L’INTERVISTA ALL’AVV. ROSALBA DI GREGORIO

“di Davide Guarcello 19 Dicembre 2020 IL SICILIA  

La sentenza del processo Borsellino quater ha sancito che quello fu “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Abbiamo ripercorso quindi le tappe delle nuove indagini con l’Avv. Di Gregorio, tra le prime ad aver smascherato Scarantino. Un lavoro lungo, necessario per cercare di far conoscere a tutti gli elementi che sono emersi dopo 28 anni da quella strage che cambiò profondamente Palermo, la Sicilia e l’Italia intera.

 

Avvocato Di Gregorio, lei è stata tra le prime a smascherare le farloccate di Scarantino e il depistaggio di via D’Amelio… «Ho provato a smascherare. Ma non ci sono riuscita, è evidente…»

 

Qual è stato l’elemento chiave che le ha suggerito che quello era un falso pentito?
 «Beh il primo in assoluto, direi proprio “a pelle” è questo: un soggetto quale Scarantino, lo spessore umano e delinquenziale di questo personaggio, non erano assolutamente compatibili col ruolo che si era dato nella strage.
Secondo: il ruolo che si era dato era esagerato, e su questo sono d’accordo tutti. Riina per problemi prudenziali aveva settorializzato i dati di conoscenza: quindi chi, ad esempio, si occupava di reperire l’esplosivo, non doveva conoscere le fasi successive, né i soggetti coinvolti; questo perché già all’epoca si erano verificate le prime defezioni in Cosa nostra, ed il fenomeno del pentitismo era diffuso. Scarantino invece sapeva tutto: dalla fase pseudo-deliberativa-organizzativa (quella baggianata di Villa Calascibetta, che era ridicola di suo) fino alle fasi del caricamento dell’esplosivo, del reperimento dell’autobomba, del trasporto in via D’Amelio e – de relato – di chi premette il telecomando.
Tutto ciò, in un quadro in cui le riunioni di Cosa nostra si facevano, per prassi, in quattro o cinque. Ma l’elemento sconvolgente fu proprio la descrizione della riunione di Villa Calascibetta: Scarantino racconta che mentre la Commissione parla di far fuori Borsellino, lui entra, apre il frigo e beve l’acqua!
Se conosci un minimo i processi di Cosa nostra sai benissimo che è una cosa impossibile. Entrare in una riunione della Commissione? Se ciò fosse successo lo avrebbero ammazzato all’istante. 
I pm allora ce la “riciclano” come riunione operativa per il furto della 126. Mi chiedo: c’è bisogno che Riina e tutto il Gotha si riunissero per dare l’incarico ad un cretino di rubare la macchina? No; bastava che il capo mandamento della Guadagna dicesse che gli serviva un’auto da rubare… e basta.
Quindi la sua ricostruzione non stava né in cielo né in terra e lascia spiazzati.
Quindi per me, ma non solo, era evidente già all’epoca che Scarantino mentisse. Tra l’altro non ci sono, né vi erano, riscontri al suo racconto: l’unico era che era scoppiata una 126 rubata alla Signora Pietrina Valenti e che è stato trovato un blocco motore di una 126 in via D’Amelio…
E qui mi sovviene un altro dubbio: ma perché, siamo sicuri che è stato trovato il blocco motore di una 126?Perché io nelle immagini non lo vedo…»

