MAFIA: usura nel comasco

 

 

Appello del Comandante della Guardia di Finanza:  in provincia di Como l’usura rappresenta una piaga molta estesa. Troppa l’omertà da parte di  imprenditori e professionisti vittime degli strozzini.

 

Brescia e Como, usura con tassi al 280% ed estorsione: tre ai domiciliari

 

Sono tre gli indagati per usura ed estorsione in provincia di Brescia e Como. Tassi usurari fino al 280%

 

Tre persone sono finite ai domiciliari perche’ avrebbero prestato denaro in cambio di interessi usurari che in alcuni casi arrivavano anche al 280% a persone in difficolta’ economiche. La notifica del provvedimento cautelare per il reato di usura e’ stata effettuata dai carabinieri di Chiari nelle province di Brescia e Como

Non solo accusa di usura: indagati anche per estorsione

Le presunte vittime dei tre indagati finiti agli arresti domiciliari per usura nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Brescia erano persone che si ‘rovinavano’ scommettendo sul calcio. Non calciatori ma, a quanto apprende l‘AGI, appassionati del gioco con al centro competizioni sportive che accumulavano debiti e sarebbero stati poi ‘indotti’ a restituire i prestiti con tassi usurari fino al 280%. Di qui anche l’accusa di estorsione, oltre a quella di usura, contestata ai tre arrestati. Nell’inchiesta ci sono anche altri indagati con posizioni ritenute marginali. Ott.2023




CHI VUOL ESSERE MILIONARIO”  operazione della Guardia di Finanza   che vede coinvolti strozzini, imprenditori e professionisti comaschi



Appello del Comandante della Guardia di Finanza:  in provincia di Como l’usura rappresenta una piaga molta estesa e in aumento anche a causa dei problemi finanziari causati dalla  pandemia.  Troppa l’omertà da parte di  imprenditori e professionisti vittime degli strozzini. Le indagini  proseguono  perchè la piaga e la platea coinvolta sarebbe molto ampia.

Reato pericoloso, poche denunce – Il colonnello Coppola: «Fatevi avanti»  «Non è possibile che non ci siano segnalazioni. La guardia di finanza, così come le altre forze dell’ordine, sono sempre presenti, qui per ascoltare tutti. Ma ognuno deve fare la sua parte». Lo ha detto ieri il comandante provinciale della Guardia di Finanza, il colonnello Giuseppe Coppola, riprendendo un concetto già espresso sia dal procuratore sia dal pm Pasquale Addesso, titolare del fascicolo di indagine. «Anche in questa circostanza – hanno spiegato gli inquirenti – latitano le denunce delle vittime che solo perché convocate dalla guardia di finanza come persone informate sui fatti, si sono presentata al pm rendendo dichiarazioni spesso riduttive sui loro rapporto con gli indagati e sulle responsabilità penali degli stessi». In un caso, a fare da tramite tra chi prestava denaro e il commercialista De Benedetto, sarebbe stato addirittura il compagno di una delle vittime del giro, prestandosi addirittura a ritirare somme da restituire. L’appello, specie in una fase delicata come l’attuale, è quello di denunciare, sempre. LA PROVINCIA 10.11.2020


Gli arresti per usura: «Abbiamo incontrato solo reticenze, chiediamo alle vittime di denunciare» «Questo che stiamo vivendo è un momento molto delicato. I riflessi sull’economia sono devastanti e da più parti si parla di problemi di usura e di infiltrazioni. Tutti dobbiamo fare la nostra parte. Dico ai cittadini che le nostre porte sono aperte e anche quelle della Procura. Non è possibile che non ci giungano segnalazioni». Il colonnello della guardia di finanza, il comandante provinciale, Giuseppe Coppola, e il tenente colonnello Samuel Bolis, hanno spronato la cittadinanza a raccontare i soprusi. Nell’inchiesta infatti, c’è stata «una carenza di denunce», ha aggiunto il procuratore Nicola Piacente. «Anche quando li abbiamo chiamati da noi, hanno cercato di sminuire e ridimensionare gli accordi di strozzinaggio». Il procuratore ha lanciato un’idea, «un osservatorio con Camera di Commercio, banche, Prefettura per monitorare le situazioni di difficoltà economica e individuare vittime che rischiano di finire nel mirino degli usurai». «La reticenza è un favoreggiamento – ha concluso il pm Pasquale Addesso – ma è anche una prospettiva miope, limitata nel tempo, che arricchisce gli usurai e aumenta lo stato di bisogno delle vittime». CORRIERE DI COMO 10.11.2020


comunicato del Comando Provinciale Guardia di Finanza Como Usura, estorsione ed esercizio abusivo dell’attività bancaria – tre arresti    9 novembre 2020 La Procura della Repubblica di Como, in data odierna, ha diramato un comunicato stampa relativo ad un’operazione effettuata dal dipendente Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Como. Il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Como, nell’ambito di una indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Como, ha dato esecuzione ad una Ordinanza di applicazione di misure coercitive emessa dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti di 3 indagati:

  • due destinatari della misura cautelare in carcere: un dipendente (soggetto nr. 1) di una società cooperativa a mutualità prevalente, già in servizio presso l’infrastruttura ferroviaria di Como- Ponte Chiasso e un pensionato (soggetto nr. 2) – entrambi con precedenti per reati contro il patrimonio;
  • altro pensionato (soggetto nr. 3) – destinatario della misura cautelare degli arresti domiciliari.

I tre sono accusati (non in concorso tra loro) di usura ai danni di XXXXXX, avendogli prestato, in un arco temporale di almeno quattro anni, somme di denaro e pretendendo tassi di interesse annui oscillanti tra 80% e 600%,approfittando delle difficoltà del XXXXXX nel periodo in cui questi era fortemente indebitato nei confronti dell’erario e stava affrontando lo stato di decozione in cui versavano le imprese a lui riconducibili, dai cui conti correnti sono stati in buona parte prelevati i capitali utilizzati per ripianare i debiti usurari o emessi gli assegni consegnati in garanzia ai tre indagati a fronte degli importi prestati.

Infatti, nel periodo compreso tra il 2015 e il 2019, il (soggetto nr. 3) concedeva a XXXXXX prestiti per un importo complessivo di 400.000 euro ottenendo la restituzione di 600.000 euro, comprensivi di interessi sino al 50% su base mensile (equivalenti al tasso annuale del 600%) corrisposti anche tramite emissione di assegni tratti sui conti correnti delle società gestite dal XXXXXX. A fronte di prestiti periodici di 10.000 euro, l’indagato richiedeva la restituzione di 15.000 euro dopo un mese. A fronte di tali prestiti, costringeva altresì XXXXXX (rendendosi quindi responsabile anche dei reati di estorsione ed agevolazione della permanenza illegale in Italia di una cittadina extracomunitaria):

  • ad assumere, fittiziamente, presso la società A(da luglio 2016 a dicembre 2018) e la società B, una cittadina nigeriana (al fine di permetterle di ottenere il permesso di soggiorno in Italia) e
  • a corrisponderle, sotto forma di retribuzione– senza che questa svolgesse alcuna attività (al fine di occultare la natura usuraria degli obblighi imposti al XXXXXX) – un importo non inferiore a 58.238,50 euro, versati su conti correnti intestati alla donna, ma sui quali risultava delegato ad operare il soggetto nr. 3.

Il soggetto nr. 1 è accusato di avere prestato a XXXXXX, nel periodo compreso tra il 2016 e il 2019, una somma complessiva di 300.000 euro ottenendo la restituzione di 500.000 euro, comprensiva di interessi sino al 20% su base mensile (equivalente al tasso annuale del 240%), con le seguenti modalità: a fronte di prestiti di 5.000 euro richiedeva la restituzione di 7.000 euro dopo due mesi.

Soggetto nr. 2 è accusato di avere prestato a XXXXXX, tra il 2016 e il 2018, un importo complessivo di 150.000 euro ottenendo la restituzione di 230.000 euro, comprensivi di interessi pari al 6,67% su base mensile (pari al tasso annuale dell’80%). “Le prestazioni usurarie imposte a XXXXXX venivano perfezionate attraverso il rilascio di assegni post datati in garanzia, impegni personali rilasciati da parte di un terzo soggetto e pagamenti in contanti”.

Soggetto 2 è altresì accusato di una serie di episodi di usura caratterizzati dall’applicazione di tassi di interesse annui individuati del 13,7%, del 20% e del 23% ai danni di altri tre debitori (tra questi la titolare della gestione di una casa vacanze). In due casi, i prestiti sono stati garantiti dai debitori rispettivamente:

  • con la concessione di un’ipoteca volontaria su di un immobile a Nesso per un valore di 60.000 euro, con l’impegno alla restituzione in 120 rate da 500 euro ciascuna a fronte di un prestito di circa 26.000 euro,
  • con la concessione di un’ipoteca volontaria di 100.000 euro – a fronte di un prestito di pari importo – iscritta su di un’abitazione di Como successivamente trasferita dall’usurato in favore di una delle figlie del soggetto 2 in data 16.04.2012 in base ad una vendita simulata per un corrispettivo di 173.000 euro (mai versato in quanto l’assegno bancario emesso dall’acquirente è risultato non negoziato ed annullato per distruzione).

