RINO GERMANÂ in Commissione Parlamentre Antimafia

 

Rif. Camera Rif. normativi
XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico


Seduta n. 92 di Mercoledì 6 maggio 2015
INDICE

Audizione di Calogero Germanà, già questore di Piacenza:
Bindi Rosy , Presidente2 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza2 
Bindi Rosy , Presidente3 
Mattiello Davide (PD)  … 3 
Giarrusso Mario Michele  … 4 
Lumia Giuseppe  … 4 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  … 4 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza4 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  … 4 
D’Uva Francesco (M5S)  … 5 
Bindi Rosy , Presidente5 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza5 
Bindi Rosy , Presidente5 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza5 
Bindi Rosy , Presidente8 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza8 
Bindi Rosy , Presidente9 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza9 
Bindi Rosy , Presidente9 
Mattiello Davide (PD)  … 9 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza9 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  … 9 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza9 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  … 9 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza10 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  … 10 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza10 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI)  … 10 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza10 
Giarrusso Mario Michele  … 10 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza10 
Giarrusso Mario Michele  … 11 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza11 
Giarrusso Mario Michele  … 11 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza11 
Giarrusso Mario Michele  … 11 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza11 
Giarrusso Mario Michele  … 11 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza12 
Giarrusso Mario Michele  … 12 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza12 
Bindi Rosy , Presidente12 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza12 
Bindi Rosy , Presidente12 
Germanà Calogero , già questore di Piacenza12 
Bindi Rosy , Presidente12 

Comunicazioni della presidente:
Bindi Rosy , Presidente12

 

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Audizione di Calogero Germanà, già questore di Piacenza.

  PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione del dottor Calogero Rino Germanà, già questore di Piacenza. L’audizione odierna è dedicata alla parabola professionale del dottor Germanà, da pochi giorni collocato in quiescenza al termine di una lunga e prestigiosa carriera in Polizia che lo ha visto da ultimo questore di Piacenza, ma soprattutto in precedenza investigatore in prima linea contro la mafia in Sicilia. In particolare, nel settembre 1992 a Mazara del Vallo il dottor Germanà fu vittima di un terribile agguato mafioso a colpi di kalashnikov a opera di Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro, al quale riuscì miracolosamente a sfuggire solo grazie al suo coraggio e alla sua prontezza. Per quella vicenda ancora di recente alcuni deputati e senatori hanno presentato due interrogazioni parlamentari alla Camera e al Senato, di cui sono primi firmatari l’onorevole Mattiello e la senatrice Ricchiuti, membri della nostra Commissione, interrogazioni rivolte al Ministro dell’interno affinché si faccia promotore del conferimento al dottor Germanà della medaglia d’oro al valor civile. Per parte nostra, l’ufficio di presidenza della Commissione ha accolto con favore la proposta del capogruppo del Movimento 5 Stelle, onorevole D’Uva, di convocare oggi in audizione il dottor Germanà, peraltro mai ascoltato prima in Commissione antimafia. Non possiamo conferire medaglie, ma possiamo mostrare la nostra attenzione e la nostra gratitudine ascoltando con grande interesse. Ringrazio, pertanto, il dottor Germanà, che è accompagnato anche dal figlio e dal nipote, per la sua presenza. Do ora volentieri la parola al dottor Germanà per un’illustrazione del suo percorso professionale e umano e per trarne utili spunti per il lavoro della Commissione, ricordando come di consueto che, ove necessario, i lavori potranno anche proseguire in forma segreta.