Ecco, lei sta anticipando una delle mie domande: la targa è stata trovata solo tre giorni dopo, il 22 luglio. E il famoso blocco motore della 126 nelle immagini del 19 luglio «non c’era… andava creduto per fede», scrive lei nel suo libro “Dalla parte sbagliata”. «Allora: la strage è avvenuta il 19 luglio; il 20 all’ora di pranzo, dopo le 13 circa, viene ufficialmente ritrovato il blocco motore dai tecnici nominati dalla Procura: Vassale, Cabrino, De Logu ed Egidi. Questi sono i consulenti che faranno la relazione sull’esplosivo.
Quando gli abbiamo chiesto chi lo ha trovato, risposero: “Beh, un po’ tutti…”.
Quindi “un po’ tutti” hanno trovato un blocco motore di 80 kg che non hanno mai fotografato, mai ripreso con un filmino… Non si può non evidenziare come non sia un oggetto invisibile visto che è di 80 kg! Non essendoci agli atti il momento di visualizzazione (per carità, anche il momento poteva essere fasullo) di questo blocco in sito, questa circostanza ha provocato, in noi difensori, una notevole curiosità; curiosità che si è acuita quando nel processo Borsellino bis abbiamo raccolto le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca, che tra le altre cose dice: “A me Biondino mi ha detto: ‘Perché non gli dici a Pietro Aglieri che gli imputati si trovano un bravo perito per la macchina?’”.
Viene subito da pensare: Se la macchina è quella e l’esecuzione è quella, perché ci deve mettere il perito? Un altro momento di riflessione e di dubbio sul tema mi verrà quando per caso vengo a sapere da un vigile del fuoco che assistevo per una separazione, che gli stessi avevano girato delle immagini video il 19 luglio.
Facciamo quindi la richiesta alla Procura per avere le immagini ma ce le negano; le otterremo poi nell’appello del Bis. A quel punto chiediamo di proiettare il filmato in Aula e la Corte dà l’ok, insieme alle immagini della Scientifica: e guardi che è un rischio perché – in una Corte d’Assise, con giudici popolari – con quelle scene, i cadaveri fatti a pezzi, non è bello psicologicamente rispetto ai tuoi assistiti perché stai mostrando uno scempio che nelle ipotesi di accusa avrebbero commesso loro.
Ma il rischio era doveroso andarlo a percorrere. E nelle immagini trasmesse in Aula, sia dei Vigili del Fuoco che della Scientifica, il blocco motore non si vede. All’epoca insistetti parecchio su questa cosa. 
A ciò si aggiunse che, in fase della famosa ritrattazione di Como, Scarantino raccontò che un tale “Giampiero Valenti” – ma in realtà poi scoprimmo trattarsi di “Giampiero Guttadauro” (del gruppo d’indagine Falcone-Borsellino) – gli avrebbe detto che “la polizia aveva riempito una 126 di esplosivo e l’aveva fatta scoppiare a Bellolampo per tarare la quantità di esplosivo necessario”. Da ciò Scarantino dedusse che i pezzi della 126 trovati in via D’Amelio erano quella di Bellolampo; ma questa è una fesseria, una stupidaggine che deduce lui».

Quindi ad oggi non ci sono certezze sull’autobomba? Sul piano processuale sembra di sì poiché la Procura attuale ha fatto sviluppare alla DIA una consulenza sulle immagini prese dalle tv locali. Si arrivò così ad un frame nel quale si vede un aggeggio che indicano con “elevata compatibilità” come il blocco motore della 126. Spatuzza non apporta nulla a questo perché racconta solo del furto della macchina fatto da lui, dello spostamento nel garage di via Villasevaglios e lì ci dice del soggetto strano, esterno a Cosa nostra, Mr. X, rimasto ignoto fino ad oggi, che si occupa dell’esplosivo. 
Nel Borsellino Ter, il pentito Giovan Battista Ferrante riferì: “Biondino mi disse che erano contenti perché fino a quando assicutano (seguono, ndr) la macchina e Scarantino, noi siamo tranquilli perché lì ci abbiamo messo un fusto di calce di 200 litri”. Avevo chiesto di approfondire questo aspetto, ma i giudici del Ter gli dissero: “Ma scusi lei ora la tira fuori questa dichiarazione? Se la sta inventando ora?”, e lui rispose che lo aveva detto subito, ma i pm lo avrebbero bloccato dicendogli: “Se la rimangi questa dichiarazione, perché se c’è una cosa di cui siamo certi è che lì è scoppiata una 126”.
Peccato che di tutto ciò non c’è un verbale, ma questo non ci stupisce, visto che sono di più i verbali scomparsi che quelli ritualmente depositati. Di recente, con un grande lavoro, da parte della Procura di Caltanissetta, di scavo negli archivi, abbiamo trovato di tutto nei “fascicoli ignoti”: i brogliacci e le bobine delle intercettazioni tra Scarantino e i pm, il programma di protezione di Scarantino, ecc… Solo dopo il ritrovamento delle intercettazioni il Dott. Bo, i funzionari e gli altri agenti si sono ricordati dell’esistenza di quelle intercettazioni. Al Borsellino Quater chiesi a Bo e ai pm (Palma, Petralia, Di Matteo, Giordano) se Scarantino avesse un telefono. “Non lo sappiamo”, invece lo sapevano! Lo hanno intercettato nella sua località protetta, facendoci pure delle conversazioni, che poi hanno stralciato e inserito in un faldone “Ignoti”».

