MAFIA e PROGRAMMI ELETTORALI

Nei programmi dei partiti la parola mafia non c’è. La criminalità organizzata stritola il Paese ma quasi nessuno sembra preoccuparsene. Poche proposte, specie a destra

Di mafia (o, per meglio dire, di mafie) si parla poco in questa campagna elettorale che rischia di essere ricordata per la pochezza dei contenuti, ridotti a semplici card da diffondere sui social media. Wired ha analizzato i programmi delle principali forze politiche sulla questione. Il giudizio è impietoso. Di cosa nostra siciliana, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita, stidda, mafia nigeriana, cinese, albanese, agromafie ed ecomafie – provate voi a tenere il conto – si fatica a dire qualcosa che superi la banalità. A volte si salta a pie’ pari l’argomento, come se non esistesse. 

La presenza dei clan è ovunque. E si legano alla politica, all’imprenditoria, alle istituzioni, alla massoneria deviata. “Specifichiamo l’aggettivo ‘deviata’ – ironizza spesso il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri – così nessuno ci può denunciare”. L’economia meridionale è strangolata da questo groviglio intricato, in cui ogni pagina di un’inchiesta giudiziaria può portare alla sbarra nomi noti, meno noti e notissimi. Mancano le industrie, che per insediarsi devono stringere accordi coi capi-bastone, assumere personale segnalato dai boss, pagare tangenti da centinaia di migliaia di euro. Mancano le infrastrutture e quelle che ci sono, sono inutili. Come il porto di Gioia Tauro, che avrebbe dovuto portare lavoro e sviluppo alla piana omonima e invece è da sempre stritolato dalle ‘ndrine. Una veduta aerea dal comune di Nicotera mostra decine di chilometri quadrati privi di infrastrutture logistiche, di quelle aziende di lavorazione e trasformazione che sarebbe lecito aspettarsi. Solo qualche società di import-export di frutta, uno dei canali utilizzati per spedire la cocaina dal Sudamerica all’Italia, da dove la ‘ndrangheta rifornisce tutta Europa perché è in grado di parlare alla pari con i cartelli colombiani. I container vengono usati per costruire bunker sotterranei in cui i boss trovano rifugio. 

Un giro d’affari da 220 miliardi

Difficile stimare il giro d’affari delle mafie italiane: Eurispes, un istituto di ricerca, parla di 220 miliardi di euro. Ma c’è chi ritiene la cifra implausibile, come Francesco Calderoni, professore associato di sociologia della devianza nella facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica di Milano, per cui la cifra corretta si aggira attorno agli 11 miliardi. Comunque, molto denaro. 

La pandemia ha peggiorato la situazione. Ed è proprio in questo momento che si compie il passaggio all’economia legale di cosche e ‘ndrine, le uniche realtà a disporre di denaro liquido in tempi di crisi. Come nel 2008. Sempre Gratteri lo ha spiegato bene. “All’imprenditore in difficoltà si avvicina un signore che, con fare suadente, offre un prestito immediato. Se accetta, è finita. Farà fatica a ripagare gli interessi, così il mafioso non chiederà più soldi: assumerà direttamente il controllo dell’attività, magari lasciandola intestata al legittimo proprietario”. E quindi mimetizzata, avamposto di riciclo del denaro sporco quasi impossibile da individuare per gli inquirenti. Il tema politico sarebbe quello dell’accesso al credito, spesso impossibile per le aziende in difficoltà. Ma nessuno ne parla nei programmi. Il consiglio di Gratteri è semplice: “Chi fallisce può ricominciare: chi si mette nelle mani della mafia, rimane segnato a vita”. 

La mafia al Nord e il prefetto che negava

Ma le ‘ndrine hanno risalito lo Stivale arrivando fino al Nord. Erano gli anni Settanta, quando il boss Natale Iamonte arrivò in soggiorno obbligato a Desio, in Brianza, e fondò quello che sarebbe diventato uno dei principali “locali” di ‘ndrangheta. Oggi, all’ombra della Madonnina, comanda la criminalità calabrese. Che ha le mani dappertutto. Movimento terra, appalti, grandi eventi. La mafia a Milano non esiste, affermò nel gennaio 2010 l’allora prefetto Gian Valerio Lombardi: sei  mesi dopo, a luglio, la maxi-operazione Crimine Infinito inchiodò centinaia di persone e stabilì per la prima volta in una sentenza che i clan c’erano

Ogni cantiere è a rischio, e a poco servono i provvedimenti presi fino a oggi. “Ho presentato la mia offerta per eseguire dei lavori a Expo 2015, rispettando tutte le procedure di sicurezza per non essere identificato  – racconta a Wired un imprenditore, sotto garanzia dell’anonimato -. Avevo vinto la gara di appalto, ero contento. Pochi giorni dopo ricevo una telefonata sul cellulare. Una voce sconosciuta dimostra di sapere tutto: gli chiedo come faccia, ma chiude la conversazione dicendomi di salutare moglie e bambini, e fornendomi persino l’indirizzo di casa. Il mio avvocato mi ha consigliato di rinunciare”. A Milano, il 5 luglio scorso, si è tenuta la prima manifestazione anti ‘ndrangheta al di fuori della Calabria: centocinquanta associazioni provenienti da tutta Italia, significativamente, si sono date appuntamento alla Stazione Centrale, vicino agli uffici della Regione. 