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Inizio così il mio percorso e la mia storia professionale. Sono nato a Catania il 29 aprile del 1952. Ho studiato a Catania, dove ho frequentato l’università. Dopo la laurea ho partecipato al concorso per entrare in Polizia, sono stato assunto e ho preso servizio nel 1979. Dopo il corso di formazione sono stato assegnato alla questura di Enna, dove sono rimasto fino al 1982. Sono stato poi trasferito alla questura di Agrigento, dove ho diretto la squadra mobile, dopodiché sono stato trasferito al commissariato di Mazara del Vallo nel 1984, dove sono rimasto fino al 1987. In quell’anno stato trasferito alla squadra mobile di Trapani, dove sono rimasto fino al 1991, poi sono stato assegnato quale dirigente della terza Criminalpol costituente in Sicilia con sede a Caltagirone. Nel 1992 sono stato trasferito nuovamente al commissariato di Mazara del Vallo, dove il 14 settembre ho subìto un attentato e da dove sono stato trasferito al servizio centrale operativo di Roma fino al 1994, anno in cui sono stato assegnato quale dirigente della Criminalpol Pag. 3Emilia Romagna fino al 1998. Dal 1998 al 2000 ho diretto l’aeroporto di Bologna, poi sono stato alla scientifica e nel 2001 sono stato assegnato quale capo del secondo reparto della DIA. Nel 2003 mi hanno assegnato al corso della Scuola Superiore di Polizia. Nel 2004 sono stato promosso questore, alla questura di Forlì, fino al 2011 e da lì e fino al 30 aprile 2015 sono stato questore di Piacenza. Dal 1o maggio sono in pensione. Questo riguarda l’aspetto professionale. Sotto il profilo investigativo, ad Agrigento, congiunto con Polizia e Carabinieri, abbiamo steso il primo rapporto antimafia contro la mafia agrigentina, poi sono stato al commissariato in Mazara del Vallo, dove ho steso un altro rapporto sempre di mafia che riguardava il capofila Agate Mariano più settantadue o settantaquattro, non ricordo quanti fossero i denunziati. Sono stato poi dirigente della squadra mobile di Trapani, dove abbiamo emesso diverse informative che riguardavano la mafia partannese, di Alcamo e di Mazara. Alla Criminalpol di Caltagirone ho redatto un rapporto che riguardava la mafia calatina che ci ha portato all’individuazione anche di Rampulla Pietro. Nel corso di quell’indagine abbiamo eseguito anche approfondimenti su una compravendita immobiliare molto grossa, di circa 6 miliardi, che riguardava un imprenditore catanese. In quel contesto ci siamo interessati anche dell’incendio del Sigros, avvenuto a Catania. Siamo nel 1991. Sono stato poi nuovamente assegnato al commissariato di Mazara del Vallo. Non ho detto della fase in cui ero dirigente della Criminalpol di Caltagirone, quando sono stato inviato in missione a Palermo dopo l’omicidio Lima. In quel caso, ho steso un rapporto sulla mafia alcamese e sulla guerra che c’era in quegli anni ad Alcamo. In quel periodo, ho esitato un’attività investigativa che riguardava un «avvicinamento» al presidente della Corte d’assise d’appello Scaduti in relazione al processo che si stava celebrando alla cupola mafiosa in riferimento all’omicidio del capitano Basile. In quel caso ho esitato il rapporto nel mese di maggio e poi sono stato trasferito l’8 giugno 1992 a Mazara del Vallo. Il 14 settembre ho subìto un attentato, e quindi finisce la mia «pausa» siciliana.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Germanà. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE MATTIELLO. Ringrazio il dottor Germanà. Sono anch’io molto lieto di quest’occasione, e ringrazio il collega D’Uva per averla proposta. Anzitutto, come richiamato dalla presidente, alcuni di noi recentemente hanno proposto delle interrogazioni parlamentari al Ministro dell’interno. Io ne ho portata con me una copia, che eventualmente lascio agli atti, ma immagino che la Commissione ce l’abbia. Auspico che questo nostro incontro in Commissione serva anche di stimolo al Ministero dell’interno, che almeno a noi non aveva ancora risposto. Magari dopo quest’audizione una risposta formale arriverà. Dottor Germanà, le propongo due spunti per continuare questo approfondimento, questa ricognizione sulla sua esperienza. Il primo spunto è proprio sul fallito attentato che ha subìto. Immagino che in tutti questi anni ci abbia pensato molto e abbia pensato molto al contesto nel quale è capitato quel tentato omicidio. Quello era il periodo nel quale cosa nostra sembrava capace di atti militari e terroristici per portata e capacità operativa. Nel suo caso, le cose sono andate come sono andate. Che idea si è fatto in questi anni ripensando a quei tragici eventi e a quella capacità militare operativa dimostrata da cosa nostra e probabilmente non soltanto da cosa nostra in altri momenti, se i suoi capi o alcuni di quelli si comportarono come si comportarono tentando di toglierle la vita in quel giorno ?
  Vengo al secondo spunto. Lo propongo così e poi, rispondendoci e rispondendomi, mi dirà se ho detto male: io e altri abbiamo l’impressione che a un certo punto lei sia stato allontanato dalla Sicilia, che qualcuno, per riconoscerle un onore, l’abbia promossa spostandola da quella terra nella quale, se non capisco male, non Pag. 4è più tornato con ruoli operativi. Nella mia testa c’è un’altra persona, che credo lei conosca, che è stata recentemente allontanata dalla Sicilia, promossa con un ruolo importante: penso al dottor Linares, attualmente capo centro DIA a Napoli. So che in qualche modo il suo lavoro, dottor Germanà, e quello del dottor Linares si sono intrecciati: vorrei anche su questo, nei modi in cui può e desidera, una sua opinione.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Lei ha accennato al rapporto sull’avvicinamento al magistrato Scaduti. Sappiamo che quel rapporto era alla ricerca di un certo Enzo: vorremmo sapere di più su questa ricerca, dove è approdata e che esiti ha avuto, in particolare in relazione all’intreccio che si è venuto a creare tra questo Enzo e il notaio Ferraro, nel cui studio mi pare ci sia stato l’incontro di cui si è parlato per l’avvicinamento di Scaduti. Va considerato anche che Ferraro era un gran maestro della massoneria, per cui spunti e indagini alla ricerca di questo Enzo in quel 1992 hanno coinvolto rapporti molto pesanti tra politica, mafia e massoneria. Poi abbiamo la sua preposizione all’ufficio di Mazara del Vallo, che il pubblico ministero del processo contro quelli che commisero l’attentato nei suoi confronti ha sostenuto potrebbe essere frutto di qualcuno che l’abbia messa là apposta. Si tratta, infatti, di un ufficio che aveva già diretto negli anni passati e forse di grado inferiore rispetto a ruoli che aveva già ricoperto. Se c’è una progressione di carriera, non si va da un commissariato alla squadra mobile di un capoluogo di provincia: poi come si torna di nuovo al commissariato di una cittadina non di provincia ? Vorremmo capire se quello che ha sostenuto quel pubblico ministero, ovviamente secondo la sua percezione, avesse qualche fondamento e se i rapporti tra mafia, politica e massoneria abbiano avuto qualche ruolo.

