giornalista, Matthew Caruana Galizia. “Abbiamo dovuto rimuovere tre commissari di polizia, un procuratore generale, un premier, diversi ministri e molti altri funzionari e nel frattempo mia madre è stata assassinata”. ARTICOLO 21 11.11.2020


Legale di Fenech offre mazzetta a giornalista, scatta denuncia. Uno degli avvocati di Yorgen Fenech, l’imprenditore maltese accusato di essere il mandante dell’omicidio di Daphne Caruana Galizia, ha cercato di allungare alcune banconote da 500 euro a Ivan Martin, giornalista del Times of Malta. La vicenda è stata denunciata dal reporter che ha rifiutato il pagamento offertogli dal legale Gianluca Caruana Curran al termine di un incontro di una ventina di minuti. Stando alla versione dello studio del professionista, il pagamento sarebbe stato tentato per ottenere in cambio un trattamento mediatico meno aggressivo. Martin ha subito restituito le banconote (“fra due e quattro, piegate” ha precisato) ed ha informato la direzione del giornale per cui lavora a tempo pieno dal 2013. Il Times of Malta pubblica integralmente la lettera di Caruana Curran, replicando punto su punto all’interpretazione dello studio legale. In particolare smentisce lo studio quando afferma che il Times of Malta attaccherebbe Fenech per proteggere chi sarà smascherato dal loro assistito. ANSA 3.11.2020


«CASO CARUANA GALIZIA, L’AVVOCATO DI FENECH OFFRE DENARO AL GIORNALISTA».Un membro del team legale di Yorgen Fenech ha tentato di consegnare centinaia di euro a un giornalista del Times of Malta alla fine di un incontro a La Valletta lunedì. Il giornalista Ivan Martin ha rifiutato da due a quattro banconote da 500 euro quando gli sono state fisicamente consegnate dall’avvocato Gianluca Caruana Curran verso la fine di una riunione.  L’avvocato fa parte della squadra che difende l’imprenditore accusato di complicità nell’omicidio di Daphne Caruana Galizia nell’ottobre 2017. Martin ha detto che al termine della riunione di 20 minuti a La Valletta, alla presenza anche dell’avvocato Charles Mercieca, Caruana Curran ha consegnato le banconote piegate da 500 euro. Caruana Curran ha ammesso che “è stata offerta una remunerazione”. Martin ha detto: “Non posso essere sicuro di quante banconote mi abbia consegnato perché non le ho aperte. Glieli ho restituiti e gli ho detto che non potevo accettare il pagamento. Li ho anche informati che vengo pagato solo dal Times of Malta e che non dovrebbe farlo di nuovo in futuro”. Ha riferito che Caruana Curran gli ha detto che non intendeva mancare di rispetto e ha offerto i soldi solo perché non aveva mai avuto a che fare con un giornalista prima. “Mi ha detto che il tempo costa denaro. Ma non ho accettato i soldi e l’incontro si è concluso lì”, ha detto Martin, che ha immediatamente informato dell’incidente Diana Cacciottolo news editor del Times of Malta. Contattato via telefono per una spiegazione dell’offerta in contanti, l’avvocato ha detto di essere in riunione e le chiamate di follow-up inizialmente non hanno avuto risposta. In una lunga dichiarazione di lunedì sera, Caruana Curran ha dichiarato: “Ivan Martin ci ha fatto capire che potevamo usare i suoi servizi per aiutare a neutralizzare i pregiudizi nei servizi dei media. Ovviamente non siamo al corrente del suo contratto o delle sue condizioni di lavoro all’interno del Times of Malta. Fu solo dopo che gli fu offerto un compenso per i suoi servizi, che disse che era a tempo pieno con il Times of Malta”. Martin lavora come giornalista a tempo pieno presso il Times of Malta dal 2013 ed è uno dei reporter di più alto profilo del paese. Il direttore del Times of Malta Herman Grech ha dichiarato: “Riteniamo che non sia etico e fondamentalmente sbagliato che un avvocato offra denaro ai giornalisti. Diventa molto grave quando gli avvocati si occupano di uno dei casi penali più delicati che questo paese abbia mai visto. “L’integrità del nostro giornalismo è importante quanto quella di proteggere le nostre fonti. Lasceremo che i nostri lettori decidano se e come giudicare il nostro comportamento tenuto nel raccontare il caso Daphne Caruana Galizia”. (dal “Times of Malta” del 3 novembre 2020 – trad. it. da Liberainformazione)


Tre anni fa moriva Daphne Caruana Galizia, giornalista uccisa dalla mafia di Stato.  A tre anni dalla morte della giornalista, il Parlamento Europeo lancia il premio per il giornalismo a lei intitolato.  Tre anni fa, il 16 ottobre del 2017, a Bidnija, a nord dell’isola di Malta, la macchina su cui viaggiava la giornalista Daphne Caruana Galizia veniva fatta saltare in aria con un ordigno esplosivo. La giornalista muore sul colpo e dalla sua morte partiranno una serie di eventi che porteranno alle dimissioni del primo ministro maltese Muscat, nel gennaio del 2019.  Caruana Galizia era una delle giornaliste più famose di Malta e aveva svolto delle inchieste sulla corruzione e sull’evasione fiscale internazionale dell’isola, in particolar modo quella sui Panama Papers, documenti che hanno rivelato l’esistenza di una rete di società off shore in cui erano coinvolti diversi membri del governo Muscat, e addirittura la moglie del Primo Ministro.  Muscat aveva inizialmente chiesto le elezioni anticipate, e le aveva anche vinte, nel 2017. Ma nei giorni successivi all’attentato, un team di polizia maltese, Fbi, Europol e una divisione speciale dalla Finlandia arrestarono una decina di persone, tra cui comparivano i fratelli George e Alfred Degiorgio e il loro amico Vincent Muscat (omonimo ma non parente del primo ministro). Erano accusati dell’omicidio della giornalista, ma non fu identificato nessun mandante.  In seguito alle pressioni locali e internazionali, il Governo di Malta si era ritrovato costretto ad aprire un’indagine interna che aveva portato all’arresto di un uomo, un tassista di nome Melvin Theumaso, accusato di aver fatto da tramite tra il presunto mandante e gli assassini di Caruana Galizia. Theumaso parlò, ed è lì che le cose per il governo cominciarono a mettersi male. 

Il 20 novembre del 2019 viene arrestato Yorgen Fenech, imprenditore maltese gestore di una società elettrica costruita con una concessione statale e capo di 17 Black, una società con sede legale a Dubai che avrebbe dovuto fare pagamenti per oltre 1,5 milione di euro a due società off shore di Panama, di proprietà di due membri del governo: Konrad Mizzi, ministro dell’Energia e poi del Turismo e Keith Schembri, capo dello staff del primo ministro. 
Nel mentre, anche Vincent Muscat si era deciso a parlare, confessando di essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio. La bomba che ha ucciso la giornalista era stata acquistata dalla mafia italiana.  A tre anni dalla morte della giornalista, il Parlamento Europeo lancia il premio per il giornalismo a lei intitolato. Ad essere premiati i giornalisti che si sono distinti per il rispetto dei valori e dei principi dell’Unione Europea.


Il Parlamento europeo istituisce un premio giornalistico in memoria di Daphne Caruana Galizia, la giornalista d’inchiesta maltese uccisa nel 2017.Il Premio è destinato al giornalismo d’eccellenza che riflette i valori europei Il Premio giornalistico Daphne Caruana Galizia, istituito il 16 ottobre nell’anniversario della sua scomparsa, premierà il giornalismo d’eccellenza che riflette i valori europei. “Il Premio Daphne Caruana Galizia riconoscerà il ruolo fondamentale che ricoprono i giornalisti nel preservare le nostre democrazie e servirà ai cittadini per ricordare l’importanza della libertà di stampa. Questo premio è concepito per sostenere i giornalisti nel lavoro che svolgono, di vitale importanza e spesso pericoloso, e per dimostrare che il Parlamento europeo sostiene i giornalisti d’inchiesta”, è quanto detto dalla vicepresidente del Parlamento Heidi Hautala. Un premio dal valore di 20.000 euro Il premio annuale, il cui valore ammonta a 20.000 euro, sarà assegnato a partire da ottobre 2021 a giornalisti o a team di giornalisti che operano nell’UE. I candidati e gli eventuali vincitori verranno selezionati da una giuria indipendente. Chi era Daphne Caruana Galizia? Daphne Caruana Galizia è stata una giornalista maltese, oltre che una blogger e un’attivista contro la corruzione. Nel suo lavoro, ha riferito ampiamente di corruzione, di riciclaggio di proventi illeciti, di crimine organizzato, della compravendita di passaporti per acquisire la cittadinanza maltese e del relativo collegamento del governo dell’isola allo scandalo dei Panama Papers. Per questo è stata vittima di vessazioni e minacce, che sono culminate nell’attacco terroristico che ha posto fine alla sua vita: il 16 ottobre 2017 è morta a causa dell’esplosione di una bomba nascosta nella sua auto. Il clamore e le proteste su come le autorità competenti hanno gestito le indagini relative al suo omicidio hanno portato il primo ministro Joseph Muscat a dimettersi dall’incarico. Critico sulle mancanze delle indagini, a dicembre 2019 il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione europea di prendere provvedimenti. Il Parlamento sostiene con convinzione l’importanza della libertà di stampa: nella risoluzione adottata a maggio 2018 ha invitato gli stati membri ad assicurare un adeguato finanziamento pubblico agli organi di stampa e a promuovere un giornalismo plurale, indipendente e libero. Il Parlamento ha inoltre sottolineato ancora una volta l’importanza della libertà di stampa nel contesto della pandemia di COVID-19.  Segui la nostra diretta live su Facebook per il premio giornalistico Daphne Caruana Galizia alla presenza degli eurodeputati.


SECONDO INFORMAZIONI RISERVATE PUBBLICATE DA IRPI  I fratelli maltese Adrian e Robert Agius, sospettati di essere i fornitori della bomba che ha ucciso la giornalista Daphne Caruana Galizia il 16 ottobre 2017, avrebbero legami con la criminalita’ organizzata siciliana, libica, romena ed albanese. Lo hanno scritto il Times of Malta e Malta Today in un reportage fondato sui informazioni confidenziali raccolte dall’ Irpi (Investigative Reporting Project Italy) nell’ambito del Daphne Project, il consorzio internazionale di testate che intende continuare il lavoro della giornalista maltese. I due fratelli Agius, secondo la ricostruzione dei due media, sono figli di Raymond, un presunto contrabbandiere di sigarette armi e droga che fu coinvolto ed ucciso in una faida scattata dopo la rapina di un carico di stupefacenti nel 2011. I due fratelli avrebbero poi continuato le attivita’ criminali. Secondo quanto scritto da Malta Today, “appare saliente che quando Daphne Caruana Galizia per prima incrocio’ il nome di di Adrian Agius con quello di un fallimento di una catena di supermercati… un anno dopo venne ucciso l’avvocato Carmel Chircop” che apparentemente aveva fatto investimenti in quella stessa catena.ANSA 23.10.20


Spuntano legami con la criminalità organizzata siciliana, libica, romena ed albanese. Omicidio Caruana: si batte la pista della mafia  Daphne Caruana Galizia e, a destra, la sua auto dopo l’esplosione dell’autobomba I fratelli maltesi Adrian e Robert Agius, sospettati di essere i fornitori della bomba che ha ucciso la giornalista Daphne Caruana Galizia il 16 ottobre 2017, avrebbero legami con la criminalità organizzata siciliana, libica, romena ed albanese. Lo hanno scritto il Times of Malta e Malta Today in un reportage fondato sui informazioni confidenziali raccolte dall’Irpi (Investigative Reporting Project Italy) nell’ambito del Daphne Project, il consorzio internazionale di testate che intende continuare il lavoro della giornalista maltese. I due fratelli Agius, secondo la ricostruzione dei due media, sono figli di Raymond, un presunto contrabbandiere di sigarette armi e droga che fu coinvolto ed ucciso in una faida scattata dopo la rapina di un carico di stupefacenti nel 2011. I due fratelli avrebbero poi continuato le attività criminali. Secondo quanto scritto da Malta Today, «appare saliente che quando Daphne Caruana Galizia per prima incrociò il nome di Adrian Agius con quello di un fallimento di una catena di supermercati … un anno dopo venne ucciso l’avvocato Carmel Chircop» che apparentemente aveva fatto investimenti in quella stessa catena. (ansa). “.23 Ottobre 2020 GIORNALISTI ITALIA


«LE NUOVE PISTE DELL’OMICIDIO DI DAPHNE CARUANA GALIZIA»  di Anne Michel e Arthur Bouvart – È tutto pronto. Da un giorno all’altro la polizia maltese potrebbe irrompere a casa sua, a sud di Malta, per arrestarlo nell’ambito di un caso di riciclaggio. Rischia anni di galera. Allora si è preparato, per fare in modo di non essere l’unico a cadere: fotografie, telefoni e tre chiavette Usb contenenti registrazioni compromettenti, tutto raccolto dentro un contenitore di gelato vuoto. Una scatola che tiene stretta a sé, il 14 novembre 2019, quando all’improvviso l’unità speciale anti-crimine economico lo trascina nella volante. Una scatola che questo tassista di 42 anni non aprirà se non in presenza di un commissario di polizia. Ha preparato anche una lettera di confessione, scritta tutta in maiuscolo, che comincia così: «Il sottoscritto Melvin Theuma dichiara di essere l’intermediario nel caso Daphne Caruana Galizia. Sto passando queste prove affinché sappiate chi mi ha assoldato e chi ha pagato per la bomba». La notizia del suo arresto si è diffusa rapidamente in tutta l’isola. Il caso risveglia nei 500 mila abitanti il trauma del 16 ottobre 2017, il giorno dell’omicidio della famosa giornalista e blogger anticorruzione Daphne Caruana Galizia con un’autobomba. Tutti ricordano l’orrore di quelle immagini in loop: la macchina carbonizzata, fumante, proiettata dalla forza dell’esplosione in un campo vicino alla strada. L’inchiesta giudiziaria dopo due anni non ha prodotto nulla, se non l’arresto di tre criminali omertosi legati al sottobosco maltese, che per 150mila euro hanno piazzato la bomba. Ma questa volta è più probabile che la verità emerga: la polizia ha in mano colui che avrebbe fatto da tramite fra i mandanti e gli esecutori dell’attentato. In questo Paese soffocato dalla corruzione, dove tutti gli scenari sono ancora aperti (dalla pista criminale a quella della cospirazione politica) Melvin Theuma fornisce presto il nome promesso: Yorgen Fenech.