Le indagini sono più complicate rispetto a dieci anni fa” – dice a WiredAlessandra Dolci, procuratore aggiunto a Milano e capo della Direzione distrettuale antimafia meneghina -. Il ricorso alla minaccia e alla violenza rimasto solo residuale mentre si è ulteriormente accentuata la connotazione economica. Al nord si fanno affari, se c’è l’opportunità di corrompere si corrompe, e solo qualora l’offerta corruttiva non venga accettata si ricorre al metodo mafioso. In alcuni contesti del nostro distretto c’è certamente un controllo del territorio da parte delle ‘ndrine: le indagini degli ultimi anni ne danno conto soprattutto nel Comasco, dove riarrestiamo gli stessi soggetti condannati negli anni Novanta e nell’indagine Crimine Infinito”. 

Strane tesi 

Il dibattito politico (a parte qualche eccezione) sfiora soltanto i nodi del problema. Proposte vaghe, quando ci sono. Si discute di tesi che un tempo sarebbero state improponibili: come l’abolizione del 41 bis, il carcere duro.L’emergenza che aveva richiesto quelle norme severe, dicono,  è alle spalle.  

Le candidature sono un discorso a parte: le liste pulite, un miraggio. “Dobbiamo renderci conto che nella lotta alla criminalità c’è ancora tantissimo da fare – ha chiosato con Repubblica Maria Falcone, sorella del giudice ucciso trent’anni fa -. Oggi Cosa nostra non è piu quella che uccide, perché ha capito la lezione del 1992 e del 1993: quindi l’obiettivo non può essere solo la caccia a un latitante, ma prevenire e sventare gli interessi che ci sono dietro”. Dolci cosa si aspetta dai partiti? La risposta è secca:“Per me l’importante è mantenere la posizione, gli strumenti di oggi. Mi auguro che non si modifichi niente: i cambiamenti potrebbero essere in senso peggiorativo”.

I PROGRAMMI

  1. Partito democratico
  2. Centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia)
  3. Possibile
  4. + Europa
  5. Azione-Italia Viva
  6. Sinistra italiana-Europa Verde
  7. Unione popolare
  8. Movimento 5 Stelle
  9. Italexit

Il contrasto alle mafie non è un fardello burocratico: è la condizione per liberare le energie nella ripartenza”. Scrive così il Partito democratico nella parte di programma dedicata alle mafie, da combattere sul terreno “economico, finanziario, sociale”. Innanzitutto nelle scuole, con l’estensione del tempo pieno, in particolare al Sud, e la creazione della scuola “presidio di comunità”: l’idea è quella che i libri e la cultura siano gli anticorpi migliori contro la mafia. 

 Si comincia con “il rafforzamento di una strategia europea contro il riciclaggio basata sui seguenti punti: utilizzo dei regolamenti in sostituzione delle direttive in materia per favorire l’armonizzazione degli ordinamenti e la cooperazione internazionale; creazione dell’Agenzia europea antiriciclaggio e lavorare affinché abbia sede in Italia; adozione a livello europeo di una legislazione sulla confisca dei beni e sui delitti di associazione mafiosa, sul modello della legislazione italiana; digitalizzazione degli scambi informativi e delle prove giudiziarie nel contrasto alle mafie e al terrorismo”. I democratici invocano l’urgenza di un piano nazionale contro le mafie che “definisca obiettivi condivisi per tutte le amministrazioni dello Stato, con un programma chiaro che identifichi le priorità e i risultati, per accompagnare la nuova stagione di investimenti pubblici”. Per Letta è fondamentale “riprendere e rilanciare il lavoro degli Stati generali della lotta alle mafie del 2017, con le proposte sintetizzate nella “Carta di Milano””. 

Necessario inoltre vigilare sui fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) perché specialmente gli appalti “siano tenuti al riparo dai rischi di infiltrazione mafiosa”. Attenzione anche ai consigli comunali, “attraverso la riforma della legge sullo scioglimento dei Comuni per mafia, individuando specifiche azioni di prevenzione, per eliminare le cause delle infiltrazioni”. Vasto programma, ma nulla si specifica riguardo al come. E del resto, individuare le cause delle infiltrazioni è un lavoro sociologico di portata ampia. Attenzione a donne e minori che vogliono rompere con le famiglie mafiose di provenienza con una norma quadro che includa i testimoni di giustizia e si preoccupi di fornire un “reale” accesso al lavoro nella pubblica amministrazione. 

Spazio anche per la tecnologia: necessario “aggiornare il sistema di protezione e tutela dei collaboratori di giustizia assicurando standard di modernità ed efficienza dei sistemi di copertura, oggi messi in pericolo da accessi abusivi ai sistemi informatici sui dati sensibili”, scrivono i dem. 