  GIUSEPPE LUMIA. La sua è una bella testimonianza e anche preziosa per alcuni frangenti della storia della lotta alle mafie. Ha agìto in quel contesto della provincia di Trapani dove agivano insieme boss del calibro di Virga, di Mangiaracina e, appunto, della famiglia di Matteo Messina Denaro, in un contesto massonico molto elevato. Lì abbiamo avuto logge direttamente collegate con cosa nostra, la «Scontrino» docet. Vorrei che potesse descrivere alla Commissione antimafia questo contesto che vede cosa nostra con quei boss – a Mazara su Mangiaracina ha lavorato, così come su altri, Virga e lo stesso Matteo Messina Denaro – la massoneria e la politica. È una bella occasione per dirci cosa pensa in Commissione antimafia, dove non solo bisogna descrivere rapporti strettamente giudiziari, ma c’è anche la possibilità di ricostruire un contesto che lei ha conosciuto e vissuto e che era costituito anche di sensazioni oltre che di conoscenze. Sarebbe importante acquisire anche questa testimonianza.

  CLAUDIO FAVA. Ben ritrovato, dottor Germanà. A completamento delle domande dei colleghi, l’agguato al quale scampò, se non ho ricostruito male, vedeva il gruppo di fuoco in macchina formato da Messina Denaro e Graviano. Chi era il terzo ?

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Bagarella.

  CLAUDIO FAVA. Bagarella. Mandante non soltanto ipotetico ma sostanziale era Riina per gli equilibri e per il ruolo che aveva e che ancora adesso ha. Perché quest’agguato ? Se poteva essere legato soltanto alla sua vecchia permanenza su quel territorio, il movente risalirebbe più facilmente in via diretta soltanto a Messina Denaro, che chiede a Riina l’autorizzazione o l’input parte da Riina ? In ogni caso, che spiegazione si è dato di una cosa in cui c’era il timbro bello forte della cupola di cosa nostra, nessuno escluso ? Il collega, senatore Giarrusso, chiedeva del suo rientro a Mazara. È chiaro che per un funzionario i trasferimenti sono sempre in qualche modo concordati, non c’è mai un cablogramma in cui le si dice di andare via. Non dico che ci sarà stata una corrispondenza Pag. 5da parte sua, ma comunque vi sarete dati una spiegazione sulla ragione di questo ritorno in un momento in cui aveva anche sul piano della carriera una posizione diversa. In terzo luogo, perché non è mai tornato in Sicilia ? Per una scelta sua, per ragioni assolutamente legittime di opportunità o di scelta di prospettiva diversa, o in qualche modo c’è stata anche una sollecitazione da parte del Viminale nelle varie fasi perché lei non tornasse in Sicilia con incarichi operativi all’altezza delle sue responsabilità ?

  FRANCESCO D’UVA. Ringrazio il dottor Germanà per essere qui. Devo girare tutti i ringraziamenti che mi sono stati formulati al mio gruppo parlamentare, che appunto rappresento in ufficio di presidenza, in particolare al collega Giarrusso, che mi ha sensibilizzato affinché fosse tenuta quest’audizione. Premesso questo, come ha già chiesto il collega Fava, lei ha mai chiesto di rientrare in Sicilia ? Tornando al 1992, dov’era arrivato con le indagini ? Come mai quell’attentato proprio in quel momento ? Cosa aveva «scoperchiato» esattamente, se si può dire ? Chi ha continuato quelle indagini, se qualcuno l’ha fatto, al suo posto quando l’hanno trasferita per motivi di sicurezza ? Dove, eventualmente, è arrivato, che lei sappia, visto che si trovava in altra località ?

  PRESIDENTE. Io le rivolgerei la domanda sul caso Rostagno, sul quale anche recentemente si è affermata la sua tesi investigativa. Ci dica se ritiene di dover segretare delle parti.

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. No. Che devo segretare ?

  PRESIDENTE. Sa, le hanno rivolto delle domande a cui magari una sua risposta chiarisce tutti i misteri della Repubblica.

