7 Agosto 2022 Un altro, decisivo tassello per la soluzione del tragico giallo di Capaci e di via D’Amelio, rinvenendo il movente delle due stragi – soprattutto la seconda – è nel dossier ‘Mafia-Appalti’ al quale stava lavorando da un anno e mezzo Giovanni Falcone, con il fondamentale supporto di Paolo Borsellino.
Arriva dalle motivazioni della sentenza pronunciata mesi fa dalla Corte d’Appello di Palermo sulla famosa ‘Trattativa Stato-Mafia’, appena rese note. Il giudice che ha firmato la sentenza e le motivazioni è Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania.
E tutto ciò succede proprio all’indomani della fondamentale decisione della procura di Caltanissetta di riaprire, dopo ben 30 anni di letargo in seguito alla iper-frettolosa archiviazione, proprio quell’inchiesta ‘Mafia-Appalti’, voluta con tanta forza da Falcone e Borsellino che per portarla avanti hanno pagato con la loro vita.
Sotto la supervisione del procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca, infatti, il fascicolo è ora affidato ad un pool di pm, tra cui Paola Pasciuti, toga ben nota per la sua assoluta tenacia e rigore investigativo.
Ma riavvolgiamo il nastro per districarci nella non semplice matassa, che ha visto proprio nei primi giorni di ferragosto degli imprevedibili – e quasi miracolosi – sviluppi.
A partire, proprio, dalla decisione delle toghe nissene.
‘MAFIA E APPALTI’, DETONATORE PER IL TRITOLO Ecco la notizia fresca di giornata, dopo mesi di attesa. Sono state finalmente depositate le motivazioni della sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Palermo sulla famosa ‘Trattativa Stato Mafia’, che ha occupato per anni le cronache di tutti i media. Letteralmente sviando, ‘depistando’ l’attenzione dal vero cuore del problema, come la ‘Voce’ ha scritto più volte.
Le motivazioni della sentenza, infatti, ribaltano il castello accusatorio, valso in primo grado le pesanti condanne ai vertici del ROS per aver intavolato – secondo il teorema accusatorio del primo grado – una vera e propria ‘trattativa’ con i vertici di Cosa Nostra. Protagonisti il comandante del ROS dei carabinieri, il generale Mario Mori, e il suo braccio destro, il capitano Giuseppe De Donno. Accusati di aver stretto un patto di ferro con l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, capace di garantire la tranquillità ai vertici di Cosa Nostra in cambio di una fine della stagione stragista.
In questo patto molti, troppi hanno visto il movente per le ultime stragi, quelle di Capaci e via D’Amelio, proprio perché le due toghe avrebbero voluto evitare qualsiasi trattativa con i vertici di Cosa Nostra.
La sentenza di primo grado ha fatto propria questa versione dei fatti, accusando e condannando senza se e senza ma i vertici del ROS in combutta con la mafia.
Adesso, invece, la sentenza pronunciata a fine dello scorso anno dalla Corte d’Appello di Palermo ribalta il tutto, smonta il castello accusatorio. C’è stata, sì, una ‘Trattativa’, ma volta unicamente a “sterilizzare l’azione mafiosa”. Niente patti segreti, nessuna collusione.
Titola l’ADN Kronos: “La Trattativa ci fu, ma il ROS agì per fermare le stragi”.
ECCOCI AL CLOU DELLA SENTENZA Ma una buona fetta della sentenza è destinata a ben altro.
E cioè ad illuminare – e non poco – circa i reali motivi che hanno portato alle due stragi, ai veri moventi alla base degli eccidi di Capaci e di via D’Amelio.
Guarda caso, proprio la pista ‘Mafia-Appalti’, quella su cui dovrà finalmente, da ‘domani’, indagare la procura di Caltanissetta.
