‘Iena’ firma Il male non è qui: ‘cerco la verità con la fiction’
“Matteo Messina Denaro per me è un’ossessione. Mentre ricordiamo le stragi di mafia e definiamo chiusi capitoli che non lo sono, la sua storia è ancora del tutto aperta: per raccontarla la cronaca con basta, serve la fiction, perché forse è ancora più potente per cercare la verità”. Si muove lungo un confine ibrido e sottile, intrecciando fatti realmente accaduti a una rilettura romanzata, l’inviato de Le Iene Gaetano Pecoraro, all’esordio come scrittore ne “Il male non è qui”, edito da Sperling & Kupfer.
L’autore, dopo il podcast “Armisanti. Vite mafiose e morti ordinarie”, attraverso la vicenda di un magistrato che cerca di fare luce sul mistero irrisolto di ‘MMD’, ossia Matteo Messina Denaro, prova a inseguire l’uomo più ricercato d’Italia, un latitante ormai divenuto quasi un fantasma: “Non ho la pretesa della verità, ma voglio essere onesto con il lettore: questo libro è un ibrido, ma non ci sono fantasie, perché al pubblico oggi già si raccontano tante cavolate”, dice Pecoraro in un’intervista all’ANSA. “Per scriverlo ci è voluto un anno, ma dentro ci sono 6 anni di lavoro. Mi ha aiutato aver fatto tante inchieste in passato: per ricostruire in maniera romanzesca l’ambiente di MMD ho incontrato anche i suoi familiari, sua madre e sua zia. Essere una iena significa anche fare il giornalista in situazioni rischiose. Questa è la mia idea di informazione”.
Per un siciliano forse MMD è anche una ‘questione personale’? “Sono nato e cresciuto a Palermo, una città dove c’era il coprifuoco, e che veniva paragonata a Beirut. Ricordo perfettamente dove ero quando è esplosa la bomba a Capaci, sentii il boato in cucina, e anche quando c’è stato l’attentato a Borsellino”, racconta, ‘Quei fatti hanno spezzato i nostri sogni e la nostra quotidianità: siamo cresciuti più in fretta. E per quanto mi riguarda hanno condizionato tutte le mie scelte.
Anche a Le Iene mi sono occupato di mafia”. Pensato per i giovani (“questo libro è per i ragazzi, per permettere loro di entrare in storie di cui si parla poco, così poi magari andranno ad approfondire”, dice), “Il male non è qui” ha una trama ricca di colpi di scena ma è anche un tributo, “il mio modo di onorare i 30 anni dalle stragi, per far nascere una riflessione mettendo l’accento su delle ferite aperte. Nel libro seguo tre filoni: il sangue, inteso come disumanità di MMD; l’amore, ossia la sua passione per le donne, la pista più concreta che stava portando gli inquirenti a prenderlo; e poi gli intrighi di palazzo, per capire ombre e misteri legati a rapporti incestuosi tra Stato e antistato”.
In questi anni lei che idea si è fatto? “Con MMD c’è sempre qualcosa che non torna. Lui sembra essere un fantasma. Possiamo però partire dalla concretezza, dalla sentenza del tribunale di Caltanissetta che lo ha dichiarato colpevole per la strage di Borsellino e ha delineato il suo ruolo”, prosegue, “quando sono stati catturati Riina e Provenzano tante sono state le ombre: le stesse che si ritrovano anche nel caso di MMD, forse legato a segreti che possono far tremare i vertici della nostra Repubblica”. Emblematico è il protagonista del libro, il magistrato Mimmo Bosso: “Sì, lo racconto come ‘il signore degli ergastoli’ per i tanti arresti fatti. Ma, dopo aver fallito per anni la cattura di MMD, poi è finito al tribunale dei minori. La storia di un mediocre? No, era solo che la partita era truccata”, spiega, “ed è proprio questa la sensazione. Ci sono corpi speciali che con tanti finanziamenti si occupano ancora oggi di cercare questo latitante: ci lavorano da anni, eppure mai un risultato. Tanti magistrati sono stati messi da parte, altri invece hanno fatto carriera. Io dico solo che dovremmo seguire quello che dice Fiammetta Borsellino: indagare la mafia, ma anche i ‘colleghi’ di suo padre”. “Le forze sane di questo Paese devono essere libere di indagare, ce lo meritiamo”, conclude Pecoraro, “bisogna aprire gli archivi, per comprendere i legami tra MMD, la destra eversiva e i servizi segreti internazionali. Dire che è un problema di mafia semplifica le cose: ma così tradiamo il messaggio di Falcone e Borsellino”. (ANSA).