Intercettazioni dove non mancano numerose “anomalie”, dato che alcune sembrerebbero essere state manipolate e spente nei momenti in cui parlava coi magistrati… «Questa è un’ulteriore cosa.
Ma senza arrivare al momento patologico dell’interruzione delle intercettazioni (che non è un’anomalia, ma un reato) il problema è già a monte. Perché quando interrogammo tutte queste persone come testi, quindi sotto giuramento, al processo Quater, chiesi: “Se Scarantino rilascia l’intervista ad Angelo Mangano di Studio Aperto, come la fa? Per forza un telefono doveva avere, dato che non poteva uscire in quanto ai domiciliari e sotto protezione h 24…” I pm mi risposero che non ne sapevano niente, nemmeno su quale fosse la località protetta».

Chi erano questi pm? «Palma, Di Matteo, Petralia, Giordano… L’unico che non ha potuto rispondere in primo grado, perché è venuto in sedia a rotelle e su certe cose non ricordava, era il Dott. Tinebra (l’allora Capo della Procura di Caltanissetta) che era in condizioni di salute non buone e poco dopo morì».

Nel suo libro lei ha scritto: «Facile oggi attribuire la colpa di questo depistaggio colossale al solo Arnaldo La Barbera che è morto. Ma dietro, chi c’era? …L’esplosivo lo porta Spatuzza, ma il Semtex chi lo porta?»

 Garage via Villasevaglios, Spatuzza e l’uomo misterioso – frame film “La Trattativa” «Già nel momento in cui fu scritto il libro “Dalla parte sbagliata”, che ormai oggi è vecchio (prima pubblicazione nel 2014, seconda nel 2018, ndr) visto che naturalmente i processi sono andati avanti, era presente l’idea che nella strage vi fosse una mano diversa, cioè una compartecipazione di “pezzi delle istituzioni” per essere generici. Perché parliamo di una strage dove sparisce l’agenda rossa… ed a Totò Riina o a Graviano dell’agenda rossa di Paolo Borsellino non gliene poteva fregare di meno.
Di un processo nel quale ora emerge la figura del Mr. X di cui parla Spatuzza, ma dove i dubbi sulle “presenze strane” a noi sono venuti fin dall’inizio. Perché, ancora, noi abbiamo i tecnici dell’FBI che arrivano a Palermo a momenti prima dei nostri. Ecco, evidenziando questo ultimo punto, questo è un elemento che la gente ignora: tutti i reperti della strage di via D’Amelio, per ordine di Tinebra, sono stati rastrellati e inseriti dentro 60 sacchi neri (tipo quelli della spazzatura) dall’FBI, che li ha caricati dentro ad un furgone e mandati a Roma, alla Scientifica, a disposizione solo dei tecnici dell’FBI. E perché?!? Tra l’altro non ci hanno relazionato nulla; dai reperti relativi alla 126, ai pezzi della carrozzeria, al blocco motore, come li hanno tirati fuori? Orbene, qui c’è nella fase iniziale, qualcosa che sconvolge. Solo che quando io ho evidenziato queste circostanze al processo d’appello del Borsellino Bis, unitamente alla dichiarazione di Ferrante sul fusto di calce, mi è stato risposto, nella sentenza, scrivendo che “l’Avv. Rosalba Di Gregorio ipotizza complotti istituzionali, nel tentativo vano di difendere i suoi clienti”. E sono stata perfino rimproverata per avere fatto notare una ulteriore circostanza che trovavo (e trovo ancora) assai strana: a tre quarti d’ora dalla strage (avvenuta alle 16:58, ndr) esce un lancio dell’agenzia ANSA che dice che la polizia di Palermo li informa che è scoppiata una Fiat di piccole dimensioni (una 600, una Panda o una 126). Un momento: la Polizia di Palermo a soli tre quarti d’ora dalla strage non sa niente, non poteva saperlo, perché il blocco motore da cui si dedurrà che è una macchina Fiat, e che è di una 126, sarà trovato solo l’indomani, il 20 luglio, dopo le 13! Ci sarà bisogno di un tecnico della Fiat di Termini Imerese per confermare che quello era un blocco motore di una 126. Dopo una telefonata alla Fiat di Torino, controllano il numero di matricola e verso le 17,30 del pomeriggio del 20 luglio abbiamo la conferma che la macchina è una 126, rubata.

