AUDIO Deposizioni ai processi
11.5.2022 – Il pentito Palmeri parla la prima volta in un libro. Dagli omicidi degli anni ’90 agli incontri ‘servizi – mafia’
Il collaboratore di giustizia alcamese Armando Palmeri che vive in una località segreta, in occasione del trentennale delle stragi di Capaci e di via D’Amelio ha deciso per la prima volta di raccontare le sue vicende, a partire dalla sua prima condanna per rapina con sequestro di persona. In un libro-intervista dal titolo “Solo un uomo…solo”, in uscita a giugno a giugno in Italia e negli Stati Uniti, Palmeri racconta tutti i particolari inediti al reporter alcamese Stefano Santoro, ex cameramen della nostra emittente ed ora residente a New York.
Il collaboratore di giustizia, ex autista del boss mafioso di Alcamo Vincenzo Milazzo, prova nel libro a ricomporre il periodo della guerra di mafia ad Alcamo dei primi anni ’90 e descrive gli incontri tra il boss e i servizi segreti, a raccontare l’avvertimento all’ex procuratore Caselli di un probabile attentato nei suoi confronti e del fallito tentativo di liberare il piccolo Giuseppe Di Matteo. ALPAUNO
18 maggio 2020 MAFIA: PROCESSO TRATTATIVA, BRUSCA SMENTISCE PENTITO PALMERI
29.7.2017 – Stragi del ’92, il pentito Palmeri fa il nome dell’ex senatore alcamese Lauria
Ci sono nomi e fatti nuovi che avrebbe raccontato ai giudici il pentito alcamese Armando Palmeri. Ce ne siamo occupati la settimana scorsa, in questo articolo che potete leggere qui. L’autista del boss Vincenzo Milazzo, avrebbe raccontato ai giudici di Caltanissetta, che continuano ad indagare sui mandanti occulti delle stragi, che il boss alcamese venne ucciso perchè disse no all’attuazione della strategia stragista voluta da Cosa nostra. Dalle pagine del Fatto Quotidiano, con un articolo firmato da Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco si riporta anche il nome di chi ha fatto da intermediario per gli incontri tra Milazzo e i servizi segreti. “Voleva usare armi batteriologiche fuori dalla Sicilia, per questo il boss Vincenzo Milazzo lo considerò un pazzo”. Sono queste le parole del pentito alcamese riguardo al periodo dello stragismo dei primi anni ’90. Il presunto personaggio che avrebbe avuto l’intenzione di usare quest’arma era addirittural’alcamese Baldassare Lauria, 82 anni, medico ed ex senatore dal 1996 al 2001. Sarebbe lui il politico che avrebbe permesso l’incontro tra il boss Milazzo e i servizi segreti. Il presunto incontro tra Lauria, Milazzo e i servizi segreti sarebbe avvenuto alla vigilia delle stragi in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Milazzo fu ucciso, insieme alla fidanzata, alla vigilia via D’Amelio. Per la mafia sapeva troppo ed è stato fatto fuori. “Il nome del politico – scrive il Fatto quotidiano – è contenuto nell’ultimo interrogatorio del pentito Armando Palmeri, reso il 18 novembre scorso ai pm di Caltanissetta Gabriele Paci e Stefano Luciani che tornano ora a scandagliare la pista dei mandanti occulti delle stragi”. Palmeri, che appartiene ad una famiglia della borghesia alcamese, iniziò la carriera criminale con una banda composta da altri alcamesi e dedita alle rapine nel nord Italia. Dopo l’ingresso in Cosa nostra divenne autista e uomo di fiducia di Milazzo. Sul fatto quotidiano è riportato anche un virgolettato delle dichiarazioni del pentito alcamese: “Ricordo che Milazzo appellò il Lauria come un altro pazzo, quando commentò in mia presenza la proposta che questi aveva fatto di usare fuori della Sicilia armi batteriologiche”.
23.7.2017 – Via D’Amelio, il pentito Palmeri: “Il boss Vincenzo Milazzo ucciso per il no alla strage”
Ad un quarto di secolo dalle stragi, c’è forse una novità che ruota attorno a quella di via D’Amelio che porta ad Alcamo e alla data del 14 luglio del 1992, giorno in cui furono uccisi il capo mandamento di Alcamo Vincenzo Milazzo e la fidanzata Antonella Bonomo.
A rilevare questa novità è il pentito Armando Palmeri. Uomo di fiducia e autista del boss alcamese, che per anni è stato l’amministratore della mega raffineria scoperta dal giudice Carlo Palermo nel 1985 e fedele sostenitore dei corleonesi.
