Su Calcara, il giornalista Morici aveva scritto la verità. Ecco perché è stato assolto

 Uscite pochi giorni fa le motivazioni della sentenza che ha assolto il giornalista Gian Joseph Morici del quotidiano on line “La Valle dei Templi”.

Era stato denunciato per diffamazione a mezzo stampa da Vincenzo Calcara, definito in un articolo dal titolo “Vincenzo Calcara – Ma i Magistrati e Borsellino sanno?” un “falso pentito, omertoso e reticente”.

La giudice Fulvia Veneziano lo ha assolto, nonostante il pm avesse chiesto una condanna ad otto mesi di reclusione, tutelando il diritto di cronaca “anche quando ne derivi una lesione dell’altrui reputazione”. La condizione, si legge nelle motivazioni, è che la notizia pubblicata sia vera, che sia di pubblico interesse e nei limiti della cosiddetta continenza.

Morici ha fatto proprie le valutazioni ed i dubbi di Massimo Russo, espressi nella Commissione Parlamentare antimafia del 2017 e  coincidenti con quanto espresso dal pm Gabriele Paci nel corso della requisitoria innanzi alla Corte di Assise di Caltanissetta, nel processo a carico di Matteo Messina Denaro,  sulla “possibilità che il Calcara sia stato eterodiretto ed abbia, in qualche modo, contribuito al depistaggio sulle stragi del 1992, impedendone l’accertamento della verità”.

Questa sentenza, oltre ad essere un ottimo risultato per Morici, fornisce un altro importante input sulla mancanza di credibilità del Calcara che, in un paese normale, dovrebbe indurre quanto meno a rivedere determinati convincimenti dell’antimafia, sia sociale che giudiziaria (in diversi processi, il ruolo di Calcara è stato considerato determinante).

Ma soprattutto, alla luce della definizione dello stesso Paci, che lo ha chiamato “Avvelenatore di pozzi e pseudo-pentito eterodiretto”, sarebbe necessario sapere chi e perché lo abbia manovrato.

Intanto, non possiamo che rimandare alla lettura dell’articolo di Gian Joseph Morici, pubblicato su “La Valle dei Templi” il 6 marzo 2018, che riportiamo di seguito.

Potrebbe essere una buona base di partenza.

Egidio Morici

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Vincenzo Calcara – Ma i Magistrati e i Borsellino sanno?

Che Vincenzo Calcara sia stato un falso pentito di mafia, è un dato ormai acclarato. La sua storia di mafioso è stata sepolta da valanghe di smentite da parte di collaboratori del calibro di Brusca, Sinacori, Geraci, Siino e altri, e dalle tante sentenze che hanno consegnato dello pseudo-mafioso-pentito un ritratto sul quale fin dall’inizio della sua collaborazione sarebbe stato opportuno stendere un velo pietoso.

Già, un velo pietoso, se non fosse che con le sue false dichiarazioni il Calcara riuscì a a stravolgere la vita di un centinaio di famiglie, dando un notevole contributo ai depistaggi che hanno ad oggi impedito che si scoprisse la verità in merito alle stragi del ‘92, quando morirono i Giudici Falcone e Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte.

A Caltanissetta è in corso il processo che vede imputato il super latitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti di quelle stragi. Un processo del quale abbiamo scritto nelle scorse settimane, in particolare in riferimento ai summit tenutisi a Castelvetrano prima delle stragi – ai quali presero parte i Messina Denaro e soggetti politici – e rispetto i quali esisterebbe un presunto testimone che già in passato aveva dichiarato la propria disponibilità a raccontare di quegli incontri.

Si arriverà a una verità? Una verità che sia vera e non frutto di ulteriori depistaggi, di omertà e reticenze? Forse è ancora presto per dirlo. Forse verrà sentito il presunto testimone, forse sarà in grado di ricostruire cosa accadde nel periodo antecedente le stragi, forse anche altri potranno aggiungere particolari che potranno essere d’aiuto a colmare i tanti vuoti che ad oggi, dopo così tanti anni, continuano ad impedire che si sappia con certezza chi volle quei massacri… Forse…

Tolti i tanti forse, restano però le certezze. Certo è il fatto che Calcara fu considerato per tanto tempo, troppo tempo, un vero pentito. Che venne accolto dai familiari del Giudice Paolo Borsellino come uno di famiglia, grati a lui che si era autoaccusato di essere stato incaricato di uccidere il Giudice, per non averlo fatto; per aver collaborato nel vano tentativo di salvargli la vita. Certo è che quello che narrò – accusando ingiustamente persone innocenti – fu funzionale soltanto al compimento di quelle maledette stragi. Ma le certezze non sono soltanto queste. Un’altra certezza è quella che il Calcara non può essere il solo autore di questi misfatti. Che altri si nascondono dietro di lui. Neppure i tanti post a lui attribuiti sulle stesse pagine Facebook del suo profilo o nei gruppi che amministra o dei quali fa parte, sono attribuibili a lui con certezza. Una proprietà di linguaggio che non trova riscontro con quella adoperata nel corso delle audizioni, delle interviste, della sua partecipazione ai tanti convegni ai quali erroneamente è stato invitato a partecipare.