Mentre l’ANSA dopo neanche un’ora già sapeva tutto.   Peggio ancora: il Sig. Orofino (il proprietario dell’officina di Brancaccio da cui furono rubate le targhe per metterle nella 126 rubata alla signora Pietrina Valenti) la mattina del 20 luglio va a fare giustamente la denuncia del furto di targhe al commissariato di Brancaccio. Lì un ispettore si insospettisce perché Orofino saluta un sorvegliato speciale con obbligo di firma. Nell’arco di pochi minuti Orofino sarà perquisito e fermato come sospetto. Sarà poi arrestato, processato e condannato all’ergastolo per concorso in strage. È quello che nelle immagini di repertorio, alla lettura della sentenza di condanna, si sbatte disperato la testa contro la gabbia. Lui poi si rivelerà completamente innocente; adesso è morto e gli eredi attendono un risarcimento dallo Stato. Io chiederò poi all’ispettore perché si era insospettito, visto che Orofino aveva denunciato un furto di targhe dalla sua officina, e lui mi rispose: “Perché erano targhe di 126”. – E quindi? – “Eh, siccome lì era una scoppiata una 126…” – No, fermo un attimo: tu la mattina del 20 luglio non puoi sapere che lì era scoppiata una 126, perché lo sapremo solo nel pomeriggio! Quindi, avendo rilevato queste “stranezze” lo faccio presente al Presidente in Aula: Qui c’è una mano ignota. Di conseguenza, in sentenza verrò citata come quella che ipotizza complotti istituzionali… Allora l’agenda rossa l’ho forse presa io? Poi è spuntato Spatuzza che ci ha parlato della presenza esterna alla mafia. Anche nelle stragi del 93’ lui mette presenze di Servizi di sicurezza coinvolti, ecc… Nel garage di via Villasevaglios lui parla di un Mr. X esterno a Cosa nostra; non lo riconosce e in quanto cattolico non si sente di accusare qualcuno senza esserne certo».

C’è pure l’ispettore Maggi, uno tra i primi ad arrivare in via D’Amelio, a denunciare la presenza di strani soggetti appartenenti ai Servizi segreti “tutti in giacca e cravatta, tutti cu’ stesso abito, senza una goccia di sudore… Come facevano a essere lì dopo 10 minuti?” «Esatto. Quelli che sono arrivati sul posto per primi, nei processi per strage non ce li hanno mai fatti sentire. Solo adesso, col Quater e il processo Depistaggio se ne parla. Questa testimonianza di Maggi è del 2013 e solo oggi nel 2020 ce lo stanno facendo risentire. Lui arriva tra i primi con un’altra pattuglia e cerca di transennare l’area come poteva… Anche se, come si vede nelle immagini, in via D’Amelio c’era il caos: chiunque entrava e usciva, calpestando anche pezzi di cadaveri. L’ordine di recintare arrivò dal magistrato di turno intorno alle 19, se non erro. Tra parentesi, sul piano della conservazione delle prove: dopo che hai spazzato tutto e dopo che chiunque calpestava reperti, cosa è stato inserito nei sacchi neri? Cosa è stato preso? Ci ritorno su questo punto perché per me è fondamentale: non abbiamo il contenuto inventariato dei sacchi dell’FBI e non sappiamo con certezza cosa vi sia dentro perché hanno scritto: “Si sequestra quanto ivi contenuto”. Quindi, se qualcuno toglie qualcosa o ne mette un’altra non lo sapremo mai, perché tanto è sequestrato “quanto contenuto”. Non viene specificato cosa».