Nel terzo caso, a fronte di un prestito di 60.000 euro, il soggetto nr. 2 otteneva dal debitore il trasferimento in favore di una delle proprie figlie del diritto di proprietà di un immobile a Capiago Intimiano del valore di 152.900, simulando il pagamento della differenza, pari a 92.900 euro, con l’emissione di un assegno bancario mai incassato. Stipulava, altresì, con il debitore, un accordo di riacquisto dell’immobile, nel termine di 5 anni, mediante versamento di 60 rate mensili da 400 euro ciascuna e di una rata finale di 128.600 euro. Soggetto nr. 1 è altresì accusato di usura ai danni dell’amministratore unico della società nr. 3. e del compagno di questa per avere preteso, a fronte di un prestito di 80.000 euro, interessi pari a oltre il 19% annuo ed in particolare:

  • l’indagato si faceva trasferire dai debitori, titolari di un bar, il diritto di proprietà di un immobile ad Argegno, per un corrispettivo di 153.000 euro, concordando con i predetti il successivo riacquisto per il corrispettivo di 265.000 euro;
  • il medesimo immobile era contestualmente concesso in locazione a soggetti giuridici riconducibili ai venditori per un canone mensile di 1.200 euro versato per 65 mensilità;
  • in data 10.06.2016, la società nr. 3. riacquistava il predetto immobile per un corrispettivo di 265.000 euro.

Si è accertato che altre situazioni debitorie sono state ripianate con la cessione di immobili siti in varie località (Inverigo, Alzate Brianza, Cadorago) ma per queste non si è raggiunta la prova della applicazione di tassi usurari. A fronte dei plurimi episodi di usura contestati e di ulteriori prestiti accertati (per i quali non si è raggiunta la prova della sussistenza di interessi usurari), soggetto nr. 2 e soggetto nr. 1 sono accusati, ai sensi dell’art. 132 del T.U. bancario, di avere abusivamente esercitato, a partire dal 2012, una attività finanziaria. L’indagine ha avuto inizio a seguito dell’arresto, nell’ottobre 2019, di XXXXXX per reati di bancarotta. Questi, oltre a rendere confessione, riferiva, tra l’altro, di essere stato vittima di usura, tra il 2014 ed il 2019, ad opera dei tre indagati, tutti presentatigli dal compagno di una delle vittime di usura del soggetto nr. 2. Le dichiarazioni del XXXXXX risultano riscontrate dall’attività di intercettazione ed appostamento da parte della Guardia di Finanza, che ha permesso:

  • di individuare gli episodi di usura ed abusivo esercizio dell’attività finanziaria contestati a carico degli arrestati,
  • di verificare i luoghi in cui l’attività usuraria è stata esercitata (quanto al soggetto nr. 2 presso un immobile in via Volta a Como, gestito dalla moglie dell’indagato, adibito a “commercio mobili antichi”),
  • di accertare che l’attività di usura è proseguita anche nel periodo di piena emergenza da COVID 19.

Per il solo XXXXXX, i prestiti ammontano a 1.000.000 di euro. L’impegno alla restituzione ha riguardato 1.600.000 euro. Almeno 10 sono le persone, oltre a XXXXXX, che sono state indotte a rivolgersi agli indagati per ottenere prestiti (e grazie alle rispettive dichiarazioni rese da alcuni di queste si è ricostruito il complesso contesto criminale in cui questi hanno operato). Per soggetto nr. 1, il profitto dell’attività usuraria accertato è pari a 390.000 europer soggetto nr. 3 è pari a 200.000 euro, per soggetto nr. 2 è pari a 258.000 euro circa. A parte le dichiarazioni rese da XXXXXX (che, come già detto, ha deciso di rivelare il sistema di strozzinaggio di cui era vittima dopo essere stato arrestato per reati di bancarotta), il sistema usurario e di illecita attività finanziaria è stato ricostruito grazie alle meticolose indagini svolte dalla Guardia di Finanza. Latitano anche in questa circostanza, le denunce delle vittime che – solo perché convocate quali persone informate sui fatti – si sono presentate dinanzi al P.M. ed alla Guardia di Finanza ma hanno reso dichiarazioni (spesso riduttive) in ordine ai rapporti economici intrattenuti con gli indagati e quanto alle effettive responsabilità penali di questi, così come emerse a seguito delle intercettazioni e della documentazione acquisita. Il compagno di una delle vittime, lo stesso che ha presentato XXXXXX ai tre indagati, si è prestato, per conto del soggetto nr. 1, a ritirare somme che il XXXXXX doveva restituire ed ha persino avvertito soggetto nr. 2 delle indagini a suo carico.


Como, applicavano tassi di interesse fino al 600% all’anno: 3 arresti per usura Avevano prestato fino a 1 milione di euro complessivi a un imprenditore con tassi di interessi che arrivavano tra l’80 e il 600% all’anno nel periodo tra il 2015 e il 2019. La Guardia di finanza di Como ha eseguito tre ordinanze di custodia cautelare, due in carcere, nei confronti di tre uomini. Le accuse sono di usura, estorsione ed esercizio abusivo dell’attività bancaria. La vittima, Bruno De Benedetti, era fortemente indebitata nei confronti dell’erario e stava affrontando lo stato di decozione in cui versavano le imprese a lui riconducibili. L’indagine ha avuto inizio a seguito dell’arresto, nell’ottobre 2019, di De Benedetto per reati di bancarotta.(LaPresse 9.11.2020)


COMO, ARRESTATI TRE USURAI: APPLICAVANO TASSI ANNUI FINO AL 600%  Indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla Procura lariana Un presunto giro di usura è stato scoperto e fermato dagli uomini della del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Como, nell’ambito di una indagine coordinata dal pm Pasquale Addesso partita con l’arresto per turbativa d’asta del commercialista comasco Bruno De Benedetto il quale ha raccontato di essere stato vittima per anni di tre distinti usurai. Si tratta di due pensionati e di un dipendente di una società cooperativa a mutualità prevalente, tutti indagati e arrestati nelle ultime ore.


Nel dettaglio sono G. G., pensionato di 82 anni, agli arresti domiciliari; G. P., pensionato di 74 anni agli arresti in carcere; P. B., 59enne, dipendente di una società cooperativa a mutualità prevalente, già in servizio presso l’infrastruttura ferroviaria di Como-Ponte Chiasso.

I tre sono accusati (non in concorso tra loro) di usura ai danni di Bruno De Benedetto, avendogli prestato, in un arco temporale di almeno quattro anni, somme di denaro e pretendendo tassi di interesse annui oscillanti tra 80% e 600%, approfittando delle difficoltà di De Benedetto nel periodo in cui questi era fortemente indebitato nei confronti dell’erario e le imprese a lui riconducibili (“HOUDINI S.R.L.”, “KRUSTY S.R.L.”, “CHOPS S.R.L.” e “VILLA OLMO LAGO S.R.L.”) erano fortemente in difficoltà. Proprio dai conti correnti di quelle società sono stati in buona parte prelevati i capitali utilizzati per ripianare i debiti usurari o emessi gli assegni consegnati in garanzia ai tre indagati a fronte degli importi prestati. Infatti, nel periodo compreso tra il 2015 e il 2019, il G. G. aveva concesso a De Benedetto prestiti per un importo complessivo di 400mila euro ottenendo la restituzione di 600mila euro, comprensivi di interessi sino al 50% su base mensile (equivalenti al tasso annuale del 600%). A fronte di prestiti periodici di 10mila euro, l’indagato richiedeva la restituzione di 15mila euro dopo un mese. A fronte di tali prestiti, aveva costretto altresì De Benedetto (rendendosi quindi responsabile anche dei reati di estorsione ed agevolazione della permanenza illegale in Italia di una cittadina extracomunitaria)  ad assumere, fittiziamente, presso la “KRUSTY s.r.l.” (da luglio 2016 a dicembre 2018) e la “AVENUE HOTEL s.r.l., una cittadina nigeriana (al fine di permetterle di ottenere il permesso di soggiorno in Italia) e  a corrisponderle, sotto forma di retribuzione – senza che questa svolgesse alcuna attività (al fine di occultare la natura usuraria degli obblighi imposti al De Benedetto) – un importo non inferiore a 58.238 euro, versati su conti correnti intestati alla donna, ma sui quali risultava delegato ad operare il Gregorio.