Il rampollo che nessuno si aspettava La rivelazione, fornita in cambio della grazia presidenziale, ha un grande effetto sulla popolazione: Yorgen Fenech, 38 anni, non è esattamente uno sconosciuto. È uno degli uomini più ricchi del Paese, erede di un vasto conglomerato di hotel e casinò e possiede un intero quartiere di lusso sull’isola. Gira nei ristoranti più in vista della marina di Portomaso, vestito attillato, rasato, occhiali scuri. È a poche miglia nautiche dal porto quando la guardia costiera lo arresta, il 20 novembre 2019, mentre tenta di fuggire prima dell’alba, a tutta velocità a bordo del suo lussuoso yacht, diretto in Sicilia. Nel giro di poche ore, sotto i flash dei fotografi, il ricco uomo d’affari diventa il nemico pubblico numero uno. Ma chi è Yorgen Fenech, tanto potente in patria quanto sconosciuto all’estero, nonostante il suo impero (il gruppo Tumas) abbia investito moltissimo in Europa (specialmente in Francia)? È stato davvero lui a ordinare l’uccisione di una giornalista? E perché? Che credito si può dare alle affermazioni di Melvin Theuma, questo tassista solito frequentare il mondo della malavita tra usura e scommesse illegali, a volte confuso sulle date, ambiguo nelle affermazioni, sicuramente meno ingenuo di quanto non appaia? Formalmente accusato di complicità nell’omicidio il 30 novembre 2019, Yorgen Fenech è ora detenuto in carcere. Lascia la sua cella solo per andare in tribunale, dove polizia e procura espongono regolarmente le prove a suo carico nel quadro di un procedimento detto «raccolta delle prove», specifico del sistema giudiziario maltese. Solo una volta terminata questa parte del processo sarà incriminato formalmente o prosciolto. Per mesi testimoni, tra cui anche Melvin Theuma, si sono avvicendati alla sbarra a raccontare il loro ruolo in questa faccenda. Yorgen Fenech però, si dichiara innocente. Ma la polizia ha nuovi elementi che lo coinvolgono nell’indagine, secondo quanto è in grado di rivelare l’inchiesta di Le Monde per il Daphne Project, il progetto collaborativo nato all’indomani dell’uccisione di Daphne Caruana Galizia per proseguire le sue storie.

Quello che dicono i telefoni sequestrati I telefoni e le pennette Usb consegnate da Melvin Theuma hanno “parlato”. Ci riportano alla primavera del 2018, molto prima del suo arresto. All’epoca, il supertestimone temeva per la sua vita, aveva paura di essere ucciso come Daphne Caruana Galizia. Per proteggersi, registra tutte le conversazioni con quello che, secondo lui, sarebbe il burattinaio di questa storia. Secondo fonti vicine all’indagine, la polizia avrebbe in mano uno scambio di messaggi, passati attraverso l’applicazione di messaggistica criptata Signal, datati 13 novembre 2019. Melvin Theuma sa che lo stanno per arrestare. Yorgen Fenech, che in chat appare con il nome di “Yurgin”, lo avverte: «Devi essere sicuro al 100% di aver pulito tutto», lo ammonisce il businessman. «Non solamente su questa storia […] Non lasciare nulla su nessun numero, così non ti potranno dire nulla». «Non preoccuparti, non lascio nulla», risponde l’intermediario. «Perfetto […] se manteniamo la calma, funzionerà al 100%». Far sparire ogni traccia di coinvolgimento nell’omicidio sembra essere l’ossessione di Yorgen Fenech. Già nella primavera 2018, quando uno dei tre sospetti attentatori, Vince Muscat, si era segretamente messo a collaborare con la polizia, l’uomo d’affari scriveva a Melvin Theuma: «Mantieni la calma. Va a dire ai Maksar (alias di una famiglia della mafia maltese di cui parleremo in una nuova inchiesta, ndr) che lui [cioè Vince Muscat, ndr] ha già detto che la bomba è stata fabbricata nel loro garage a Zebbug». Yorgen Fenech era chiaramente ben informato di questa confessione e anche dell’andamento delle indagini. Non rinuncia a tentare di gestirla. Di fatto, è «quello che dovrebbe essere preoccupato», come dice lui stesso al tassista che lo registra di nascosto. Questa registrazione è appena stata depositata al tribunale di Malta.Il suono è di scarsa qualità, le voci dei due uomini sono tese, ma si capisce chiaramente che Melvin Theuma sta cercando di rassicurare Fenech:«Se devono proprio rintracciare qualcuno, quello sono io», commenta il tassista.«Chi ha facilitato l’operazione non è a rischio tanto quanto chi l’ha fatta», ribatte l’imprenditore. «Non preoccuparti, il tuo nome non è mai stato menzionato», conclude l’intermediario.

«Voglio uccidere Daphne Caruana Galizia»  Secondo la testimonianza del tassista, il destino della giornalista sarebbe stato deciso nella primavera del 2017, quando Yorgen Fenech, all’uscita del ristorante Blue Elephant sul porto turistico di San Julian, gli dice: «Voglio uccidere Daphne Caruana Galizia». All’epoca i due uomini si conoscevano già da anni: Melvin Theuma era il tassista personale della famiglia di Fenech e aveva il suo posto riservato davanti all’Hilton a Malta. Condividono la passione per le corse di cavalli. È così che si sono conosciuti: Yorgen Fenech è cresciuto all’ippodromo di Marsa, nel sud dell’isola, di cui suo padre Georges è stato a lungo presidente; Melvin Theuma, dal canto suo, ha percorso le tribune in lungo e in largo per raccogliere scommesse illegali sulle gare. Non era raro che Yorgen, ora proprietario di una scuderia, passasse da Melvin, il bookmaker, per puntare denaro sui cavalli. Ma nell’aprile 2017, Theuma ha accettato di prendere parte a un accordo completamente diverso: uccidere Daphne Caruana Galizia. Theuma sostiene di aver ricevuto una busta con 150 mila euro dalle mani di Fenech, per ingaggiare gli assassini. L’estate successiva, l’intermediario ha dovuto fare i conti con la fretta di Yorgen Fenech. «Da quel momento in poi, Yorgen ha continuato a chiamarmi. Telefonata dopo telefonata: “Andate a dirgli di eliminarla in fretta, dobbiamo ucciderla in fretta”», ha detto il tassista ai magistrati.

Le inchieste scomode All’epoca Daphne Caruana Galizia si era lanciata, anima e corpo, in una lotta per far emergere la verità sulla corruzione che affligge Malta. Si era concentrata sui casi sospetti in cui sembrava essere coinvolto il gruppo Tumas, guidato da Yorgen Fenech e dalla sua famiglia. Al momento della sua morte, la giornalista aveva nel mirino l’acquisizione, nel 2013, della più grande concessione pubblica di Malta da parte del consorzio Electrogas, presieduto dallo stesso Fenech, e di cui Tumas è azionista, insieme a Siemens e a una società pubblica dell’Azerbaijan. Questo contratto di diciotto anni prevede la gestione di una nuova centrale elettrica, che fornirà gas ed elettricità all’intero Paese, assicurandone l’indipendenza energetica. Daphne Caruana Galizia è convinta che dietro il contratto ci sia corruzione, specie quando, poche settimane prima di essere assassinata, riceve una serie di dati sensibili da Electrogas: oltre 600 mila email interne che non avrà il tempo di analizzare a fondo. Questa informazione firma la sua condanna a morte. Almeno, è quello che oggi credono gli agenti di polizia incaricati delle indagini: «Abbiamo sempre pensato che Daphne Caruana Galizia fosse stata uccisa per qualcosa che stava per rivelare, non per qualcosa che aveva pubblicato», ha detto un ispettore alla fine di agosto in tribunale. Un’altra scoperta era stata fatta dall’instancabile giornalista maltese: “17Black”, una misteriosa società registrata a Dubai e utilizzata, a suo parere, dal governo per muovere denaro dentro e fuori Malta. Aveva appreso che la società doveva pagare quote all’allora capo di gabinetto del primo ministro, Keith Schembri, e all’allora ministro dell’Energia, Konrad Mizzi, in conti segreti a Panama. Gravi sospetti di tangenti, che non avrà nemmeno il tempo di dimostrare. Viene uccisa prima che possa scoprire chi c’è dietro la compagnia di Dubai. 17Black – come avrebbero poi rivelato Reuters e Times of Malta, membri del “Daphne Project” – è in realtà di proprietà di Yorgen Fenech. L’azienda funge come fondo nero. Sollecitati dai membri del “Daphne Project”, gli avvocati del signor Fenech affermano che il loro cliente «nega qualsiasi coinvolgimento nell’omicidio» e sottolineano che «le prove di Melvin Theuma sono piene di affermazioni inaffidabili e contraddizioni inspiegabili. Siamo convinti che un processo equo continuerà a mettere in luce la falsità delle sue affermazioni – proseguono – Fenech non ha mai cercato di fuggire da Malta o di eludere il processo. È fiducioso che un’attenta indagine dimostrerà la sua innocenza».

La trama che porta a Keith Schembri Se, a Malta, la verità sul caso Daphne Caruana Galizia sta gradualmente emergendo, rimane comunque aperta una domanda importante: Yorgen Fenech, se colpevole, ha agito da solo o nell’ambito di un piano coordinato dagli ambienti politici locali, desiderosi di sbarazzarsi della giornalista? Fenech ha detto agli investigatori di essere vittima di un complotto ordito da Keith Schembri, l’ex capo di gabinetto dell’ex primo ministro Joseph Muscat, costretto a dimettersi a causa di un altro scandalo lo scorso gennaio. Keith Schembri era suo amico e confidente: a credere alla versione dell’imprenditore dunque, sarebbe il politico, la vera mente dell’operazione. Durante il suo interrogatorio con la polizia, Yorgen Fenech ha anche accusato l’ex capo di gabinetto di aver pagato 80 mila euro ai tre sospettati dell’omicidio della giornalista (oltre al già citato Vince Muscat, anche Alfred e George Degiorgio, ndr). Secondo Fenech, Schembri lo avrebbe tenuto informato sugli sviluppi delle indagini di polizia, dal giorno dell’assassinio fino a quando lo stesso Fenech è stato arrestato a largo di La Valletta. Va detto che Keith Schembri ha assistito a tutti i briefing durante i quali la polizia ha informato l’ex primo ministro Joseph Muscat sull’andamento dell’indagine. Yorgen Fenech sostiene di essere stato «continuamente informato» a sua volta: l’arresto dei sospetti attentatori e poi quello dell’intermediario (il tassista Melvin Theuma), la richiesta di immunità da parte di uno degli assassini, le intercettazioni telefoniche di telefoni, compreso il suo. Secondo fonti vicine alle indagini, Fenech e Schembri avrebbero scambiato circa 800 messaggi sull’applicazione WhatsApp, nel 2019. Malgrado ciò, Keith Schembri ha dichiarato sotto giuramento «di non aver mai informato Yorgen di nulla al riguardo». Ha semplicemente ammesso di non «aver detto a nessuno della loro amicizia», ​​nemmeno alla polizia. Poco prima del suo arresto, però, Yorgen Fenech ha parlato con Schembri al telefono per 24 minuti. Cosa si sono detti esattamente? Mistero. Resta il fatto che l’uomo d’affari accusa l’ex capo del personale di avergli passato segretamente, pochi giorni dopo, una lettera di quattro pagine tramite il medico che hanno in comune. Yorgen Fenech è stato in seguito rilasciato su cauzione, per motivi medici, sotto la supervisione di questo stesso dottore. Quest’ultimo, ha confermato agli inquirenti di essersi recato effettivamente, su richiesta di Yorgen Fenech, da Keith Schembri, il quale gli ha mostrato i quattro fogli da passare all’amico. Una lettera che Yorgen Fenech descrive in tribunale come «un copione da seguire» per accusare qualcun altro dell’omicidio. Di fronte a questi fatti Keith Schembri smentisce tutto: questa lettera, ha dichiarato ai magistrati, «non l’ho scritta io, né l’ho trasmessa». L’ex capo di gabinetto Schembri, come l’ex primo ministro di Malta Muscat, dimessosi lo scorso gennaio, ha sempre affermato di non avere nulla a che fare con l’assassinio di Daphne Caruana Galizia. Arrestato brevemente alla fine del 2019 durante le indagini sull’omicidio, Keith Schembri è stato subito rilasciato senza che gli venissero mosse accuse formali. Il 22 settembre è stato arrestato di nuovo, ma solo nel contesto di una diversa indagine, un caso di corruzione riguardo la concessione di passaporti “di comodo” a ricchi stranieri. Seppure il tassista Melvin Theuma indichi sistematicamente Yorgen Fenech come «l’unico sponsor» dell’omicidio, ha fornito alla polizia altre informazioni inquietanti che lasciano pensare che lui stesso godesse della protezione di Schembri. Non ultima, la foto che lo ritrae assieme a Keith Schembri nell’ufficio del primo ministro, scattata pochi giorni dopo il presunto contatto con i killer. A quel tempo, Theuma aveva ottenuto un lavoro fittizio per il governo, come dimostra un contratto depositato agli atti del tribunale di cui Schembri nega di essere a conoscenza. L’intermediario sostiene inoltre di aver ricevuto, dopo l’arresto dei tre sospetti attentatori, la visita di un collaboratore dell’ex premier, che gli ha chiesto di trasmettere messaggi agli assassini in carcere. Incontri confermati anche da altri testimoni. Keith Schembri ha ammesso alla corte di conoscere questo collaboratore, ma ha negato di «averlo mandato a incontrare Theuma o di discutere con lui dell’omicidio».