Chi si nasconde dietro le sue dichiarazioni? Chi scrive post che a una ben diversa levatura culturale sono riconducibili, che non quella del Calcara? E, soprattutto, perché lo fa? E qui le certezze vengono meno. Finalmente, a distanza di tanti anni e dopo aver calunniato persone innocenti, Calcara, che era l’unica persona al mondo a non conoscere la caratura criminale di Matteo Messina Denaro, improvvisamente si ricorda del boss. Ma non soltanto si ricorda del boss, fa di più. Dopo averne tessuto in passato le lodi, oggi accusa l’allora maresciallo Carmelo Canale di essere colui che tradì il Giudice Borsellino.

Canale, il 3 settembre 97, non più da maresciallo ma da tenente dei carabinieri, venne sentito dalla commissione Antimafia nel corso di un’audizione durata circa due ore e mezzo, durante la quale consegnò anche dei documenti che vennero inoltrati alla Procura della Repubblica di Palermo, che immediatamente dopo li restituì all’Ufficio di Presidenza della Commissione. Motivo? Secondo quanto riportato all’epoca dalla stampa, gli atti erano coperti dal vincolo del segreto apposto dalla Commissione, e dunque processualmente inutilizzabili.

È appena il caso di ricordare che dopo le accuse di una moltitudine di pentiti, Canale venne poi assolto dalle accuse di mafia, rivelazione di segreti d’indagine, estorsione e corruzione. Adesso, ad accusarlo, è colui il quale all’epoca ne tesseva le lodi, sconfessando quanto dichiaravano tutti gli altri pentiti.

Calcara, che lamenta di non essere stato sentito come teste al processo di Caltanissetta contro Matteo Messina Denaro, nel corso del processo presso il Tribunale di Palermo, che lo vede imputato per diffamazione in danno di Antonio Vaccarino, già in passato accusato dall’ex di essere a capo della consorteria mafiosa di Castelvetrano e di aver commissionato a lui l’omicidio del Giudice Borsellino (fatti dai quali il Vaccarino è stato assolto) nonostante le sue false accuse in passato lo avessero portato a una richiesta di condanna a otto anni di reclusione (miracolosamente graziato da prescrizione) e nonostante in udienza abbia chiesto perdono al Vaccarino, è tornato a reiterare allo stesso l’accusa di essere stato socio in affari del defunto capomafia Francesco Messina Denaro, padre dell’attuale boss latitante.

Ma non si limita a questo. Nel corso dell’udienza, Calcara ha gettato inquietanti ombre su due alti magistrati di Palermo, che, a suo dire, lo proteggerebbero. In più occasioni, il Calcara ha ripetuto di essere protetto dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’ex presidente della Corte d’appello di Palermo, Gioacchino Natoli.

Illazioni gravissime che gettano ulteriore discredito e pesanti ombre sulla magistratura palermitana che di recente si è ritrovata nell’occhio del ciclone con il cosiddetto “caso Silvana Saguto”. La potente giudice dell’antimafia, accusata di associazione a delinquere, corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione a dare o promettere utilità e abuso d’ufficio, a seguito dell’allegra gestione di beni sequestrati alla mafia, che vede coinvolti altri magistrati e amministratori giudiziari.

A completare un quadro assai poco edificante, il servizio delle Iene sull’hotel abusivo gestito dalla moglie dell’ex procuratore nazionale antimafia, Giusto Sciacchitano, il quale già in passato fu al centro di polemiche, quando Michele Costa, figlio di Gaetano Costa, il giudice ucciso dalla mafia, non gradì la sua nomina a procuratore nazionale antimafia. Infatti, da sostituto procuratore a Palermo, Sciacchitano, nel 1980, si era dissociato dal procuratore Costa nella convalida di decine di ordini di cattura a carico di appartenenti a cosche mafiose palermitane.

Dinanzi tutto questo, è legittimo chiedersi come agirà la magistratura? Di Vaccarino sappiamo che ha già anticipato la querela contro Calcara per calunnia. Ma i Borsellino, che sono anche loro vittime di quest’uomo che ha tradito la loro fiducia e la memoria del compianto Giudice, non riterranno anche loro – al fine di far piena luce sulle stragi di Capaci e via D’Amelio – di dover chiedere che venga sentito al processo in corso a Caltanissetta il testimone dei summit? Prenderanno ufficialmente le distanze dall’impostore Calcara? Quello stesso Calcara che, nonostante tutto, forse varrebbe la pena di sentire anche in merito alle sue più recenti affermazioni. Altro non fosse che per restituire quell’integrità morale a due alti magistrati, oggi adombrata dalle sue gravi illazioni.

Gian Joseph Mori

Lavalledeitempli.net