Milazzo ad un certo punto crede di potersi svincolare da Riina e Provenzano e inizia ad allontanarsi. Chiede un incontro con il capo dei capi, lo va a cercare a Palermo ma non lo trova. Riina era a Mazara del Vallo. Milazzo ritiene che Riina sia stato arrestato e festeggia con alcuni suoi sodali. A quel punto, una volta saputo, Riina decide di farlo fuori. Al duplice omicidio di Milazzo e della fidanzata, parente di un agente che lavorava nei servizi segreti, partecipa anche Matteo Messina Denaro.
Con le dichiarazioni di Palmeri che devono chiaramente essere riscontrate, si apre ora una nuova ipotesi rispetto al movente «ufficiale» dell’eliminazione di Milazzo da parte di Cosa nostra. Secondo Palmeri i retroscena di quel duplice omicidio offrono uno spaccato totalmente diverso e sono strettamente collegati alla ricerca dei cosiddetti «mandanti esterni» delle stragi, sia quelle del ’92 in Sicilia, che quelle del 1993 a Roma, Milano e Firenze.
Le dichiarazioni di Palmeri – Secondo il racconto del pentito, che sarà ascoltato al processo a Caltanissetta che vede imputato Matteo Messina Denaro per la strage di via D’Amelio e per quella di Capaci, il boss Milazzo, all’epoca ricercato, ebbe degli incontri con personaggi appartenenti ai servizi segreti, che gli avrebbero prospettato un progetto volto a destabilizzare lo Stato.
Palmeri racconta che accompagnava Milazzo agli appuntamenti ma poi rimaneva nei dintorni, su ordine del capo, «per controllare la situazione a distanza». Il suo racconto si sofferma in particolare su tre riunioni. L’ultima si tenne una decina di giorni prima della sua morte, tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. A Milazzo venne chiesto di adoperarsi per la destabilizzazione dello Stato, attraverso il compimento di atti terroristici, e chissà se fra quelle stragi non abbiano chiesto anche di mettersi a disposizione per la strage di Via D’Amelio.
Il boss alcamese però fu contrario alla proposta, diceva, che non avrebbe portato alcun vantaggio a Cosa nostra e anzi avrebbe determinato una forte reazione dello Stato. Nelle sue dichiarazioni il pentito ha ricordato che Milazzo era affascinato da quei personaggi dei servizi e che continuava a ripetergli che “la vera mafia non è quella di Cosa nostra ma quella “segreta” di cui gli stessi facevano parte”.
Il No di Milazzo – Palmeri, recentemente è stato riascoltato dai magistrati nisseni, ai quali ha fatto il nome di chi presentò gli «appartenenti ai Servizi» a Vincenzo Milazzo. “Il primo incontro – ha detto – si tenne prima di Capaci”, e che dopo il suo rifiuto a collaborare per le stragi, Milazzo iniziò ad avere paura per la sua vita, perché il suo no fu riferito a Totò Riina che ne decise l’uccisione.
Come dicevamo Armando Palmeri sarà chiamato a deporre per approfondire la pista dei «concorrenti esterni» alla mafia, fatto che la Procura di Caltanissetta considera prioritario, insieme alla scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, visto che le indagini svolte a suo tempo dai poliziotti, che diedero credito al falso pentito Scarantino, portarono solo a dei vuoti giudiziari che oggi appaiono quasi incolmabili e per i quali sono sorti i dubbi e soprattutto misteri che non hanno risposte. Saranno queste dichiarazioni e questa pista che ruota attorno all’omicidio del boss Milazzo a portare ad una verità sui mandanti o i concorrenti esterni a Cosa nostra nella strage di via D’Amelio o anche stavolta sarà un nulla di fatto. TP24
20.7.2017 – Paolo Borsellino, i misteri che restano su via D’Amelio 25 anni dopo? Le parole, inquietanti, di un pentito: «Il capo clan si incontrò con uomini dichiaratisi degli 007 che volevano destabilizzare lo Stato»
di Giovanni Bianconi
L’ultimo processo per la strage di via D’Amelio è appena cominciato, a carico dell’ultimo grande latitante di Cosa nostra rimasto in libertà, Matteo Messina Denaro. Davanti alla corte d’assise di Caltanissetta, il boss mafioso verrà giudicato per la morte di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta (e di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i tre poliziotti uccisi con loro a Capaci): un’occasione non solo per valutare le sue responsabilità per le bombe del 1992, e cercare le verità che — dopo 4 processi e la scoperta del «gigantesco depistaggio» svelato dal pentito Spatuzza — ancora mancano sull’attentato del 19 luglio 1992.