L’eredità di Daphne  A tre anni dalla morte di Daphne Caruana Galizia, diventata un’icona nella lotta alla corruzione nel più piccolo Stato dell’Unione Europea, cosa uscirà da questo imbroglio, tra prove e smentite, in uno Stato compromesso fino ai suoi vertici da soldi sporchi e corruzione? Al peggio non c’è mai limite, ma la giustizia maltese potrebbe riservare qualche sorpresa. Il fatto di aiutare una o più persone a sfuggire dalle accuse di omicidio, eliminando ogni traccia, non costituisce reato sull’isola. Nessuno può quindi dire a cosa porteranno i procedimenti in corso. È in questo contesto di incertezza, con il timore che la verità non venga mai a galla, che la famiglia della giornalista e blogger ha creato un’organizzazione alla sua memoria: la Fondazione Daphne Caruana Galizia, che si propone di onorarla facendo pressione sulle istituzioni maltesi. «Se dovessi lasciare le indagini solo nelle mani della polizia e del pubblico ministero, non andrei da nessuna parte», dice il figlio maggiore di Daphne Caruana Galizia, Matthew, che ha preso in mano la pesante fiaccola un tempo portata dalla madre e che sta ora lottando per fare luce anche sul suo assassinio. «Dobbiamo lottare per la giustizia, per l’omicidio di mia madre, ma anche contro la corruzione, che ne è alla radice. Si potrebbe pensare che la polizia faccia il suo lavoro, ma bisogna monitorare costantemente». D’altronde, le autorità maltesi hanno impiegato oltre un anno per arrestare e incriminare Melvin Theuma, sostenendo di aver incontrato difficoltà a raccogliere prove contro di lui, mentre il tassista già scriveva le sue confessioni da mesi. Secondo diverse fonti, Europol, frustrata dall’inerzia della polizia maltese, ha dovuto minacciare di ritirarsi dall’indagine nel caso in cui l’intermediario non fosse stato arrestato. Europol ha preferito non commentare quest’informazione, ma ci tiene a ricordare «di aver offerto centinaia di giorni di lavoro» e a far sapere che continua a essere attivamente coinvolta nell’indagine. Un’altra tragica svolta minaccia l’esito del procedimento giudiziario. Infatti a metà luglio, Melvin Theuma, il pentito su cui si basa gran parte del procedimento giudiziario, ha cercato di uccidersi tagliandosi la gola. È stato trovato in un bagno di sangue, con la gola lacerata e l’addome trafitto da diverse coltellate autoinflitte. Sebbene fosse in una casa protetta, sotto costante sorveglianza della polizia e avesse un’udienza il giorno successivo, diverse fonti concordano nel ritenere che il tassista volesse suicidarsi, circostanza che rivela la sua fragilità psicologica. Theuma è sopravvissuto, ma le sue corde vocali sono danneggiate. Nessuno sa quando potrà tornare alla sbarra per spiegare i contenuti delle ultime registrazioni depositate a processo. Sul suo letto d’ospedale, dopo aver ripreso conoscenza, il tassista ha scritto un messaggio in stampatello su un pezzo di carta: «Spero che i figli di Daphne mi perdonino». “Le Monde” del 15 ottobre 2020


Arrestato Schembri, capo di gabinetto dell’ex premier Musca  Il braccio destro del primo ministro laburista è accusato di riciclaggio. Entrambi i politici erano stati oggetto delle inchieste della giornalista uccisa Daphne Caruana Galizia, la più importante giornalista della storia del Paese, raccontava che Malta era una palude a forma di isola, per quella capacità che aveva di sommergere ogni cosa, inghiottendola, fino a farla scomparire. Daphne è stata uccisa proprio da quella palude, fatta saltare in aria perché non potesse continuare a raccontare le storie che nessuno voleva fare vedere. Ma quel sacrificio ha cambiato la forma di Malta: non è ancora una piscina, ma si comincia a vedere il fondo.  Dal fondo è emerso Keith Schembri, capo di gabinetto dell’ex primo ministro laburista Joseph Muscat, entrambi oggetto delle inchieste di Daphne. Schembri è stato arrestato, e poi rilasciato, dopo che gli sono stati bloccati i beni e gli sono state notificate le accuse di riciclaggio. La storia è quella che Repubblica, con il Daphne project (il progetto internazionale di giornalismo che ha portato avanti le inchieste di Daphne Caruana Galizia dopo il suo assassinio) aveva già raccontato, nel dettaglio, nei mesi scorsi. La storia riguarda il traffico di passaporti per rendere cittadini extracomunitari dal portafoglio pesante e cattiva reputazione finanziaria, cittadini europei: sono magnati russi, petrolieri iraniani che grazie all’acquisto di un passaporto maltese, e a una tangente messa nelle mani giuste, sono riusciti a diventare cittadini maltesi e dunque comunitari in modo da girare liberamente, e di farlo fare al loro denaro, per l’intera Unione. Lo sono diventati grazie a un governo compiacente ma anche grazie a banche pronte a chiudere entrambi gli occhi. Una su tutte, la Pilatus Bank, di cui Daphne Caruana Galizia aveva capito tutto. E che ora, di fatto non esiste più. di GIULIANO FOSCHINI 22 settembre 2020 LA REPUBBLICA

 


MALTA, SVOLTA PER IL CASO CARUANA GALIZIA. L’AFFAIRE ELECTROGAS Il caso dell’assassinio della giornalista Caruana Galizia sembra essere giunto finalmente ad una svolta: la polizia ritiene che la giornalista maltese sia stata uccisa per ciò che stava per rivelare in merito ad un accordo, sponsorizzato dal Governo, sulla centrale elettrica sita a sud dell’isola, appellata come il “patrimonio tossico della corruzione”.

All’inizio del 2017, la giornalista Daphne Caruana Galizia aveva ricevuto circa 600 mila mail riguardanti proprio la compagnia energetica maltese, l’Electrogas, in parte di proprietà dell’imprenditore Yorgen Fenech – attualmente ancora il principale sospettato dell’omicidio – che deteneva una vantaggiosa concessione per la fornitura di elettricità statale di Malta. L’informazione è stata confermata dall’ispettore Kurt Zahra, uno dei due detective della squadra omicidi – che seguono le indagini sull’assassinio della blogger -, rimarcando così il fatto che politici e funzionari pubblici “sono soliti usare, e troppo spesso, il proprio potere per guadagno personale, anche a rischio di arrecare gravi danni al benessere della società”. E l’inchiesta pubblica sull’assassinio di Daphne Caruana Galizia sta rivelando l’entità degli abusi fatti da parte dell’amministrazione dell’ex premier Joseph Muscat. L’“accordo Electrogas” – che durante le recenti deposizioni processuali s’è scoperto fosse già in precedenza “oggetto” di un’indagine da parte dell’unità per i crimini economici delle forze di polizia maltesi – sembra proprio essere un esempio di abuso di potere. Il segretario permanente del Ministero delle Finanze, Alfred Camilleri, ha testimoniato davanti alla Commissione d’inchiesta di essersi mostrato contrario al fatto che il Governo si fosse reso disponibile nel fare da garante alle quattro banche che stavano finanziando l’Electrogas, di cui Yorgen Fenech era il maggiore azionista. Camilleri ha confermato che nel settembre 2017 la Bov, la principale banca maltese, notificò al Governo che l’azienda non stesse onorando i suoi impegni finanziari: un suo possibile default avrebbe portato conseguenze disastrose per l’intero paese. Si spiega così la proposta di Camilleri a non procedere con un’ulteriore concessione di garanzia alla società privata, consiglio tuttavia deliberatamente ignorato; questa decisione era diventata una questione di politica e che appariva ancora più intricata, poichè Yorgen Fenech non era il solo a beneficiare dell’accordo di fornitura di energia a Malta. I proprietari locali di Electrogas – la “CP Holdings”, la “Gasan Enterprises” e “Tumas Energy” – sono in effetti costituiti da dozzine di persone che detengono azioni della società. Secondo il quotidiano d’inchiesta maltese “The Shift” riaffiorano altri nomi di spicco, tra cui l’azienda Nexia BT – una delle principali società di consulenti aziendali di contabilità – questa volta in veste di “contabile” della Fenech’s New Energy Supply Ltd e GEM Holdings, la società che, insieme alla società energetica statale dell’Azerbaijan SOCAR e al gigante tecnologico Siemens, detiene il 33% delle azioni di Electrogas. Fenech è stato anche uno dei tre direttori di Electrogas fino a novembre 2019, quando è stato arrestato come sospettato di omicidio nell’assassinio di Caruana Galizia. Nel settembre 2019, due mesi prima dell’arresto dell’imprenditore, i membri più anziani – Ray Fenech, Michael Apap Bologna e Joe Gasan – sono improvvisamente diventati gli amministratori della GEM Holdings. Secondo quanto emerso durante le deposizioni in tribunale, Fenech stava ricevendo informazioni proprio sull’andamento delle indagini sull’omicidio e che Ray Fenech potrebbe aver fornito a Yorgen consigli su come agire. Dalle indagini s’è inoltre scoperto che la sorella di John Dalli – politico maltese, ad oggi Commissario Europeo per la salute -, Anna Fenech, è una delle azioniste dell’Electrogas, attraverso la società Tumas Energy Ltd. Daphne Caruana Galizia aveva scritto per la prima volta un post sul suo blog in relazione al caso “17 Black” – la misteriosa società sita a Dubai, implicata nel caso “Panama Papers” – dove appariva proprio il volto di John Dalli. Ma ancora l’intera verità sul famigerato accordo Electrogas non è ancora nota: e ci si chiede perchè solamente pochi giorni fa l’ispettore di polizia Kurt Zahra abbia dichiarato che la giornalista avesse ricevuto migliaia di e-mai su quell’affare. Tante le persone coinvolte, ma gli scopi sembrano essere unici: i protagonisti di questo triste capitolo di “governo corrotto” sono ancora in giro.Di Valentina Contavalle| mercoledì, 9 settembre, 2020|L’Informazione


Secondo il “Times of Malta” sono circa 700 i messaggi scambiati tra il presunto mandante dell’omicidio e Edward Zammit Lewis Il ministro della Giustizia maltese Edward Zammit Lewis si sarebbe scambiato tra il mese di giugno e ottobre l’anno scorso alcuni messaggi, circa settecento, con Yorgen Fenech, il presunto mandante dell’omicidio di Daphne Caruana Galizia. A rivelarlo è il quotidiano “Times of Malta”, da sempre interessatosi del caso Caruana Galizia e autore delle più grandi inchieste sul delitto. A novembre, alcune settimane dopo che questi messaggi si sono interrotti, Fenech è stato arrestato e processato per complicità nell’assassinio della cronista, uccisa il 16 ottobre 2017. Zammit Lewis e Fenech si sono incontrati a più riprese a pranzo nel 2019, anche dopo che è emerso che l’imprenditore era proprietario della società – allora segreta – 17 Black con sede in un paradiso fiscale e che sarebbe stato al centro di una rete di corruzione legata alle concessioni per un impianto elettrico la cui esistenza è stata rivelata dalla blogger. Consultato sui suoi contatti con l’imprenditore maltese, il ministro ha spiegato al giornale di averli interrotti “abbastanza tempo prima” del suo arresto per l’assassinio della giornalista investigativa. “E le cose stanno così ancora oggi”, ha aggiunto.
Il ministro ha quindi assicurato di non aver mai avuto legami legali o commerciali con l’imprenditore ed ha chiarito che non intende farsi distrarre dal suo impegno in materia di riforme istituzionali e costituzionali destinate – ha sottolineato – a rafforzare lo stato di diritto. A luglio, lo stesso ministro aveva detto al “Times of Malta” che non aveva legami con Fenech, che aveva conosciuto quando era titolare dei Trasporti, tra il 2014 e il 2017, in quanto operatore leader del settore. “Questo è un piccolo paese. Tutti conoscono tutti”, aveva aggiunto. Il ministro ha quindi escluso conseguenze sul proprio lavoro derivanti dalla sua “familiarità” con il magnate maltese. Il giornale però fa presente che esiste il rischio di un conflitto di interessi nel caso che una richiesta di indulto approdi sul suo tavolo. Fenech ha chiesto l’indulto all’epoca del precedente governo, poi negato. L’attuale ministro si è limitato a precisare che se la richiesta fosse nuovamente presentata si consulterebbe con il premier Robert Abela, sull’opportunità di una sua partecipazione alle discussioni in merito.  Adnkronos 9.9.2020