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Presidente, se è mistero, non si può chiarire. Anzitutto, faccio una precisazione. Il fatto che abbia subìto un attentato e che sia rimasto in vita non dipende certo dalla mia capacità di reazione, quasi fossi una specie di Rambo. Vuol dire che era il destino della mia vita. Altri colleghi, uno mio concittadino, il dottor Montana, il dottor Cassarà, persone che ho conosciuto e con cui in qualche modo ho collaborato, purtroppo sono morti. Vuol dire che il mio destino era di restare in vita. Dico con forza che, evidentemente, era destino che dopo quest’attentato in qualche modo ringraziassi avendo il piacere di avere un altro figlio, che si chiama Francesco.
  Quanto alle domande poste, faccio questa precisazione. Nelle cose di mafia, almeno a quel tempo, non c’era l’esperto antimafia. Già non si sa come evolvono le dinamiche familiari, figuratevi quelle di cosa nostra, che è un’associazione segreta. Non c’era un esperto antimafia. Se fossi stato esperto o profondo conoscitore delle dinamiche mafiose, avrei già previsto il mio attentato e mi sarei organizzato e invece non mi ero organizzato per niente. Perché il fatto è successo ? Secondo la mentalità mafiosa, può darsi che io costituissi un pericolo per cosa nostra. Poi è avvenuto nel 1992 e quindi, in qualche modo, forse rientrava in questa strategia che processualmente è stata definita stragista. Ricostruendo il mio vissuto da investigatore, non si nasce investigatori. Lo sono diventato forse per un desiderio di conoscenza in generale, e in particolare sotto il profilo investigativo. Debbo rendere merito anche a una persona che non c’è più, il maresciallo Guazzelli, e altri ufficiali dell’Arma di cui ora non mi sovvengono i cognomi, col quale svolgendo indagini sulla mafia agrigentina si discuteva sempre sulla metodologia di approccio di un fatto mafioso. Quando si verificava un omicidio, sicuramente c’era sempre, semplice e lineare, una forma di organizzazione, ma quello che poteva in qualche modo dare l’abbrivio, l’inizio per capire l’area di provenienza deliberativa, se fosse all’interno di uno stesso gruppo o esterno, era dato dalle modalità di esecuzione del delitto, ma anche dalle auto Pag. 6utilizzate. Cito a esempio che in quegli anni le auto venivano rubate un anno prima e tenute nascoste; quando si maturava l’idea di commettere un omicidio, l’auto che era stata rubata un anno prima veniva tirata fuori e utilizzata. Mi sto riferendo agli anni Ottanta, ormai è passato tanto tempo. Tutte le volte trovavamo macchine di piccola cilindrata, la batteria sempre fiammante ed escrementi di topo, da cui deducevamo che la macchina era stata nascosta. Inoltre, erano importanti la zona, l’orario e così via. In qualche modo sto illustrando la mia tecnica investigativa. All’epoca, la maggior parte degli omicidi avveniva in campagna, perché il più delle volte la vittima assumeva anche la veste di imprenditore, aveva un ruolo imprenditoriale. Siccome avveniva in questi contesti, c’era stata sicuramente la preparazione e investigare o intervistare – usiamo questo termine newyorkese, americano – le persone che erano lì intorno era utile, perché così si poteva trovare una piccola traccia magari di personaggio di organizzazione avversa. Questo modo di investigare, sentendo addirittura le persone che ritenevamo essere i mandanti del delitto – all’epoca si seguiva questa tecnica di investigazione – ci ha portato ad acquisire una metodologia che ho seguìto durante tutta la mia permanenza in Sicilia. Il più delle volte queste interviste lasciavano delle tracce che venivano riprese anche in episodi delittuosi successivi, e quindi si accumulava un presente che si dilatava sempre di notizie e di cognizioni. Il rapporto sulla mafia agrigentina scaturiva, ad esempio, a seguito di un anonimo scritto dal figlio di un mafioso di non ricordo quale paesino, nel quale si diceva che la morte di un certo personaggio mafioso era avvenuta per una serie di circostanze, perché non condivideva la strategia. In realtà, pensammo che l’estensore di quest’anonimo fosse stato il figlio, il quale indicava i capomafia della provincia di Agrigento. Lì furono fatte delle intercettazioni, all’epoca curate da un collega che era prima di me alla squadra mobile e che ripresi e approfondii. Sto partendo un po’ da lontano per spiegare perché abbia subìto l’attentato. Da quelle intercettazioni telefoniche emergeva un quadro organico, unitario di cosa nostra. Le ho ascoltate più volte e le prime intercettazioni telefoniche riguardavano Carmelino Colletti – ormai questa è storia – detto «lo sceriffo», il quale colloquiava con Santapaola per telefono. Poi ha avuto altri colloqui con uno dei Minore di Trapani e anche – parlo del 1981 – con quello che prima si riteneva fosse il «ragioniere», Salvatore Riina, mentre dopo dieci-quindici anni è emerso che il ragioniere era Bernardo Provenzano. In ogni caso, questo tipo di intercettazioni mi hanno portato ad avere una visione un po’ «unitaria», globale di cosa nostra, che poi mi è servita quando sono andato a Caltagirone. Presentato questo rapporto, nel 1985-86, quand’ero dirigente del commissariato di Mazara del Vallo, mi telefonò il giudice Salamone, che conoscevo per essere stato giudice istruttore – sto parlando del vecchio rito – ad Agrigento, per dirmi che per l’indagine che stavano svolgendo c’era da approfondire la posizione di un soggetto, Messina Denaro Francesco, padre di Messina Denaro Matteo. Concordammo sulla perquisizione.
  Il primo atto contro la famiglia Messina Denaro si è risolto, non ricordo se nel 1985 o nel 1986, in una perquisizione alle ore 14.00: quando siamo andati a casa, l’interessato non c’era. Siccome, però, avevamo predisposto un servizio anche un po’ a largo raggio, sapevamo che aveva una specie di uscita segreta: era stato intercettato da un ispettore collocato in modo da coprire eventuali vie di fuga. Da lì è iniziato questo rapporto di conoscenza professionale con la famiglia di Messina Denaro Francesco, che poi è stata alimentata anche attraverso le dichiarazioni di Calderone Antonino, come mi pare si chiami, il quale parlava di un personaggio dalla provincia di Trapani, tale Messina, ma non ricordava. Fu fatta un’attività istruttoria all’epoca con il procuratore, fino a quando si arrivò a individuare compiutamente questo personaggio autorevole, o comunque pesante, nell’ambito della provincia di Trapani. Qui siamo nel 1987. I dati poi si arricchivano sempre.Pag. 7
