MAFIA E APPALTI -Articoli 1° parte

Il dossier “mafia-appalti” e la guerra fra magistrati e carabinieri  COMMISSIONE ANTIMAFIA ARS

Tutto nasce da una delega conferita nel 1989 dalla Procura di Palermo ai Ros avente quale principale obiettivo quello di accertare “la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”.

L’inchiesta mafia-appalti rappresenta senz’ombra di dubbio uno degli aspetti più critici e controversi di quello che, citando Leonardo Sciascia, potremmo definire l’affaire Borsellino.

In questa sede, com’è naturale, non intendiamo entrare nel merito delle diverse – e non sempre concordanti – pronunce emesse nel corso degli anni da parte di diverse Autorità Giudiziarie sul valore da attribuire al rapporto del Ros dei Carabinieri del 16 febbraio 1991: ovvero, se costituisca un possibile fattore di accelerazione del proposito stragista nei confronti di Paolo Borsellino o, invece, un’indagine del tutto neutrale in tale prospettiva (pur mantenendo aspetti di straordinaria rilevanza nell’ambito di altri giudizi). Fra le priorità di questa inchiesta vi è quella di comprendere, semmai, se vi siano punti di contatto tra questa vicenda (nel suo complesso) e il depistaggio subito dalle indagini su via D’Amelio. Il rapporto dei Carabinieri è argomento di controversia già in vita di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per una migliore intelligenza espositiva, ne ripercorriamo in sintesi la genesi. Tutto nasce da una delega conferita nel 1989 dalla Procura di Palermo ai Ros avente quale principale obiettivo quello di accertare “la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”. Il risultato di tale attività è, appunto, il rapporto dei Ros del febbraio ’91. Falcone è ormai in procinto di trasferirsi a Roma. Il fascicolo finisce sulla scrivania del procuratore Giammanco che, a maggio, ne affida l’esame ai sostituti Sciacchitano, Morvillo, Carrara, De Francisci e Natoli. Il 25 giugno 1991 viene presentata una richiesta di custodia cautelare nei confronti di Angelo Siino, Giuseppe Li Pera, Cataldo Farinella, Alfredo Falletta e Serafino Morici, accolta dal GIP il 9 luglio. Più o meno nello stesso periodo, il 26 luglio 1991, viene contestualmente delegata ai Ros un’ulteriore attività investigativa riguardante la società regionale Sirap Spa. Nel periodo antecedente alla richiesta di misure cautelari di giugno, però, accade qualcosa di strano. La stampa comincia ad avanzare pesanti critiche sull’operato della procura di Palermo, parlando di fratture con i vertici dell’Arma e, addirittura, di presunti “insabbiamenti” delle indagini riguardanti nomi eccellenti della politica. Eppure, come spiegheranno i magistrati palermitani, quei nomi nel dossier non ci sono. A tal riguardo, si dà lettura della relazione presentata al CSM il 7 dicembre 1992, a firma del procuratore aggiunto dottor Vittorio Aliquò e dei sostituti dottor Guido Lo Forte e dottor Roberto Scarpinato (Relazione sui procedimenti instaurati a Palermo su mafia e appalti), richiamata, poi, in quella depositata dal procuratore Caselli nel febbraio ’99 dinanzi la Commissione nazionale antimafia (pp. 32-34): «Una prima notizia del tutto fantasiosa era quella secondo cui, ancora in data 14 giugno e cioè proprio mentre stava per essere depositata la richiesta di misure cautelari (25.6.1992) la Procura “avrebbe rifiutato” di ricevere il “rapporto” già ultimato dai Carabinieri… Nei successivi articoli, sia antecedenti che posteriori all’esecuzione degli arresti, da un lato vi era la inspiegabile riproduzione di intercettazioni coperte dal segreto istruttori, anche prima del deposito degli atti al “Tribunale della Libertà”, e dall’altro l’affermazione che nel “rapporto” sarebbero state individuate, in relazione all’attività dell’organizzazione mafiosa, responsabilità di numerose ed importanti personalità politiche, anche con incarichi di governo senza alcun seguito da parte della Procura. Tale affermazione, secondo gli organi di stampa, costituiva il motivo principale di pesanti critiche contro l’operato della Procura, asseritamente provenienti da ufficiali dei Carabinieri. Estremamente significativi in tal senso sono gli articoli pubblicati sui quotidiani “Secolo XIX” e “La Sicilia” rispettivamente del 13.6.1991 e del 16, 17 e 19 giugno 1991, contenenti – insieme alla trascrizione letterale di parti del rapporto – pesantissime critiche di “insabbiamento” nei confronti della Procura della Repubblica, nonostante questa non avesse ancora formulato le sue richieste al Gip. (…) Le anticipazioni di stampa relative a personalità politiche nazionali coinvolte negli illeciti asseritamente evidenziati dall’informativa apparivano inizialmente, come si è detto, del tutto incomprensibili.