Malta, l’isola dell’impunità ecco chi vuole insabbiare la verità su Daphne L’indagine sui mandanti della giornalista uccisa è ferma, il governo vuole arrestare la sua fonte. Sei mesi dopo, il delitto Caruana Galizia è diventato un caso europeo CARLO BONINI e GIULIANO FOSCHINI13 aprile 2018   In cima alla antica Rocca, quella da cui tuona a salve il cannone della memoria due volte al giorno, c’è chi vuole che il volto in bianco e nero di Daphne Caruana Galizia non sorrida più. Perché c’è memoria e memoria. E dunque, come accade con un fantasma della cui ombra si ha urgenza di liberarsi, da settimane mani zelanti rimuovono di notte ciò che mani generose ricostruiscono di giorno: l’ultima traccia ancora tangibile dell’esistenza di Daphne. Il suo memoriale. Foto in bianco e nero, in un letto di fiori e candele, alla base di una scultura marmorea, epigrafe della sua vita, spezzata da un’autobomba sei mesi fa, alle 14 e 58 minuti del 16 Ottobre 2017, nella campagna di Bidnija.Nella furia iconoclasta di chi cancella c’è un riflesso condizionato e un’involontaria ammissione. Che il nome della giornalista investigativa che aveva messo a nudo il Potere — politico e finanziario — dell’isola, la sua corruzione, sia un’onta al sentimento di una intera nazione. E, dunque, che quel ricordo vada cancellato con la stessa protervia che il Potere aveva riservato a Daphne da viva. Quando la additavano come una “strega” da bruciare, la trascinavano 46 volte in tribunale per diffamazione, le congelavano i conti in banca per demolirne l’ostinazione nella denuncia.

Il memoriale rimosso  Ancora giovedì notte, in Republic Street, il corso pedonale che taglia il quadrilatero dei palazzi del Potere, scopettoni, detersivi e sacchi dell’immondizia hanno inghiottito per l’ennesima volta fiori, messaggi, candele che, da sei mesi, hanno trasformato il basamento in marmo del “Great Siege Monument”, la scultura che ricorda il Grande assedio del 1565, in un memoriale spontaneo. Perché la giustizia maltese, che di fronte al monumento ha il suo Palazzo dei tribunali, non dimenticasse di rispondere alle uniche domande che oggi contano. Dentro e fuori l’isola di Malta. Chi ha ordinato la morte di Daphne? Quali fili non dovevano più toccare le sue inchieste? E come è stato possibile che in un Paese dell’Unione Europea una giornalista sia stata ridotta al silenzio con un’autobomba? Ma, ancora giovedì pomeriggio, le foto e i fiori di Daphne sono riapparsi. Almeno fino al prossimo colpo di ramazza.

Festival di Perugia, la sorella di Caruana Galizia: ”Proteggiamo i giornalisti, ci sono troppe impunità”  Perché nella città e nel Paese scelti dall’Unione come capitale della cultura europea per il 2018, la damnatio memoriae è cominciata almeno da febbraio. Con le parole postate sul proprio profilo Facebook da Jason Micallef, presidente della Fondazione “Valletta 2018” responsabile per le celebrazioni e gli eventi messi in calendario dal Governo laburista del premier Joseph Muscat, il Grande Accusato da Daphne. E suo Grande Accusatore. «Mi opporrò — aveva scritto Micallef — a qualunque iniziativa voglia trasformare il Grand Siege Monument in un memoriale permanente di Daphne Caruana Galizia. Come Paese sovrano, non possiamo accettare lo svilimento di un monumento storico che celebra una delle più grandi vittorie di sempre di Malta». Era quindi arrivata la risposta di Corinne Vella, una delle sorelle di Daphne («Micallef, che spende centinaia di migliaia di euro dei contribuenti in vanitosi progetti che ingombrano le pubbliche piazze, ha obiezioni su dei fiori deposti in memoria di una donna che da viva lo aveva chiamato a rispondere della corruzione dei suoi padrini al Governo. Confonde la democrazia in azione con il rumore delle posticce parate da Corea del Nord»).

La Castilla, l’Europa, l’Fbi La sfida della memoria in Republic Street si consuma mentre, assediato nella Castilla, sede del Palazzo del Governo, il premier laburista Joseph Muscat, come pure gli uomini chiave del suo Gabinetto, si muovono in uno straniante copione che evidentemente ha deciso di rimuovere «il problema Daphne Caruana». Fin qui, Muscat e i suoi hanno navigato a vista. Alla giornata. E, a oggi, non si va oltre generiche indicazioni che rimandano a «un’inchiesta ancora in corso» sul movente e i mandanti di un omicidio che è e resta oggettivamente politico. Sul piano dell’immagine c’è invece un goffo tentativo di spin (un annuncio nelle ultime 24 ore di misure triennali «per rendere più efficiente il contrasto al riciclaggio e al gioco d’azzardo») che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe attutire la tempesta che si è andata addensando in Europa, Dove, in questi sei mesi, i fatti hanno cominciato a rendere giustizia a quello che Daphne, sola, aveva denunciato da viva.

Nell’ordine.

Primo: due diverse commissioni di inchiesta del Parlamento europeo hanno illuminato i buchi e le inefficienze della legislazione antiriciclaggio maltese; la pericolosità di un programma di vendita dei passaporti e dunque della cittadinanza maltese a chiunque, oligarca russo piuttosto che sceicco del Golfo, o satrapo asiatico, possa sborsare 650mila euro; la mancanza di indipendenza del potere giudiziario rispetto all’esecutivo.

Secondo: il consiglio di Europa, con una risoluzione che sarà presto sottoposta al voto, ha dubitato dell’indipendenza dell’inchiesta sui mandanti dell’assassinio e considera la possibilità di inviare sull’isola un osservatore indipendente che ne verifichi la correttezza. Come in un paese del terzo mondo.

Terzo: la Banca Centrale europea ha avviato un’inchiesta sulla Pilatus Bank, snodo, secondo Daphne, della corruzione e del riciclaggio di denaro sull’isola e su cui sarebbe transitato un milione di dollari a beneficio di Michelle Muscat, moglie del premier. Prezzo — secondo quanto ricostruito da Daphne — di relazioni opache tra il governo de La Valletta e il regime azero. Di più: a fine marzo, l’Fbi ha arrestato per riciclaggio (115 milioni di dollari) e frode bancaria il proprietario della Pilatus Bank, l’iraniano Ali Sadr Hasheminejad.


Gli affari opachi Joseph Muscat ha sempre negato. La storia della Pilatus «è una grande menzogna», dice. Come una menzogna sarebbero le opacità del programma di vendita dei passaporti e il lassismo nei controlli antiriciclaggio. Conviene prenderne atto e raccogliere in proposito le parole di Eva Joly. Parlamentare europea francese, già pm del “affaire Elf”, l’inchiesta giudiziaria che, negli anni ‘90, svelò per la prima volta la rete globale di corruzione che teneva e tiene insieme i paradisi off-shore, è oggi a Bruxelles vicepresidente della Commissione di inchiesta sul caso “Panama Papers”, il mastodontico leak di documenti riservati provenienti dallo studio legale Mossack Fonseca che, due anni fa, ha consentito di svelare i depositi su conti off-shore di esponenti politici e imprenditori delle classi dirigenti di mezzo mondo (a quel leak aveva lavorato anche Daphne). Dice la Joly a Repubblica (la sua intervista è parte del documentario “Daphne”): «A Malta regna l’impunità: per il riciclaggio, per la vendita dei passaporti. E questo in un Paese dove la magistratura e le forze di polizia non sono indipendenti. Malta è diventata la porta d’Europa per il denaro sporco e il crimine organizzato».

La seconda donna “State of denial”, lo chiamano. Stato di negazione. Ma a Malta, la storia di Daphne non è solo questo. In Grecia, una donna, madre come Daphne, poco più che trentenne, è stata inseguita fino a questa mattina da un mandato di arresto con cui la magistratura maltese aveva strumentalmente chiesto la sua estradizione alla Valletta dove dovrebbe rispondere dell’accusa dell’appropriazione indebita di 2 mila euro. È una russa. Si chiama Maria Efimova. Ha lavorato nella filiale della Pilatus Bank di Malta. È stata l’ultima fonte di Daphne Caruana Galizia. È la whistleblower di questa storia. Ieri, un giudice greco ha definitivamente respinto la richiesta di estradizione perché — questa la motivazione destinata a confermare l’esistenza di un caso Malta in Europa — «sull’isola non è garantita l’incolumità della donna». Che, dunque, stamattina lascerà il carcere di Tebe dove è stata detenuta per tre settimane dopo essersi spontaneamente consegnata alla polizia greca.

Repubblica l’ha intervistata nel tempo in cui, dopo aver lasciato Malta, si era nascosta sull’isola di Creta (anche la sua testimonianza è nel documentario). «Un giorno dissi a Daphne — racconta — che temevo che la uccidessero. Lei, sorridendo, mi rispose: “E come? Con un’autobomba?”. Forse avrei dovuto essere più convincente ed è un rimpianto che mi porto dietro dal 16 ottobre del 2017. Mentre c’è una cosa che sicuramente non rimpiango. Di aver deciso un giorno di sedermi davanti al mio computer per scrivere una mail a quella donna che non conoscevo. Daphne. A cui avrei raccontato quella verità che lei avrebbe avuto il coraggio di pubblicare».  La Repubblica 

“Daphne Caruana Galizia: Il vergognoso comportamento di Valletta 2018, Capitale della Cultura” Lettera aperta alla Commissione europea del PEN International, organizzazione internazionale non governativa di scrittori  16 aprile 2018

  • Egregio Presidente Juncker,
  • Egregio Commissario Timmermans
  • Egregio Sig. Magnier, Direttore di Creative Europe
  • c.c. al Commissario Vella

Vi scriviamo al compiersi dei sei mesi dal brutale assassinio della nostra Collega Daphne Caruana Galizia, la giornalista investigativa più in vista di Malta, per esprimere la nostra profonda preoccupazione per gli sviluppi a Malta delle indagini sul suo assassinio, con particolare riguardo al comportamento del management di Valletta 2018, Capitale Europea della Cultura.

L’assassinio di Daphne Caruana Galizia è stato commissionato come diretta risposta al suo lavoro di giornalista impegnata a denunciare la corruzione rampante nel cuore della UE. Dal momento della sua morte, abbiamo assistito con orrore alle ripetute, aggressive distruzioni del monumento in memoria di Daphne Caruana Galizia, creato come risposta a quell’orribile evento. Le autorità maltesi non hanno nemmeno provato a proteggere questo monumento. In particolare, siamo scandalizzati dai commenti di Jason Micallef, Presidente della Fondazione Valletta 2018, in tale capacità rappresentante ufficiale a Malta della Capitale della Cultura. Sin dal suo assassinio, Micallef ha ripetutamente e pubblicamente attaccato e ridicolizzato Daphne Caruana Galizia sui social media, ordinando la rimozione di striscioni che invocavano giustizia per la sua morte e pretendevano che il di lei temporaneo monumento venisse ripulito. Questo è ben lungi dall’essere un comportamento appropriato per un pubblico ufficiale designato a rappresentare la Capitale Europea della Cultura, e di fatto esso contribuisce a proteggere gli interessi di chi cerca di impedire una indagine effettiva ed imparziale sulla morte di Caruana Galizia.

THE DAPHNE PROJECT: 18 testate internazionali per dare voce alle sue inchieste

Il mandato del programma Creative Europe consiste nel supportare e promuovere la cultura ed i media nella regione. La cultura europea ha in sé la libertà di criticare chi è al potere, farne oggetto di satira e di indagine. Il ruolo del Presidente della Capitale Europea della Cultura dovrebbe essere quello di salvaguardare questo diritto, e non di minacciarlo. Riteniamo che questo comportamento ne avvilisca il ruolo ed abbia profonde implicazioni contro l’integrità del progetto nel suo complesso. Non è ammissibile la tolleranza verso chi ridicolizza l’assassinio di un/una giornalista nel cuore dell’UE, in particolar modo se fa parte delle autorità che sono preposte a promuovere i media e la cultura nella UE. Vi chiediamo pertanto di aprire immediatamente un’indagine su queste denunce contro Jason Micaleff. Qualora esse risultassero vere, vi chiediamo di chiedere le sue dimissioni e di nominare una persona qualificata che dimostri l’integrità necessaria per svolgere questo ruolo.

Oltre a queste preoccupazioni relative a Valletta 2018, vogliamo ribadire la nostra più viva apprensione in merito alle indagini in corso da parte delle autorità maltesi circa l’assassinio di Daphne Caruana Galizia, che a nostro avviso non corrispondono agli standard di indipendenza, imparzialità e efficacia richiesti dalla legislazione internazionale in merito ai diritti umani. Le stesse persone sulle quali Caruana Galizia stava indagando mantengono la responsabilità di assicurare la giustizia sul suo caso, nonostante una richiesta giudiziale presso la Corte Costituzionale di Malta da parte della sua famiglia, che è ora completamente tagliata fuori dalle indagini sull’assassinio. Salutiamo con interesse l’iniziativa presa dall’Assemblea del Parlamento Europeo, che sta compiendo un passo straordinario inviando un referente speciale per verificare lo svolgimento delle indagini.