A proposito di questo, sappiamo che anche a Capaci intervenne l’FBI. Ha ragione allora l’Avv. Genchi a suggerire indagini sulla “pista americana”? «Su questa cosa sono d’accordo con Gioacchino Genchi. La sua ricostruzione è abbastanza credibile, anzi tanto credibile da risultare inquietante. Perché noi abbiamo un allontanamento da parte degli USA dopo i fatti dell’Achille Lauro. Allora “si rompono i telefoni”, come si dice dalle nostre parti. Ha ragione lui. Il “CAF” che c’era allora, con Craxi, Andreotti e Forlani, poi va in disgrazia. Avremo Andreotti sotto processo e Craxi finito come sappiamo… senza entrare nel merito di Tangentopoli. Contestualmente abbiamo la presenza dell’FBI, con queste figure autorizzate dal ministro della Giustizia Martelli, ma richieste e chiamate da Tinebra, il quale si è mosso in maniera abbastanza strana, anomala. Anche rispetto al coinvolgimento dei Servizi, perché le indagini sulla strage di via D’Amelio non puoi farla fare al Sisde (con Bruno Contrada, ndr), dato che è illegale. Irrituale. Per tornare a Capaci: noi abbiamo una strana dinamica per quel che riguarda l’esplosione. Non c’è dubbio. Io non ci credo, non ci crederò mai, allo scoppio di quel cunicolo che i mafiosi pentiti dicono di avere riempito con lo skateboard, come si vede nei film. Perché non è fisicamente possibile che sia saltata in aria l’autostrada col nitrato di ammonio, senza che le due estremità del cunicolo venissero murate. Sarebbe sfiatato tutto dai lati. Non ho tecnicamente affrontato questo aspetto, ma credo ad un coinvolgimento esterno, o al riempimento di un cunicolo successivo, da parte di esperti, e non di mafiosi. Quindi la teoria del “doppio cantiere” (cioè l’ipotesi oggetto delle nuove indagini, secondo cui non fu Brusca a premere il telecomando, ma che ci fosse un secondo telecomando e un secondo team esterno a Cosa nostra coinvolto nella strage, ndr) non mi pare una cosa campata in aria. Non l’ho approfondita tecnicamente, ma il pezzo di viadotto successivo a quello che è saltato in aria era stato dato dall’Anas in appalto prima del 23 maggio a un’impresa privata di Altofonte vicina ai mafiosi Gioè e Di Matteo. I lavori furono consegnati alla vigilia della strage! Siccome questa cosa era assai allarmante, all’epoca feci fare un’Interrogazione Parlamentare tramite il senatore Pietro Milio dei Radicali, ma non abbiamo mai ricevuto una risposta. Quindi, quando Gioacchino Genchi viene sentito come teste, io non l’ho messo in contestazione su questi argomenti. Anzi, sono perfettamente d’accordo con lui. Credo ad un coinvolgimento esterno. Non dico degli americani… ma di Servizi di sicurezza non istituzionali (e non deviati). La posizione della Sicilia del resto è strategica nel Mediterraneo, quindi è chiaro che possa esserci stato un interesse esterno. Andava approfondito processualmente questo aspetto. Ma – dopo che il teorema Buscetta è passato in Cassazione, per il Maxi – l’ordine di “scuderia” dell’epoca era di chiudere tutto e dare la colpa solo alla mafia. Adesso invece si stanno riaprendo le indagini. Basta vedere le accuse, ai poliziotti e ai pm dell’epoca, di calunnia aggravata. Il reato di depistaggio non si può applicare perché all’epoca non c’era. È comunque un fatto assai grave, con un capo di imputazione molto pesante».