  1. B. è accusato di avere prestato a De Benedetto, nel periodo compreso tra il 2016 e il 2019, una somma complessiva di 300mila euro ottenendo la restituzione di 500mila euro,comprensiva di interessi sino al 20% su base mensile (equivalente al tasso annuale del 240%), con le seguenti modalità: a fronte di prestiti di 5mila euro richiedeva la restituzione di 7mila euro dopo due mesi.
  2. P. è accusato di avere prestato, tra il 2016 e il 2018, un importo complessivo di 150mila euro ottenendo la restituzione di 230mila euro, comprensivi di interessi pari al 6,67%su base mensile (pari al tasso annuale dell’80%). G. P. è anche accusato di una serie di episodi di usura caratterizzati dall’applicazione di tassi di interesse annui individuati del 13,7%, del 20%, del 23% ai danni di altri tre debitori (tra questi la titolare della gestione di una casa vacanze). In due casi, i prestiti sono stati garantiti dai debitori rispettivamente con la concessione di un’ipoteca volontaria su di un immobile a Nessoper un valore di 60mila euro, con l’impegno alla restituzione in 120 rate da 500 euro ciascuna a fronte di un prestito di circa 26mila euro, con la concessione di un’ipoteca volontaria di 100mila euro – a fronte di un prestito di pari importo – iscritta su di un’abitazione di Como successivamente trasferita dall’usurato in favore di una delle figlie di G. P. in data nell’aprile 2012 in base ad una vendita simulata per un corrispettivo di 173mila euro (mai versato in quanto l’assegno bancario emesso dall’acquirente è risultato non negoziato ed annullato per distruzione).
    Nel terzo caso, a fronte di un prestito di 60mila euro, G. P. ha ottenuto dal debitore il trasferimento in favore di una delle proprie figlie del diritto di proprietà di un immobile a Capiago Intimiano del valore di 152.900 euro, simulando il pagamento della differenza, pari a 92.900 euro, con l’emissione di un assegno bancario mai incassato. Ha stipulato inoltre con il debitore un accordo di riacquisto dell’immobile, nel termine di 5 anni, mediante versamento di 60 rate mensili da 400 euro ciascuna e di una rata finale di 128.600 euro. Per il solo De Benedetto, i prestiti ammontano a 1 milione di euro. L’impegno alla restituzione ha riguardato 1,6 milioni di euro. Almeno 10 sono le persone, oltre a De Benedetto, che sono state indotte a rivolgersi agli indagati per ottenere prestiti (e grazie alle rispettive dichiarazioni rese da alcuni di queste si è ricostruito il complesso contesto criminale in cui questi hanno operato).Per P. B. il profitto dell’attività usuraria accertato è pari a 390mila euro, per G. G. è pari a 200mila euro, per G. P. è pari a 258mila euro circa. È inoltre in corso un’articolata attività di perquisizione, nel corso della quale è stata sequestrata una pistola con matricola abrasa nei confronti di G. G. e documentazione contabile varia. 09 novembre 2020 QUI COMO

 

GLI USURAI FANNO AFFARI COL COVID  Blitz della finanza: tre arresti – Accusati di usura ed estorsione  Scattata all’alba un’operazione coordinata dalla Procura di Como Usura, estorsione ed esercizio abusivo dell’attività bancaria: con questi reati tre comaschi sono stati arrestati questa mattina dalla Guardia di finanza di Como. L’operazione, denominata “chi vuole essere milionario”, è scattata all’alba di questa mattina. Dei tre arrestati due sono stati portati in carcere, un terzo è ai domiciliari. I finanzieri stanno anche eseguendo 14 perquisizioni nell’ambito dell’operazione. Gli usurai arrestati – uno, in particolare, era già finito in cella in passato sempre per usura – avrebbero approfittato dello stato di necessità di “clienti” in crisi a causa del Covid. In mattinata il procuratore di Como terrà una conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’inchiesta. LA PROVINCIA 9.11.2020

GDF: poche denunce «Non è possibile che non ci siano segnalazioni. La guardia di finanza, così come le altre forze dell’ordine, sono sempre presenti, qui per ascoltare tutti. Ma ognuno deve fare la sua parte». Lo ha detto ieri il comandante provinciale della Guardia di finanza, il colonnello Giuseppe Coppola, riprendendo un concetto già espresso sia dal procuratore sia dal pm Pasquale Addesso, titolare del fascicolo di indagine. «Anche in questa circostanza – hanno spiegato gli inquirenti – latitano le denunce delle vittime che solo perché convocate dalla guardia di finanza come persone informate sui fatti, si sono presentata al pm rendendo dichiarazioni spesso riduttive sui loro rapporto con gli indagati e sulle responsabilità penali degli stessi». In un caso, a fare da tramite tra chi prestava denaro e il commercialista De Benedetto, sarebbe stato addirittura il compagno di una delle vittime del giro, prestandosi addirittura a ritirare somme da restituire. L’appello, specie in una fase delicata come l’attuale, è quello di denunciare, sempre.

SOLDI AGLI IMPRENDITORI   L’indagine Tassi fino al 600% su base annua e ipoteche sugli immobili In manette finiscono due comaschi e un pensionato residente a Laglio Con l’accusa di avere prestato denaro a tassi usurari, con interessi che oscillavano tra il 50% su base mensile e il 600% su base annua, militari del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza hanno arrestato ieri mattina tre persone, destinatarie di una ordinanza di custodia cautelare chiesta e ottenuta dalla Procura della Repubblica di Como. Al Bassone sono finiti Paolo Barrasso, 58 anni, origini foggiane ma residente in città, dipendente di una società cooperativa a mutualità prevalente, e Gabro Panfili, 74 anni, ex dipendente Aci, pensionato, milanese di nascita ma residente a Laglio (e già al centro di una analoga vicenda di usura nel 2012), mentre agli arresti domiciliari è finito Giovanni Gregorio, 82 anni, originario di Lezzeno ma residente lui pure in centro città (con un domicilio a Bellagio). L’indagine – coordinata dal pm Pasquale Addesso – verte su una attività finanziaria abusiva che interesserebbe in tutto 13 tra imprenditori e professionisti accomunati dalla medesima crisi di liquidità e dalla scelta di rivolgersi a fonti di approvvigionamento esterne al circuito bancario.

Il ruolo di De Benedetto  In particolare, i tre sono accusati di avere prestato denaro a Bruno De Benedetto, il commercialista di Como con studio in via Giulini che a ottobre dell’anno scorso finì in carcere nell’ambito della indagine sulle finte coop e sul crac del bistrot “Pane e tulipani”. De Benedetto – che in seguito a quella vicenda patì una condanna a un anno e dieci mesi – si sarebbe fatto prestare da Gregorio la bella somma di 400mila euro tra il 2015 e il 2019, soldi che in fase di restituzione divennero 600mila in virtù – dice la Procura – di interessi fino al 50% su base mensile e fino al 600% su base annua. I soldi sarebbero stati restituiti anche tramite assegni tratti dai conti correnti delle società che De Benedetto gestiva, come nel caso della Houdini srl, della Chops o ancora della Villa Olmo lago (quelle con cui il commercialista aveva fatto funzionare le sue attività, a partire dal ristorante del lido di Villa Olmo). Di fatto pare che Gregorio gli desse 10mila euro al mese pretendendone 15mila il mese successivo.

Non solo: ha ricostruito la Guardia di finanza che sempre Gregorio impose al professionista comasco l’assunzione di una donna di nazionalità nigeriana per farle ottenere il permesso di soggiorno, corrispondendole oltre 52mila euro a titolo di retribuzione, soldi che finivano dritti su conti di Gregorio. Non bastasse, De Benedetto finì anche per dover restituire mezzo milione a Barrasso, il quale, tra il 2016 e il 2019, gliene aveva prestati 300mila. In questo caso il piano di rientro fu più “morbido”: 5mila euro prestati oggi significavano 7mila restituiti tra un mese (tasso mensile del 20%, annuale del 240%). E ancora: Gabro Panfili, imprenditore implicato in una vicenda analoga nel 2012 che a quanto pare gestiva la sua attività “bancaria” dall’ufficio della moglie, in via Volta, in uno spazio adibito a “commercio di mobili antichi”, Gabro Panfili diede a De Benedetto 150mila euro, ottenendone indietro 230 (6,67% su base mensile, 80% su base annua).

Il “sistema” degli immobili Panfili e Barrasso la procura contesta però anche altri episodi, come nel caso dell’iscrizione di alcune ipoteche volontarie su diversi immobili di alcuni “clienti” – nel caso di Panfili si parla di appartamenti a Nesso e a Capiago Intimiano – che finivano poi per essere trasferiti nel patrimonio di famiglia dell’indagato. Stesso sistema avrebbe adottato Barrasso con un immobile ad Argegno, venduto e riacquistato dai precedenti proprietari per 265mila euro, a fronte di un prestito di 153mila. Situazioni analoghe Procura e guardia di finanza hanno focalizzato nei Comuni di Inverigo, Alzate Brianza, Cadorago, anche se non in tutte le circostanze è stato possibile raggiungere la prova della applicazione di tassi realmente usurari.Nel complesso, De Benedetto ricevette in prestito un milione di euro e ne restituì un milione e 600mila euro.

