5 febbraio 2020 VOCE DELLE VOCI
La strage di via D’Amelio? “Non credo sia solo mafia”.
La sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino? “Abbiamo fatto il possibile per accertare chi fosse stato”.
Il caso di Vincenzo Scarantino? “Un piccolo segmento di una lunga storia”.
La preparazione del teste Scarantino? “Una normale attività, seguita da tutti i magistrati”.
Le note critiche e di messa in guardia su Scarantino espresse da Ilda Boccassini?
“Non ne sono mai venuto a conoscenza, l’ho saputo solo successivamente, tra il 2008 e il 2010”.
Sono solo alcune delle sbalorditive dichiarazioni rese da Nino De Matteo, l’icona antimafia, davanti ai magistrati del tribunale di Caltanissetta, nel corso del processo per il depistaggio sulla strage di via D’Amelio che vede alla sbarra, come imputati, tre poliziotti componenti del team all’epoca guidato dall’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera, il quale dal canto suo non può più rispondere perché da quindici anni è passato a miglior vita.
Lo stesso Di Matteo e l’altro pm che ha indagato per primo su quella strage, Anna Maria Palma, sono poi sotto inchiesta a Messina proprio per il taroccamento di Scarantino.
Per la serie: processo a Caltanissetta sui pesci piccoli, i poliziotti del gruppo La Barbera, ossia Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Inchiesta a Messina sui pesci grossi, tra i quali non è presente lo stesso Di Matteo per il solo motivo che è entrato nel team degli inquirenti mesi più tardi.
IL J’ACCUSE DI FIAMMETTA BORSELLINO Ma basta la verbalizzazione resa a Caltanissetta il 3 febbraio scorso per palesare la marea di anomalie e contraddizioni che hanno caratterizzato il suo comportamento. Come del resto ha denunciato in modo clamoroso (ma ovviamente ignorato dai media, che se ne fottono di tutto il processo nisseno, una pietra miliare nella nostra storia, in una con l’inchiesta messinese) Fiammetta Borsellino, la figlia di Paolo, da anni grande accusatrice di tutti gli inquirenti che hanno fatto solo finta di indagare, in realtà insabbiando e depistando.
“Vedo una difficoltà enorme a far emergere la verità”:
“Ho ascoltato molto attentamente la deposizione del consigliere Di Matteo e rimango sempre stupita da questa difesa, oltre che personale, a oltranza di questi magistrati e poliziotti che si sono occupati delle indagini sulla strage. Mi sembrano tutti passati lì per caso”.
“Sembra che tutto quanto riguarda la vicenda di Scarantino e del depistaggio sia avvenuto per le virtù dello spirito santo. Si tende a stigmatizzare la vicenda Scarantino come un piccolo segmento di una questione più grande. Io non penso che quello di Scarantino sia un segmento così piccolo”.
“Ci si riempie la bocca del lavoro in pool, ma io di pool non è ho visto nemmeno l’ombra”.
“Tutte le volte in cui si chiede come mai non sapessero nulla dei colloqui investigativi, della mancata audizione di Giammanco, cadono dalle nuvole. Tutti dicono che sono venuti in un momento successivo, ma ciò non vuol dire non venire a sapere ciò che accadeva prima”.
“Io penso che di mio padre non abbia capito niente nessuno di questi magistrati”.
Parole dure come macigni, tanto più se pronunciate dalla figlia che da anni cerca invano verità e giustizia. Ed invece raccoglie omissioni & depistaggi.
UN SEGMENTO PICCOLO PICCOLO Ma torniamo alla verbalizzazione choc griffata Di Matteo, analizzando passaggio per passaggio. A proposito del giallo Scarantino, sulla base delle cui dichiarazioni taroccate sono stati condannati e hanno scontato 16 anni di galere 6 innocenti, ottimi e abbondanti per realizzare un depistaggio che più clamoroso non si può.
Ma per Di Matteo si tratta di un fatto piccolo piccolo.
“Oggi ci si concentra molto su questo piccolo segmento, seppur inizialmente importante, di una storia che già in quegli anni era molto più ampia. Una questione che portò ad altri 26 ergastoli definitivi per strage mai messi in discussione dopo il pentimento di Spatuzza, e alle indagini su Contrada, Berlusconi e Dell’Utri”.
Ma che c’azzecca?, direbbe l’ex collega Di Pietro. Quando solo grazie alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza dopo anni e anni è stato scoperto il taroccamento di Scarantino, che non era né credibile né attendibile.
In una missiva inviata agli inquirenti e firmata con il collega Carmine Sajeva, Boccassini metteva tutti in guardia.
Ma cosa tira adesso fuori dal cilindro Di Matteo? Che lui non era stato informato, che quelle lettere erano arrivate ‘a sua insaputa’!!