  Quando ero dirigente della squadra mobile di Trapani c’erano stati diversi omicidi e in qualche modo riuscivamo a collegare i contorni di alcune famiglie mafiose, gli interessi e così via. Sempre in quell’epoca ci interessammo, sotto il profilo investigativo, dell’aumento di capitale sociale della Banca Sicula, perché il figlio di Messina Denaro lavorava in questa banca, e quindi fu fatto anche questo approfondimento, che non sortì effetto, nei confronti di Messina Denaro Francesco per eventuale riciclaggio. Da lì passammo ad altre indagini – la mia struttura, perché avevo dei collaboratori – sulla mafia di Castellammare del Golfo e riuscimmo a individuare grossi personaggi. Uno di questi si trovava a New York e il figlio aveva sposato una dei Caruana o dei Cuntrera. Era latitante per un provvedimento che derivava dagli Stati Uniti per traffico internazionale di sostanze stupefacenti, aspetto che pure curavamo. Indagando sulle famiglie trapanesi, abbiamo avuto anche la fortuna di capire lo spessore criminale – questo è interessante – relativamente all’omicidio del giudice Ciaccio Montalto. Ci siamo imbattuti in una visione interessante. Imputato per l’omicidio del giudice Ciaccio Montalto era uno dei fratelli Evola, catturato dai Carabinieri perché aveva al seguito delle armi, una delle quali si seppe, a seguito di perizie, che era stata utilizzata per l’omicidio del giudice. Passati il primo e il secondo grado, sempre per indagini concernenti la mafia marsalese e alcamese, intercettammo una telefonata in cui il fratello si lamentava dell’imputazione nei confronti del proprio congiunto ritenendola infondata. Sosteneva che le armi trovate al fratello non erano state autorizzate per l’omicidio di Ciaccio Montalto in riferimento a una perizia che era stata svolta. Uno era Natale e l’altro era Peppe Evola. Si mosse personalmente il fratello Giuseppe Evola, andò al processo di Caltanissetta proprio per discutere di questa perizia, dopo l’udienza – magari vi annoio un po’ con queste storie – andò ad Alcamo, lasciando il difensore che l’aveva accompagnato, l’avvocato Anania, arrivò a casa e parlò con la madre. Dopo un po’ ci accorgemmo che la moglie era preoccupata perché al telefono, sotto controllo, diceva che non era tornato e fu in agitazione fino a quando verso le 22.30-23.00 uno della famiglia Evola venne in commissariato dicendo che suo fratello doveva firmare – dei due, Natale e Giuseppe, uno aveva l’obbligo di firma in commissariato – ma non si era presentato. Per farla breve, andammo a cercarlo in campagna e lo trovammo morto ammazzato. La mattina successiva ci segnalarono un incendio, nel corso del quale era stato ammazzato e bruciato l’altro fratello. Intercettiamo il giorno dopo una telefonata da parte di un signore che fa i complimenti a un altro, dicendo che finalmente glieli avevano ammazzati, mentre l’altro risponde come se non sapesse nulla. Questi aspetti non erano altro che tasselli sulla composizione di cosa nostra. Andando avanti negli anni, succedevano altri fatti e ci eravamo fatti un’idea di come funzionasse cosa nostra, o almeno era la nostra idea, non la verità, chi fossero le persone più sentite, quali fossero i loro interessi imprenditoriali e così via. Una volta che mi ero fatto quest’idea – sto andando per grandi passi – sono stato trasferito a Caltagirone, e ormai siamo già nel 1991, deputato a fare attività antimafia. Lì c’era un personaggio di primo piano, Rampulla Pietro, amico di un altro che era scomparso, Villardita, di Caltagirone. Nei controlli del primo iniziammo un’attività che ci portò a scoprire una compravendita per 6 miliardi di euro: una specie di prestazione era stata affidata al capomafia di Caltagirone, tale Ciccio La Rocca, che aveva ricevuto 50 milioni di euro di mediazione, altri 50 erano stati ricevuti da un altro. Avevamo questo quadro bello ampio, e quindi qualcosa restava agli investigatori di Caltagirone. Avevamo attenzionato Rampulla perché veniva indicato da Calderone Antonino quale esperto di esplosivi. Per farla breve, il giorno stesso dall’attentato a Falcone il commissariato di Caltagirone, dove c’era anche la Criminalpol, d’iniziativa va per una perquisizione a casa di Rampulla, ma senza trovarlo, perché era impegnato. Trovano, Pag. 8però, una pistola, per cui viene emesso un provvedimento cautelare nei suoi confronti. Poi dopo un po’ di tempo si scoprì che Rampulla era stato uno degli artefici per la strage di Falcone, perché aveva preparato gli esplosivi. Ho seguìto anche questo caso. Nel 1992, quando sono tornato di nuovo a Mazara del Vallo, ho ricevuto la delega d’indagine dalla procura di Marsala, dai sostituti Russo e Camassa, abbastanza articolata, che riguardava il tentativo di aggiustamento del processo contro gli imputati del capitano Basile. Esitai in circa un mese questa delega d’indagine, chiaramente seguendo i capitoli d’indagine. In buona sostanza, il notaio Ferraro aveva minacciato il presidente Scaduti per influenzarlo su quella che sarebbe stata la decisione del processo. Quando fu sentito sulle ragioni per cui aveva avvicinato il magistrato, da quanto ricordo perché non ho proseguito io le indagini, rispose che lo dipingevano come massone, e quindi aveva sentito l’esigenza, visto che lo conosceva, di rappresentargli questa circostanza, che non deponeva sicuramente a suo favore per un magistrato. Quest’ultimo giustamente sostenne la versione diversa che la minaccia gli era stata fatta perché il notaio Ferraro si era mosso in quanto sollecitato da un suo amico, il quale faceva riferimento a questo Enzo, «politico trombato», sostanzialmente vicino alla mafia e di area manniniana. In base ai capitoli d’indagine, ho trovato il politico, Inzerillo Vincenzo, che definivano trombato perché doveva essere candidato all’elezione regionale siciliana e non lo era stato, mentre era stato candidato al Parlamento, eletto nelle file della DC al Senato. Avevo, inoltre, individuato anche la pista massonica, perché il padre del notaio Ferraro era un gran maestro, spesso si vedevano al ristorante «La Cuccagna» di Palermo, meta di un gran maestro, Savona Luigi, da Torino, che a sua volta anni prima era stato in contatto con i mazzaresi, con Giovanni Bastone e altri soggetti che frequentavano questo ristorante. Il locale era frequentato anche da Lo Nigro, altro mafioso importante. Ho raccolto tutti questi elementi e li ho inseriti nel rapporto, così dando elementi probatori per la consistenza eventualmente della pista massonica, dell’individuazione dei personaggi e così via. Per adesso faccio una pausa e aspetto altre eventuali domande.