Ecco cosa mettono nero su bianco i giudici d’Appello: “La Corte ritiene che quell’imput dato da Salvatore Riina al suo interno affinchè si uccidesse il dottor Borsellino con urgenza, nel giro di pochi giorni, mettendo da parte progetti omicidiari già in fase avanzata come quello che riguardava l’onorevole Calogero Mannino, di cui ha riferito Giovanni Brusca – può aver trovato
origine nell’interessamento di Borsellino al rapporto ‘Mafia e Appalti’”. Più chiari di così!
Poi spiegano, nelle loro motivazioni: “Ben si comprendono le perplessità di Borsellino a fronte dell’opzione di chiudere con una richiesta di archiviazione le indagini sul più importante procedimento istruito in quel momento storico dalla procura di Palermo, nell’ambito di quello specifico filone investigativo”.
I giudici di appello rammentano anche “le doglianze che Borsellino aveva personalmente raccolto nei suoi contatti con i carabinieri del ROS”.
E fanno esplicito riferimento a quanto successe nell’assemblea plenaria che si svolse in Procura, a Palermo, quel 14 luglio 1992, cinque giorni prima della strage di via D’Amelio.
“Il dottor Borsellino lo disse espressamente in quella assemblea”, scrivono, come “ben rammenta il pm Luigi Patronaggio”.
Verbali e testimonianze che la ‘Voce’ ha documentato, giorni fa, in una delle precedenti inchieste, dopo la semplice ‘pubblicazione’, sul suo sito, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura: niente a che vedere con una ‘desecretazione’, come molti media hanno erroneamente scritto, perché si trattava di atti contenuti in altri fascicoli (pubblici) processuali.
Scrivono, sul loro sito, gli ‘Stati Generali’. “Nessuna Trattativa. ‘Mafia e Appalti’ causa accelerante della morte di Paolo Borsellino”.
COMMENTA L’AVVOCATO FABIO TRIZZINO
Ecco un commento, a botta calda, dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino e marito della figlia Lucia, il quale ha sempre lottato perché la pista ‘Mafia e Appalti’ venisse considerata come il primo movente della strage.
Come del resto sostiene, da anni, con grande coraggio, l’altra figlia di Borsellino, Fiammetta, che si è anche scagliato contro gli autori in toga del ‘depistaggio più grande della nostra storia repubblicana’, quello circa le prime indagini sulla strage di via D’Amelio e il taroccamento del pentito Vincenzo Scarantino, servito a far condannare a 16 anni degli innocenti e a far perdere tempo prezioso alle indagini autentiche.
Che potranno ricominciare solo adesso, a Caltanissetta, dopo la bellezza di 30 anni perduti.
Leggiamo le parole di Trizzino; mentre, per completezza d’informazione, vi invitiamo a leggere le tre precedenti inchieste sulle stragi, pubblicate dalla ‘Voce’, in sequenza, nei giorni scorsi.
«A chi mi chiede un commento a caldo sulle motivazioni della sentenza trattativa mi limito a rassegnare le seguenti considerazioni.
La ricerca di una verità giudiziaria su via d’Amelio è paragonabile alla scalata del monte Everest.
Più si va avanti più l’area diventa rarefatta e gli ostacoli più potenti, quasi invincibili.
Eppure oggi siamo a 6mila metri di altezza e, fra mille ostacoli, abbiamo guadagnato il campo base. Bisogna riordinare le idee e riacquistare forza ed energie.
La vetta è lì più vicina. La si può quasi toccare. Ma al tempo stesso lontanissima.
Raggiungerla significherebbe guardare dentro a certi santuari, intoccabili che,’ a solo tentare di guardarci dentro, si corre il rischio di essere trasformato in una statua di sale.
Il clima all’interno della Procura di Palermo delineato nelle motivazioni contrasta decisamente rispetto alle parole riportate da Alessandra Camassa e Massimo Russo, testi qualificati, circa la definizione che Paolo Borsellino diede al suo ufficio di Palermo: un NIDO DI VIPERE.
La memoria di um valente Magistrato come Paolo Borsellino ci impone dunque un ultimo sforzo.
E noi non ci sottrarremo, tanto più che il nostro cammino per la Verità, per alcuni, non avrebbe dovuto nemmeno essere iniziato».