A distanza di venticinque anni restano diverse «questioni irrisolte», per dirla con i pubblici ministeri di Caltanissetta; un drappello di inquirenti ostinati — il procuratore Amedeo Bertone, gli aggiunti Gabriele Paci e Lia Sava, il sostituto Stefano Luciani — che continua a scavare fra verbali e intercettazioni vecchie e nuove. Come quelle arrivate di recente da Palermo con le conversazioni registrate in carcere del boss stragista Giuseppe Graviano, l’uomo che cercava i nuovi referenti politici di Cosa nostra a colpi di tritolo e dinamite; o le numerosissime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia rilette alla ricerca di ulteriori elementi da approfondire.
Tra queste ci sono le frasi di un «pentito», Armando Palmeri, che fu autista e uomo di fiducia del capomafia trapanese Vincenzo Milazzo, ammazzato cinque giorni prima di Borsellino, il 14 luglio 1992, quando scomparve insieme alla fidanzata Antonella Bonomo. Al duplice delitto partecipò, su mandato di Totò Riina, anche Messina Denaro. Il movente «ufficiale» dell’eliminazione di Milazzo furono presunte violazioni delle regole interne a Cosa nostra, ma Palmeri ha svelato alcuni retroscena che offrono una diversa chiave di lettura e si collegano alla ricerca dei cosiddetti «concorrenti esterni» delle stragi. Quelle del ’92, ma anche quelle in continente del 1993.
Secondo il suo autista, Milazzo che all’epoca era ricercato ebbe «una serie di incontri con personaggi dichiaratisi appartenenti ai servizi segreti, che gli avrebbero prospettato un progetto volto a destabilizzare lo Stato». Palmeri lo accompagnava agli appuntamenti ma poi rimaneva nei dintorni, su ordine del capo, «per controllare la situazione a distanza». Ci furono almeno tre riunioni, «tutte durarono circa un paio d’ore». L’ultima si tenne «una decina di giorni prima della sua morte». Quindi dopo la strage di Capaci e prima di via D’Amelio. «Nel corso di tali riunioni — ha raccontato il pentito — a Milazzo venne proposto di adoperarsi per la destabilizzazione dello Stato, finalità da perseguire attraverso il compimento di atti terroristici fuori dalla Sicilia. Milazzosi dimostrò decisamente contrario alla proposta che, diceva, non avrebbe portato alcun vantaggio a Cosa nostra e anzi avrebbe determinato una veemente reazione dello Stato». Le persone legate ai Servizi esercitavano sul boss «un certo fascino, al punto che continuava a ripetermi che la vera mafia non è quella di Cosa nostra ma quella “segreta” di cui gli stessi facevano parte».
Di recente Palmeri, assistito dall’ex pm di Palermo Antonio Ingroia divenuto avvocato, è stato riascoltato dagli inquirenti nisseni, ai quali ha fatto il nome di chi presentò gli «appartenenti ai Servizi» a Milazzo. Ha precisato che «il primo incontro avvenne prima della strage di Capaci», che «dopo aver rifiutato la proposta di porre in essere le stragi Milazzo iniziò a temere per la sua vita», e che secondo lui «la sua contrarietà fu riferita a Riina che ne decise l’eliminazione».
Il pentito sarà chiamato a deporre nel processo a Messina Denaro, per approfondire la pista dei «concorrenti esterni» alla mafia che la Procura di Caltanissetta considera il principale tra «i residui nodi da sciogliere», insieme alla scomparsa dell’agenda rossa con gli appunti segreti di Paolo Borsellino, dal momento che tutti gli approfondimenti svolti finora «non sono risultati sufficienti a colmare i tanti vuoti ereditati dalla iniziale gestione delle indagini svolte a suo tempo» dal gruppo di poliziotti che diede credito al falso pentito Vincenzo Scarantino.
Tuttavia i pm hanno scritto con chiarezza nella loro ultima requisitoria che il depistaggio non serviva a coprire gli eventuali contatti fra la mafia e i nuovi referenti politici cercati con le stragi. Perché altrimenti Scarantino non avrebbe tirato in ballo quel Giuseppe Graviano «all’epoca cerniera tra Cosa nostra e il mondo istituzionale, artefice dell’intera strategia stragista» e ancor più «l’ambigua figura di Gaetano Scotto, uomo d’onore indicato da vari collaboratori come personaggio chiave nei rapporti tra Cosa nostra e spezzoni deviati dei servizi di sicurezza». Un altro mistero da sciogliere, 25 anni dopo. CORRIERE DELLA SERA