Dall’informativa del 16.2.1991 risultava invero che, nel corso di alcune telefonate tra imprenditori, venivano episodicamente fatti i nomi di alcuni politici all’interno di contesti discorsivi fra terze persone che non evidenziavano di per sé fatti illeciti.

L’informativa si chiudeva con un doppio elenco di persone coinvolte nell’indagine. Il primo elenco era così intestato: «Schede di personaggi di maggior interesse in ordine ad ipotesi di reato di associazione per delinquere di tipo mafioso». Nessun nome di politico si rinveniva in questo elenco. Il secondo elenco era così intestato: «schede di personaggi di maggiore interesse in ordine ad ipotesi di reato di associazione per delinquere».

In questo elenco, come politici, figuravano solo Domenico Lo Vasco e Giuseppe Di Trapani, all’epoca Assessori Comunali di Palermo. Del resto non si trattava di vere e proprie schede, ma di un semplice elenco in cui accanto ad ogni nome vi era l’indicazione dell’intercettazione telefonica nella quale si faceva riferimento allo stesso.

La sostanziale mancanza di elementi significativi sul piano penale per il Lo Vasco ed il Di Trapani, e a maggior ragione per gli altri uomini politici citati nell’informativa e non nelle schede, veniva del resto esplicitata in una nota in data 27.7.1991 del Comandante del Ros (…) Come si sarebbe compreso dopo, le polemiche di stampa apparivano inspiegabili soltanto ai magistrati della Procura della Repubblica. Invero i nomi dei personaggi politici di rilievo nazionale, tali da suscitare un così rilevante interesse da parte della stampa, erano diversi da quelli sopra menzionati: e, mentre erano evidentemente noti ai giornalisti già dall’estate del 1991, sarebbero stati portati a conoscenza della Procura di Palermo in parte solo nel novembre 1991 e in parte addirittura nel mese di settembre 1992».

ROTTURA TRA PROCURA E ROS  Così il giornalista Felice Cavallaro racconta quella fase delicatissima in suo articolo del 21 luglio 1991.

Crolla a Palermo il rapporto di fiducia fra Procura della Repubblica e carabinieri. C’è una frizione sotterranea che forse non sfocerà in una «guerra» ma che avvelena un’altra estate siciliana trasformando quello della lotta alla mafia in un terreno paludoso, impraticabile. Siamo all’epilogo di incomprensioni che vengono da lontano. Il punto di rottura e l’ultimo rapporto dei carabinieri sul mercato degli appalti in Sicilia.

Novecento pagine presentate in Procura il 16 febbraio di quest’anno, rimaste senza seguito fino alla scorsa settimana quando ormai fra inquirenti, giornalisti ed uomini politici circolavano robuste indiscrezioni su intercettazioni e reati anche con riferimento a diversi uomini politici poi risultati estranei al provvedimento con cui la magistratura ha ristretto l’operazione all’arresto di cinque imprenditori ed intermediari mafiosi.

«Sembra che ciascuno lavori per obiettivi diversi» rimugina un ufficiale… I messaggi cifrati sono gli Scud e i Patriot di una guerra non dichiarata. Il procuratore Pietro Giammanco preferisce non incontrare i cronisti. I carabinieri scalpitano, convinti di aver messo le mani su un gruppo che rappresenta direttamente il vertice di Cosa Nostra intrattenendo rapporti con dirigenti ed amministratori di grandi aziende nazionali collegate soprattutto a DC e PSI…

Le indagini vanno avanti. A gennaio del 1992 c’è una nuova richiesta di ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Rosario Cascio e Vito Buscemi, accolta il mese dopo dal Gip.