COSTRETTI A SVENDERE CASA AGLI AGUZZINI  E per fortuna che per oltre dieci anni avevano lavorato assieme, nello stesso ufficio. Altrimenti chissà cosa avrebbe preteso, oltre alla casa di proprietà, per rientrare dai debiti contratti con “l’amico” Gabro Panfili. Gli investigatori del nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza sono convinti di aver scoperto un metodo inedito ideato per tentare di nascondere i profitti usurai: la compravendita di immobili. È il caso dell’ex collega di Panfili, che per far fronte a un mutuo immobiliare eccessivamente esoso si è rivolto all’uomo di Laglio con “studio” in centro storico in via Volta – nel negozio di mobili antichi della moglie – per ottenere prestiti. Nel 2010, tra capitale e interessi, aveva raggiunto un debito superiore ai 92mila euro. Da qui la vendita della casa di proprietà alla figlia di Panfili, per un valore di 152mila euro. I 60mila euro extra sono andati a pagare un altro debito dell’ex collega. Che, in cambio, ha ottenuto di restare ad abitare nella sua abitazione in cambio di un affitto di 400 euro al mese. È andata sicuramente peggio a padre e figlio, residenti in città. Il primo ha accumulato debiti per 85mila euro con Panfili alla fine del 2011 e, per garantire quel debito, l’ex funzionario Aci si era fatto iscrivere un’ipoteca da ben 100mila euro. Quindi, non riuscendo a far fronte alla difficoltà, aveva deciso di vendergli la casa per una cifra pari a 173mila euro. Ma la differenza tra il debito accumulato e il valore della vendita l’uomo non l’ha mai vista: «Io l’ho chiesta, ma mi ha risposto che mi avrebbe consegnato la differenza solo quando avessi lasciato la casa». Bontà sua, Panfili ha deciso che l’uomo potesse rimanere ad abitare senza pagare l’affitto, ma il figlio che vive con lui la locazione la deve pagare: 330 euro al mese.Intricata e non bellissima neppure l’esperienza di una famiglia di ristoratori di Argegno, finiti a chiede soldi a Paolo Barrasso. Nel 2011 hanno venduto il bar di proprietà per 153mila euro per restituire 80mila euro di prestito, sono rimasti nel locale pagando 1200 euro al mese e cinque anni più tardi se lo sono ricomprati per un valore di 265mila euro, una differenza di prezzo – sostiene l’accusa – assolutamente fuori mercato, e legata (dicono gli inquirenti) all’esigenza di camuffare il prestito a tassi d’usura.  Paolo Moretti La Provincia 


ADDETTA ALLE PULIZIA PER FINTA L’amica straniera di Giovanni Gregorio nell’hotel di Bruno De Benedetto non ci ha mai messo piede. Eppure per quattro anni sarebbe stata una dipendente di due società del ragioniere comasco, da cui l’inchiesta sfociata ieri in tre arresti è nata. Di più: lo stesso De Benedetto ha riferito di aver visto quella donna pochissime volte in tutta la sua vita: il giorno della stipula del contratto e quello della consegna delle certificazioni per la dichiarazione dei redditi. Secondo gli inquirenti quell’assunzione, del tutto fittizia, sarebbe stata letteralmente estorta da Giovanni Gregorio. Il quale da un lato voleva fare un favore all’amica, consentendole di trovare un lavoro per rimediare un permesso di soggiorno – da qui, a suo carico, anche l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – e dall’altro voleva trovare un ulteriore modo per ottenere la restituzione degli interessi usurai camuffati da regolari stipendi. Stipendi che finivano sul conto della donna il tempo per essere poi prelevati in contanti il giorno stesso.

Un pensionato. L’altro ex funzionario dell’Automobile Club. Il terzo, dipendente di una cooperativa, lavora alla stazione ferroviaria di Chiasso. A guardare superficialmente il curriculum dei tre arrestati per usura, si potrebbe pensare che abbiano tutto tranne che il “phisique du role” degli strozzini. E, invece, stando a finanzieri e Procura ci troveremmo di fronte a tre usurai professionisti, attivi nell’attività di prestasoldi in cambio di tassi da paura da almeno un decennio, qualcuno – vedi Panfili – addirittura da un ventennio e forse più. Indubbiamente il personaggio di maggior rilievo dell’inchiesta è propri Gabro Panfili, già accusato e condannato (ha patteggiato la pena) per usura una decina di anni fa. Ma quella vicenda, ad eccezione di qualche titolo di giornale, finì per lui quasi in modo indolore. Infatti nessuno pensò, all’epoca, di aggredire il patrimonio accumulato con l’attività di prestasoldi. Ci provò la Procura anni dopo, ma senza successo. E così Panfili, che fu un funzionario di spicco dell’Aci di Como tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, ha potuto conservare intatto il proprio patrimonio per poterlo riproporre a nuovi clienti. Paolo Barrasso, invece, lavora tuttora alla stazione di Chiasso in una società cooperativa. Infine il terzo, Giovanni Gregorio (ha compiuto 82 anni il mese scorso) è ovviamente pensionato. E, per via dell’età, da marzo si è molto ritirato a “vita privata”, costretto a ridurre i propri affari per evitare di prendere il Covid. Anche per questo, ieri mattina, ha ottenuto i domiciliari ed evitato l’arresto.

RECIDIVO L’altra condanna Gabro Panfili, 74 anni, ragioniere originario di Laglio ed ex dipendente Aci in pensione, non è nuovo a contestazioni di questo genere. Già nel 2013 – in quella occasione insieme con la moglie – aveva patteggiato una condanna a a un anno e sei mesi con l’accusa di avere prestato denaro a tassi superiori alla soglia del 22%, quell che al tempo marcava il confine tra un tasso semplicemente “alto” e un tasso da “strozzino”. All’epoca la Procura appurò che tra i suoi clienti comparivano piccoli artigiani, imprenditori sull’orlo del fallimento, ma anche impiegati. Apparve paradossale, alle forze dell’ordine, il fatto che nonostante i tassi applicati, tutti i suoi clienti avessero con lui un rapporto ottimo e cordialissimo, e questo nonostante gli inquirenti avessero scoperto che in tre circostanze almeno i clienti si erano visti costretti a cedergli la titolarità delle proprie dimore, nelle quali Panfili concedeva loro di poter continuare ad abitare. Non solo: nel 2011 nella sua casa di Laglio erano state trovate opere d’arte risultato provento di furti in villa. Quella vicenda, però, finì prescritta.

I DEBITI CON IL COMUNE? PAGATI DAGLI STROZZINI   A dare il via al fascicolo è stato De Benedetto «In cinque anni ho pagato 600mila euro di tassi usurai»  Nell’estate dello scorso anno, nel bel mezzo dello scandalo dei bandi comunali naufragati per la gestione di lidi e ristoranti, il ragionier Bruno De Benedetto, funambolico fiscalista dai mille interessi nel campo della ristorazione, doveva trovare a tutti i costi e rapidamente 15mila euro. Il rischio, infatti, era che il Comune sfrattasse la “sua” società (sua di fatto, prima ancora che di diritto), la Villa Olmo Lago srl, dai locali del ristorante La spiaggia, affacciati sul Lario proprio accanto al lido della storica dimora. Colpa dei canoni d’affitto arretrati non pagati. Il 9 luglio 2019, poco prima dell’ora di pranzo, Giovanni Gregorio, da ieri ai domiciliari nella sua casa di Bellagio – ha evitato il carcere vista l’età – chiama proprio De Benedetto: «Passo adesso, se è pronto». «Passa adesso…» la risposta. Nel pomeriggio 15mila euro verranno versati sul conto corrente della Villa Olmo Lago srl. E il giorno dopo saranno usati per pagare gli affitti arretrati.

I debiti con il Comune Ad ammettere che i debiti con Palazzo Cernezzi siano stati saldati grazie ai soldi ricevuti dagli strozzini, è lo stesso ragioniere con studio in via Giulini: «I soldi che ha utilizzato per i canoni arretrati con il Comune di Como, dove li ha presi?». Risposta: «In parte mi sono stati prestati da Gregorio». È probabile che Bruno De Benedetto sia la prova vivente che “non tutto il male vien per nuocere“. Se si è liberato dalla morsa degli usurai, infatti, è solo grazie all’arresto di un anno e mezzo fa, quando finì in carcere per la bancarotta di Pane & Tulipani e i numerosi guai collegati alle sue società che puntavano a ottenere la gestione degli immobili comunali più affascinanti e richiesti dal mercato della ristorazione. Senza quell’arresto e senza la decisione di collaborare alle indagini del nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza, coordinate dal pubblico ministero Pasquale Addesso, forse oggi sarebbe ancora impegnato a pagare interessi usurai. L’indagine che ha portato all’arresto di quelli che, secondo gli inquirenti, sono gli strozzini storici del Comasco, i punti di riferimento di tutti coloro che ormai si erano bruciati i ponti con i canali di credito tradizionali, nasce proprio grazie al ragionier De Benedetto. È lui, esattamente un anno fa, a raccontare le origini dei suoi guai finanziari e la rincorsa ai prestiti garantiti di volta in volta da Gabro Panfili, Paolo Barrasso e Giovanni Gregorio e a consentire alla Guardia di finanza di ricostruire dieci anni di usura ed esercizio abusivo dell’attività finanziaria. Secondo quanto fa mettere a verbale De Benedetto, mentre in carcere risponde a oltre dieci ore di domande del pm e della sua polizia giudiziaria, tra il 2014 e il 2019 per far fronte alle difficoltà finanziaria avrebbe ottenuto circa un milione di euro dal terzetto, dovendo però restituire loro almeno un milione e 600mila euro.

