Manfredi Borsellino e lo sguardo silenzioso sui colleghi

 

Manfredi Borsellino a Caltanissetta (foto AdnKronos)
Manfredi Borsellino a Caltanissetta (foto AdnKronos) 

Com’è nel suo stile, Manfredi Borsellino è arrivato in silenzio nell’aula bunker di Caltanissetta. E in silenzio è rimasto ad ascoltare gli interventi degli avvocati di parte civile. Un silenzio che però fa più rumore di tante parole. È la prima volta che il figlio del giudice Paolo entra nell’aula di tribunale dove si processano tre poliziotti per il depistaggio nelle indagini sulla strage che uccise suo padre e gli agenti. Manfredi Borsellino, figlio ma anche poliziotto, oggi è il dirigente del commissariato Mondello. Il suo sguardo vaga nell’aula e sembra richiamare tutte le domande di verità e giustizia che la famiglia Borsellino non ha mai smesso di ripetere in questi trent’anni. Nell’espressione di Manfredi ci sono gli occhi di mamma Agnese, che all’indomani della strage del 19 luglio chiese subito dov’era finita l’agenda rossa del marito. Lo chiese anche Lucia, la sorella di Manfredi: quella volta, l’ex capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera sbottò dicendo alla signora Agnese che la figlia aveva qualche problema. Adesso, nello sguardo di Manfredi si vedono pure gli occhi di sua sorella Fiammetta, che ha rilanciato le domande.
Il commissario Borsellino era arrivato in aula per ascoltare l’intervento dell’avvocato di parte civile della sua famiglia, Fabio Trizzino, il marito di Lucia. Intervento che però è stato rinviato a venerdì. Ieri, ha parlato l’avvocato Giuseppe Scozzola, martedì era intervenuta Rosalba Di Gregorio, sono i legali di due degli uomini accusati ingiustamente di strage da parte del falso pentito Scarantino. Anche loro non hanno mai smesso di fare domande sul balordo di borgata vestito da provetto Buscetta: «E venivamo considerati noi vicini alla mafia — hanno ribadito gli avvocati — mentre la verità era tenuta lontana attraverso tante menzogne». Manfredi Borsellino tornerà domani in aula.  SALVO PALAZZOLO – LA REPUBBLICA 


Depistaggio Borsellino, la prima volta del figlio Manfredi in aula

 