Infine, a marzo, viene chiesto il rinvio a giudizio per sei imputati: Angelo Siino, Alfredo Farinella, Alfredo Falletta, Giuseppe Li Pera, Rosario Cascio e Vito Buscemi. Per tutti gli altri indagati – tra i quali Claudio De Eccher, Giuseppe Lipari. Antonio Buscemi e Paolo Catti De Gasperi – si chiede invece l’archiviazione. È il 13 luglio 1992.

Sei giorni dopo, la strage di via D’Amelio.

QUELLA RIUNIONE POCO PRIMA DI MORIRE  Nel corso dei quattro giorni che il Csm dedicherà, qualche settimana dopo, al caso Palermo, si parla anche del dossier “mafia-appalti”. Soprattutto si insiste su una riunione svoltasi il 14 luglio 1992, presente Paolo Borsellino, che aveva all’ordine del giorno proprio gli sviluppi di quell’inchiesta, muovendo proprio dalle accuse rilanciate dai media e dalla querelle a distanza con i carabinieri.

Colpisce la lettura totalmente divergente che su quella riunione e sugli umori di Borsellino, offrono davanti al Csm i magistrati della procura di Palermo:

  • LO FORTE, già magistrato. Per quanto riguarda eventuali contrasti tra Falcone e Giammanco, (sul rapporto dei Ros, ndr.) a me non risultano… 
  • PIGNATONE, già magistrato. La relazione l’ha fatta Lo Forte, dopo che avevano depositato l’archiviazione… In questa riunione, Borsellino non fece nessun rilievo. 
  • GOZZO, sostituto procuratore nazionale antimafia. Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che fosse rinviata la discussione su questo processo e fece degli appunti molto precisi: come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte… che erano state inviate alla Procura di Marsala… e nella fattispecie al dottore Ingroia… E poi diceva che c’erano nuovi sviluppi… in particolare un pentito… che ultimamente aveva parlato… e sono rimasto sorpreso perché dall’altra parte si rispose: «ma vedremo»…
  • PATRONAGGIO, Procuratore della Repubblica di Agrigento. Prima della riunione di martedì 14 luglio 1992… io non avevo cognizione diretta delle divergenze e delle spaccature… mi stupisce ancora di più quando il collega Borsellino chiede addirittura delle spiegazioni, vuole chiarezza su determinati processi… si informa (…) chiede spiegazioni su un procedimento riguardante Siino Angelo ed altri, e capisco che qualche cosa non va (…) In buona sostanza la relazione sul processo Siino fu fatta unicamente, esclusivamente per dire che non vi erano nomi di politici rilevanti all’interno del processo o che se vi erano nomi di politici di un certo peso entravano per un mero accidente…

Ricordi difformi. Da una parte c’è chi descrive un Paolo Borsellino quasi defilato nel momento in cui viene toccato l’argomento mafia-appalti. Altri, invece, rammentano un approccio incalzante con puntuali richieste di chiarimento. Lo ricordiamo, è il 14 luglio 1992. A Borsellino rimangono solo cinque giorni di vita.

Che quel rapporto su mafia e appalti gli stia a cuore lo conferma il ricordo, in Commissione, dell’ex pm Antonio Di Pietro. È il 25 maggio 1992, il giorno dei funerali di Giovanni Falcone.

DI PIETRO, già magistrato. Borsellino è stato ucciso non solo e non tanto per quel che aveva fatto, che era già tanto, ma per quello che doveva fare. E quello che doveva fare me lo disse davanti alla bara di Falcone: «dobbiamo fare presto, dobbiamo fare subito perché non abbiamo tempo». Siccome quelle parole facevano seguito ad una serie di incontri che avevo avuto al Ministero proprio con Borsellino, anche alla presenza di Falcone, io le collegai direttamente a quell’indagine che stavo facendo e che lui, avendo letto il rapporto dei Ros, aveva ben chiara. DOMANI 15.11.2021


Estratto dall’audizione del dr Falcone in Commissione PARLAMENTARE antimafia, – giugno 90.