Presentati dall’ex socio A presentare a De Benedetto i tre facoltosi comaschi, sempre pronti a elargire denaro in cambio di cambiali, assegni a garanzia e in molti casi anche della cessione di case e terreni di proprietà, è Alberto Caremi, il socio nell’affare – finito com’è noto – di Pane & Tulipani. Sarebbe stato proprio l’imprenditore con interessi anche sulla sponda orientale del ramo di Como del lago ad affidare il ragioniere alle cure dei tre. E, sottolinea la Procura, a farlo ben sapendo l’attività svolta, essendo lo stesso Caremi – sempre stando alla ricostruzione degli investigatori – stato “cliente”, e quindi vittima, del trio di prestasoldi. E non a caso, sullo smartphone di De Benedetto, il numero dei tre arrestati è salvato con il loro cognome accanto proprio a quello di Caremi, Per quanto lo stesso professionista con studio dietro il Tribunale ritenesse utili i rapporti con persone che pretendevano tassi altissimi di restituzione del denaro, il ragioniere attivo nel mondo della ristorazione si era preparato una strategia d’uscita. Annotando scrupolosamente i numeri degli assegni lasciati a garanzia agli usurai, date, circostanze, cifre. E consegnando i suoi appunti alla magistratura, quando è stato il momento di dire basta.  La Provincia 10.11.2020


Usura, gola profonda svela l’inchiesta. Il retroscena L’ex proprietario di Pane & Tulipani Alberto Caremi indagato per favoreggiamento personale Avrebbe rivelato ai presunti usurai di essere nel mirino della Procura. Uno di loro ripreso mentre cerca le “cimici” Nel blitz di lunedì mattina che ha portato all’arresto di tre comaschi accusati di usura ed esercizio abusivo di attività finanziaria, i finanzieri di Como hanno bussato per una perquisizione anche a casa di una loro vecchia conoscenza: Alberto Caremi, imprenditore di 66 anni di Nesso, reduce da un recente patteggiamento per la bancarotta di Pane & Tulipani. Caremi si è ritrovato le fiamme gialle in casa perché accusato dal pubblico ministero Pasquale Addesso di favoreggiamento personale. In sostanza nei mesi scorsi avrebbe spifferato a Gabro Panfili, e tramite lui a Paolo Barrasso, due degli arrestati di lunedì, l’esistenza di un’indagine a loro carico. 

La soffiata Caremi, nell’ottobre dello scorso anno, è finito in carcere per il fallimento di Pane & Tulipani. Nell’ambito di quell’indagine, uno dei principali indagati, il ragioniere Bruno De Benedetto, ha deciso che fosse giunto il momento non solo di ammettere ogni cosa ma anche di alzare il velo sul giro di prestiti a tassi d’usura di cui – ha raccontato alla magistratura e alla finanza – sarebbe stato vittima. Tra le altre circostanze, De Benedetto ha raccontato agli investigatori che i nomi di Panfili, Barrasso e di Giovanni Gregorio, il terzo arrestato dell’inchiesta (è ai domiciliari per via dell’età avanzata), gli erano stati fatti proprio da Alberto Caremi. Era stato lui, perché già cliente del terzetto, a presentarglieli. E sarebbe stato lui, appena ottenuta la libertà nel febbraio scorso, a informarli che erano finiti sotto inchiesta. Il 20 gennaio scorso Caremi viene interrogato dal pubblico ministero, dalla sua polizia giudiziaria e dai finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria. Nel corso dell’interrogatorio gli viene espressamente chiesto conto dei prestiti ottenuti da Gabro Panfili e dagli altri. Un’interrogatorio nel quale l’imprenditore di Nesso – annoteranno gli investigatori – sembra reticente. E poco propenso a dar contro al terzetto indagato all’epoca a piede libero per usura. Tre settimane più tardi Caremi torna in libertà. Chiacchierando al telefono con la compagna parla dell’incontro che la donna deve avere con Gabro Panfili: «Se ti dice “ma gli hanno fatto?”… in parte, poi ti spiegherà». Gli inquirenti ritengono che il senso di quella frase fosse: se ti chiede se mi hanno fatto domande riguardo ai prestiti ricevuti, digli di sì ma che spiegherà meglio lui. Di certo a Panfili la notizia che fosse sotto la lente degli investigatori già a febbraio arriva, visto che riesce a parlarne anche con Barrasso. O, meglio, con la moglie. Che, furiosa, chiama il marito il 25 febbraio e urla al telefono: «Io ne ho strapieni i c…. di tutti i tuoi intrallazzi». Panfili, poi, viene intercettato mente si trova nel suo “ufficio”, o meglio nel negozio di mobili antichi della moglie in via Volta in centro città, raccontare a un amico: «Sono ancora attaccato dagli sbirri». Domanda: «Ma perché ti rompono i c…?». «Perché ho dato una mano al Caremi, quello di Pane & Tulipani» e giù insulti nei confronti del pubblico ministero.

La microspia Panfili inizia a interrompere ogni chiacchierata telefonica. Non solo, inizia a essere certo della presenza di microspie in casa e nel negozio di via Volta. E infatti le telecamere piazzate dai finanzieri nelle stanze di via Volta riprendono l’ex funzionario Aci con casa a Laglio alla disperata ricerca di “cimici”. Nel frattempo però viene intercettato a parlare con un “cliente” e dirgli: «Se quegli sbirri arrivano… cerca di difendermi!». Il 6 aprile la caccia dà l’esito temuto: Panfili trova la videocamera nascosta all’interno di un vaso di fiori. Da quel momento smette di parlare, si fa più accorto, evita ogni contatto. Tutto vano: lunedì mattina all’alba gli “sbirri” hanno suonato alla sua porta per arrestarlo. E hanno suonato pure alla porte di Caremi, vittima e complice allo stesso tempo (secondo l’accusa) per perquisirgli casa e per fargli sapere di essere sotto indagine per favoreggiamento.


Imprenditori, giocatori, falliti Ecco la clientela degli strozzini La miglior campagna acquisti di un aspirante strozzino è nei luoghi dove si gioca a soldi. Trent’anni fa, quando ancora le slot machine dovevano invadere i locali pubblici, quei luoghi erano i bar dove si giocava a carte. È lì che uno dei “clienti” dei presunti usurai ha conosciuto l’uomo a cui è stato costretto vendergli la casa di famiglia.«Ho conosciuto Gabro Panfili più di trent’anni fa – racconta a verbale una delle presunte vittime – Io ero solito giocare a carte al bar e ogni tanto lui veniva per consegnare del denaro alle persone che in precedenza glielo avevano chiesto». La malattia del gioco d’azzardo è una manna per chi presta soldi a tassi elevati: «Dopo averlo conosciuto ho cominciato anche io a rivolgermi a lui per chiedere il denaro che mi serviva per giocare. Il denaro mi veniva consegnato con assegni che io facevo cambiare da altri giocatori». Alla fine del 2011 il cliente di Panfili riuscirà a collezionare un debito di ben 85mila euro. Quel debito gli è costata la casa, del valore di 173mila euro. Nell’abitazione lui ci vive ancora, ma è diventata di proprietà del presunto usuraio. Il figlio della vittima, che abita pure lui nella stessa abitazione, invece doveva pagare l’affitto: 330 euro al mese, se voleva continuare a vivere nell’abitazione.

Il ristoratore A Paolo Barrasso, oltre che a Panfili, si rivolgono dei ristoratori di Argegno. Prima del 2010, per poter far fronte a una serie di spese legate all’attività commerciale, gli imprenditori chiedono un aiuto alle persone sbagliate. Finisce che si ritroveranno con un debito di 80mila euro, ma senza contanti per poterlo pagare. Ecco che allora, magnanimi, i prestasoldi trovano una soluzione: si dicono pronti ad acquistare l’immobile dove ha sede il ristorante. L’edificio viene venduto per 150mila euro, ma anche a loro viene concesso di restare all’interno dei muri. Non a gratis: per quattro anni si ritrovano a dover pagare un affitto di 1200 euro al mese. Beffa delle beffe, i ristoratori riescono a trovare i fondi per ritornare proprietari del proprio immobile. E così raggiungono l’accordo per acquistare nuovamente il locale, ma finiranno per pagarlo 100mila euro in più di quanto lo avevano venduto. Per gli inquirenti non vi sono dubbi: quel giro di immobili sarebbe il provento dell’attività di usura. 

Gli imprenditori nei guai Infine, tra i clienti migliori, vi sono quegli imprenditori che finiscono per avere debiti con le banche e con l’erario e che per evitare guai si rivolgono ad altri canali di credito per riuscire a far fronte ai pagamenti. È il caso di Bruno De Benedetto, ma anche di Alberto Caremi. Dagli atti dell’inchiesta emerge da un lato come, viste le difficoltà a ottenere linee di credito ufficiali con le banche a causa dell’esposizione e dell’assenza di garanzie, porti questi imprenditori a incrociare la strada dei presunti strozzini. Dall’altro la promessa, da parte dei prestasoldi, di evitare un’aggressione al patrimonio immobiliare dei debitori da parte di banche e stato. Giocatori, imprenditori, falliti. I clienti migliori, se hai liquidità da “investire”. Paolo Moretti LA PROVINCIA 11.11.2020

 

