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Finalmente una toga che dà l’anima perché si faccia finalmente chiarezza sulla strage di via D’Amelio in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta; nonchè sul “Depistaggio di Stato”, il più clamoroso della nostra storia giudiziaria.
Stiamo parlando di Fabio Trizzino, il legale della famiglia Borsellino (anche sposato la figlia del magistrato, Lucia Borsellino), impegnato nel processo sul ‘depistaggio’, appunto, ma che incredibilmente vede come imputati solo tre poliziotti, accusati di aver taroccato il ‘collaboratore’ Vincenzo Scarantino, e non quei magistrati che avevano in mano il caso, addirittura prosciolti in un processo lampo a Messina.
La ‘Voce’ ha scritto decine di inchieste sulla strage di via D’Amelio, la più recente è di qualche giorno fa, 22 maggio, quando Trizzino ha effettuato la sua arringa.
Tanto per la ‘memoria storica’ che non va mai perduta (lo hanno sempre ricordato i magistrati-coraggio come Borsellino, Falcone e Ferdinando Imposimato), una decina d’anni fa la Voce venne citata in via civile da uno dei magistrati storicamente in prima linea nel giallo di via D’Amelio, Anna Maria Palma, e che per primo ha ‘gestito’ (con il collega Carmelo Petralia, cui poi si è aggiunto Nino De Matteo) il pentito Scarantino, l’oracolo in base alle cui verbalizzazioni ‘taroccate’ sono stati condannati a 18 anni di galera degli innocenti.
Non vogliamo qui dilungarci oltre misura, visto che ne abbiamo scritto decine e decine di volte e anche il 22 maggio.
Qui vogliamo riportare semplicemente dei passaggi di un recentissimo intervento che il coraggioso avvocato Trizzino ha svolto nel corso di un seminario organizzato dal ‘DEMS’, il Dipartimento di Scienze politiche e delle relazioni internazionali dell’Università di Palermo, titolato “Il danno esistenziale da strage: i 57 giorni della famiglia Borsellino”. Una relazione alla quale ha fornito il suo contributo Gabriella Marcatajo, docente di Istituzioni di diritto privato presso la stressa facoltà.
CI MANCAVA SOLO LA PISTA NERA…
Il seminario si è svolto a poche ore di distanza dalla puntata di ‘Report’dedicata alla strage di via D’Amelio che ha fatto non poco rumore, e nella quale viene tirato in ballo un nome da novanta nell’eversione nera, quello di Stefano Delle Chiaie che, secondo il servizio mandato in onda da Sigfrido Ranucci e realizzato da Paolo Mondani, avrebbe avuto un ruolo chiave nell’organizzazione della strage. Boom!
Un ottimo servizio sul seminario organizzato dall’Università di Palermo, e quindi dedicato all’intervento di Trizzino, è stato realizzato da ‘il Sole 24 Ore’, che difficilmente può essere accusato di complottismo. Il titolo del pezzo è: “La famiglia Borsellino: ‘La pista nera sulle stragi del ’92 è un altro depistaggio”. Già parla da solo.
Di seguito potete leggere alcuni passaggi salienti dell’intervento di Trizzino, così come riportati dal quotidiano confindustriale.
MOVENTE BASE / IL RAPPORTO “MAFIA-APPALTI”
“E’ nelle indagini su Mafia-Appalti che bisogna cercare la verità. Qualche settimana prima di morire, mio suocero ha incontrato il magistrato Felice Limache gestiva il pentito Li Pera, il quale aveva riferito che qualcuno aveva passato i dossier delle indagini ai mafiosi”.
La ‘Voce’, circa tre anni ha, ha pubblicato alcune rivelazioni del pentito Giuseppe Li Pera (potete trovare un articolo nei link in basso), un ragioniere dell’impresa trentina ‘Rizzani-De Eccher’, il cui nome salta fuori nell’esplosivo dossier. Guarda caso, proprio Li Pera era stato interrogato – non si sa bene a quale titolo – da Antonio Di Pietro nel carcere dell’Ucciardone.
Come mai da uno che sapeva tutto sui rapporti tra Mafia e Appalti, come Li Pera, l’eroico PM di Mani Pulite non riuscì a cavare un ragno dal buco? E a quanto pare di quel fantomatico interrogatorio non esiste alcuna traccia, nemmeno lo straccio di un verbale? Una conversazione privata o cosa?
Proprio come era successo nel corso degli interrogatori che Di Pietro ebbe, stavolta a Milano, con l’Uomo a un passo da Dio – come lui stesso lo etichettò – ossia Pierfrancesco Pacini Battaglia, il faccendiere italoelvetico che tutto sapeva non solo sulla madre di tutte le tangenti, ‘ENIMONT’, ma anche sugli affari arcimiliardari dell’Alta Velocità’ sui quali – guarda caso – avevano
cominciato ad indagare proprio Falcone e Borsellino a febbraio 1991, quando sulle loro scrivanie piombò l’esplosivo dossier (890 pagine) elaborato dal ROS dei carabinieri e denominato, appunto “Mafia-Appalti”. I casi della vita…
Ma torniamo a bomba. Ossia all’intervento dell’avvocato Trizzino al seminario organizzato dal ‘DEMS’.