La Procura di Messina nel frattempo ha chiesto l’archiviazione delle indagini sui pm Palma e Petralia. Lei però ha presentato ricorso contro l’archiviazione. «Si, perché io penso che il lavoro della Procura di Messina si sia concluso un po’ troppo presto. Non puoi chiedere l’archiviazione senza tenere conto delle testimonianze raccolte in tutti i processi Borsellino (dall’Uno al Quater), limitandoti a estrapolare degli spezzoni di frasi. Nelle carte nascoste nei faldoni ignoti abbiamo trovato le telefonate dei pm. Come si fa a ritenerle “neutre” quando si sente Petralia dire: “Scarantino, ci dobbiamo tenere molto forti perché siamo alla vigilia della deposizione. Noi verremo sicuramente giovedì, ci saranno anche il dottore Tinebra e probabilmente anche il dottor La Barbera, quindi tutto quanto lo staff delle persone che lei conosce e… lei potrà parlare con Tinebra, con La Barbera di tutti i suoi problemi… e contemporaneamente iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione Se questa è una dichiarazione “neutra”…! A me fa piacere apprendere (dice con sarcasmo l’avv. Di Gregorio, ndr) che i pm “preparino” i pentiti prima del dibattimento. Di certo quello di Scarantino non sarà stato l’unico caso. Il problema però è che se il soggetto oggi si è rivelato falso, andiamoci piano nel dire che quelle intercettazioni sono “neutre”, perché per me non lo sono. Una cosa è aggiustare i ricordi, un’altra è raccontare cose senza essere mafiosi. Scarantino era solo un balordo della Guadagna cui fu fatto studiare e recitare un copione. Ciò prevede non solo la conoscenza del processo sul depistaggio ma anche tutti i processi su via D’Amelio. La sentenza di primo grado del Ter firmata dall’attuale procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, nell’analizzare Scarantino scrive di fare attenzione e non tenere conto delle sue dichiarazioni, perché c’è il sospetto che con gli altri due collaboratori Andriotta e Candura (anche loro falsi, ndr) si siano messi d’accordo, non tra loro, ma che qualcuno li abbia fatti mettere d’accordo. Cioè questa sentenza anticipa quanto si scoprirà dopo. Molto prima delle dichiarazioni di Spatuzza. Quindi era già chiaro che Scarantino fosse un “pupo”. Già la Boccassini e Sajeva prima del processo Bis avevano avvertito la Procura di Caltanissetta con due lettere. Lettere che spariscono per anni ma che la Boccassini – che non è l’ultima arrivata – aveva inviato anche a Palermo, a Caselli.  Spariscono per anni anche i confronti tra Scarantino e i pentiti Cancemi, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera. Confronti che ritroviamo solo dopo molti anni. E sono confronti importanti perché questi pentiti smascheravano Scarantino. I pm applicarono il principio della “parcellizzazione della chiamata”: cioè se un pentito dice una fesseria, anziché buttare tutto si salva ciò che serve, ciò che è riscontrato, lasciando “vivere” il resto delle sue propalazioni. Qui invece hanno applicato il principio male, anzi al contrario: non depositando i confronti che smascheravano Scarantino. Quindi hanno nascosto sotto al tappeto le informazioni che lo avrebbero fatto mettere in discussione! E vorrebbero farci credere che tutto questo è involontario? E perché? A Messina hanno preso gli atti da poco… tutto sommato solo un anno di indagine. Ci sono pure dei passaggi che non sono stati approfonditi come quello del pentito Francesco Marino Mannoia che smaschera Scarantino “dopo 30 secondi” e che invece per i pm avrebbe confermato la “mafiosità” di Scarantino. Dalle indagini di De Lucia (Procuratore di Messina, ndr) si è scoperto pure un altro tema non approfondito: quello degli avvocati di Scarantino. L’Avv. Santino Foresta ha detto che durante un interrogatorio accadde un episodio strano con Scarantino che prima ritrattò, poi uscì dall’aula e infine tornò sui passi ritrattando di nuovo. Ma manca il verbale, ci sarebbe circa un’ora di buco nell’interrogatorio. Quindi bisognerebbe approfondire questo tema, e non archiviare le indagini».

