MAFIA E APPALTI – Articoli 2° Parte

27 maggio 2021 – Falcone e Borsellino hanno detto: «Salvo Lima è stato ucciso per il dossier mafia-appalti» In un verbale inedito di sommarie informazioni del 7 dicembre 1992, l’allora sostituto procuratore Vittorio Teresi, in foto, fino a poco tempo fa pm della cosiddetta Trattativa, ha rivelato il pensiero di Falcone e Borsellino: Lima e il maresciallo Guazzelli sono stati uccisi per aver rifiutato di far attenuare le posizioni degli indagati su mafia-appalti È il 12 marzo del 1992, l’europarlamentare democristiano Salvo Lima, leader della corrente capitanata da Giulio Andreotti, viene ucciso dalla mafia a Mondello, località balneare in prossimità di Palermo. Al momento dell’agguato si trovava in compagnia di altre due persone, il professor Alfredo Li Vecchi e il dottor Leonardo Liggio, a bordo di una Opel Vectra. Subito dopo essere partiti ed aver percorso un breve tragitto, l’autovettura viene affiancata da una moto di grossa cilindrata con due persone a bordo, una delle quali esplode diversi colpi d’arma da fuoco, inducendo Li Vecchi, che si trova alla guida, a bloccare la vettura. Nel contempo Lima gridava “Stanno ritornando “e tutti e tre gli occupanti si precipitavano fuori dall’abitacolo in cerca di scampo, dirigendosi in senso opposto a quello di marcia dell’autovettura, cioè verso l’Addaura. Li Vecchi e Liggio avevano trovato riparo dietro il cassonetto della spazzatura e si erano accorti che Lima era disteso a terra, bocconi e privo di vita.  Un omicidio ordinato da Totò Riina Parliamo di un omicidio commesso, per ordine di Totò Riina e di altri componenti della Cupola, dai mafiosi poi diventati pentiti, Francesco Onorato e Giovan Battista Ferrante. Un omicidio che, di fatto, ha aperto la stagione stragista. Si è sempre detto, come si legge in sentenza, che la casuale del delitto sarebbe consistita nella delusa aspettativa di un esito favorevole del maxiprocesso da parte della Corte di Cassazione con la sentenza del 30 gennaio ‘92, nonostante l’impegno che avrebbe assunto Salvo Lima per una più favorevole definizione. In realtà c’era chi intravvedeva qualcos’altro. In una vecchia intervista rilasciata al Corriere della sera, l’allora procuratore nazionale antimafia Piero Grasso disse qualcosa di più e che assieme al verbale inedito, che Il Dubbio ha potuto visionare, potrebbe cambiare la versione dei fatti e rafforzare ancora una volta la pista del dossier mafia-appalti: causale di tutta la stagione stragista.

Pietro Grasso: Falcone e Borsellino erano nemici da bloccare  «Certamente Falcone, come Borsellino, erano dei nemici da bloccare per quello che potevano continuare a fare. Ma l’attentato di Capaci, per le modalità non usuali per Cosa Nostra, fu anche un messaggio di tipo terroristico non tanto eversivo quanto conservativo per frenare le spinte che venivano fuori da Tangentopoli contro una politica che era in crisi». Queste sono state le valutazioni dell’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. «Per noi è lacerante intuire ma non potere ancora dimostrare – ha affermato Grasso – che la strategia stragista sia iniziata prima di Capaci e cioè con l’omicidio Lima. È lì che scattò un segnale, per cui lo stesso Falcone mi disse “Adesso può succedere di tutto”»

Falcone e Borsellino avevano capito che l’omicidio di Lima era legato a mafia-appalti Ma Falcone cosa pensava? Ora sappiamo che sia lui che Borsellino avevano capito che quell’omicidio – e non solo quello – era scaturito dal rifiuto di Lima di intervenire presso la Procura di Palermo, in merito al procedimento nato dal dossier mafia- appalti, che era stato elaborato su impulso di Falcone stesso dai Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno. A rivelarlo è stato l’allora sostituto procuratore Vittorio Teresi, molti anni dopo conosciuto come uno dei pm del processo sulla presunta Trattativa Stato-mafia. Parliamo di un verbale di assunzione di informazione del 7 dicembre 1992, in cui viene sentito dal pubblico ministero Fausto Cardella della procura di Caltanissetta. Il verbale è stato di recente acquisito dalla Corte d’Appello di Palermo per il processo Trattativa oramai alle battute finali