Ci preoccupa inoltre enormemente dover constatare che, anche dopo il suo assassinio, alcuni membri importanti del Governo, incluso il Primo Ministro, Joseph Muscat, continuino ad insistere nel promuovere trentaquattro cause per diffamazione nei suoi confronti, cause che sono state prese in carico dai suoi famigliari. Oltre a questi casi, il Primo Ministro sta iniziando un altro processo per diffamazione contro il figlio di Caruana Galizia, Matthew, che è anche lui un giornalista vincitore di un Premio Pulitzer. Abbiamo ragione di credere che questi processi siano una rappresaglia diretta per il lavoro investigativo di sua madre sulla corruzione all’interno del presente governo maltese. Il Primo Ministro sta attualmente cercando di forzare Matthew a ritornare a Malta per presentarsi in giudizio, nonostante che esperti di sicurezza indipendenti stiano consigliando Matthew di restare fuori da Malta a causa di concrete minacce alla sua vita in patria.

La whistle-blower Maria Efimova, una delle fonti di Daphne Caruana Galizia sulla corruzione all’interno della Pilatus Bank, operante a Malta e attualmente caduta in disgrazia, rischia l’estradizione dalla Grecia a Malta in forza di un mandato d’arresto europeo. Crediamo che le accuse contro la Efimova siano meramente politiche e siamo molto preoccupati per la sua sicurezza fisica e per l’indipendenza del processo che dovrebbe affrontare se deportata a Malta.

Vi invitiamo vivamente a prendere una posizione a supporto delle richieste di giustizia per Daphne Caruana Galizia e per la protezione dei giornalisti a Malta. Restiamo in attesa della vostra risposta che indichi i passi che vorrete intraprendere relativamente alle nostre apprensioni.

Con i migliori saluti,  Jennifer Clement, Presidente del PEN International


Malta, il figlio della blogger uccisa: «Brucerei il laptop di mia madre davanti agli occhi della polizia»  Matthew Caruana Galizia sull’omicidio di sua mamma Daphne: «E’ il computer del primo ministro la cosa di cui la polizia ha bisogno, non quello di mia madre. Joseph Muscat, dov’è il tuo laptop?»

dopo l’assassinio  “Sono i nostri secondi funerali…”. Sei mesi dopo, per un attimo, il dolore di Matthew Caruana Galizia sovrasta una lunga rabbia mai nascosta. Solo per un attimo. Ma quando gli dicono che i poliziotti maltesi non hanno ancora scoperto nulla sull’omicidio di sua mamma Daphne perché sono “frustrati dalla mancanza di fiducia della famiglia”, e per non essere riusciti nemmeno a farsi consegnare il pc della giornalista, allora è l’ira a riaffiorare. Non sappiamo dove sia, ha sempre detto la sorella della cronista, e comunque non lo daremmo: “Brucerei il laptop di mia madre davanti agli occhi della polizia – scrive il figlio di Daphne, in un post su Facebook -, se sapessi dov’è. E’ il computer del primo ministro la cosa di cui la polizia ha bisogno, non quello di mia madre. Joseph Muscat, dov’è il tuo laptop? Dove sono il laptop e il server della mail privata joseph@josephmuscat.com che potresti avere usato per pianificare l’assassinio di mia madre?”.

Un delitto politico Un delitto politico, ripetono fin dall’inizio i familiari e i colleghi di Daphne: ultima prova ne sarebbero, accusa il giornale Times of Malta, i due incontri in un bar che il ministro economico Chris Cardona avrebbe avuto a novembre e a dicembre con persone poi arrestate. Eppure nessun politico è stato mai interrogato nell’inchiesta sull’autobomba del 17 ottobre 2017 e probabilmente così s’andrà avanti: in carcere sono finiti tre uomini che negano ogni addebito, la polizia pensa siano solo gli esecutori perché maneggiavano loro il cellulare-telecomando dell’esplosivo, la pista privilegiata resta all’estero e si punta sulla criminalità comune. Stop. C’è una taglia d’un milione di euro, sui killer, ma nessuno l’ha ancora incassata. Recenti rivelazioni del “Daphne Project” – un consorzio di 18 giornali e 45 giornalisti di vari Paesi, nato dopo l’omicidio – hanno spinto La Valletta e la Commissione europea a smentire (solo in parte) che dietro l’esplosione ci sia il traffico di passaporti d’oro che Malta “vende” a ricchi russi, arabi, azeri: un milione d’euro, questo il prezzo, in cambio di cittadinanze facili che servano a ripulire capitali sporchi. Fin dai primi giorni d’indagine era emerso il ruolo d’una piccola e misteriosa banca iraniana, la Pilatus, capace di riciclare molti soldi dall’Azerbaigian: Daphne se ne stava occupando, come s’era occupata delle centinaia di sportelli fantasma aperti da finanziarie nell’isola, e forse stava raggiungendo il livello più alto di protezione concesso a tanti disinvolti finanzieri inchiodati dalle black list. Non è un mistero che Malta sia la tortuga dei pirati off-shore, ma la luce accesa sui rapporti del governo Muscat con gli azeri potrebbe essere costata la condanna a morte della giornalista: secondo Le Monde, Caruana Galizia “aveva denunciato la messa in atto d’un programma di vendita di passaporti, a cura del governo di centrosinistra del 2013, ricalcato su un modello in voga ai Caraibi, a Saint-Kitts-et-Nevis o ad Antigua e Barbuda”. Un beneficiario era stato Arkady Yurievich Volozh, patron del Google russo (Yandex), che aveva “comprato nel 2016 passaporti maltesi per tutta la sua famiglia, compresi i genitori e i bambini”: Volozh è come tanti altri un fantasma, nell’isola, e il suo è solo un indirizzo fittizio. Non solo: due figure chiave del governo laburista, Keith Schembri e Konrad Mizzi, nel 2015 avrebbero ricevuto un milione e 600mila dal regime azero. A che titolo? E perché quei soldi sono poi finiti su conti panamensi che Daphne aveva spulciato? L’unica iniziativa giudiziaria maltese è stata la richiesta d’estradizione d’una russa trentaseienne che sta in Grecia, Maria Efimova, considerata la fonte degli articoli di Caruana sulla banca Pilatus: Atene ha detto di no.

Il silenzio è d’oro Fisco allegro, aggiramento delle sanzioni internazionali a russi e iraniani, traffici opachi sotto l’ombrello protettivo dell’Ue: “Malta gioca col fuoco”, scrive Le Monde. “Soffriamo una doppia impunità – dice Matthew -, quella che pesa sull’omicidio di mia madre e sui casi di corruzione di cui ha scritto”. Davanti al Parlamento della Valletta, hanno appeso manifesti-parodia di celebri film: “Crookfellas” (da crook, truffatore) invece di “Goodfellas” e “Lord of Lies” (il signore delle bugie) al posto del signore delle mosche, “Lord of Flies”. Il silenzio è mafia, c’è scritto a vernice sull’asfalto. Per ora, è solo d’oro.


OMICIDIO DI DAPHNE CARUANA GALIZIA, LE TRACCE PORTANO IN MONTENEGRO? – Intervista di Srdan Kosović a Matthew Caruana Galizia In questa intervista rilasciata al quotidiano montenegrino Vijesti, Matthew Caruana Galizia, figlio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia assassinata tre anni fa, rivela alcuni dettagli dell’inchiesta sul caso Možura, condotta da sua madre, che si era focalizzata soprattutto sui legami tra l’attuale presidente del Montenegro Milo Đukanović, l’ormai ex premier maltese Joseph Muscat e l’élite al potere in Azerbaijan. Dopo la tragica morte della madre, Matthew, anch’egli giornalista, si è impegnato a portare avanti le sue inchieste. Insieme al padre e ai fratelli, ha fondato The Daphne Caruana Galizia Foundation allo scopo di rafforzare lo stato di diritto a Malta.

Il processo per l’omicidio di sua madre è ancora in corso. Secondo lei, tutte le persone coinvolte nella morte di sua madre si trovano sul banco degli imputati oppure c’è qualcuno che sta ancora sfuggendo alla giustizia? «Credo che ormai nessuno – né della procura né della polizia, né del governo né dell’opposizione [maltese], né della Commissione europea e nemmeno dei governi di altri paesi – dubiti che ci siano ancora delle persone che stanno sfuggendo alla giustizia. C’è però chi preferirebbe ignorare questa evidenza e spostare il focus della vicenda su altri argomenti e chi, invece, sta lottando per ottenere piena verità e giustizia.»

Sua madre ha mai parlato del progetto Možura e della corruzione ad esso legata, o di un possibile coinvolgimento di alcuni politici montenegrini negli affari su cui stava indagando? Ha mai menzionato qualcuno del Montenegro? «Sì, mia madre stava indagando sugli affari dei funzionari maltesi in Montenegro, in particolare sulle attività di Konrad Mizzi, Joseph Muscat e Tiziano Mousu, poi sull’azienda Vitals Global Healthcare e Ram Tumuluri, nonché sugli affari della SOCAR [compagnia statale petrolifera azera] in Montenegro. Il personaggio chiave su cui stava indagando era Milo Đukanović, all’epoca primo ministro del Montenegro. Stava indagando sui rapporti tra Đukanović, Muscat e l’élite al potere in Azerbaijan. Il legame tra i funzionari azeri, quelli montenegrini (compreso Đukanović), quelli maltesi (compresi Mizzi, Schembri e Muscat) e i rappresentanti dell’azienda Shanghai Electric (controllata dal governo cinese) ha subito suscitato sospetti.»

Ci sono degli indizi di eventuali transazioni sospette legate a questi affari che potrebbero vedere coinvolte alcune persone, aziende e banche del Montenegro? I funzionari montenegrini che hanno preso parte al processo decisionale relativo al progetto Možura erano coinvolti in pratiche corruttive? «Sì, l’Universal Capital Bank [con sede a Podgorica] è coinvolta. Yorgen Fenech riceveva pagamenti sul suo conto presso la Noor Bank di Dubai dalla società Mayor Trans Ltd. registrata alle Seychelles, dietro cui c’è un uomo dell’Azerbaijan. Questi pagamenti venivano effettuati da un conto aperto presso la banca lettone ABLV, successivamente chiusa per sospetto di riciclaggio di denaro. La società Mayor Trans Ltd. ha un conto anche presso l’Universal Capital Bank. Per cosa veniva utilizzato questo conto e chi lo gestiva? La possibilità che il conto presso l’Universal Capital Bank fosse stato utilizzato come un fondo nero per la corruzione in Europa dovrebbe attirare l’attenzione del ministero delle Finanze statunitense e dell’Autorità bancaria europea.»

Quali sono le più recenti rivelazioni sul caso Možura che potrebbero essere rilevanti per i cittadini del Montenegro? «Lo scandalo Možura è l’esempio di una rete criminale organizzata, costituita da alcuni funzionari e uomini d’affari corrotti provenienti da Malta, Azerbaijan, Cina e Montenegro, che rubavano i soldi davanti ai nostri occhi. Tuttavia, questo progetto sembra di poco conto rispetto ad alcuni affari di privatizzazione più grandi, multimiliardari, affidati [ad alcune aziende] attraverso un processo intriso di corruzione, nel settore sanitario e in quello della sicurezza. L’azienda Vitals Global Healthcare ha corrotto alcuni funzionari maltesi, usando lo stato per fare ingresso in Montenegro, Albania e Macedonia del Nord. L’azienda SOCAR sta facendo la stessa cosa in Montenegro, dopo aver commesso una grande truffa a Malta con il progetto Electrogas.»

Come commenta il fatto che il parlamento montenegrino ha respinto la proposta di istituire una commissione d’inchiesta sul caso Možura? «I membri del parlamento che hanno votato contro questa proposta non stanno facendo alcun favore a se stessi. Col tempo il [loro] potere e l’influenza diminuiranno, e di conseguenza anche la loro capacità di insabbiare certi reati. Quando le istituzioni statali vengono usate per commettere e insabbiare reati, la fiducia in esse è compromessa, forse irrimediabilmente. Anche nelle democrazie forti si verificano casi di corruzione ad alto livello. La differenza è che questi paesi affrontano la corruzione e ne escono più forti.»

Le pressioni esercitate dall’Unione europea e dalla comunità internazionale hanno fatto sì che l’indagine per l’omicidio di sua madre venisse portata avanti con un certo successo. Pensa che simili pressioni potrebbero dare qualche risultato anche in Montenegro? «Per uno stato che poggia su un debole sistema di separazione dei poteri e su una cultura clientelare, e che si è dimostrato tollerante nei confronti della corruzione, usata in modo strategico da parte di alcuni governi, come quello azero e cinese, l’ingresso nell’UE e soprattutto l’accesso ai finanziamenti e prestiti che esso comporta potrebbe essere rischioso. Il messaggio della Commissione europea deve essere chiaro: il processo di adesione non implica solo controlli, ma anche riforme culturali, politiche e legislative. I cittadini del Montenegro devono fare la stessa richiesta ai loro leader. Alla fine, la corruzione ci ruba la libertà e, nella peggiore delle ipotesi, anche la vita, come è successo a mia madre.»

