Fiammetta Borsellino: “Omertà di Stato”
«Vincenzo Scarantino subì un pressing asfissiante — ripete il pubblico ministero Stefano Luciani — venne anche torturato nel carcere di Pianosa. Era sfinito quando disse che voleva collaborare con la giustizia». Nell’aula bunker dove sono stati processati i boss delle stragi, oggi sotto accusa ci sono alcuni uomini delle istituzioni, la procura di Caltanissetta li chiama in causa per la più infamante delle imputazioni: “concorso in calunnia”, per aver tenuto lontana la verità sulla bomba che il 19 luglio 1992 travolse Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, attraverso la costruzione di un falso pentito che ha accusato degli innocenti. Sul banco degli imputati siedono tre investigatori della polizia: il dirigente Mario Bò e due ispettori in pensione, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, erano i principali collaboratori dell’ex capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera, morto nel 2002.
Il pm Luciani chiama in causa non solo i suggeritori, quelli che fecero studiare con degli appunti — mostrati in aula — il balordo della Guadagna trasformato in provetto Buscetta. «In questo processo — dice il magistrato — ci sono stati pure testimoni convocati dalla procura, ex appartenenti al gruppo d’indagine Falcone-Borsellino, che non hanno fatto onore alla divisa che indossano: si sono trasformati in testi della difesa in maniera grossolana». È pesante l’atto d’accusa che segna l’inizio della requisitoria contro chi avrebbe depistato e chi continua a nascondere la verità. «Spero che questi comportamenti siano segnalati a chi di dovere», dice il pm rivolgendosi al rappresentante dell’avvocatura dello Stato. «In questo processo c’è stato un muro da parte di alcuni uomini delle istituzioni».
Le parole del pubblico ministero sono un crescendo. A rilanciarle è Fiammetta Borsellino, che ha seguito tutte le udienze come parte civile. Dice a Repubblica: «In questo processo, abbiamo visto magistrati e poliziotti che non ricordavano passaggi fondamentali delle loro indagini. Abbiamo assistito a una vera e propria omertà istituzionale che ha reso difficile il lavoro importante dei magistrati di Caltanissetta». Non usa mezzi termini la figlia del giudice Paolo: «Dai mafiosi te l’aspetti l’omertà, dagli uomini delle istituzioni no. Sono inaccettabili i silenzi, le reticenze, i pianti e i non ricordo».
Fiammetta Borsellino racconta di avere ricevuto nei giorni scorsi una telefonata del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi: «Quando il centralino mi ha annunciato la chiamata confesso di avere provato una certa emozione, ero convinta che mi sarebbero state comunicate notizie sui procedimenti disciplinari riguardanti alcuni ex pm di Caltanissetta che hanno gestito il falso pentito. Invece, il dottore Salvi mi invitava a un convegno. Ho risposto — prosegue Fiammetta — che la famiglia Borsellino non parteciperà ad alcuna iniziativa istituzionale fino a quando non sarà fatta luce su questa incresciosa vicenda».
Dice ancora Fiammetta Borsellino: «Quando ho chiesto notizie dei procedimenti disciplinari, mi è stato risposto che ci sono delle problematiche relative alla prescrizione. Cosa che ritengo inaccettabile. A questo punto, bisognerebbe avere l’onestà morale di comunicarlo al Paese che nessun magistrato pagherà per quello che è ormai definito dalle sentenze il più colossale depistaggio della storia d’Italia». LA REPUBBLICA – SALVO PAPAZZOLO