Anche al maresciallo Guazzelli era stato chiesto di attenuare le indagini «Insieme a Paolo Borsellino, seguivo le indagini relative all’omicidio del Maresciallo Guazzelli – racconta Teresi innanzi al Pm di Caltanissetta-; a questo proposito riferisco di quanto ho appreso da Paolo Borsellino: il maresciallo Guazzelli sarebbe stato il referente dei Ros e in particolare del generale Subranni nella provincia di Agrigento. Per questa sua qualità il maresciallo sarebbe stato un giorno avvicinato da Siino Angelo e da Cascio Rosario, nei confronti dei quali il Ros stava sviluppando un’indagine, al fine di indurlo ad attenuare la loro posizione nell’inchiesta». Teresi prosegue: «Il maresciallo Guazzelli non solo avrebbe rifiutato di interporre suoi buoni uffici presso il Ros, ma addirittura avrebbe trattato in così malo modo il Siino e il Cascio, che il primo, uscito dalla casa del Guazzelli, si sarebbe sentito male». Ed ecco che Teresi spiega cosa gli raccontò Borsellino, ovvero che «andato a vuoto questo primo tentativo, il Siino si sarebbe rivolto all’onorevole Lima affinché questi intervenisse sul Procuratore Giammanco tramite l’onorevole D’Acquisto al medesimo fine». Non solo. «Borsellino – continua Teresi – però aggiunse di aver commentato queste notizie con Giovanni Falcone e che anche lui riteneva possibile che potessero avere una rilevanza, non solo ai fini della spiegazione dell’omicidio Guazzelli ma anche di quello dell’onorevole Lima». Sintetizza Teresi innanzi al Pm di Caltanissetta il 7 dicembre 1992: «In sostanza secondo l’opinione concorde di Paolo e Giovanni, l’onorevole Lima non sarebbe stato in grado o, peggio, non avrebbe voluto influire sulla Procura di Palermo per alleggerire la posizione di Siino (tant’è che questi fu arrestato)».  

L’informativa mafia-appalti fu illecitamente divulgata Come ha scritto l’allora gip Gilda Loforti nella sua ordinanza di archiviazione del 2000, «risulta assolutamente certo che l’informativa del febbraio del 1991, denominata “mafia-appalti”, fu illecitamente divulgata prima della emissione dei provvedimenti restrittivi». Dopodiché inizia a scorrere il sangue. Il primo a morire – e ora sappiamo che secondo Falcone e Borsellino sarebbe stato ucciso da Cosa Nostra per la questione del procedimento mafia-appalti – fu l’andreottiano Salvo Lima, il 12 marzo 1992. Poi, il 4 aprile successivo, toccò al maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso perché – su esplicita richiesta – rifiutò di stemperare le accuse contro Angelo Siino, ritenuto dai Ros uno degli anelli di congiunzione tra mafia e imprenditoria. Quindi, come noto, seguirono le stragi di Capaci e di Via D’Amelio.  

Riina intercettato al 41 bis: «Ho ucciso Falcone anche per questo»  Come sappiamo, Falcone esplicitò l’importanza del dossier mafia-appalti sul coinvolgimento delle imprese dell’Italia del Nord. Anticipò tangentopoli, ma con la terza gamba mafiosa, durante il convegno del 15 marzo 1991, provocando la reazione dei fratelli Buscemi che dissero «questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare»: parliamo degli imprenditori mafiosi, prestanomi di Totò Riina che volevano impossessarsi delle imprese nazionali.  Totò Riina lo dice chiaramente nelle famose intercettazioni del 2013 di quando era al 41 bis. Ne parla con il suo compagno d’ora d’aria Lorusso. Si riferisce a Falcone e del perché aveva ordinato l’attentato. È un passaggio della trascrizione “colloquio area passeggio” del 28 settembre 2013. «Fu un colpo veramente che … Minchia Salvatore te l’ha combinata …. Salvatore …», e poi aggiunge: «Salvatore … il piccolo cosi…si è messo a fare… ride … Minchia si è messo a fare … se sapevo fare il costruttore (imprenditore, ndr). Ti chiudo là dentro … anche per questo è successo, è successo … è successo». Totò Riina, per dire che è accaduto perché Falcone lo ha definito un imprenditore, l’ha ripetuto per ben tre volte. Per quello è successo, è successo, è successo. IL DUBBIO  Damiano Aliprandi