  • “FALCONE. Per quanto riguarda il problema dei pubblici appalti, abbiamo detto in più riprese e ormai da anni che è un punto cruciale nella strategia antimafia. Abbiamo sostenuto ciò e le prove e le indagini che adesso vengono, una dopo l’altra, a compimento e a maturazione ce lo confermano. Abbiamo la conferma di un sistema mafioso che, per quanto concerne i grandi appalti, ed anche nei piccoli centri per tutti gli appalti, ne gestisce in pieno l’esecuzione.
  • MANCINI. Sia per quanto riguarda le imprese private che le imprese a partecipazione statale?
  • FALCONE. Si. Nel secondo caso ancora di più. Abbiamo poi un problema di incidenza a monte e quindi nella fase di aggiudicazione degli appalti, ma soprattutto abbiamo un condizionamento mafioso nell’esecuzione degli appalti medesimi: sub-appalti, o forniture, eccetera. Allo stato, purtroppo o per fortuna (le cose accadono tutte in una volta), stanno venendo a maturazione in questo momento i risultati di indagini svolte in almeno un biennio dai carabinieri di Palermo, con encomiabile professionalità, e sta venendo fuori un quadro della situazione che non esiterei a definire preoccupante.
  • Possiamo ritenere abbastanza fondato che c’è almeno nella Sicilia occidentale una centrale unica di natura sicuramente mafiosa che dirige e l’assegnazione degli appalti e soprattutto l’esecuzione degli appalti medesimi, con inevitabili coinvolgimenti delle amministrazioni locali sia a livello di strutture burocratiche sia a livello di alcuni amministratori.
  • PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo ma volevo sapere ” centrale unica” a quale livello?
  • FALCONE. Mafiosa.
  • PRESIDENTE. Dal punto di vista geografico?
  • FALCONE. E’ sempre il vertice di Cosa Nostra.
  • PRESIDENTE. Nella Sicilia Occidentale? FALCONE. Sì. Non abbiamo difficoltà a dire che tutto fa capo a Salvatore Riina. Le indagini sono tuttora in corso e si vanno concludendo l’una dof o l’al tra. Il problema sarà quello di riuscire a gestire, nella cronica insufficienza di personale e di mezzi, con il nuovo codice di procedura penale questa enorme massa di procedimenti, ognuno dei quali richiederebbe il lavoro a tempo pieno di almeno due sostituti. “

14.7.2021 – MAFIA E APPALTI, IL VERBALE DI FALCONE DESECRETATO: “STA EMERGENDO UN QUADRO PREOCCUPANTE”Desecretata l’audizione del 1990 in Antimafia di Giovanno Falcone  che parla dell’omicidio Mattarella e rivela l’indagine in corso su mafia-appalti dei Ros, definiti “encomiabili professionisti” –  Giovanni Falcone, assieme a tutti gli altri colleghi della procura di Palermo, tra i quali l’allora capo Pietro Giammanco, viene sentito il 22 giugno del 1990 dalla commissione Antimafia nazionale venuta apposta a Palermo per ascoltarli. Si tratta del verbale appena desecretato grazie all’azione svolta da Nicola Morra, presidente della commissione nazionale Antimafia.

Mafia-appalti e omicidio Mattarella: i temi principali I temi principali sono l’omicidio Mattarella e il discorso mafia–appalti.  «Allo stato, purtroppo o per fortuna (le cose accadono tutte in una volta), stanno venendo a maturazione in questo momento i risultati di indagini svolte in almeno un biennio dai carabinieri di Palermo, con encomiabile professionalità, e sta venendo fuori un quadro della situazione che non esiterei a definire preoccupante».

