«Avevano detto a mio marito che se avesse collaborato sarebbe uscito prima dal carcere, in dieci anni. Non ho mai conosciuto il dottore Arnaldo La Barbera né il dottore Mario Bo e da nessuno dei due ho mai ricevuto del denaro. A mio marito i soldi li portavo io, ero io che lo mantenevo in carcere». Lo ha detto Arianna Bossi, ex moglie dell’ex pentito di mafia Francesco Andriotta, sentita oggi come teste nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Andriotta è stato condannato a 9 anni e 6 mesi di reclusione nell’ambito del processo Borsellino quater per le calunnie ai danni dell’ex pentito Vincenzo Scarantino. Quest’ultimo, secondo l’accusa, sarebbe stato indotto dai tre imputati, i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, a rendere false dichiarazioni per depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio. I tre sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. «Mio marito – ha continuato la testimone rispondendo al pm Maurizio Bonaccorso – non mi disse chi gli propose di collaborare per avere la riduzione della pena. L’unica promessa era questa, di uscire prima dal carcere, e in più mi disse che Ilda Boccassini gli aveva promesso che sarebbe andato fuori con un altro nome e un’altra identità». LA SICILIA