  PRESIDENTE. Le rivolgo qualche domanda. Ha mai chiesto di tornare in Sicilia e come ha interpretato il fatto che la sua promozione sia coincisa con un trasferimento dalla Sicilia ?

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Ho presentato questo rapporto il 19-20 maggio alla procura di Marsala. Come ho detto al dibattimento del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, fui chiamato dal prefetto dell’epoca, dottor Rossi, e anche in qualità di vicecapo della Polizia, siccome il parlamentare trombato era di area manniniana, mi chiese cosa ci fosse di sostanzioso sul Ministro. Faccio una parentesi. Quando si era accreditato presso il giudice Scaduti, il notaio Ferraro aveva detto che il Ministro Mannino quel giorno doveva partire per l’incontro, e quindi aveva necessariamente urgente bisogno di parlare con il presidente Scaduti. Quest’ultimo, ritenendo che il notaio Ferraro – non sono mie dichiarazioni, ma elementi emersi nell’ambito del processo – dovesse rappresentare un’esigenza del Ministro, acconsentì a riceverlo.
  Fatta questa precisazione, quando il prefetto Rossi mi ha chiamato e mi ha chiesto notizie sul Ministro Mannino, gli ho risposto che si parlava di lui, ma che avrei avuto bisogno di rileggere il rapporto per rispondere meglio. La mattina ci siamo sentiti e i termini erano questi: il notaio Ferraro, conosciuto di area manniniana, aveva fatto riferimento al Ministro Mannino e a questo politico trombato di nome Enzo, anch’egli di area manniniana, che avevo poi identificato.
  Per quanto riguarda il trasferimento, non ho chiesto di essere trasferito in Sicilia. Il trasferimento è arrivato domenica 7 giugno 1992. Mi è stato comunicato dal dirigente del commissariato di Mazara del Vallo, il dottor Franchina, dal quale appunto ho appreso che ero stato ritrasferito Pag. 9a Mazara del Vallo con decorrenza 8 giugno 1992. Successivamente, dopo l’attentato, come ho detto sono stato al Servizio Centrale operativo (SCO), ma sicuramente per motivi di sicurezza non ho ricevuto proposte per tornare in Sicilia né mi hanno proposto di fare il questore in Sicilia.

  PRESIDENTE. Lei, però, non ha più chiesto.

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. No. Io non chiedo mai niente. La vita scorre.

  PRESIDENTE. L’abbiamo capito. I colleghi vogliono rinnovare qualche domanda ?

  DAVIDE MATTIELLO. Le avevo chiesto anche di Linares.

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Sì. Per quanto riguarda il collega Linares, siccome avevo steso anche diversi rapporti sul settore dell’imprenditoria, perché avevamo individuato degli imprenditori che ritenevamo essere contigui se non organici di cosa nostra, il dottor Linares ha approfondito determinate mie investigazioni che erano state inoltrate all’autorità giudiziaria e ha titolato l’indagine Rino, non ricordo se Rino uno, due o tre.
  Un’indagine, in particolare, riguardava la Marciante, avviata nel 1990-1991, poi sono stato trasferito e non è stato possibile svilupparla. Avevamo fatto una sorta di intercettazioni non ambientali, ma video, e siamo stati sfortunati perché in questa Marciante si riunivano tutti, a Mazara del Vallo. Il cassiere di Totò Riina, detto «il muratore», era per noi un personaggio sconosciuto, e invece era il cassiere della mafia, un muratore di nome Messina, che in dialetto chiamavano «u’ murature». Ne parlavano al telefono con quest’appellativo. Siccome tutto ciò deve essere tradotto processualmente, essendo il muratore appunto un appellativo, bisognava riempirlo processualmente di contenuto, cosa significasse, chi fosse la persona.
  In quelle intercettazioni agrigentine, ad esempio, chiamavano Santapaola «il cacciatore» e ne parlavano Carmelino Colletti a Calogero Ferro, di Canicattì. A Mazara del Vallo chiamavano un altro – scusino, mi vengono alla mente così – «u’ putiaro». Ve lo racconto perché è una storia simpatica. Siccome la famiglia mazarese faceva traffico internazionale di tabacchi, lavorati esteri, droga – faceva un po’ di tutto, come tutte le famiglie – ogni tanto aveva degli incontri in Svizzera, dove erano andati Giovanni Bastone, mafioso, e un altro per un appuntamento con un personaggio svizzero famoso. Essendo mancati all’appuntamento e dovendo incontrarlo, durante una conversazione telefonica dalla Svizzera verso il centro carne Bastone Burzotta, un po’ agitati avevano chiesto se il bottegaio fosse lì: «No, non c’è» – «va’ subito a chiamarlo», e lo avevano chiamato. Dovevano concertare una grande movimentazione finanziaria, per cui inizia la conversazione tra chi è in Svizzera – un po’ acculturato, era un architetto – e «’o putiaro»: «Devi dirmi il luogo dell’incontro», ma quello non voleva dirglielo, «Ti ricordi i bambini e il luna park ?», ma quello non capiva, «Devi dirmi il nome dell’albergo», che era il Nova Park Hotel di Zurigo, per cui aveva iniziato coi bambini e col luna park per spiegargli. A un certo punto, gli rivolge una domanda sul numero di telefono per rintracciarlo. All’epoca, quest’attività su Bastone Giovanni portò anche subito a dei collegamenti con la massoneria, che poi noialtri abbiamo sviluppato a compendiato in due o tre rapporti.