Falcone era sempre informato dai Ros: indagini svolte con encomia È Falcone che parla, lo fa riferendosi all’indagine in corso da parte degli ex Ros Giuseppe De Donno e Mario Mori. Quello che poi scaturirà con il deposito del dossier nel febbraio del 1991.Nel corso delle indagini Falcone era perennemente informato dai Ros, tanto da dare qualche anticipazione alla Commissione. Come detto, le indagini erano ancora in corso. Falcone però ha detto innanzi alla Commissione Antimafia: «Possiamo ritenere abbastanza fondato che c’è almeno nella Sicilia occidentale una centrale unica di natura sicuramente mafiosa che dirige e l’assegnazione degli appalti e soprattutto l’esecuzione degli appalti medesimi, con inevitabili coinvolgimenti delle amministrazioni locali sia a livello di strutture burocratiche sia a livello di alcuni amministratori».

«Il problema dei pubblici appalti, abbiamo detto in più riprese e ormai da anni che è un punto cruciale nella strategia antimafia» A cosa fa capo tutta questa gestione? «Non abbiamo difficoltà a dire che tutto fa capo a Salvatore Riina», risponde Falcone.  Non può entrare nei dettagli, l’indagine dei Ros è delicata, ma il giudice tiene un punto fermo, ovvero che «il problema dei pubblici appalti, abbiamo detto in più riprese e ormai da anni che è un punto cruciale nella strategia antimafia». E sottolinea: «Abbiamo la conferma di un sistema mafioso che, per quanto concerne i grandi appalti, ed anche nei piccoli centri per tutti gli appalti, ne gestisce in pieno l’esecuzione».

Che cosa intendeva per centrale unica? Ma cosa intende per centrale unica? Sono le domande ripetute, sul tema, che i membri della commissione gli pongono. Falcone ci ha tenuto a sottolineare che non bisogna errare di semplificazione. «Ora, per evitare equivoci, vorrei chiarire che quando parlo di centrale unica non vorrei che venisse interpretata in maniera meccanicistica e semplice, se non semplicistica e riduttiva», spiega il giudice. «La realtà – prosegue Falcone -, purtroppo, è molto più articolata e complessa di quel che noi vorremmo, però, ormai è sicuro, c’è un vertice che dirige e coordina le assegnazioni e le esecuzioni, cioè tutta la materia».

Il comitato d’affari è regionale, ma le aggiudicazioni sono anche altrove Ma allora è una centrale al livello nazionale? Falcone spiega più chiaramente che il comitato d’affari è regionale, perché la mafia è territoriale. «Il presupposto dell’intervento dell’organizzazione mafiosa sta nel controllo del territorio», ribadisce. Ma aggiunge che le aggiudicazioni sono anche altrove. Su questo ultimo punto però mette un punto fermo: «Il problema sarà ampiamente chiarito, ma non posso farlo completamente in questo momento perché non credo sia opportuno». Quando il dossier viene depositato nel 1991, a quel punto Falcone ne ha parlato pubblicamente in un convegno e ha rivelato che la questione è di carattere nazionale visto il coinvolgimento di alcune importanti aziende del nord. Ritornando all’audizione del 1990, Falcone precisa che tale condizionamento mafioso coinvolge «qualsiasi imprenditore che operi in determinate zone, sia esso persona fisica, che cooperativa o ente a partecipazione statale».

Dopo l’audizione del 1990 i giornali locali ne parlano Dopo questa audizione, come testimonierà l’ex Ros Giuseppe De Donno nel processo Borsellino ter del 1998, escono le notizie sui giornali locali proprio su tutto quello che ha detto. «Era quello che volevo», disse Falcone a De Donno. Nel senso che Falcone avrebbe voluto anticipare la questione mafia appalti appositamente. In effetti diverse procure lo hanno in seguito contattato. Proprio per questo, quando il dossier viene depositato nel ’92, diverse procure ne hanno chiesto acquisizione. Compresa la procura di Marsala, in particolar modo da Paolo Borsellino. DA IL DUBBIO  di Damiano Aliprandi