Pensa che Yorgen Fenech continuerà a rivelare dettagli sui retroscena dell’omicidio di sua madre? Secondo lei, Fenech sa chi in Montenegro era coinvolto in pratiche corruttive e chi ne ha tratto guadagno? «Sono sicuro che Fenech sa chi altro era coinvolto in questi affari illegali. Ma cosa accadrebbe se Fenech o un altro testimone morisse domani? È quasi successo ad un intermediario nell’omicidio di mia madre, Melvin Theuma [avrebbe contattato per conto del mandante i tre esecutori materiali dell’omicidio, ndr], che ha tentato il suicidio qualche settimana fa. Le nostre autorità devono essere competenti e proattive per riuscire a seguire i flussi di denaro e portare avanti il processo senza l’aiuto dei criminali.»   Vijesti il 9 agosto 2020


Daphne Anne Vella, coniugata Caruana Galizia (Sliema, 26 agosto 1964 – Bidnija, 16 ottobre 2017) è stata una giornalista e blogger maltese, ben nota come giornalista d’inchiesta e anti-corruzione. È rimasta uccisa in un attentato nell’ottobre 2017.

 Biografia Daphne Anne Vella era nata il 26 agosto 1964 a Sliema, da Michael Alfred Vella e Rose Marie Mamo. Ha studiato presso il convento di San Dorothy a Mdina e il Collegio S. Aloysius di Birkirkara, prima di frequentare l’Università di Malta e laurearsi in archeologia nel 1997. Nel 1985 ha sposato Peter Caruana Galizia, con il quale ha avuto tre figli: Matthew Mark John, Andrew Michael Louis e Paul Anthony Edward. Era residente a Bidnija, un borgo nei confini della municipalità di Mosta.

 Carriera giornalistica   Caruana Galizia ha lavorato come giornalista dal 1987. All’inizio degli anni ’90 è stata una firma regolare per The Sunday Times e redattrice associata per The Malta Independent. È rimasta una giornalista per The Malta Independent e The Malta Independent on Sunday, ed è stata direttrice della rivista Taste & Flair. Dal 2008 Caruana Galizia ha curato un blog, intitolato Running Commentary, che includeva segnalazioni investigative e commenti personali. Il suo blog era uno dei siti più popolari di Malta. Il controverso blog di Caruana Galizia l’ha portata a diverse battaglie legali. Nel 2010, Caruana Galizia ha criticato sul suo blog il magistrato Consuelo Scerri Herrera, che ha poi aperto un’inchiesta per calunnia e diffamazione contro di lei. Il caso è stato archiviato nel novembre 2011. L’8 marzo 2013 Caruana Galizia è stata arrestata per aver rotto il silenzio politico il giorno prima delle elezioni generali del 2013, dopo aver postato video che deridevano l’allora leader dell’opposizione Joseph Muscat. È stata interrogata dalla polizia prima di essere liberata dopo poche ore. Nel 2016, Caruana Galizia è stata la prima a lanciare la notizia del coinvolgimento dei politici governativi Konrad Mizzi e Keith Schembri nei Panama Papers, grazie al coinvolgimento di suo figlio Matthew nel Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (ICIJ). Il 22 febbraio ha rivelato che Mizzi avesse connessioni con Panama e la Nuova Zelanda, spingendo il ministro a rivelare l’esistenza del Rotorua Trust due giorni dopo. Il 25 febbraio Caruana Galizia ha rivelato che anche Schembri possedeva un trust neozelandese, a sua volta proprietario di una società a Panama. Il leak dell’aprile 2016 ha confermato che Mizzi era proprietario della società panamense Hearnville Inc, e che Mizzi e Schembri avevano aperto anche un’altra società, la Tillgate Inc. Le società erano anche di proprietà di Orion Trust New Zealand Limited, che sono gli stessi fiduciari dei trust di Mizzi e New Schembri in Nuova Zelanda, rispettivamente Rotorua e Haast. Come prima persona a rivelare il coinvolgimento di Mizzi e Schembri a Panama, Caruana Galizia fu nominata da Politico Europe come una delle “28 persone che avrebbero scosso l’Europa” nel 2017. La politica la descrisse come “one-woman WikiLeaks, in crociata contro la non trasparenza e la corruzione a Malta“. Nel 2017 Caruana Galizia ha affermato che Egrant, un’altra società di Panama, fosse di proprietà di Michelle Muscat, moglie del primo ministro Joseph Muscat. Queste affermazioni hanno condotto a Muscat a indire le elezioni anticipate del giugno 2017, che hanno visto il suo partito laburista confermarsi al governo. Dopo le elezioni, Caruana Galizia è stata anche duramente critica con il nuovo leader dell’opposizione nazionalista, Adrian Delia.

 Omicidio  Caruana Galizia è rimasta uccisa, all’età di 53 anni, nell’esplosione di un’autobomba nella sua Peugeot 108 affittata presso la sua residenza di Bidnija vicino Mosta verso le 15:00 del 16 ottobre 2017. La violenta esplosione ha sparso pezzi del veicolo nei campi vicini. È stata ritrovata dal figlio Matthew, che ha sentito l’esplosione dalla loro casa. Caruana Galizia aveva riferito di aver presentato una denuncia alla polizia per minacce circa due settimane prima della sua morte. Il 3 novembre si sono svolti i funerali nella Rotonda di Mosta officiati dal vescovo di Malta Charles Scicluna, alla cerimonia erano presenti anche l’ex Presidente della repubblica maltese Eddie Fenech Adami, l’ex Primo ministro Lawrence Gonzi e l’ex leader del Partito Nazionalista Simon Busuttil oltre al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani e al rappresentante OSCE per la libertà di stampa Harlem Désir. Il Primo ministro Joseph Muscat e la Presidente della repubblica Marie Louise Coleiro Preca non sono stati invitati dalla famiglia Caruana Galizia; inoltre tutte le bandiere maltesi negli uffici pubblici sono state messe a mezz’asta in segno di lutto. Anche le bandiere della Commissione europea sono state esposte a mezz’asta a segno di lutto.

 Reazioni Fiori e candele nei pressi del Monumento al Grande Assedio vicino alla Corte di Giustizia maltese a La Valletta. L’omicidio è stato condannato dal primo ministro Joseph Muscat, che ha dichiarato di non “darsi pace fino a che sarà stata fatta giustizia”, nonostante Caruana Galizia lo avesse ripetutamente criticato dal suo blog. La Presidente della repubblica maltese Marie Louise Coleiro Preca, l’arcivescovo Charles Scicluna e un ampio numero di politici maltesi hanno espresso la loro solidarietà o condannato l’omicidio. Il leader dell’opposizione Adrian Delia ha definito la sua morte “il collasso della democrazia e della libertà d’espressione” e dichiarato che “le istituzioni [maltesi] ci hanno deluso”. Il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha definito l’omicidio di Caruana Galizia “un tragico esempio di una giornalista che sacrifica la propria vita per la ricerca della verità.” Gerard Ryle, direttore dell’International Consortium of Investigative Journalists, ha dichiarato che l’organizzazione è “scioccata” dalla morte di Caruana Galizia ed è “profondamente preoccupata per la libertà di stampa a Malta.”

Gli intoccabili, la bomba e la mafia  C’è un gruppo di criminali a Malta, i Maksar, che gestisce i traffici più redditizi e può vantare contatti con cosa nostra. Secondo testimonianze inedite hanno fornito la bomba che ha ucciso la giornalista Daphne l 21 luglio scorso Malta si è svegliata nel timore che il testimone chiave del caso Daphne Caruana Galizia finisse in silenzio per sempre. Melvin Theuma era in una pozza di sangue con la gola tagliata. Ricoverato d’urgenza, due settimane più tardi dal letto d’ospedale ha dichiarato di avere tentato il suicidio per via del rimorso. A novembre aveva ammesso di essere l’intermediario nell’omicidio, il cardine tra i mandanti e gli esecutori. Theuma, un tassista con un oscuro giro di amicizie, ha deciso di collaborare con la giustizia dopo l’arresto e ha rivelato come il più ricco uomo d’affari di Malta, Yorgen Fenech, sarebbe stato il mandante dell’omicidio. E, nonostante abbia ricevuto la grazia dall’allora primo ministro Joseph Muscat, il tassista teme che la sua testimonianza non sia presa seriamente a processo. È per questo che, dal letto d’ospedale, ha scritto «qed jidħku bija». Ridono di me. D’altronde puntare il dito contro Yorgen Fenech non è uno scherzo. Nato nel 1981 nella principale famiglia d’imprenditori di Malta, da ragazzo sognava di diventare come Silvio Berlusconi: ricco, potente, e abbastanza carismatico da farla franca contro quasi qualunque accusa. Oggi Fenech ha connessioni ovunque sull’isola: dalle alte sfere ai bassifondi, dalla Castille (il palazzo del governo) alle baracche sui moli dove prosperano i trafficanti. Ma è anche l’uomo su cui pesa l’accusa più pesante di un processo la cui posta sembra essere diventata l’anima stessa dell’isola. È formalmente accusato di essere il mandante dell’omicidio di Daphne con il supporto dell’entourage dell’ex primo ministro Joseph Muscat. L’accusa si basa sulla testimonianza di Theuma: ha dichiarato sia stato Fenech a dargli istruzioni per assoldare i killer Vince Muscat, Alfred e George Degiorgio. «Yorgen mi ha coinvolto in tutto questo», ha scritto su un foglio di carta dal letto d’ospedale, quando ancora non era in grado di esprimersi a parole. Mentre a valutare le prove ci penseranno i giudici, quello che certamente è emerso finora dalle udienze è una preoccupante amicizia tra politici di spicco, imprenditori influenti e il “mondo di sotto” della criminalità organizzata maltese. Fenech può anche avere desiderato silenziare Daphne per sempre, ma questo non sarebbe potuto avvenire senza il supporto di criminali professionisti, i fratelli Degiorgio. I Degiorgio erano considerati degli esperti, molto affidabili in quel tipo di lavoro e con una lunga esperienza con le autobombe, usate spesso da una rete criminale che gestisce i principali traffici loschi dell’isola. Al comando di questo gruppo ci sarebbero due fratelli, Adrian e Robert Agius, conosciuti con il soprannome del padre, Maksar. Gli “intoccabili” hanno conquistato una posizione di comando dopo che quasi dieci anni di faide tra i gruppi criminali dell’isola avevano spazzato via i principali boss. Gli Agius sono stati astuti e sono riusciti a sfruttare la situazione a loro vantaggio guadagnando un posto d’onore nei traffici del Mediterraneo e il rispetto di mafie straniere, compresa Cosa Nostra di Catania. I Degiorgio lavoravano per loro, ecco perché anche gli Agius sono diventati persone d’interesse nel caso Daphne. Ma c’è di più.

«Porta il messaggio a Maksar che lui (Vince Muscat, il socio dei fratelli Degiorgio ora in carcere, ndr) ha già detto che la bomba è stata assemblata nel loro garage a Zebbug [cittadina dell’entroterra maltese]», scrive Fenech a Theuma in un messaggio. Un messaggio che suggerisce come Maksar, leggasi gli Agius, abbiano qualcosa a che fare con la bomba che ha ucciso Daphne, o quantomeno che Fenech si preoccupava di proteggerli.


Il 4 dicembre 2017 Robert e Adrian Agius vengono arrestati a Marsa, l’insenatura del porto di Valletta dove avviene la maggior parte dei traffici, come Daphne Project ha già raccontato. Vengono sorpresi al molo Tal-Pont, presso il cosiddetto “potato shed” (un ex scarico merci per le patate), una baracca usata dai fratelli Degiorgio come base operativa. È un freddo giorno invernale, due mesi dopo la deflagrazione, e la polizia porta via in manette i Degiorgio, Vince Muscat, gli Agius, Jamie Vella e altri quattro soci. Il giorno seguente saranno tutti rilasciati su cauzione, tranne i Degiorgio e Muscat. Nella perquisizione, la polizia sequestra delle schede SIM, telefoni cellulari e altro materiale probatorio. La speranza, riportavano i media maltesi all’indomani dell’operazione, è che quei dispositivi potessero aiutare a risolvere anche cinque casi irrisolti di autobombe esplose negli anni precedenti, di cui anche Daphne aveva scritto.

Vince Muscat, Alfred Degiorgio e George Degiorgio presto vengono formalmente accusati di avere ucciso Daphne Caruana Galizia installando una bomba sotto il sedile della sua auto.

Le indagini sveleranno che l’ordigno era stato messo insieme con varie componenti. E il montaggio, scoprono gli inquirenti, è stato portato a termine in un garage a Zebbug. Le perquisizioni portano alla luce vari pezzi di ferro che vengono confrontati con quelli ritrovati all’interno dell’auto esplosa. È sempre in questo garage che sarebbero state attivate le schede SIM usate per detonare la bomba. Comprese le schede SIM usate da George Degiorgio durante l’esplosione.

La conferma che il garage sia stato il luogo dove è stato costruito l’ordigno e il fatto che lo stesso fosse nella disponibilità dei fratelli Agius e del loro socio Jamie Vella, uno del gruppo dei primi arrestati, arriva anche dalle udienze del processo. Melvin Theuma, l’intermediario che ha ammesso di essere la connessione tra i killer e il presunto mandante, Yorgen Fenech, ha dichiarato in Tribunale che la bomba è stata fornita dagli Agius.