VELENI A PALAZZO DI GIUSTIZIA
Ricorda con commozione: “In quei 57 giorni di Via Crucis che separarono la strage di Capaci da quella di via D’Amelio, Paolo Borsellino non sorride più. Lucia mi ha raccontato che al padre sono diventati i capelli bianchi in dieci giorni. Ma a parte questo,
in quei giorni Borsellino confida a due magistrati di essere stato tradito da un amico e che, riferendosi all’ambiente della procura della Repubblica, a Palermo non ci si può fidare più di nessuno. Ma quei due magistrati hanno parlato nel 2010, non subito dopo la strage”.
Eccoci ad altri passaggi che fanno letteralmente saltare sulle sedie chi poco conosce quel ‘clima’ che si respirava al palazzo di Giustizia (sic) di Palermo.
Continua la minuziosa ricostruzione di Trizzino davanti agli studenti di Scienze politiche: “E’ sul procuratore Giammanco (Pietro, ndr) che bisogna indagare, altro che Delle Chiaie. Si gira sempre attorno per non cercare in quella maledetta procura”. Parole che pesano come macigni.
Eccoci al passaggio clou: “Si parla di responsabilità istituzionali, ma perchè i responsabili devono essere altri (in questo caso i tre poliziotti, ndr) e non i magistrati? Chi erano i magistrati coinvolti nel depistaggio su via D’Amelio?”. Eppure, i nomi si sanno, eccome!
Commenta ‘Il Sole 24 Ore’: “Senza mezzi termini Trizzino chiama in causa l’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, autore dell’inchieste sui ‘Sistemi criminali’ che segue la pista del neofascismo e della massoneria nelle stragi e nel ’92, ma anche i magistrati Guido Lo Forte eGiuseppe Pignatone”.
Riprende il filo del suo discorso Trizzino: “Alla fine, chi ha fatto le inchieste su mafia e appalti è stato penalizzato; chi invece ha insabbiato tutto è stato premiato”.
Altri macigni da non poco.
Non è certo finita qui, perché il legale della famiglia Borsellino incalza: “In questi 30 anni mi sono fatto un’idea: comincio a dubitare di tutto quello che ci hanno fatto vedere come ‘accaduto’. I responsabili sono stati dati in pasto all’opinione pubblica per coprire qualcun altro”.
Per coprire chi?, si chiede il giornalista del quotidiano confindustriale, Nino Amadore. “Trizzino non lo dice, ma ‘Riina non è il solo responsabile e ci sono altri elementi che hanno contribuito’. E poi l’avvocato si chiede: ‘Perché c’è ancora tutto sto disinteresse per il depistaggio di via D’Amelio e si preferisce parlare d’altro’”?
Sottolinea ancora, nel suo intervento-arringa all’Università di Palermo, il battagliero avvocato della famiglia Borsellino, con una figlia – Fiammetta Borsellino – che da sempre denuncia opacità, omertà & collusioni nel giallo di via D’Amelio e non ha paura di fare il nome dei magistrati coinvolti: “C’è bisogno di disinteresse di chi cerca queste verità. La persistenza di conflitti di interesse ha una funzione manipolativa nella ricostruzione dei fatti. Quando ho letto che Nino Di Matteo non voleva concedere il programma di protezione a Gaspare Spatuzza (il pentito che ha svelato la verità sul falso collaboratore Scarantino e quindi il depistaggio, ndr), posso ipotizzare che Di Matteo avendo legato la sua immagine professionale a Scarantino temesse effetti negativi? Lo posso avere questo dubbio o no? Io voglio dire che la verità collettiva la cerca chi, modestamente, non ha interessi in conflitto. Vi assicuro che se qualcuno mi dimostra che Stefano Delle Chiaie era lì, me lo deve dimostrate con il metodo Falcone. Io sarò il primo a chiedere scusa”
E l’affondo finale: “In trent’anni si è guardato ovunque: sono stati messi sotto accusa carabinieri, politici, polizia. Tutte le istituzioni. L’unica istituzione che non è stata attenzionata, nonostante Paolo Borsellino dica: saranno i miei colleghi ed altri. Noi questo non lo accettiamo più. Vogliamo semplicemente che anche in un’ottica di ricostruzione storica ci sia qualcuno che vada a vedere cosa è successo dentro quella procura. Perché c’è stata questa sovraesposizione mediatica sempre degli stessi soggetti? Qual è il vero motivo? Perché? Servono giovani che vadano a vedere le carte, in maniera asettica, senza conflitti di interesse, per trovare la verità”.