QUELLE MISSIVE LETTE 15 ANNI DOPO Ecco le sue incredibili parole davanti ai magistrati di Caltanissetta: “Ho saputo delle lettere della Boccassini solo successivamente, tra il 2008 e il 2010, quando a Palermo mi occupavo di Gaspare Spatuzza. Le lessi in epoca successiva. Posso dire che fino al 1994 non fui mai informato delle indagini sulle stragi e non partecipai a nessuna delle riunioni in procura in cui fosse presente anche Ilda Boccassini. Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un magistrato da stimare moltissimo, ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar”.
Invece di lavorare pancia a terra per scoprire killer e mandanti di via D’Amelio incontri al bar! Ai confini della realtà.
Eccoci ad un altro passaggio clou. Il taroccamento di Scarantino, il fatto che poliziotti (su questo si basa il processo di Caltanissetta) e magistrati (per ora solo Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, sotto inchiesta a Messina) abbiano insegnato praticamente a memoria la parte, il copione a Scarantino, lo abbiamo ammaestrato in modo scientifico perché potesse recitare come un ottimo alunno, un eccellente burattino.
Bazzecole, pinzellacchere per Di Matteo, che liquida tutto quel pasticciaccio che più brutto non si può come una semplice “preparazione”.
COSI’ TI “PREPARO” IL PENTITO Così paradossalmente ricostruisce: “Mai nessuno si è permesso di dire che volevamo aggiustare qualche dichiarazione (di Scarantino, ndr). Quando si parla di preparazione di un pentito bisogna dire che è un’attività normale, seguita da tutti. Io ho preparato Cancemi, Ferrante, Onorato, tutti quelli che smentivano Scarantino. Preparare significava semplicemente ‘giorno tot comparirà davanti alla corte d’Assise, gli argomenti saranno questo, questo e quest’altro, dica la verità, né una cosa in più né una in meno, esponga i fatti non chiarezza’. Si chiedeva al collaboratore di essere chiaro, sincero, lineare”.
Ma ci faccia il piacere, consigliere Di Matteo!
Altro cuore della story la famosa agenda rossa di Borsellino. Quell’agenda che – secondo la ricostruzione della giornalista Roberta Ruscica più volte riportata dalla Voce – è transitata anche per le mani di Anna Maria Palma, che ha già verbalizzato (come del resto Petralia) al processo di Caltanissetta. Da rammentare che sul versante dell’agenda rossa è stato istruito un processo ad hoc, che ha visto la rapida assoluzione di un capitano dei carabinieri, Giovanni Arcangioli.
Ecco cosa tira fuori dal magico cilindro l’icona antimafia: “Il mio impegno era finalizzato a capire per mano di chi fosse sparita (l’agenda rossa, ndr). Abbiamo fatto il possibile per accertarlo, anche scontrandoci con reticenze bestiali sulla presenza di esponenti delle istituzioni sul luogo dell’attentato. Da qui sarei voluto ripartire per tante altre cose”.
Finto qui, già chiuso il capitolo!
CARO AMICO TI TELEFONO Un altro tassello del mosaico. Le tante telefonate degli inquirenti (magistrati e poliziotti) al pentito Scarantino. Un fatto del tutto anomalo: perché mai dovrebbero conversare come amiconi al cellulare gli inquirente e il ‘loro’ pentito? Siamo alle comiche?
Ecco la pezza a colori anche stavolta piazzata dall’intrepido Di Matteo: “Ci tengo a dire che sono stato il primo a dire che Vincenzo Scarantino aveva il mio numero di telefono cellulare e mi chiamava. Mi telefonava perché qualcuno gli aveva dato il mio telefono”.
Qualcuno? Possibile mai? Il teste eccellente continua: “Poi seppi che glielo aveva dato il procuratore Tinebra”.
Traduzione: il procuratore capo dà ad un pentito il cellulare di un pm; per di più a sua insaputa! Ai confini della realtà.
Continua nella favola, Di Matteo: “Io non dò spiegazioni ma mi preme dire una cosa: in quel momento – siamo nel ’93-’94 – era un momento nel quale i collaboratori di giustizia scontavano dei problemi e vedevano nell’ufficio del Procuratore la speranza di una risoluzione di quelle problematiche. Poteva capitare, dunque, che in ufficio telefonassero. A me è accaduto con Cancemi, Mutolo o Di Carlo, ma certo non per parlare di indagini, ma per dire ‘io qui sto scoppiando’, datemi una soluzione dignitosa per me e la famiglia’. Mentre per me è stato un dato eccezionale, e mi ha fatto incavolare, che qualcuno gli avesse dato il mio numero?”.
Incavolare? Qualcuno? Che è poi il Procuratore capo. Ma dove siamo, in una procura centroamericana ai tempi di Noriega?