14.7.2021 –  FALCONE, VERBALE DESECRETATO: MAFIA E APPALTI Sentito sempre dalla commissione antimafia, a Giovanni Falcone viene spesso domandato nel corso dell’audizione cosa intende per “centrale unica”. In merito il magistrato chiarisce che si trattava di qualcosa di molto complesso: “c’è un vertice che dirige e coordina le assegnazioni e le esecuzioni, cioè tutta la materia”. Quindi spiegò che il comitato d’affari è regionale, in quanto la mafia è territoriale ma che le aggiudicazioni sono anche altrove. Nel corso dell’audizione, Falcone chiarisce che il condizionamento mafioso coinvolge “qualsiasi imprenditore che operi in determinate zone, sia esso persona fisica, che cooperativa o ente a partecipazione statale”. Le sue dichiarazioni rese nel corso di quella audizione emersero poi sui giornali locali: “Era quello che volevo”, avrebbe commentato Falcone all’ex Ros Giuseppe De Donno. Da IL SUSSIDIARIO


 15.7.2021 Il verbale di Falcone desecretato. Permettetemi un Dubbio. Già, un Dubbio, poiché senza Damiano Aliprandi (Giornalista de “Il Dubbio”) che da tempo dopo aver scrupolosamente letto ogni atto relativo alle stragi di Capaci e via D’Amelio ne ha scritto andando contro i “vangeli”, pubblicando anche la richiesta da parte del coordinatore nazionale dei familiari delle vittime di mafia (Giuseppe Ciminnisi) dell’associazione “I Cittadini contro le mafie e la corruzione”, oggi non conosceremmo i contenuti  del verbale dell’audizione del giudice Falcone sentito il 22 giugno del 1990 in commissione antimafia, appena desecretato da Nicola Morra, presidente della commissione nazionale antimafia. “I temi principali – scrive oggi Aliprandi – sono l’omicidio Mattarella e il discorso mafia–appalti.  «Allo stato, purtroppo o per fortuna (le cose accadono tutte in una volta), stanno venendo a maturazione in questo momento i risultati di indagini svolte in almeno un biennio dai carabinieri di Palermo, con encomiabile professionalità, e sta venendo fuori un quadro della situazione che non esiterei a definire preoccupante».  Falcone era sempre informato dai Ros: indagini svolte con encomia  È Falcone che parla, lo fa riferendosi all’indagine in corso da parte degli ex Ros Giuseppe De Donno e Mario Mori. Quello che poi scaturirà con il deposito del dossier nel febbraio del 1991.Nel corso delle indagini Falcone era perennemente informato dai Ros, tanto da dare qualche anticipazione alla Commissione. Come detto, le indagini erano ancora in corso”. Falcone dunque contava molto sull’operato dei Ros, avendo compreso dell’esistenza di un’unica centrale mafiosa (almeno nella Sicilia occidentale) che dirigeva l’assegnazione e l’esecuzione degli appalti, “con inevitabili coinvolgimenti delle amministrazioni locali sia a livello di strutture burocratiche sia a livello di alcuni amministratori” precisando che “il comitato d’affari è regionale, ma le aggiudicazioni sono anche altrove”, riservandosi di chiarire questo aspetto in un secondo momento, visto che le indagini erano ancora in corso.

“Quando il dossier viene depositato nel 1991- scrive oggi Aliprandi – a quel punto Falcone ne ha parlato pubblicamente in un convegno e ha rivelato che la questione è di carattere nazionale visto il coinvolgimento di alcune importanti aziende del nord”.

In un simile contesto non poteva mancare la figura di Vito Ciancimino, rispetto al cui operato imprenditoriale ci sarebbe ancora tantissimo da dire, a partire dalla metanizzazione in Sicilia, ai suoi rapporti idiretti e indiretti con ambienti giudiziari, ai rapporti tra Vaselli e lo stesso Ciancimino nell’ambito dell’esecuzione di appalti affidati all’Azienda autonoma acquedotti e al comune di Palermo. Anche i quesiti posti dai componenti dell’allora commissione nazionale antimafia fanno riferimento agli appalti, come nel caso del senatore Calvi che cita un rapporto della Guardia di finanza del 27 gennaio 1988, dal quale emerge che nelle Giunte “guidate da Leoluca Orlando il sistema degli appalti sviluppatosi precedentemente continuava impunemente a perdurare; cioè, l’ombra di Ciancimino rimaneva”.