(dall’inviata Elvira Terranova) – Manfredi Borsellino arriva in aula poco dopo le due del pomeriggio, accompagnato da un amico. Per la prima volta nella sua vita, il figlio del giudice Paolo Borsellino, partecipa al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, tutti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Manfredi Borsellino, vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, entra nell’aula bunker e si siede accanto al cognato, l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino. Il legale è pronto per l’arringa per la parte civile nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Ma, alla fine, l’intervento dell’altro legale, l’avvocato Giuseppe Scozzola, che assiste uno degli innocenti condannati all’ergastolo, va per le lunghe, finisce poco dopo le 18, e l’intervento dell’avvocato di parte civile della famiglia Borsellino viene rinviato alla prossima udienza, venerdì 20 maggio. A pochi giorni dal trentesimo anniversario della strage di Capaci. Manfredi Borsellino chiacchiera con il cognato, con l’amico Umberto, che lo ha accompagnato da Palermo a Caltanissetta, e con alcuni cronisti, ma – come sempre – non rilascia dichiarazioni. Resta fino alla fine, e fa sapere che venerdì mattina ci sarà, di nuovo, per assistere all’intervento del cognato.
Oggi, intanto, è stata la volta dell’avvocato Scozzola, che rappresenta Gaetano Scotto, condannato e “rimasto per sedici anni al 41 bis. ingiustamente”, dice il legale. “Signori giudici, è arrivato il momento di dire pubblicamente quello che è accaduto nel 1992”, esordisce in aula. Secondo l’accusa i tre imputati, tutti venuti in aula, avrebbero indottrinato il falso pentito Vincenzo Scarantino ad accusare falsamente degli innocenti. “Devo fare due importanti premesse – dice Scozzola – La prima cosa che mi sento in dovere di dire è quella di dovere ringraziare, apertamente, da un lato il tribunale, perché è riuscito a portare a termine, o comunque riuscirà a portare a termine, questo difficile processo, dall’altro, in modo particolare, la Procura di Caltanissetta. I magistrati hanno svolto il loro dovere, pur in presenza di sentenze passate in giudicato”. “Vi devo ringraziare perché fin dall’inizio di questa vicenda processuale che non è di oggi, è del 2008, i pm non si sono fermati alle dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia (Gaspare Spatuzza ndr) che scardinava in toto il costrutto accusatorio degli altri processi, ma con caparbietà sono dovuti andare alla ricerca di riscontri. In modo particolare, devo ringraziare il dottor Stefano Luciani per la sua requisitoria che è stata attenta, precisa, logica. Devo ringraziare perché, nonostante tutto, come abbiamo potuto notare, si è sacrificato sul presupposto che non si sono voluti fermare sulle dichiarazioni dello stesso. Cita passi degli altri procedimenti, sia di sentenza, sia di verbali di trascrizione delle varie udienze. La loro attività consentirà, mi auguro quantomeno, di scoprire non solo quanto è successo nei precedenti procedimenti ma di potere scoprire in maniera certa e inequivocabile, tutto quanto ad oggi la Procura non ha scoperto”. L’avvocato Scozzola si dice poi convinto, che “il dossier ‘Mafia e appalti’ è la causa principale della strage di via D’Amelio, questo è un dato di fatto. Che viene fuori da una sentenza passata in giudicato. C’era una fibrillazione, dovuta al fatto che se Paolo Borsellino avesse portato avanti quella indagine, certamente il rapporto tra l’associazione e gli imprenditori del Nord sarebbero stati certamente scoperti”. E su Scarantino dice: “Con l’aiuto dato a Vincenzo Scarantino gli imputati hanno favorito altri soggetti di Cosa nostra”. “Perché, da questo momento in poi, sin dal 19 luglio 1992 iniziano le indagini nei confronti di ladri di gallina? – prosegue – Non dimentichiamoci che le indagini prendono immediatamente una certa direzione”. E ancora: “Gli appunti contenuti nell’agenda rossa di Paolo Borsellino bruciavano, non si dovevano conoscere. Ecco perché l’agenda rossa è scomparsa dopo la strage di via D’Amelio”. “La borsa del giudice Borsellino resta per mesi sul divano di Arnaldo La Barbera – dice – sappiamo quello che è successo nell’abitazione di Agnese Borsellino”, a cui La Barbera portò la borsa, quando Lucia Borsellino si accorse che mancava l’agenda. “Sappiamo però un fatto, noi abbiamo un canale che ci dice che all’interno di quell’agenda c’erano degli appunti. Sconosciamo l’oggetto degli appunti, però”, dice Scozzola. “E se andiamo a vedere che La Barbera, nel cui ufficio sul cui divano è stata quella borsa, forse faceva parte e aveva un ruolo nei servizi, allora dico, non siamo più in presenza di fatti aleatori, di discorsi di ragionamenti deduttivi, è un ragionamento logico”. “Assistere a simili testimonianze, dei colleghi degli imputati, è una offesa non all’intelligenza, è una offesa che si continua a perpetrare nei confronti del giudice Paolo Borsellino. I poliziotti sono venuti qui tristemente a dire che un registratore si blocca e si sblocca con un colpo di penna”, prosegue ancora l’arringa l’avvocato Scozzola. “La falsità delle loro dichiarazioni, è il suicidio degli imputati – dice – la falsità delle dichiarazioni di innumerevoli testi, la loro reticenza danno la dimostrazione che la finalità del depistaggio era solo ed esclusivamente una: di coprire interni ed esterni, non mi interessa, i veri esecutori della strage di via D’Amelio”. Il processo è stato rinviato a dopodomani. Il primo a prendere la parola sarà l’avvocato Fabio Trizzino. Che rappresenta i familiari di Paolo Borsellino. ADNKRONOS 


Depistaggio su via d’Amelio, Manfredi Borsellino al processo nel giorno delle parti civili

 

“Troppi non ricordo in questo processo, troppe falsità e reticenza. Troppi non ricordo soprattutto da parte di alcuni poliziotti. Non si possono non ricordare fatti di una certa gravità”. Non usa mezzi termini l’avvocato Giuseppe Scozzola, legale di Gaetano Scotto, mafioso accusato ingiustamente della strage Borsellino. “Nessuno ricorda se aveva firmato dei verbali o se c’erano dei verbali. Questo provoca rabbia a noi parti civili. L’obiettivo del depistaggio era quello di coprire i veri esecutori della strage”. E’ il momento delle parti civili al processo che vede imputati tre poliziotti per il depistaggio del falso pentito Scarantino, sono il dirigente Mario Bo e gli ispettori in pensione Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Nel pomeriggio, arriva all’aula bunker Manfredi Borsellino, il figlio del giudice Paolo, per ascoltare il cognato, l’avvocato Fabio Trizzino, il cui intervento viene però rinviato a venerdì. E’ la prima volta di Manfredi Borsellino al processo.
“Noi sbattevamo contro un muro di atti omessi, non depositati, negati – ha detto ieri l’avvocata Rosalba Di Gregorio, che rappresenta Gaetano Murana – Qualunque nostra richiesta veniva rigettata, abbiamo subito attacchi continui sulla stampa, venivamo considerati vicina alla mafia. Solo perché chiedevamo delle spiegazioni sul falso collaboratore Vincenzo Scarantino, che non andava toccato”. E’ stato complesso il percorso verso la verità: nel 2008, uno dei componenti che organizzò la strage di via D’Amelio, Gaspare Spatuzza, iniziò a parlare. Così venne sconfessato il falso pentito Vincenzo Scarantino. LA REPUBBLICA 

 

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