MFIA E COVID


COMO, IL PROCURATORE CAPO: “LA ‘NDRANGHETA È SILENTE, LE PICCOLE IMPRESE IN CRISI STIANO ATTENTE”
Il procuratore capo di Como Nicola Piacente in un’intervista a Fanpage.it ha messo in allerta le piccole e medie imprese del territorio: “In tutta la provincia la ‘ndrangheta agisce in silenzio, ma non per questo bisogna pensare che non ci sia. Gli imprenditori non devono fare l’errore di chiedere liquidità alla ‘ndrangheta per restare sul mercato in questo periodo di emergenza sanitaria ed economica”. Il procuratore poi avverte: “I settori a rischio non sono più solo quelli prediletti dalla ‘ndrangheta, come movimento terra e ciclo dei rifiuti, ma anche le attività a conduzione famigliare della ristorazione e del turismo”. “Sul territorio comasco la ‘ndrangheta è silente. Agisce in silenzio, ma non per questo bisogna pensare che non ci sia. Anzi, in questo periodo di emergenza Covid le piccole medie imprese non devono diventare facili bersagli della criminalità organizzata che cerca di entrare nei loro affari”. Lo spiega bene a Fanpage.it il Procuratore Capo di Como Nicola Piacente che mette in guardia gli imprenditori comaschi messi in ginocchio dai mesi di chiusura forzata e dai pochi turisti sul lago: “Oggi gli imprenditori non devono fare l’errore di chiedere liquidità alla ‘ndrangheta per restare sul mercato. Mi rivolgo alle piccole medie imprese, quelle che il lockdown ha messo più in difficoltà, di tutti i settori commerciali della zona. Non solo quelle che operano nei tradizionali mercati prediletti dalla ‘ndrangheta, come movimento terra e ciclo dei rifiuti, ma anche le attività a conduzione famigliare della ristorazione e del turismo. Non è tanto una questione di settori ma di dimensione economica”. In Lombardia la criminalità organizzata preferisce i piccoli centri e la provincia di Como non fa eccezione: qui si contano 160 comuni con 42.227 piccole medie aziende attive sul territorio. E in dieci anni ci sono stati 50 arresti per 416 bis.

In quattro anni solo nove denunce per estorsione riconducibili a possibili esponenti di ‘ndrangheta  A Como la ‘ndrangheta c’è: i comaschi se ne sono accorti una prima volta dopo l’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Milano“I fiori della notte di San Vito” nel 1994 per poi togliersi qualsiasi dubbio con l’operazione Infinito del 2010: allora delle 15 Locali di ‘ndrangheta accertate dagli investigatori in Lombardia tre erano comasche, ovvero quella di Canzo-Asso, Erba e Mariano Comense. Poi con il tempo sono diventate cinque. Se però fino a qualche anno fa la ‘ndrangheta si è imposta sul territorio con la violenza, da cinque anni la criminalizzata organizzata non incendia più auto e non intimidisce gli imprenditori per estorcere denaro. Basti pensare che, secondo i dati della Procura, le denunce di usura negli ultimi quattro anni sono 36 per frode bancaria e 9 nei confronti di singoli individui che quindi possono essere riconducibili a membri di ‘ndrangheta. Non ci sono più i “tradizionali” reati spia: “Da circa cinque anni la criminalità organizzata di stampo mafioso presente sul territorio comasco vive di ‘rendita di posizione’. O meglio, riconosciuta ormai in provincia come un’autorità, non ha bisogno di utilizzare la violenza per colludere imprenditori. Ma sa che può usarsene quando vuole e questo basta ai comaschi per desistere a denunciare”, continua a spiegare il procuratore Piacente. Insomma, la criminalità organizzata non ha bisogno di manifestare la propria violenza, ma non per questo è meno pericolosa.

A Como gruppi criminali accumulano capitale attraverso la frode tributariaA maggio abbiamo arrestato trenta persone con l’accusa di frode tributaria. Le indagini si sono concentrate sul rapporto di lavoro tra consorzi e cooperative– spiega il procuratore Piacente -. L’accumulazione di capitale avveniva attraverso uno schema fraudolento che si è consolidato nell’arco di dieci anni. Sul territorio c’erano consorzi che fingevano di appaltare a diverse cooperative sociali più lavori. Queste, costituite ad hoc, simulavano a loro volta l’acquisizione di questi incarichi che di fatto però venivano svolti da dipendenti apparenti delle cooperative, mentre invece erano membri del consorzio che scaricavano sulle cooperative gli adempimenti tributari che non erano mai stati assolti. Erano infatti le cooperative a emettere la fattura senza pagare le tasse. Dopo aver accumulato abbastanza denaro le cooperative venivano fatte fallire per poi crearne delle altre”. E aggiunge: “Un sistema durato dieci anni svelato da una comune verifica della Guardia di finanza di Erba. Le indagini hanno poi consentito di individuare che tra i promotori della frode vi erano persone provenienti da Gioia Tauro”. Un sistema pensato in dieci anni.  FANPAGE 12 OTTOBRE 2020  Giorgia VenturiniI  n foto il Procuratore della Repubblioca di Como, dottor Nicola Piacente con la dottoressa Fiammetta Borsellino in occasione dell’intitolazione della Biblioteca comunale di Como al dottor Paolo Borsellino


CORONAVIRUS, L’ANTIMAFIA: “IN LOMBARDIA LA ‘NDRANGHETA SI ACCAPARRA LE MASCHERINE E PUNTA ALLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI INFETTI” Intervista ad Alessandra Dolci, coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano: “Dai nostri sensori sul territorio emerge anche l’interesse per la sanificazione e per i test sierologici, probabilmente fasulli”. Corsa agli impianti di stoccaggio dei rifiuti, a cui la Regione ha concesso un aumento fino al 20% della capacità. In Lombardia, frontiera della lotta contro il coronavirus, la ‘ndrangheta sta cercando di buttarsi nel business dell’emergenza, dalle ormai preziosissime mascherine alle sanificazioni, fino allo smaltimento di rifiuti potenzialmente contaminati. Lo dice a ilfattoquotidiano.it Alessandra Dolci, coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano. Giusto ieri il procuratore nazionale Federico Cafiero de Raho, dai microfoni di Agorà su Raitre, aveva confermato “segnali di grande interesse da parte delle organizzazioni criminali” proprio nel mercato delle mascherine, letteralmente impazzito, a livello globale, fin dagli inizi dell’epidemia.

Dottoressa Dolci, da che cosa emerge l’interesse della ‘ndrangheta lombarda in questi settori?Dai nostri sensori sul territorio possiamo affermare che esponenti della ‘ndrangheta che opera in Lombardia sono in fibrillazione e dimostrano un grande intereresse per l’accaparramento di presidi sanitari, e non solo.

A quali prodotti e servizi in particolare si mostrano interessati? La mascherine chirurgiche, le tute e i dispositivi di protezione personale in genere. I kit sierologici, probabilmente truffaldini, per i quali ci sono contatti con la Cina e possibilità di grandi ricarichi sul prezzo. L’attività di sanificazione, dall’ufficio al condominio. Purtroppo devo dire anche le onoranze funebri, diventate anche queste un affare dato il picco di decessi dovuti a Covid-19. E lo smaltimento dei rifiuti contaminati, sia quelli prodotti dagli ospedali sia quelli raccolti nei condomini dove sono presenti persone infette, che per la normativa devono buttare i loro rifiuti nell’indifferenziato. Non posso dire di più perché ci sono attività investigative in corso.

Questo porta con sé il rischio che mascherine infette e altro siano poi smaltiti illegalmente, in siti abusivi, con ulteriori rischi per la salute dei cittadini. La normativa regionale prevede che questo materiale vada direttamente all’inceneritore, senza specifici controlli. In più, nella logica di far fronte all’emergenza, permette agli impianti di stoccaggio dei rifiuti di aumentare la loro capacità del 20% rispetto all’autorizzazione in loro possesso, con una semplice comunicazione alle autorità competenti.

Parliamo degli impianti che già sono finiti al centro degli accertamenti dell’antimafia lombarda per la serie di roghi registrati negli ultimi anni.Esatto. Nelle nostre attività stiamo rilevando un crescente interesse criminale verso società che gestiscono impianti già in possesso di queste autorizzazioni. di Mario Portanova| 9 MAGGIO 2020 IL FATTO QUOTIDIANO


GLI USURAI FANNO AFFARI COL COVID Blitz della finanza: tre arresti – Accusati di usura ed estorsioneScattata all’alba un’operazione coordinata dalla Procura di Como Usura, estorsione ed esercizio abusivo dell’attività bancaria: con questi reati tre comaschi sono stati arrestati questa mattina dalla Guardia di finanza di Como. L’operazione, denominata “chi vuole essere milionario”, è scattata all’alba di questa mattina. Dei tre arrestati due sono stati portati in carcere, un terzo è ai domiciliari. I finanzieri stanno anche eseguendo 14 perquisizioni nell’ambito dell’operazione. Gli usurai arrestati – uno, in particolare, era già finito in cella in passato sempre per usura – avrebbero approfittato dello stato di necessità di “clienti” in crisi a causa del Covid. In mattinata il procuratore di Como terrà una conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’inchiesta. LA PROVINCIA 9.11.2020


La criminalità organizzata nell’emergenza Covid: focus dell’osservatorio della prefettura di Lecco1 Ottobre 2020