  CLAUDIO FAVA. Dottor Germanà, prima di tornare a Mazara del Vallo era a Catania ? A Caltagirone ? Parlo dell’ultimo incarico prima di essere nuovamente trasferito.

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Sì. Ero dirigente…

  CLAUDIO FAVA. Siamo nel 1991.

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  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Sì, nell’estate del 1991, da luglio a settembre e fino a…

  CLAUDIO FAVA. Non si è mai chiesto se questo trasferimento fosse legato anche alla necessità che pezzi delle istituzioni in quel momento avevano di proteggere Nitto Santapaola ? Come lei sa, quella è stata un’epoca che, guardata con attenzione, ha rivelato rapporti di intimità preoccupante da parte di rappresentanti delle forze dell’ordine, il colonnello Licata, il capo della squadra mobile di Catania Berretta, col rifugio di Santapaola mancato in un paio di occasioni.
  A uno sguardo particolarmente attento e particolarmente pignolo, in una fase in cui la questura di Catania era una sorta di luogo di garanzia per la latitanza di Santapaola, come ahimè risulta agli atti di molti processi, non può essere una delle ragioni per cui lei è stato trasferito ?

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Non ho svolto indagini mirate su Santapaola. L’abbiamo denunziato. A Caltagirone ho attenzionato un po’ Pietro Rampulla, quello di San Michele di Ganzaria, Francesco La Rocca, Villardita e tanti altri che avevano collegamento in particolar modo con agrigentini.
  Come ho detto, ho fatto un’informativa sulla mafia calatina incentrata sulla figura di Francesco La Rocca in riferimento all’operazione immobiliare per un terreno per il valore di 6 miliardi. In quel contesto, ci siamo anche interessati dell’incendio del Sigros come aspetto collaterale. Non aveva attinenza, ma abbiamo appurato, per esempio, che il capannone dato in relazione al Sigros dopo l’incendio era di una fabbrica di birre e che il materiale che c’era dentro era stato tolto dai fratelli di Catania che hanno i camion, ma di cui non ricordo il nome.

  CLAUDIO FAVA. Gli Ercolano.

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Esatto. In quella circostanza ho sentito anche Ercolano per farmi chiarire la circostanza e quello della Mercedes. Li ho chiamati tutti, perché si sono interessati per trovare questo capannone da dare al Sigros.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Vorrei che approfondissimo, perché credo che sia uno degli elementi del problema viste anche le missioni della nostra Commissione antimafia, come un massone notaio, che fa parte di un gruppo politico, a nome di un senatore della Repubblica cerca di intimidire un presidente di sezione del tribunale di Palermo, per un processo peraltro gravissimo che riguarda l’omicidio del capitano Basile.
  In relazione alle indagini che ha condotto, può spiegarci questo contesto e come può avvenire una cosa del genere ?

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Vede, per quanto riguarda l’aspetto massonico, la famiglia mazarese e anche esponenti palermitani erano in stretto contatto con questo gran massone che abitava a Torino, che si chiamava – ora è morto – Savona Luigi. Questo professore veniva spesso a Palermo e aveva come ufficio il ristorante La cuccagna. In due indagini mi sono imbattuto indagando su Bastone Giovanni su quest’aspetto della massoneria. Per quanto riguarda, come lei dice, le ragioni per cui il notaio Ferraro si interessava di certe cose, evidentemente aveva interesse. Non so per quale motivo si fosse speso per questo. Si è difeso dicendo che avevano dipinto come massone, se non ricordo male, anche il presidente Scaduti, per cui lui si sarebbe mosso in difesa. Questa è la versione che ha dato il notaio. È stato processato, non so se sia stato assolto per quest’accusa, ma io sono arrivato fino a un certo punto, poi non ho proseguito. Che mi abbiano ritrasferito a Mazara del Vallo sarà stata una scelta dell’amministrazione. Non lo so. Certo, mia moglie è di Mazara del Vallo e, se da Caltagirone mi ritrasferiscono a Mazara del Vallo, da una parte professionalmente può anche dispiacere, ma non si vive solo di professione, bensì di sentimento, di relazione e tornare a casa per Pag. 11me poteva avere un senso. Debbo dire che il procuratore Borsellino non l’aveva presa bene e aveva detto: «Non mi pare una cosa bella». Come si dice giù in Sicilia, e mi disse che era giusto che tornassi a dirigere il commissariato di Mazara del Vallo. Debbo aggiungere che sono stato tolto dalla squadra mobile di Trapani perché, come ho scoperto dieci anni dopo leggendo il mio fascicolo personale, dalla procura di Trapani, nella persona del dottor Francesco Taurisano, che era sostituto procuratore, si diceva che non era stata condotta un’indagine seria sul sistema bancario trapanese. Io venivo dipinto come un funzionario che si era mai interessato di queste cose, come se fossi stato amico dei mafiosi. Benissimo. Vengo trasferito dalla squadra mobile di Trapani e assegnato proprio alla Criminalpol: come può la procura sostenere che non era stata condotta un’indagine seria sulla banca quand’ero firmatario del rapporto sull’aumento di capitale sociale della Banca Sicula ? Si diceva che ero colluso con la mafia o simili perché non conducevo indagini serie, e invece mi hanno spostato e mandato alla Criminalpol.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. La presidente le aveva chiesto di Rostagno: vuole parlarcene ?