 25.5.2021 AUDIZIONE COMMISSIONE ANTIMAFIA REGIONE SICILIA ANTONIO INGROIA”Borsellino: Ingroia, indagini volte a puntare solo su mafia. “La conduzione delle indagini sulla strage di Via d’Amelio di Tinebra era finalizzata a sottodimensionate, ad evitare di mettere in mezzo profili diversi da quelli dei mafiosi, a far risultare che era solo lamafia che si vendicava del maxiprocesso. Era la lettura che doveva passare e Scarantino è stato il cacio sui maccheroni”. Lo ha detto l’ex pm Antonio Ingroia sentito dalla commissione regionale Antimafia sul depistaggio delle indagini sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino. Ingroia ha anche parlato del rapporto mafia-appalti sul quale Borsellino conduceva una indagine informale dopo aver saputo che Giovanni Falcone se ne era occupato e ne aveva lasciato traccia in alcuni diari.    “Borsellino era sbalordito che Falcone avesse diari – ha aggiunto Ingroia – perché aveva detto in vita che non ne avrebbe mai tenuto uno e allora mi disse: ‘se Giovanni ha cominciato a tenere una agenda vuol dire che doveva scriverci cose gravi ‘. E fu per questo che Borsellino cominciò a lavorarci, tenendo conto che quando era in Procura a Marsala aveva già avuto l’impressione che a Palermo stessero  insabbiando il rapporto mafia-appalti”    Ingroia ha ricordato che a Borsellino non fu mai detto che il rapporto a Palermo stava per essere archiviato. “Mi disse che i pm di Palermo, non ricordo se Lo Forte o Pignatone, non gli raccontavano la verità”, ha spiegato. (ANSA).    


29.4.2021 – Sono basito e sconcertato, qualcuno tenta ancora una volta si mettere in dubbio quelle poche verità ormai acquisite nelle complesse vicende delle stragi del ‘92 ed in particolare quella di Via D’Amelio. Il collaboratore (o ex) Maurizio Avola è stato a lungo interrogato durante il dibattimento del processo sulla trattativa, e aveva reso dichiarazioni chiare, logiche, complete ben supportate da riscontri esterni. Delle vicende, improvvisamente apparse come per magia in una presunta inchiesta giornalistica, non aveva mai fatto cenno nei quasi ventinove anni dall’inizio della sua collaborazione. Oggi lo fa(forse), ma solo a beneficio dell’autore di un libro ignorando le Autorità giudiziarie che gli hanno mille volte rivolto le stesse domande. Misteri della memoria dell’uomo o tentativo di rientrare nel circuito del collaboratori considerati? Comunque sia il castello di menzogne che sembrano emergere da questo nuovo racconto ha come conseguenza quella di fornire una versione maligna delle cause della morte di Paolo Borsellino. La pista del “rapporto mafia appalti” come unica ragione della strage è stata smentita clamorosamente durante il processo, ma nessuno si vuole prendere la briga di leggere con attenzione quelle carte. Quella pista serve solo ad allontanare le vicende delle stragi del 92/93 dalle responsabilità istituzionali ed a fare dimenticare i sospetti relativi al successivo stravolgimento politico del 1994. La pista del dossier fa dimenticare il ruolo di Dell’Utri e dei suoi sodali. Le persone perbene non devono cadere in questo sporco tranello.  VITTORIO TERESI Presidente del Centro studi Paolo e Rita Borsellino, già magistrato alla procura di Palermo.