Da qualunque angolazione la si legga,  si arriva a mafia-appalti.  Interessanti inoltre le ipotesi sui delitti eccellenti, che avrebbero visto l’utilizzo da parte della mafia di soggetti esterni, come nel caso gli ex nar Valerio Fioravanti e Cavallini per l’omicidio Mattarella, che Falcone riconduce a una guerra tutta interna a “cosa nostra” senza altre teorie cospirazioniste, così care a noi italiani.  E adesso il dubbio, non la testata giornalistica, bensì i silenzi che da trent’anni hanno coperto uno dei periodi più bui della nostra storia: Devono ancora essere i pochissimi giornali (forse un paio) a interessarsi seriamente della genesi delle stragi; deve ancora essere una sola associazione a chiedere che vengano desecretati e resi noti atti che possono aiutare a fare chiarezza; oppure potremo contare su una presa di coscienza da parte di chi avrebbe avuto il Diritto/Dovere di intervenire, anziché fare da palcoscenico a falsi pentiti che hanno inquinato le indagini prima e dopo le stragi, e che ampio spazio hanno dato a teorie complottiste pro domo sua (e forse a copertura di chi quei depistaggi ha diretto per evitare di fare tremare i palazzi nei quali non è stata certamente amministrata la giustizia)?  Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI


28.4.2021 – Fiammetta Borsellino, ‘nella sentenza trattativa c’è una menzogna su mio padre  “Nella sentenza trattativa si dice una menzogna, una bugia. Si dice che mio padre fosse addirittura disinteressato al dossier ‘Mafia e appalti’ o che non lo conoscesse ma non è vero, perché lo conosceva benissimo”. E’ la denuncia di Fiammetta Borsellino, la figlia minore di Paolo Borsellino nello speciale Mafia di Enrico Mentana su La7. “La cosa grave è che il 14 luglio 1992 (cinque giorni prima della strage ndr) mio padre fece una riunione con i suoi sostituti in cui chiese come mai l’indagine di sua competenza non fosse confluita nel dossier Mafia e appalti”. (Adnkronos 28.4.2021)


 17.6.2021- ROBERTO SCARPINATO / STRAGI, I MANDANTI POLITICI  Audito in Commissione Antimafia Sicilia non parla del dossier Mafia e Appalti – Nell’agenda rossa di Paolo Borsellino, incredibilmente sparita, c’erano di sicuro le prove sui mandanti esterni delle stragi di Capaci e via D’Amelio. La prova che ‘menti raffinatissime’ hanno coordinato la strategia stragista, che il rapporto tra mafia e politica era diventato ormai organico e che spesso e volentieri la mafia era il braccio armato per eseguire copioni di stampo politico. E’ il senso delle fresche dichiarazioni rese dell’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, davanti alla commissione regionale antimafia che indaga sul depistaggio delle indagini per la strage di via D’Amelio, culminate con il taroccamento del ‘pentito’ Vincenzo Scarantino e oggi al centro del processo che vede come imputati tre poliziotti mentre le posizioni di due magistrati (Anna Maria Palma e Carmelo Petralia) che avevano per primi svolto le indagini sono state archiviate. Ecco alcune tra le più significative dichiarazioni di Scarpinato. 

  • “Non bastava uccidere Borsellino, si doveva far sparire l’agenda rossa, perché se fosse stata trovata sarebbe finito tutto, visto che dentro c’erano chiavi in grado di aprire scenari che colpivano i mandanti esterni”.
  • “La bomba la fanno esplodere i mafiosi, ma l’agenda la fanno sparire soggetti insospettabili che possono agire sfruttando la loro veste istituzionale. Nella borsa di Borsellino c’erano due agende. Una viene lasciata, l’altra sparisce. Si capisce che non è un’operazione protocollare dei Servizi”.
  • “Il capitano Arcangioli (Giovanni Arcangioli, indagato per la sparizione dell’agenda rossa ma subito prosciolto, ndr) prende la borsa dalla macchina di Borsellino e si allontana, poi torna indietro e la rimette nell’auto. La borsa a quel punto resta integra, nonostante un nuovo incendio si fosse sviluppato nell’abitacolo, solo perché un vigile spegne il fuoco”.