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Sull’omicidio Rostagno abbiamo ipotizzato la pista mafiosa per le modalità di esecuzione del delitto. Inoltre, al processo che si stava celebrando a Trapani contro Mariano Agate, nel corso di un’udienza questi si lamentò degli operatori dicendo che poteva capire i magistrati, gli avvocati, ma non gli operatori, rivolgendosi appunto all’operatore. Per noi quello era stato un segnale.
  Subito dopo l’omicidio abbiamo fatto delle battute durate cinque o sei ore. Quando abbiamo un po’ allentato il servizio di perlustrazione, dopo sei ore abbiamo trovato la macchina utilizzata dai killer bruciata, in un luogo dove eravamo stati noi e i Carabinieri. Era evidente che l’organizzazione c’era e di un certo spessore, perché la macchina era stata rubata un anno prima, poi era esploso il fucile perché sicuramente era stato caricato artigianalmente, insomma una serie di fatti, sicché abbiamo steso questo rapporto individuando la pista mafiosa. Dopo venti o ventuno anni un collaboratore di giustizia ha spiegato tutto e quindi si è scoperto che la matrice era mafiosa.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Per la sua esperienza, visto che ha svolto molta della sua attività professionale nel trapanese, quella provincia è un crocevia di molti interessi, non solo mafiosi e massonici, ma si è parlato anche di eversione, di Gladio, di altre strutture dei nostri servizi. Ci sono ancora dei misteri, come quello dei carabinieri ammazzati nella casermetta di Alcamo, per cui si è riaperto il processo da poco. È una serie di vicende che coinvolge probabilmente anche apparati particolari dello Stato: li ha incrociati nel corso delle sue indagini, del suo lavoro ?

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. No, non ho incrociato questi apparati a cui ha accennato. L’unico aspetto che abbiamo toccato con mano è stato quello della massoneria, quello sì.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Il torinese ?

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Il torinese era proprio un Gran maestro, Giovanni Bastone era organico della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo e aveva rapporti con lui.
  Non sono indagini che ho condotto io, ma successivamente per il mio attentato in alcune intercettazioni ambientali, come è riportato anche nella misura cautelare, si fa riferimento ai servizi segreti e così via, però non è emerso niente di…

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Cosa viene a fare in Sicilia un massone di Torino ?

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  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Savona è nato a Palermo. Era originario di Palermo. Era ex militare, ufficiale dell’esercito.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Perfetto. Per capire, di che cosa trattava coi mafiosi ? Qual era l’argomento, il business che trattavano mafiosi e massoni ?

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Forse trattavano business di potere. Non so dirglielo. Sicuramente, questo Savona era una specie di consigliere, se si relazionava con Giovanni Bastone. Non ho notizie più precise su quest’aspetto. Che avessero rapporti è sicuro.

  PRESIDENTE. Ringraziamo ancora, oltre che per la presenza, soprattutto per il servizio che ha svolto in questi anni. Se continuando il nostro lavoro di Commissione attraversiamo qualche territorio, periodo o tema che l’ha vista coinvolto, potremmo usufruire della sua consulenza, perché credo che forse avrà un po’ di tempo a disposizione.

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Sì.

  PRESIDENTE. Ho visto che scriverà un libro, che leggeremo con interesse. È doveroso.

  CALOGERO GERMANÀ, già questore di Piacenza. Ma non su fatti di polizia.

  PRESIDENTE. Perché la vita è molto più grande. Naturalmente, quando sentiremo il Ministro dell’interno, gli faremo presente la nostra interrogazione dell’onorevole Mattiello e della senatrice Ricchiuti. Dichiaro conclusa l’audizione.

Comunicazioni della presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che venerdì 15 maggio 2015 si svolgerà una missione a Limbadi in Calabria per un sopralluogo, a conclusione dei lavori di ristrutturazione presso il bene confiscato alla famiglia Mancuso e destinato ad ospitare un polo di «formazione antimafia». I colleghi interessati a partecipare sono invitati a farlo presente alla segreteria della Commissione.
  Comunico inoltre, che l’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 30 aprile scorso ha declassificato da riservato a libero, ad eccezione delle parti segrete, i resoconti stenografici delle audizioni, svolte in missione e nei Comitati, del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mantova, dottor Antonino Condorelli, del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia, dottor Tommaso Buonanno, e del giornalista Lirio Abbate.