17.7.2020 – Familiari: le  cause della morte nei 57 giorni dopo Falcone e nella gestione del rapporto Mafia e Appalti   Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, nella foto sopra, legale dei familiari del magistrato Paolo Borsellino, costituiti parte civile nel processo in cui il latitante Matteo Messina Denaro è imputato per essere uno dei mandanti delle stragi del 1992.  “Finalmente abbiamo un’occasione unica, cioè di processare un vero capo che ha aderito totalmente alla strategia stragista di attacco al cuore delle istituzioni nazionali”, ha aggiunto il legale. “Noi dobbiamo fare l’analisi delle parole di Borsellino, che ha lasciato detto qualcosa che potesse guidare gli investigatori verso la possibilità di scoprire le ragioni e i motivi della sua morte – ha aggiunto l’avvocato Trizzino – noi dovremmo fare un’esegesi delle parole di Borsellino evitando di contaminare quelle che erano le sue conoscenza prima di Capaci e ciò che acquisì in quei 57 giorni, in cui trovo una plausibile spiegazione nell’accelerazione”.     Nel corso della sua arringa, il legale che rappresenta i familiari del giudice ha parlato delle “collaborazioni tardive di Claudio Martelli, Liliana Ferraro, Alessandra Camassa e Massimo Russo, da cui abbiamo saputo delle cose che creano un rinnovato dolore”. Dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, la mafia siciliana aveva stabilito l’eleminazione di Calogero Mannino, ma poi l’obbiettivo immediato diventò Paolo Borsellino. “Da quanto ci raccontano i collaboratori di giustizia, la virata avviene tra il 3 e il 20 giugno”, ha aggiunto l’avvocato Trizzino. “Cosa succede? L’autorità giudiziaria di Catania, con il sostituto procuratore Felice Lima, stava interrogando Giuseppe Lipera del 13-14-15 giugno 1992. Noi dobbiamo capire se alcune di quelle informazioni possano essere finite a Borsellino e questo è importante perchè potremmo iniziare a vedere la finalità preventiva di bloccare Borsellino sul fronte del dossier ‘Mafia e Appalti’”. 

“Il procuratore Giammanco non fu mai ascoltato dalle autorità di allora e questa è una delle cose piu dolorose”. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei familiari del magistrato Paolo Borsellino, nel corso della sua arringa nel processo in cui il latitante Messina Denaro è imputato davanti la corte d’Assise di Caltanissetta (presidente Roberta Serio) per essere stato tra i mandanti delle Stragi del ’92. Una ricostruzione approfondita dei 57 giorni che separarono l’uccisione di Giovanni Falcone da quella di Borsellino. “In quei giorni Borsellino dice io so, non io penso, ma io so quali sono le ragioni dietro l’uccisione di Giovanni Falcone”, ha aggiunto il legale, riferendosi all’incontro di piazza Casa Professa (Palermo) del 25 giugno 1992, descritto come “il primo passo della sua via crucis, segnata da tappe ben chiare”. “Il 14 luglio c’è stata una riunione alla Direzione Distrettuale di Palermo e Borsellino chiese conto e ragione a Lo Forte – ha aggiunto Trizzino – perchè tra l’altro Giammanco è nella storia della Repubblica, primo e unico procuratore costretto a dimettersi per un ammutinamento dei suoi sostituti: io credo che non ci siano precedenti del genere. Borsellino voleva sapere a che punto fosse quel rapporto Mafia e Appalti e non gli dicono che il 13, il giorno prima, era stata fatta una richiesta di archiviazione, che venne ratificata il 14 agosto 1992”. “Lo Stato deve sapere che è stato lasciato solo da molti suoi colleghi, da qualcuno che voleva prendere delle iniziative senza consultarsi e quindi uccidendolo Riina – ha continuato l’avvocato dei Borsellino – ebbe la formidabile occasione di potere dar conto a quella parte di Cosa Nostra fatte da strane commistioni di massoni e imprenditori e dall’altra proseguire con la sua strategia stragista condivisa con Messina Denaro”.     L’avvocato poi si è soffermato sull’allora procuratore capo di Palermo, Pietro Giammanco, morto per cause naturali nel dicembre 2018. “Tra le prime cose dette da Borsellino a Casa Professa, fu che confermò l’autenticità dei diari di Falcone, pubblicati dalla giornalista Liana Milella sul Sole 24 ore ed è importante perchè li si arriva al comportamento di Giammanco, che fu assolutamente non ortodosso”, ha aggiunto il legale. “Questa è una delle cose piu dolorose – ha sottolineato –  perchè Giammanco non è mai stato ascoltato dalle autorità di allora, non fu mai compulsato da un pm per spiegare due circostanze, perchè dell’informativa sul tritolo e la telefonata del 19 luglio alle 7.15 del mattino: io posso fare tutte le illazioni di questo mondo perchè nessuno ha chiesto ragione a Giammanco di una telefonata al mattino presto, nonostante tutti sapessero che il rapporto tra i due non era per niente idilliaco”. AGI