– L’ex procuratore aggiunto di Milano, da poco in pensione, chiamata a testimoniare al processo sul depistaggio di via D’Amelio che si sta celebrando a Caltanissetta. “Il sopralluogo a Capaci era stato fatto male”, “su Scarantino ho avuto dubbi fin dall’inizio”, “In via D’Amelio all’inizio lavorammo alla pista del telecomando azionato dal castello Utveggio” e ancora “arrivai a Caltanissetta e l’allora procuratore Tinebra mi disse: queste sono le carte, arrangiati”.
E’ un fiume in piena Ilda Boccassini, ex procuratore aggiunto di Milano, da poco in pensione, chiamata a testimoniare al processo sul depistaggio di via D’Amelio che si sta celebrando a Caltanissetta in cui sono imputati tre poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata in concorso. “Quando arrivai come pm applicato alla Procura di Caltanissetta, la prima decisione fu quella di rifare il sopralluogo a Capaci, perché leggendo le carte, e non solo la ricostruzione, mi resi conto che era stato fatto male. Mancava una regia”. L’ex procuratore aggiunto è collegato in video conferenza da Milano per problemi di salute. Risponde alle domande del procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci e sta ripercorrendo il periodo in cui è stata applicata alla procura nissena dopo le stragi.
“Per il nuovo sopralluogo a Capaci coinvolgemmo tutte le forze dell’ordine, dai carabinieri alla guardia di finanza, alla polizia fino all’Fbi e tutte le forze possibili. Il primo periodo fu dedicato esclusivamente a questo – dice – ci fu una divisione di compiti delle forze di polizia che dovevano partecipare all’indagine sulle stragi ma con competenza specifica”.
“Appresi della notizia di una collaborazione tra i servizi segreti e la procura di Caltanissetta solo da giornali” ha sottolineato Ilda Boccassini rispondendo alla domanda del pm Paci. “Da quando sono stata a Caltanissetta non ho saputo di un rapporto con i servizi – dice – che poi, non in mia presenza, colleghi si incontrassero con esponenti dei servizi segreti non lo so. Ma devo aggiungere una cosa: davanti alle due stragi che hanno sconvolto il mondo e hanno destabilizzato le istituzioni che il procuratore abbia avuto contatti con i servizi non mi sembra una cosa terribile ma fa parte delle cose di un normale nucleo di rapporti che sono nati e cresciuti e mantenuti nel limite della legge.
Ma questo non lo so”.
Ma è sull’attendibilità di Scarantino che il magistrato che ha combattuto la ‘ndrangheta in Lombardia e le nuove Brigate rosse non ha tentennamenti: “Quando sono arrivata a Caltanissetta, parlando con i colleghi che già c’erano, con il capo dell’ufficio e con lo stesso dottor Arnaldo La Barbera, i dubbi su Scarantino già c’erano. I dubbi su una persona che non era di spessore, anzi che non era per niente di spessore. Il suo quid, se così possiamo chiamarlo, era una parentela importante in Cosa nostra, però sin dall’inizio, io avevo delle perplessità. Forse all’inizio avevo meno perplessità – dice Boccassini – perché non ero ancora entrata nelle carte, nella mentalità. Io ero lì in attesa, tutti andavamo con i piedi di piombo su questa cosa. Era l’inizio ancora e bisognava andare avanti per vedere se l’indagine portava a qualcosa di più sostanzioso”.
Per quanto riguarda le indagini sulla strage di via D’Amelio, “una delle prime ipotesi di lavoro era che il telecomando fosse stato azionato da castello Utveggio dove si diceva ci fosse una postazione Sisde. Su questi punti le indagini erano partite quasi subito” ha detto in aula Ilda Bocassini aggiungendo che “Fu anche attivato un filone di indagine sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio, ma dai riscontri risultava che, al momento dell’esplosione che uccise Borsellino e gli agenti di scorta, fosse altrove, in barca con un gioielliere palermitano”. E ancora: “Non avevo alcuna fiducia invece in Gioacchino Genchi”, ex funzionario di polizia e componente del gruppo “Falcone e Borsellino”, che era un esperto nell’analisi dei tabulati telefonici, “ma di cui non condividevo più, ad un certo punto, le tecniche e le metodologie investigative. Il suo apporto nelle indagini era stato praticamente nullo, ma era una persona pericolosa per le istituzioni perché aveva creato un archivio di dati pazzesco. Lui vedeva complotti e depistaggi ovunque. LA REPUBBLICA