Poi Scarpinato parla di un’altra misteriosa sparizione, stavolta relativa ad alcuni documenti che Giovanni Falcone custodiva nel suo ufficio al ministero della Giustizia dove aveva iniziato a lavorare (guardasigilli, all’epoca, Claudio Martelli). Osserva l’ex procuratore generale di Palermo: “Dopo la strage di Capaci, nella stanza di Falcone entrano alcuni sconosciuti che accendono il pc del magistrato e guardano alcuni file. Dalla perizia fatta si vide che furono aperti solo i documenti relativi all’omicidio Mattarella e a Gladio”. Scarpinato rammenta un dialogo avuto con Falcone, nel corso del quale gli disse che “se avesse fatto il procuratore nazionale Antimafia avrebbe fatto cose che nessuno si aspettava grazie a nuove collaborazioni che stavano maturando”. Sulla decisione di anticipare la strage di via D’Amelio, Scarpinato la motiva con il fatto che Totò Riina “aveva preso accordi con soggetti esterni”. Osserva ancora: “Negli omicidi Dalla Chiesa, La Torre e Mattarella la mafia è il braccio armato di altri che hanno usato la causale mafiosa per occultare causali politiche che se svelate avrebbero destabilizzato il sistema”. “Borsellino venne travolto dal grande gioco, ma quello che mi angoscia è ciò che continua ad accadere e che mi fa pensare che la storia continui ancora”. Entrando ancor più nel vivo, Scarpinato sottolinea che “Paolo Borsellino forse aveva capito che c’erano dei pezzi esterni a Cosa Nostra invischiati nella strage di Capaci. Lui capisce che sarà la mafia a ucciderlo, ma che al contempo ci sono entità superiori che lo decideranno prima. Borsellino è inquieto, sua moglie ricorda che aveva dei conati di vomito. Acquisisce altre notizie con cui capisce che c’era un continuo colloquio tra mafia e parti infedeli dello Stato”.“Prima della strage di via D’Amelio c’è la morte di Vincenzo Milazzo, che evidenzia la costante presenza di soggetti appartenenti a settori deviati in tutta la stagione stragista. Sono soggetti che portano interessi convergenti all’organizzazione. Ma nella strage di via D’Amelio questi interessi sembrano addirittura sovrapporsi a quelli mafiosi. Riina dice che non può aspettare 19 giorni e che la strage va eseguita prima. Riina non dà spiegazioni che siano coerenti con gli interessi di Cosa Nostra, taglia corto e dice di assumersi la responsabilità. Viene ritenuto pazzo dai suoi, ma la verità è che aveva preso un impegno con soggetti esterni e stava sacrificando gli interessi della sua organizzazione. Ma la vera domanda è: cosa poteva fare Borsellino in 19 giorni di così pericoloso tanto da far sacrificare a Riina gli interessi di Cosa Nostra?”.La strage di via D’Amelio – secondo Scarpinato – “continua ad essere un affare di Stato, un war games. La storia di via D’Amelio non è finita, è ancora tra noi, il depistaggio continua, anche mettendo in giro falsità. La sparizione dell’agenda rossa è stato il colpo da maestro che dimostra che c’è un apparato che si muove. Il depistaggio parte da là. E ciò che è avvenuto e continua ad avvenire sono i silenzi”. Una solo domanda. Come mai, nella sua lunga ricostruzione, Scarpinato – a quanto pare – non ha fatto alcun cenno ad una delle piste più credibili come movente per le stragi, quella “Mafia-Appalti” sempre indicata, per fare un solo nome, da Fiammetta Borsellino, l’indomita figlia di Paolo che continua a puntare l’indice contro i magistrati incaricati delle indagini durate tanti anni e che hanno portato al processo farsa costato 16 anni di condanna a degli innocenti? E come mai nessun componente della commissione Antimafia regionale ha pensato bene di chiedere qualcosa in proposito a Scarpinato? Giugno 2021 di: PAOLO SPIGA – voci delle voci