Massima deve essere oggi l’attenzione sulla sua capacità di infiltrazione nel tessuto sano dell’economia  Richiamare l’attenzione sull’espansione del cosiddetto “welfare mafioso di prossimità”, ossia quel sostegno attivo alle famiglie degli esercenti commerciali e degli imprenditori in difficoltà o in crisi di liquidità, da parte delle organizzazioni criminali. Con questa finalità il prefetto di Lecco, Michele Formiglio, ha riunito oggi in prefettura l’Osservatorio sulla criminalità organizzata legata all’emergenza Covid, al quale hanno preso parte, oltre i componenti del gruppo interforze antimafia, anche il presidente della camera di Commercio Como-Lecco, Marco Galimberti, quale sintesi di tutte le associazioni di categoria del territorio provinciale.  La pervasività del reato di usura, che nel territorio provinciale ad oggi non è registrato ufficialmente, è di particolare risalto in questo momento, considerate le estese difficoltà economiche nelle quali famiglie e imprese si sono trovate a causa della pandemia. La possibilità che hanno oggi i clan di poter dispensare con immediatezza la smisurata liquidità di cui dispongono alle persone in difficoltà e senza, al momento, chiedere una contropartita, ha peraltro innalzato anche il livello reputazionale delle consorterie criminali.  La mafia da soggetto infiltrato diviene oggi soggetto integrato nell’economia legale. Lo scambio tra l’assistenza economica dei mafiosi a famiglie ed imprenditori in difficoltà si fonda chiaramente sulle future connivenze, con la possibilità di infiltrarsi ulteriormente nel tessuto economico, in particolare, con riferimento a quanto sarà fatto in esecuzione del “Recovery Plan” e delle altre misure pubbliche di sostegno. Massima deve pertanto essere in questa fase l’attenzione verso i rischi di infiltrazioni della criminalità nelle attività economiche e verso il ricorso a canali opachi per il reperimento di risorse finanziarie. La lotta all’usura passa necessariamente attraverso la verifica dello stato di salute del tessuto produttivo e l’accertamento della capacità di risposta dell’intero sistema creditizio tramite un monitoraggio sull’accesso al credito, così da contribuire ad assicurare la regolarità dei flussi erogati e intercettare preventivamente eventuali situazioni patologiche e il ricorso a strumenti di finanziamento illeciti. Tra le concrete iniziative discusse nell’incontro, la necessità di potenziare l’attività di informazione e sensibilizzazione da parte delle associazioni, attivando specifici sensori sul territorio, per aiutare le potenziali vittime a comprendere i concreti rischi che derivano dal ricorso a questo tipo di finanziamenti.

Coronavirus, le due mosse della mafia: presa sul territorio e mercati globali. Strategia della criminalità organizzata dopo il lockdown: la relazione della Dia traccia i segni della mappa operativa criminaledi Marco Ludovico. Per la prima volta nella storia della sua relazione semestrale, la Dia non si ferma alla scadenza prevista, il secondo semestre 2019. In cima al documento consegnato al Parlamento c’è uno “Speciale Covid” di 16 pagine: analisi delle tattiche in corso e gli obiettivi a medio termine della mafia per l’invasione nei territori stroncati dall’economia in ginocchio e il massimo profitto finanziario sui mercati nazionali e internazionali. Quello della Dia è il segnale di un allarme in continuo aumento, a livelli già molto preoccupanti, già lanciato a più riprese dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.

Profitti illeciti su uno scenario post-bellico Gli analisti al comando del direttore della Dia Giuseppe Governale, sottolineano la capacità speciale dei mafiosi di valutare le tendenze economiche e finanziarie di mercato. «La loro più marcata propensione è quella di intellegere tempestivamente ogni variazione dell’ordine economico e di trarne il massimo beneficio. Ovviamente, sarà così anche per l’emergenza COVID-19».Il trauma del lockdown su un’economia già in crisi consente ai clan «di esacerbare gli animi» e insieme «di porsi come welfare alternativo, come valido ed utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale». Non basta: nella «paralisi economica, che in questo caso ha assunto dimensioni macro» le consorterie mafiose hanno già visto «prospettive di espansione e arricchimento paragonabili ai ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico».

Il doppio scenario in atto Le grandi società mafiose sono già a caccia di piccole e medie imprese da acquisire nel loro portafoglio: hanno la forza straordinaria di una liquidità sconfinata. Si muovono «attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali»: possono essere «l’elargizione di prestiti di denaro a titolari di attività commerciali di piccole-medie dimensioni, ossia a quel reticolo sociale e commerciale su cui si regge l’economia di molti centri urbani, con la prospettiva di fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti». Ma nell’economia globale la mafia è altrettanto globale: così «specie la ’ndrangheta» ma anche le altre organizzazioni rafforzeranno il loro ruolo di «player sui mercati finanziari internazionali».

Mafiosi sempre un passo avanti rispetto alla burocrazia Dopo «l’infezione sanitaria del virus» seguirà «l’infezione finanziaria mafiosa» dice la relazione. Le procedure antimafia dovranno così essere «adattate» allo scenario in atto. Anzi, diventa indispensabile una loro «intelligente semplificazione». La Dia, direzione interforze (Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza) del dipartimento di Ps guidato da Franco Gabrielli, sferza anche gli apparati pubblici: l’azione antimafia oggi si fonda su «una classe dirigente che abbia innanzitutto una “visione” sui valori e gli interessi da preservare» ma anche «consapevole del modo di muoversi in anticipo delle mafie». Al contrario, si legge nel documento, le consorterie «in passato hanno spesso “imposto il ritmo” e sono state quasi sempre un passo avanti perché dotate, loro, di una classe dirigente capace di guidare – sottolinea il testo – le proprie schiere approfittando della farraginosità dell’apparato burocratico, di “interessi personali” e della tendenziale ritrosia all’assunzione delle responsabilità».

I rischi per l’ordine pubblico Per la Dia «una particolare attenzione deve essere rivolta, sul piano sociale, al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica. È evidente che le organizzazioni criminali hanno tutto l’interesse a fomentare episodi di intolleranza urbana strumentalizzando la situazione di disagio economico – sottolinea la relazione – per trasformarla in protesta sociale, specie al Sud. Parallelamente, le organizzazioni si stanno proponendo come welfare alternativo a quello statale, offrendo generi di prima necessità e sussidi di carattere economico». Con una prospettiva mirata: fare «un vero e proprio investimento sul consenso sociale, che se da un lato fa crescere la “rispettabilità” del mafioso sul territorio, dall’altro genera un credito, da riscuotere, ad esempio, come “pacchetti di voti” in occasione di future elezioni». SOLE 24  17.7.2020


Il contagio mafioso: così la criminalità sfrutta l’epidemiaRoberto Saviano La Covid Economy offre l’occasione perfetta al denaro sporco, l’Unione europea con i suoi aiuti deve impedire che le aziende finiscano nelle mani dei clan 24 AGOSTO 2020 LA REPUBBLICA  L’emergenza è l’alleata migliore degli affari che hanno bisogno di velocità e ombra per procedere. L’Europa si scopre in ritardo sulla gestione di quella che non sembra una seconda ondata del virus ma ancora la curva della prima onda che non ha finito di abbattersi sul mondo. L’Europa (ma in questo gli Stati Uniti non hanno dato una risposta migliore) non ha un piano per fermare il flusso di riciclaggio e usura che la pandemia ha generato. Le mafie approfittano della crisi pandemica per movimentare il proprio denaro più velocemente, i controlli si sono abbassati, l’antiriciclaggio – inconfessata verità – può reggere quando ci si trova in una situazione economica positiva e sana ma quando manca liquidità, quando i consumi entrano in una spirale definitiva di crisi, il denaro torna ad essere utile a tutti senza guardare l’origine. Quando manca il pane nessuno chiede da quale forno provenga, se legale o illegale, antica regola che le mafie conoscono benissimo. Pensare che le organizzazioni criminali siano un problema italiano equivale esattamente a pensare che un virus possa essere un fenomeno locale e che resti fermo, imprigionato in una bolla. Quello che accade con il denaro criminale in queste ore mi ricorda quando dagli Usa alla Germania arrivava la solidarietà all’Italia per il Covid come se fosse un problema nostro e frutto di un misto tra cattiva gestione, sfortuna, predisposizione genetica e un generico sottosviluppo del Paese. Poche settimane dopo si ritrovarono il virus ovunque. Ecco, lo stesso vale per il denaro sporco. Lo si considera soltanto un problema delle economie fragili, un tema del Sud Italia e dell’Est Europa. Falso. Da anni le organizzazioni criminali sono ben inserite in tutto il tessuto economico europeo e non si stanno lasciando sfuggire l’occasione che la Covid Economy ha creato. Cosa è la Covid Economy? È l’economia generata dalla pandemia. L’enorme fortuna per pochissimi, il disastro per tutti. L’economia reale e Wall Street sono sempre più distanti. I Tech Giants crescono esponenzialmente, Amazon cresce dell’80%, Apple cresce del 60%, più l’economia reale va male più Wall Street va bene. E l’economia reale fatta di negozi, piccole imprese, alberghi, ristoranti, trasportatori, ludoteche, bar e ancora e ancora, che fine fa? Se la mangiano le mafie. L’Europa si sta ponendo l’unica domanda per difendere la sua economia reale? No. Ecco la domanda: chi rileverà i resort della Costa Azzurra o della Costa del Sol messe in ginocchio dalla crisi del turismo del 2020? Cosa succederà ai ristoranti di Berlino o ai pub di Londra rimasti chiusi per settimane o mesi per via del lockdown? Le case sfitte in decine di capitali europee chi le userà per comprarle e specularci? Il Dark Money, il denaro sporco non ha mai trovato come ora tante porte d’accesso spalancate e non controllate. La pandemia sta portando con sé ovunque l’usura, ma solo l’Italia sembra studiarlo.