Lei ha puntato il dito contro il pm Nino Di Matteo. Nella richiesta di archiviazione di Messina lei ha sottolineato un passaggio su Di Matteo e ha scritto: «Non si doveva dare il piano di protezione a Spatuzza per non far pensare alla gente che il processo su via D’Amelio fosse fondato su falsi pentiti! Esilarante… o forse drammatico…». «Questo lo scrive in una nota la Procura di Messina. Su Di Matteo io ho sempre parlato apertamente, non sono una che si nasconde dietro il dito. Lui non c’è nella prima fase in cui Candura (altro falso pentito) accusa Scarantino. Poi arriva Andriotta (altro falso pentito) che serviva come “ponte” per confermare l’autoaccusa di Scarantino sull’esecuzione della strage, e anche in questa fase Di Matteo non c’è. Lui arriva, se non erro, nel novembre 1994, chiamato da Tinebra visto che nel frattempo si era alzato un polverone con le lettere della Boccassini che abbandonò le indagini e la pista Scarantino. Tinebra allora chiama il giovane magistrato Di Matteo e gli dice: “Azzera tutto, parti da capo e vai a interrogare Scarantino”. Ciò non è molto rituale, visto che già si erano raccolte le dichiarazioni. Cosa doveva fare? Fargliele aggiustare? Boh… In questa fase il “pupo” è vestito, così come i “pupi” che lo hanno preceduto; quindi nella prima fase Di Matteo è assolutamente “vergine”. Ma poi lui c’è all’udienza preliminare del processo Bis, e me lo ha ammesso, mentre prima sosteneva di no. C’erano lui, la Palma e Petralia. È l’udienza nella quale avevamo chiesto i famosi confronti “spariti”. Lui partecipa ai confronti. Lui raccoglie le dichiarazioni intercettate tra il pentito Santino Di Matteo e la moglie Castellese…».

Cioè? «C’è un’intercettazione tra i due nelle fasi in cui il figlio del pentito viene rapito (poi verrà sciolto nell’acido, ndr). La Castellese dice al marito Santino Di Matteo di tapparsi sostanzialmente la bocca e non parlare dei “poliziotti infiltrati coinvolti nella strage di via D’Amelio”. Questa intercettazione è del 14 dicembre 1993, ma l’indagine lui la fa con Petralia nel 1997. Questo non è un elemento di poco conto, perché quella intercettazione è sconvolgente. Inoltre, il giornalista di Mediaset Angelo Mangano ha testimoniato che nell’intervista integrale di Studio Aperto, c’era una parte tagliata non mandata in onda in cui Scarantino accusava Arnaldo La Barbera. La moglie di Scarantino e i familiari lo sostengono e attaccano tutti La Barbera. Le accuse quindi vengono non solo dalla moglie di Scarantino, ma anche dalla signora Castellese. Quindi, era il caso di porsi un dubbio nel momento in cui agiscono i poliziotti. No, alcuni magistrati hanno fatto le manifestazioni di solidarietà per La Barbera. Avrebbero fatto meglio a svolgere indagini su Arnaldo La Barbera! Anche perché prima che si penta Candura (quindi teoricamente quando ancora brancoliamo nel buio), è stata realizzata una relazione dei Servizi di sicurezza che diceva dove era allocata l’autobomba; è stato, dunque stilato il copione che poi reciterà Scarantino. Siamo ad agosto del ’92 e i Servizi riportano una dinamica che hanno appreso da fonti della Polizia di Palermo, che guarda caso sarà quella che reciterà Scarantino e che sarà falsa perché il magazzino indicato non era quello, ma era il garage di via Villasevaglios indicato da Spatuzza. Quindi tutte queste cose, tutti questi sospetti, non hanno destato interesse. Continuando a parlare di Nino Di Matteo, le intercettazioni che sono state trovate negli archivi nascosti della Procura dimostrano per esempio altre cose: i magistrati sapevano perfettamente chi c’era lì di servizio con Scarantino. Si sentono ad esempio la Palma e Petralia dire: “Ah c’è lì tizio? Allora passamelo…” Quindi non è vero che non conoscevano l’attività di questi poliziotti, piazzati lì h 24 a casa di Scarantino o nei dintorni. E poi per fare cosa? Questo è un altro dei misteri di questo processo: perché da Palermo partivano gruppi di questi poliziotti del gruppo “Falcone Borsellino” per andare in Liguria nella località protetta di Scarantino? Non era previsto nel programma di protezione. C’era pure una donna per proteggere la moglie di Scarantino, perché lui era geloso. Tutto ciò agli altri collaboratori non è stato mai fatto. È stato fatto di sostegno a lui perché lui era un pentito farlocco. Abbiamo scoperto che nelle telefonate che lui faceva a Bo, ai pm, all’avvocato… minacciava spesso di andarsi a costituire in carcere perché non ce la faceva più. Perché recitare quel copione era diventato insostenibile. Se ne andava in tilt quando qualcuno lo smentiva, e tra l’altro si trattava di un soggetto abbastanza labile, come certificato nel foglio di congedo militare, che lo riformava per problemi mentali. Tutto questo era prodotto agli atti e non se ne interessò nessuno. Quindi questo era: pazzoide, inconsistente come caratura mafiosa, e ha reso un percorso che certamente non è di costanza di dichiarazioni».