Maksar è stato nominato varie volte durante l’incidente probatorio nei confronti di Yorgen Fenech. Non solo il messaggio in cui Fenech avverte Theuma che Vincent Muscat ha già cantato sugli Agius: il 5 febbraio 2020 in aula viene fatta ascoltare la registrazione di una conversazione avvenuta tra Theuma e Fenech. L’audio prova come i Maksar abbiano giocato una parte e come Fenech ritenga vadano allertati del fatto che Vince Muscat stava rivelando che la bomba fosse stata preparata presso il loro garage.

«Lui lo ha mandato a mettere sotto pressione quelli di Zebbug [intendendo i proprietari del garage dove è stata prodotta la bomba, cioè la banda degli Agius]», dice Fenech a Theuma.

Theuma a processo fornisce un’interpretazione di questo messaggio: dichiara che Fenech intendesse che il capo di Gabinetto del governo, Keith Schembri, avesse mandato la guardia del corpo del primo ministro, Kenneth Camilleri, ad avvertire gli Agius. Perché, spiega, «Yorgen e Keith sono la stessa cosa».

E gli Agius? Fino ad ora non sono stati incriminati e non risultano iscritti nel registro degli indagati.

Eppure a gennaio 2020 c’è un’altra testimonianza che li inchioda. Vince Muscat confessa alla polizia durante un interrogatorio per ottenere la grazia (poi negata), che Robert Agius e Jamie Vella abbiano importato la bomba e gli abbiano mostrato come usarla.

Inizialmente – racconta sempre Muscat – gli avevano fornito tre fucili d’assalto con mirino telescopico per sparare a Daphne dalla finestra del suo studio. Muscat aveva indicato Alfred Degiorgio come la persona con l’esperienza giusta per maneggiare queste armi. Due dei tre fucili però «non funzionavano bene – Muscat ha dichiarato alla polizia – uno era arrugginito».

Si era quindi scelta la via dell’autobomba. Stando alle dichiarazioni dell’avvocato di Muscat, Marc Sant, gli Agius e Vella avrebbero anche provato a comprare il suo silenzio quando – a fine 2019 – avevano offerto alla sua famiglia 1500 euro al mese in cambio dell’omertà sull’omicidio di Daphne e su altri crimini.

La polizia sarebbe stata informata a gennaio ma, ha dichiarato Sant, ha mostrato poco interesse rispetto al tentativo di silenziare Muscat. Fonti qualificate sostengono che la polizia non abbia dedicato molte risorse a scoprire chi abbia fornito la bomba, poichè concentrata sui mandanti.

La polizia maltese, dal canto suo, ha richiesto il supporto delle sue controparti europee per cercare di rintracciare i fornitori dell’esplosivo che ha ucciso Daphne Caruana Galizia. La richiesta è stata fatta a Europol nel 2019, nella speranza di raccogliere sufficienti prove per inchiodare i colpevoli.

Il Daphne Project ha rilevato che i fratelli Agius sono ritenuti dalla polizia maltese a capo della criminalità locale e li ritiene «obiettivi di primo piano».

In risposta alle domande del consorzio, la polizia maltese ha dichiarato che le indagini sull’omicidio Caruana Galizia sono ancora in corso: «Non possiamo smentire né confermare certe informazioni, ma vogliamo essere chiari sul fatto che le indagini non si sono mai fermate e che vi sono dedicate tutte le risorse possibili».

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, un commissario di lunga esperienza, in piccolo bar di Balzan, nell’entroterra dell’isola, ci mette qualche bicchiere prima di sciogliersi e cominciare a parlare degli Agius e della loro rete:

«Hanno contatti ovunque, con la politica, i magistrati, i giudici, la polizia».

«Potrebbero farmi uccidere se sapessero che sto parlando con voi giornalisti. Non scherzo», conclude la fonte guardando dritto negli occhi il giornalista di Times of Malta.

Ma non è sempre stato così.

Guerra tra bande

Nonostante anni trascorsi sul lato sbagliato della giustizia, i fratelli Agius hanno dovuto attendere l’omicidio di loro padre, nel 2008, per emergere nel mondo criminale.

Raymond Agius, padre di Robert e Adrian, era un noto contrabbandiere di sigarette chiamato Maksar. Si dice potesse contare su un proprio impianto di fabbricazione di sigarette ma come copertura investiva nel settore edilizio e nella rivendita di automobili.

Dopo la sua morte, i figli hanno preso il posto di comando nel business familiare ma, ambiziosi di farsi un nome di spicco nell’ambiente, passano dalle sigarette al traffico di droga.

Dai mandanti agli esecutori materiali della morte di Daphne Caruana Galizia, passando per le responsabilità politiche

Alle radici di un omicidio

E gli Agius? Fino ad ora non sono stati incriminati e non risultano iscritti nel registro degli indagati.

Eppure a gennaio 2020 c’è un’altra testimonianza che li inchioda. Vince Muscat confessa alla polizia durante un interrogatorio per ottenere la grazia (poi negata), che Robert Agius e Jamie Vella abbiano importato la bomba e gli abbiano mostrato come usarla.

Inizialmente – racconta sempre Muscat – gli avevano fornito tre fucili d’assalto con mirino telescopico per sparare a Daphne dalla finestra del suo studio. Muscat aveva indicato Alfred Degiorgio come la persona con l’esperienza giusta per maneggiare queste armi. Due dei tre fucili però «non funzionavano bene – Muscat ha dichiarato alla polizia – uno era arrugginito».

Si era quindi scelta la via dell’autobomba. Stando alle dichiarazioni dell’avvocato di Muscat, Marc Sant, gli Agius e Vella avrebbero anche provato a comprare il suo silenzio quando – a fine 2019 – avevano offerto alla sua famiglia 1500 euro al mese in cambio dell’omertà sull’omicidio di Daphne e su altri crimini.

La polizia sarebbe stata informata a gennaio ma, ha dichiarato Sant, ha mostrato poco interesse rispetto al tentativo di silenziare Muscat. Fonti qualificate sostengono che la polizia non abbia dedicato molte risorse a scoprire chi abbia fornito la bomba, poichè concentrata sui mandanti.

La polizia maltese, dal canto suo, ha richiesto il supporto delle sue controparti europee per cercare di rintracciare i fornitori dell’esplosivo che ha ucciso Daphne Caruana Galizia. La richiesta è stata fatta a Europol nel 2019, nella speranza di raccogliere sufficienti prove per inchiodare i colpevoli.

Il Daphne Project ha rilevato che i fratelli Agius sono ritenuti dalla polizia maltese a capo della criminalità locale e li ritiene «obiettivi di primo piano».

In risposta alle domande del consorzio, la polizia maltese ha dichiarato che le indagini sull’omicidio Caruana Galizia sono ancora in corso: «Non possiamo smentire né confermare certe informazioni, ma vogliamo essere chiari sul fatto che le indagini non si sono mai fermate e che vi sono dedicate tutte le risorse possibili».

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, un commissario di lunga esperienza, in piccolo bar di Balzan, nell’entroterra dell’isola, ci mette qualche bicchiere prima di sciogliersi e cominciare a parlare degli Agius e della loro rete:

«Hanno contatti ovunque, con la politica, i magistrati, i giudizi, la polizia».

«Potrebbero farmi uccidere se sapessero che sto parlando con voi giornalisti. Non scherzo», conclude la fonte guardando dritto negli occhi il giornalista di Times of Malta.

Ma non è sempre stato così.

Guerra tra bande

Nonostante anni trascorsi sul lato sbagliato della giustizia, i fratelli Agius hanno dovuto attendere l’omicidio di loro padre, nel 2008, per emergere nel mondo criminale.

Raymond Agius, padre di Robert e Adrian, era un noto contrabbandiere di sigarette chiamato Maksar. Si dice potesse contare su un proprio impianto di fabbricazione di sigarette ma come copertura investiva nel settore edilizio e nella rivendita di automobili.

Dopo la sua morte, i figli hanno preso il posto di comando nel business familiare ma, ambiziosi di farsi un nome di spicco nell’ambiente, passano dalle sigarette al traffico di droga.

A fine 2011 a Malta scoppia un conflitto tra gang che finisce per creare un vuoto di potere offrendo un’occasione per l’ascesa ai vertici degli Agius.

Tutto comincia con un furto: tre uomini in passamontagna e armati fino ai denti, irrompono in un magazzino di Zebbug, di proprietà di un importante narcotrafficante. Senza sparare nemmeno un colpo, i ladri se ne vanno con un carico di cocaina che gli investigatori ritengono potesse avere un valore al dettaglio di 1,4 milioni di euro.

Il furto della droga è ritenuta la goccia che farà traboccare il vaso. Da quel momento, inizieranno una serie di violenti omicidi che scuoteranno profondamente l’isola.

Raymond Caruana, il primo proprietario della cocaina sottratta, sospetta del furto tre dei suoi uomini: Paul Degabriele, ex soldato dell’esercito conosciuto come “is-Suldat”, il Soldato; Joseph Cutajar, noto come ‘il-Lion’ il Leone e Alfred Degiorgio, il-Fulu, il Topo. Degiorgio, è lo stesso che oggi è accusato di aver azionato l’autobomba che ha ucciso Daphne Caruana Galizia.

È così che è iniziata una vera e propria faida, in cui hanno perso la vita is-Suldat (sopravvisuto a un’autobomba è stato poi freddato con un colpo di arma da fuoco), due suoi rivali e lo stesso Caruana. E qui entrano in gioco gli Agius.

Fonti di intelligence spiegano come i fratelli abbiano capitalizzato sulla faida. Quando questi hanno cominciato a tramare per uccidersi gli uni con gli altri, gli Agius avrebbero approcciato il-Fulu, Degiorgio, offrendogli protezione.

Sarebbe dunque questo l’inizio della relazione tra i fratelli Maksar e i fratelli Degiorgio. Da quel momento, gli Agius avrebbero usufruito dei servizi dei Degiorgio per far fuori gruppi rivali.

Ad esempio, nel 2016 un’autobomba ha ucciso Josef Cassar, un trafficante di gasolio. Un alleato degli Agius, ma che a causa di un dissidio finisce condannato a morte.

Fonti di polizia spiegano come l’attentato «più truculento» a mano Degiorgio e ordinato dagli Agius sia avvenuto nel 2017.

Entrambe le gambe di Romeo Bone sono saltate in aria quando una bomba è esplosa sotto il sedile della sua auto.

In quel caso, gli Agius avrebbero ricevuto una soffiata da un ispettore di polizia che Bone, un vecchio amico di famiglia, fosse il centauro con casco che aveva sparato a loro padre nove anni prima, uccidendolo.

Come in un romanzo noir, uno dei fratelli Agius è andato a fare visita a Bone durante il ricovero in ospedale.

«Nella stanza c’erano nascoste delle cimici. Quando Maksar è entrato [da Bone] non è stata detta una parola. La registrazione è muta. Agius deve averlo solo guardato negli occhi, come a dire “sono stato io e so cosa hai fatto”», spiega il poliziotto che ha seguito le indagini sull’attentato.

La guerra delle autobombe Le relazioni con cosa nostra

Il gruppo criminale degli Agius è potente a Malta anche grazie alle connessioni internazionali sulle quali può contare. Informazioni confidenziali ottenute dal Daphne Project indicano come la cellula degli Agius sia attiva nel traffico di droga, armi e gasolio, con legami che portano a criminalità italiana, libica, romena e albanese. Sia gli Agius che i loro soci Alfred e George Degiorgio e Jamie Vella hanno diversi contatti che portano in Sicilia, in particolare a Catania, la città dove lo spietato clan Santapaola comanda sulle principali attività criminali (compreso il traffico di gasolio via Malta, come già documentato dal Daphne Project). Infatti i Degiorgio e Vella viaggiano molte volte a Catania e dintorni, almeno dal 2012, a dimostrazione di una storia di relazioni che i soci dei Maksar coltivano in zone conosciute per essere sotto il controllo e l’influenza delle mafie.

Tra il 2016 e il 2018 Giuseppe Verderame, 66 anni, è stato monitorato più volte in compagnia di Jamie Vella, il socio degli Agius arrestato con a loro al porto di Marsa, nel dicembre 2017, nell’ambito dell’indagine Daphne. Nel 2017 Vella ha viaggiato spesso a Catania, il 10 aprile e poi a maggio, giugno, agosto e settembre. Nello stesso periodo, Verderame era indagato dalla Mobile di Catania nell’ambito dell’operazione “Zeta” per associazione mafiosa, estorsione e possesso di marijuana. Negli anni Novanta è stato indagato anche per omicidio e detenzione di materiale esplosivo. Che genere di affari ha condotto Vella insieme a lui quando è venuto a Catania nel 2017? Una domanda che potrebbe restare per sempre senza risposta.

C’è un altro uomo collegato al clan catanese Santapaola, che ha varie attività imprenditoriali a Malta e che gli investigatori maltesi ritengono collabori con gli Agius nel narcotraffico. Dietro la facciata pulita di consulente fiscale, manager dei rifiuti e provider di servizi per pagamenti online, Rosario Militello ha condotto a Malta, che per lui è casa dal 2014, anche altri business. Infatti, nel 2014 è stato arrestato per possesso di tre chili di marijuana, mentre un anno più tardi è stato il terminale di un traffico di armi che dalla Slovacchia poteva arrivare al Nord Africa, passando per Catania e Malta. Nonostante parentele e collegamenti con gruppi mafiosi, la polizia maltese lo ha rilasciato senza indagare più a fondo sul suo conto. È stato sufficiente dichiarare di non avere nulla a che fare con la scatola piena di armi pervenuta al suo indirizzo.