Mafie all’assalto dei mercati finanziari e della sanità  di ALESSANDRA ZINITI 26 Giugno 2020 I dati del ministero degli Interni italiano urlano: nel primo trimestre del 2020 l’usura è l’unico reato in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In una fase in cui tutti gli altri reati dalle rapine in abitazione alle estorsioni sono diminuiti significativamente, l’usura invece registra un +9,6%. L’usura non smette di elargire soldi. Più le banche bloccano fidi bancari più l’usura arriva e garantisce subito cash. Denaro contante e liquido che viene dato subito a famiglie che continuano ad avere spese, ad aziende che nonostante la cassa integrazione (in molti casi mai partita) devono mantenere fitti e stipendi. Gli usurai pagano subito chiedendo come garanzia l’unica cosa che ancora possiedono i loro sfortunati clienti: la vita stessa. L’usuraio sa che quando si rischia la vita, la casa bruciata e la figlia stuprata i soldi verranno restituiti a qualsiasi costo. E pensate che questo accada solo in Italia? E non in Gran Bretagna, non in Spagna? Non in Grecia? Non in Francia? Quando in Germania è partito un dibattito in cui si descrivevano le organizzazioni mafiose italiane in attesa della pioggia di euro dei Coronabond, che l’Europa stava discutendo se emettere o meno per sostenere i Paesi più colpiti dalla crisi del Covid 19, iniziarono ad affermare da più parti che sarebbero stati soldi monopolizzati dalle organizzazioni criminali. Fu una posizione di grande ignoranza.

Crisi Covid 19 e criminalità, aumenta la pressione sulle imprese del terziario17 Giugno 2020  Il giro d’affari delle organizzazioni criminali è immenso. Solo quelle italiane (di cui ci sono dati scientifici perché le più studiate) guadagnano: ‘ndrangheta circa 60 miliardi di euro all’anno; la Camorra tra i 20 e i 35 miliardi. Questo significa che la massa di denaro di cui dispongono è così grande che di certo non stavano aspettando i soldi europei. Gli aiuti europei vanno monitorati, non dati a pioggia, le mafie ovviamente tutto ciò che sarà possibile prendere prenderanno ma non sarà il loro intervento determinante, quegli aiuti servivano per salvare dal saccheggio mafioso le aziende in difficolta. Ora ne arriveranno assai di meno di quanti sarebbero stati necessari. L’Europa, se si salverà dal Covid, non si salverà dalla Covid Economy. La Germania sta ignorando per esempio il rischio che corre, eppure è uno dei luoghi più esposti perché nel suo sistema finanziario è facilissimo nascondere denaro sporco. Chi su questo sta facendo un lavoro egregio è il Tax Justice Network (autorevole gruppo internazionale indipendente che focalizza la sua ricerca sulla regolamentazione fiscale e finanziaria internazionale) che stilando ogni anno il Financial Secrecy Index, una classifica dei Paesi in base al loro grado di segretezza e alla portata delle loro attività finanziare offshore in un elenco guidato dalle Cayman Islands, mostra il pericolo invisibile che le economie corrono al loro interno. La Germania si piazza al 14° posto, scalzando Panama e Jersey, classificati rispettivamente al 15° e al 16° posto. La Germania quindi non è assolutamente protetta dalla massa di denaro sporco che la pandemia ha iniziato a far muovere con molta più forza del passato, del resto il Professor Bussmann, docente all’università di Halle-Wittenberg, calcolava che il riciclaggio in Germania è attorno ai cento miliardi di euro annui. Può dirsi quindi Berlino non coinvolta?

Bankitalia, con il Covid “rischio infiltrazioni criminalità”. Espansione online delle illegalitàMeno verrà sostenuta l’economia dei Paesi provati dalla crisi dell’epidemia, più potere sarà lasciato alla criminalità organizzata. Basta guardare alla storia, in ogni epidemia il peggio degli affari ha trionfato, il peggio dell’uomo si è affermato, e così le organizzazioni criminali. Durante la peste del ‘600 a Milano il governo della città era allo sbando e affidò alle bande criminali il controllo delle strade, così sta accadendo con il flusso economico che si riversa in ristoranti falliti, in fabbriche in crisi, in interi quartieri al collasso. Si subappalta al denaro criminale l’economia uccisa dalla pandemia. Si delega anche l’assistenza sociale per le famiglie, come sta accadendo in Messico e in Brasile dove tutto il welfare delle periferie (assistenza anziani, spese per famiglie bisognose) è delegato al Primeiro Comando da Capital o al Cártel del Golfo che a tempo debito riscatteranno la generosità di questi mesi. E questo non accade nelle periferie di Praga? Di Stoccarda? Di Napoli, di Marsiglia e di Barcellona? Nella peste del ‘600 (ma anche durante l’ondata del colera in Italia a fine Ottocento) le bande criminali gestivano i cadaveri esattamente come ora capita in India o in Ecuador, dove lo Stato non riuscendo più a gestire i corpi dei morti di febbre dei quartieri popolari per evitare che i cadaveri fossero lasciati in strada o portati in fosse comuni dai familiari ha delegato alle mafie locali la gestione, in cambio della vincita di appalti pubblici per la cremazione dei cadaveri o la gestione sanitaria della pandemia. Del resto le organizzazioni criminali italiane investono nel settore delle pompe funebri da oltre 50 anni.

USURA, lo Stato vicino a chi denuncia   Audizione in Commissione parlamentare Antimafia del commissario Annapaola Porzio. Sono molte le difficoltà che stanno affrontando imprese e cittadini con l’emergenza coronavirus, «il pizzo esiste ancora come modalità estorsiva ma già da tempo assistiamo a una modifica della pressione dell’impresa malavitosa su quella legale». Lo ha detto ieri, in audizione in commissione antimafia, il prefetto Annapaola Porzio, commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura. Un fenomeno ancor più preoccupante al nord dove con più difficoltà si riconosce l’imprenditore malavitoso. Estorsione e usura sono le armi che costringono le vittime a cedere la propria azienda, che è il fine ultimo a cui tende la criminalità organizzata. Più in generale, per il prefetto Porzio è necessaria una manutenzione evolutiva di tutto l’apparato normativo tenendo conto che negli ultimi anni è cambiato anche il modo in cui agisce la criminalità. «Le norme antiracket e antiusura – afferma – vanno riprese e va fatto un lavoro capillare di informazione non solo nelle scuole, ma anche pubblicitario e anche sui social perché è un mezzo con cui si può arrivare alle persone». Tra le proposte immaginate dal prefetto Porzio per adeguare la legge numero 108 del 1996 (che prevede un sostegno per le vittime di usura) la necessità di superare le differenze tra usurato e persona estorta. Per i primi la norma aveva previsto un mutuo. «Tutti possono rendersi conto che un mutuo per chi è in difficoltà può rivelarsi un peso più che un aiuto», sottolinea il prefetto spiegando che andrebbe cambiato il «titolo, da mutuo in contributo. Ma certamente – aggiunge – va messa accanto a questa persona o imprenditore uno staff o un tutor». Il messaggio che viene rilanciato, anche nel corso dell’audizione in Commissione, è quello di denunciare perché «chi denuncia sceglie di vivere».  MINISTERO DELL’INTERNO 25.6.2020


Mafie, il Covid 19 ha portato nuove opportunità di businessdi STEFANIA AOI 30 Luglio 2020  Ecco questo è un tema fondamentale da comprendere, ossia che le mafie guadagnano esattamente da quegli stessi settori da cui hanno guadagnato sino ad ora; settori che la pandemia ha reso ancora più necessari come la distribuzione di generi alimentari, trasporti, imprese di pulizie, servizi di catering, servizi di disinfezione, pompe funebri. L’Europa non può continuare a guardare le mafie come bande di zotici truffatori o rapinatori pronti a far la ricotta sulle attività legali. Magari fosse così. Le organizzazioni mafiose sono le strutture meglio organizzate del capitalismo contemporaneo, intuiscono gli affari prima che le esigenze di mercato li definiscano, conoscono sempre ciò di cui si avrà bisogno, e sono pronte a darlo senza vincoli burocratici, superando ogni ostacolo, rapidamente e ovviamente alle loro condizioni. Le organizzazioni criminali investono da anni anche in quello che è il settore principe della pandemia, quello sanitario. Capiremo solo alla fine di questo disastro quanto saranno riuscite a infiltrarsi negli appalti, nelle strutture ospedaliere europee non solo italiane. L’attenzione ora è focalizzata sulla conta dei morti, gli allarmi sui contagi, l’attesa messianica del vaccino, le continue informazioni e smentite circa le modalità di diffusione del virus, ma giunti alla fine di questa disamina la richiesta è una. L’Europa tutta deve fare presto a intervenire verso le aziende che sono morte e stanno morendo perché tutte verranno “salvate” da capitale criminale. È già tardi ma forse non tutto è perduto. Forse. Il virus ferma la criminalità: meno reati tranne che sul web. In 1100 violano la quarantenaAlessandra Ziniti 15 Agosto 2020 LA REPUBBLICA

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