Lei scrive: «Singolare è che, per sentire la Sig.ra Castellese, i pm (Di Matteo e Petralia) siano assistiti da Michele Ribaudo, Giuseppe Di Gangi e Mario Bo». «Sì, certo. Questo è proprio una considerazione estremamente banale. Cioè, se so che nell’intercettazione la signora Castellese parla di poliziotti infiltrati in via D’Amelio, la interroghi: A) con dei poliziotti davanti? e B) con quelli che si sono occupati delle indagini di via D’Amelio? Ciò mi sembra veramente incredibile! Ma intanto è stato fatto…».

Qualcuno la definì “l’Avvocato del Diavolo” per aver difeso il Gotha di Cosa nostra. Su tutti Provenzano. Convive ancora questa definizione o la “scoperta” del depistaggio di via D’Amelio le ha permesso di scrollarsi questa “nomina” di dosso? «No, questo no perché fa comodo. Su certa stampa ho letto il consiglio dato a Lucia Borsellino e soprattutto a Fiammetta di non trattare me, perché io sono “l’Avvocato del diavolo”, perché ho assistito mafiosi e sono quella che attaccava la vecchia compagine della Procura dell’epoca. Non c’è la sensibilità (né la volontà) di far capire alla gente che il diritto alla difesa è inviolabile e che il difensore non può e non deve essere confuso con o, qcomunque, paragonato al suo assistito; a livello istituzionale dovrebbe enfatizzarsi, agli occhi della gente, che l’avvocato non sposa i suoi assistiti: una cosa è la professione nobile dell’avvocato, un’altra è il fiancheggiatore del cliente. Ma evidentemente a qualcuno fa comodo sovrapporre e confondere le due figure. Evidentemente ciò che sta succedendo in altre parti del mondo (come ad esempio in Turchia) non è poi così diverso da quel che accade da noi. Solo più eclatante. Eppure sulla carta, l’avvocato riveste un ruolo che non è inferiore rispetto a quello svolto, ad esempio, dalla pubblica accusa. Fateci caso, con l’introduzione del nuovo (ormai non tanto visto che risale al 1988) codice di procedura penale, sono cambiati anche i “segni”: al dibattimento ora noi avvocati siamo seduti sullo stesso piano dei pm. Una volta loro erano alla destra del giudice, adesso invece sono scesi e sono sul nostro stesso livello. La stessa toga che ho io sulle spalle l’hanno sia i pm che i giudici. E l’ordinamento – che non è sbagliato – prevede persino la revisione dei processi, anche dopo tre gradi di giudizio. Quindi qui di infallibile non c’è nessuno, nemmeno i magistrati. Solo che loro non pagano. Alcuni si sentono “unti dal Signore” e chi li contrasta è un “eretico” o un “diavolo”. Quindi è difficile che questa cosa si scrolli di dosso.  Con buona pace di chi parla della necessità dell’inserimento in costituzione della figura dell’avvocato. Dopo la sentenza di revisione, nell’analisi del perché si è arrivati ad un errore giudiziario, alcuni soggetti sono stati definiti diciamo “ingenui” per non aver saputo capire l’inattendibilità di Scarantino. Ciò di fatto si concretizza in un tentativo di minimizzare i risultati conseguiti in questi ultimi anni. L’obiettivo che mi sono prefissa però l’ho raggiunto: chi aveva preso un ergastolo “gratis”, cioè da innocente, è uscito di galera. Certo, questi soggetti hanno le vite devastate e attendono un risarcimento per ingiusta detenzione dallo Stato. Così come io attendo ancora i miei onorari per il lavoro svolto. Questo non interessa a nessuno. Ma almeno quando vado a dormire la sera, so che ho la coscienza pulita. Il mio compito l’ho svolto. Non so quanti – dall’altra parte – possono dire la stessa cosa».