Andiamo con ordine. È il 2015 quando i Carabinieri di Catania ricevono una chiamata da un corriere Tnt: «Abbiamo trovato un pacco con armi all’interno». La maggior parte dei carichi viaggia su ruote, senza controlli, ma quella volta i corrieri non riescono a rispettare i tempi di consegna e così, come a volte accade, trasportano il carico via aereo e il pacco viene scannerizzato ai raggi X. Il mittente del carico conduce i Carabinieri a Picanello, uno dei quartieri di Catania a più alta presenza mafiosa. E qui emerge che un certo Carmelo Piacente è colui il quale spedisce, a volta tramite prestanome, carichi di armi a Malta. Piacente non è un criminale di bassa lega: porta il cognome di una delle famiglie più potenti di Catania (il loro alias è Ceusi) alleato ai Santapaola, che adesso si sono espansi a tutta la Sicilia, dopo il declino dei corleonesi.

Piacente acquista fucili d’assalto “disattivati” dalla azienda slovacca AFG Security.

A causa di un vuoto normativo, le armi erano legalmente spedite con la classificazione di “armi disattivate” dato che AFG le bloccava con una traversina di ferro, che impediva la possibilità di sparare. Il blocco, però, era rimovibile e le armi potevano sparare. Piacente le “riattivava” rimuovendo manualmente la traversina in una bottega del quartiere Picanello. A questo punto, spediva il tutto a Malta tramite corrieri Tnt o Bartolini. In totale ha spedito circa 60 pacchi, 161 armi. Non molto tempo dopo il primo avviso di Tnt, un altro pacco viene fermato a Marsiglia, punto di raccolta dei carichi Bartolini. La polizia francese, in coordinamento con i Carabinieri, organizza una consegna controllata chiedendo ai colleghi maltesi di arrestare e identificare il destinatario a Malta. Il 30 giugno 2015 all’indirizzo di consegna si presentano due italiani, uno dei quali è Rosario Militello. Il siciliano però dichiara di non essere a conoscenza del contenuto del pacco e viene rilasciato. A Catania mancano elementi per incriminarlo, e Militello resta intoccato a Malta.

Dalle indagini emerge però chiaramente come l’uomo abbia gestito un hub logistico, dal quale queste armi potevano viaggiare ancora. D’altronde Militello non è uno sconosciuto per il trafficante d’armi Piacente, i due sono parenti, cresciuti entrambi nelle alte sfere di Cosa Nostra etnea. Militello infatti è imparentato ai Piacenti dal lato di madre – così anche ai Santapaola – mentre dal lato di padre, attraverso la nonna, al clan Laudani. In più, è anche il nipote di Orazio Militello arrestato nel 2016 nel corso dell’operazione Viceré contro il clan Laudani, per il quale aveva un ruolo di primo piano. Un biglietto da visita di tutto rispetto, quello di Rosario, che sull’isola dei pirati di Malta può significare molto. ESPRESSO18.10.2020


 DAPHNE CARUANA GALIZIA – di Cecilia Anesi, Lorenzo Bagnoli, Giulio Rubino, Jacob Borg e Ivan Martin  Il 21 luglio scorso Malta si è svegliata nel timore che il testimone chiave del caso Daphne Caruana Galizia finisse in silenzio per sempre. Melvin Theuma era in una pozza di sangue con la gola tagliata. Ricoverato d’urgenza, due settimane più tardi dal letto d’ospedale ha dichiarato di avere tentato il suicidio per via del rimorso. A novembre aveva ammesso di essere l’intermediario nell’omicidio, il cardine tra i mandanti e gli esecutori. Theuma, un tassista con un oscuro giro di amicizie, ha deciso di collaborare con la giustizia dopo l’arresto e ha rivelato come il più ricco uomo d’affari di Malta, Yorgen Fenech, sarebbe stato il mandante dell’omicidio. E, nonostante abbia ricevuto la grazia dall’allora primo ministro Joseph Muscat, il tassista teme che la sua testimonianza non sia presa seriamente a processo. È per questo che, dal letto d’ospedale, ha scritto «qed jidħku bija». Ridono di me. D’altronde puntare il dito contro Yorgen Fenech non è uno scherzo. Nato nel 1981 nella principale famiglia d’imprenditori di Malta, da ragazzo sognava di diventare come Silvio Berlusconi: ricco, potente, e abbastanza carismatico da farla franca contro quasi qualunque accusa. Oggi Fenech ha connessioni ovunque sull’isola: dalle alte sfere ai bassifondi, dalla Castille (il palazzo del governo) alle baracche sui moli dove prosperano i trafficanti. Ma è anche l’uomo su cui pesa l’accusa più pesante di un processo la cui posta sembra essere diventata l’anima stessa dell’isola. È formalmente accusato di essere il mandante dell’omicidio di Daphne con il supporto dell’entourage dell’ex primo ministro Joseph Muscat. L’accusa si basa sulla testimonianza di Theuma: ha dichiarato sia stato Fenech a dargli istruzioni per assoldare i killer Vince Muscat, Alfred e George Degiorgio. «Yorgen mi ha coinvolto in tutto questo», ha scritto su un foglio di carta dal letto d’ospedale, quando ancora non era in grado di esprimersi a parole. Mentre a valutare le prove ci penseranno i giudici, quello che certamente è emerso finora dalle udienze è una preoccupante amicizia tra politici di spicco, imprenditori influenti e il “mondo di sotto” della criminalità organizzata maltese. Fenech può anche avere desiderato silenziare Daphne per sempre, ma questo non sarebbe potuto avvenire senza il supporto di criminali professionisti, i fratelli Degiorgio. I Degiorgio erano considerati degli esperti, molto affidabili in quel tipo di lavoro e con una lunga esperienza con le autobombe, usate spesso da una rete criminale che gestisce i principali traffici loschi dell’isola. Al comando di questo gruppo ci sarebbero due fratelli, Adrian e Robert Agius, conosciuti con il soprannome del padre, Maksar. Gli “intoccabili” hanno conquistato una posizione di comando dopo che quasi dieci anni di faide tra i gruppi criminali dell’isola avevano spazzato via i principali boss. Gli Agius sono stati astuti e sono riusciti a sfruttare la situazione a loro vantaggio guadagnando un posto d’onore nei traffici del Mediterraneo e il rispetto di mafie straniere, compresa Cosa Nostra di Catania. I Degiorgio lavoravano per loro, ecco perché anche gli Agius sono diventati persone d’interesse nel caso Daphne. Ma c’è di più. «Porta il messaggio a Maksar che lui (Vince Muscat, il socio dei fratelli Degiorgio ora in carcere, ndr) ha già detto che la bomba è stata assemblata nel loro garage a Zebbug [cittadina dell’entroterra maltese]», scrive Fenech a Theuma in un messaggio. Un messaggio che suggerisce come Maksar, leggasi gli Agius, abbiano qualcosa a che fare con la bomba che ha ucciso Daphne, o quantomeno che Fenech si preoccupava di proteggerli. Il 4 dicembre 2017 Robert e Adrian Agius vengono arrestati a Marsa, l’insenatura del porto di Valletta dove avviene la maggior parte dei traffici, come Daphne Project ha già raccontato. Vengono sorpresi al molo Tal-Pont, presso il cosiddetto “potato shed” (un ex scarico merci per le patate), una baracca usata dai fratelli Degiorgio come base operativa. È un freddo giorno invernale, due mesi dopo la deflagrazione, e la polizia porta via in manette i Degiorgio, Vince Muscat, gli Agius, Jamie Vella e altri quattro soci. Il giorno seguente saranno tutti rilasciati su cauzione, tranne i Degiorgio e Muscat. Nella perquisizione, la polizia sequestra delle schede SIM, telefoni cellulari e altro materiale probatorio. La speranza, riportavano i media maltesi all’indomani dell’operazione, è che quei dispositivi potessero aiutare a risolvere anche cinque casi irrisolti di autobombe esplose negli anni precedenti, di cui anche Daphne aveva scritto. Vince Muscat, Alfred Degiorgio e George Degiorgio presto vengono formalmente accusati di avere ucciso Daphne Caruana Galizia installando una bomba sotto il sedile della sua auto. Le indagini sveleranno che l’ordigno era stato messo insieme con varie componenti. E il montaggio, scoprono gli inquirenti, è stato portato a termine in un garage a Zebbug. Le perquisizioni portano alla luce vari pezzi di ferro che vengono confrontati con quelli ritrovati all’interno dell’auto esplosa. È sempre in questo garage che sarebbero state attivate le schede SIM usate per detonare la bomba. Comprese le schede SIM usate da George Degiorgio durante l’esplosione. La conferma che il garage sia stato il luogo dove è stato costruito l’ordigno e il fatto che lo stesso fosse nella disponibilità dei fratelli Agius e del loro socio Jamie Vella, uno del gruppo dei primi arrestati, arriva anche dalle udienze del processo. Melvin Theuma, l’intermediario che ha ammesso di essere la connessione tra i killer e il presunto mandante, Yorgen Fenech, ha dichiarato in Tribunale che la bomba è stata fornita dagli Agius. Maksar è stato nominato varie volte durante l’incidente probatorio nei confronti di Yorgen Fenech. Non solo il messaggio in cui Fenech avverte Theuma che Vincent Muscat ha già cantato sugli Agius: il 5 febbraio 2020 in aula viene fatta ascoltare la registrazione di una conversazione avvenuta tra Theuma e Fenech. L’audio prova come i Maksar abbiano giocato una parte e come Fenech ritenga vadano allertati del fatto che Vince Muscat stava rivelando che la bomba fosse stata preparata presso il loro garage. «Lui lo ha mandato a mettere sotto pressione quelli di Zebbug [intendendo i proprietari del garage dove è stata prodotta la bomba, cioè la banda degli Agius]», dice Fenech a Theuma. Theuma a processo fornisce un’interpretazione di questo messaggio: dichiara che Fenech intendesse che il capo di Gabinetto del governo, Keith Schembri, avesse mandato la guardia del corpo del primo ministro, Kenneth Camilleri, ad avvertire gli Agius. Perché, spiega, «Yorgen e Keith sono la stessa cosa». E gli Agius? Fino ad ora non sono stati incriminati e non risultano iscritti nel registro degli indagati. Eppure a gennaio 2020 c’è un’altra testimonianza che li inchioda. Vince Muscat confessa alla polizia durante un interrogatorio per ottenere la grazia (poi negata), che Robert Agius e Jamie Vella abbiano importato la bomba e gli abbiano mostrato come usarla. Inizialmente – racconta sempre Muscat – gli avevano fornito tre fucili d’assalto con mirino telescopico per sparare a Daphne dalla finestra del suo studio. Muscat aveva indicato Alfred Degiorgio come la persona con l’esperienza giusta per maneggiare queste armi. Due dei tre fucili però «non funzionavano bene – Muscat ha dichiarato alla polizia – uno era arrugginito». Si era quindi scelta la via dell’autobomba. Stando alle dichiarazioni dell’avvocato di Muscat, Marc Sant, gli Agius e Vella avrebbero anche provato a comprare il suo silenzio quando – a fine 2019 – avevano offerto alla sua famiglia 1500 euro al mese in cambio dell’omertà sull’omicidio di Daphne e su altri crimini. La polizia sarebbe stata informata a gennaio ma, ha dichiarato Sant, ha mostrato poco interesse rispetto al tentativo di silenziare Muscat. Fonti qualificate sostengono che la polizia non abbia dedicato molte risorse a scoprire chi abbia fornito la bomba, poichè concentrata sui mandanti. La polizia maltese, dal canto suo, ha richiesto il supporto delle sue controparti europee per cercare di rintracciare i fornitori dell’esplosivo che ha ucciso Daphne Caruana Galizia. La richiesta è stata fatta a Europol nel 2019, nella speranza di raccogliere sufficienti prove per inchiodare i colpevoli. Il Daphne Project ha rilevato che i fratelli Agius sono ritenuti dalla polizia maltese a capo della criminalità locale e li ritiene «obiettivi di primo piano». In risposta alle domande del consorzio, la polizia maltese ha dichiarato che le indagini sull’omicidio Caruana Galizia sono ancora in corso: «Non possiamo smentire né confermare certe informazioni, ma vogliamo essere chiari sul fatto che le indagini non si sono mai fermate e che vi sono dedicate tutte le risorse possibili». Al di là delle dichiarazioni ufficiali, un commissario di lunga esperienza, in piccolo bar di Balzan, nell’entroterra dell’isola, ci mette qualche bicchiere prima di sciogliersi e cominciare a parlare degli Agius e della loro rete: «Hanno contatti ovunque, con la politica, i magistrati, i giudici, la polizia». «Potrebbero farmi uccidere se sapessero che sto parlando con voi giornalisti. Non scherzo», conclude la fonte guardando dritto negli occhi il giornalista di Times of Malta. Ma non è sempre stato così. Nonostante anni trascorsi sul lato sbagliato della giustizia, i fratelli Agius hanno dovuto attendere l’omicidio di loro padre, nel 2008, per emergere nel mondo criminale. Raymond Agius, padre di Robert e Adrian, era un noto contrabbandiere di sigarette chiamato Maksar. Si dice potesse contare su un proprio impianto di fabbricazione di sigarette ma come copertura investiva nel settore edilizio e nella rivendita di automobili. Dopo la sua morte, i figli hanno preso il posto di comando nel business familiare ma, ambiziosi di farsi un nome di spicco nell’ambiente, passano dalle sigarette al traffico di droga. da IrpiMedia