Il partito dichiara di voler tutelare i giornalisti antimafia, “a cominciare dal contrasto delle cosiddette ‘querele bavaglio’ “ azioni temerarie che spesso colpiscono giornalisti privi di disponibilità economica e che sono costretti ad abbandonare sul nascere il proprio lavoro di inchiesta. Un metodo noto anche alla politica, per giunta. Infine, il Pd propone di legalizzare l’autoproduzione di cannabis per uso personale nell’ambito “delle politiche di contrasto alla criminalità organizzata”.

 

All’interno della relazione annuale sulle tossicodipendenze, il dipartimento per le politiche antidroga della presidenza del Consiglio ha sottolineato la necessità di favorire la depenalizzazione, rivedere l’attuale legge e abbandonare il modello repressivo

Centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia)

Nel programma condiviso del centrodestra (definito “accordo quadro”) al tema è riservata una sola riga: “lotta alle mafie e al terrorismo”, stesso spazio riservato al “contrasto al fenomeno delle baby gang e microcriminalità”.  Nessuna indicazione su come fare, su quali misure intraprendere, né sulle risorse da assegnare. Una riga nel programma di Forza Italia (“lotta a tutte le mafie”), così come in quello di Fratelli d’Italia, che cita il tema a pagina 31 su 40.

Fa meglio, invece, la Lega: pagina 14 su 200, un intero capitolo dedicato. Si cita la mafia nigeriana (caso unico),  per il contrasto alla quale vanno assunti interpreti e traduttori, e inoltre si propone una white list per i fondi del Pnrr, un aumento del fondo vittime della mafia, un rafforzamento anti-infiltrazioni delle stazioni uniche appaltanti, controlli sugli stanziamenti del Pnrr, sulle frodi al superbonus 110%, su cessioni attività commerciali. Riguardo ai beni confiscati, grosso tema, si chiede il potenziamento ed espansione dell’agenzia dei beni confiscati con possibilità di vendita degli stessi, il sostegno alle aziende confiscate, il potenziamento dei patti anti-usura. 

Difficile da spiegare, invece, la logica del punto relativo ai Comuni. Riportiamo integralmente: “Attualmente quando in un Comune la commissione prefettizia accerta che la collusione con una organizzazione criminale sia di un singolo consigliere e/o funzionario pubblico, quasi sempre viene sciolto il Comune. Proponiamo invece che la decadenza riguardi solo la singola persona collusa. Nel caso di funzionario colluso, allontanamento dello stesso e creazione di un fondo ad hoc per i commissari prefettizi volto all’assunzione di personale esterno e quindi certamente non colluso, che vada a sostituire il funzionario corrotto”. Infine, citazione anche per le eco-mafie.

Il programma di Possibile, formazione fondata da Pippo Civati e guidata da Beatrice Brignone, non parla mai di mafia: il lemma non appare nemmeno una volta nel testo. Per quanto riguarda la criminalità organizzata, due sole citazioni. La prima riguarda le infiltrazioni (non meglio precisate) nell’Unione europea: pare ci si riferisca agli apparati, ma a questo punto sarebbe stato  necessario chiarire il riferimento. L’altra riguardante l’invio di armi in Ucraina, che potrebbe aumentare il rischio di “contrabbando” di queste ultime da parte dei clan. Vuota la casella delle proposte. 

Il partito guidato da Emma Bonino cita una sola volta la parola mafia, e lo fa in riferimento alla legalizzazione e regolamentazione” della cannabis, in nome “della libertà individuale, della lotta alla criminalità organizzata e del contrasto alle narco-mafie”. 

Anche nel programma del terzo polo di Calenda e Renzi, la mafia non trova posto. Con un record, detenuto assieme a Possibile: è l’unico programma a non citare la parola nemmeno una volta. Ci sarebbe da credere che il problema non esista. Ma il tandem Matteo Renzi-Carlo Calenda, un ex presidente del Consiglio e un ex ministero allo Sviluppo economico, dovrebbe sapere che non è così. 

Sinistra italiana-Europa Verde

Il cartello formato da Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli è l’unico con le idee chiare. La parte dedicata al contrasto alle mafie è densa, corposa, lunga e dettagliata, come dovrebbe essere in un paese come l’Italia. Ci sono esempi, come quello dell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, sottratto alla camorra. Ma anche misure indicate puntualmente, spiegazioni,riferimenti agli articoli. 

Tra le proposte, facilitare la confisca di beni alla criminalità organizzata e il riuso per fini sociali; un “rafforzamento dell’assetto legislativo e giudiziarioed accompagnamento delle autorità investigative nazionali e internazionali preposte, in modo da far sentire la presenza della legalità e della trasparenza in ogni ambito sia pubblico sia privato”. 

Meritoria la citazione del fenomeno delle ecomafie, trascurato da quasi tutti. Al capitolo, il programma dedica un lungo excursus. “La connessione tra criminalità organizzata e crimini ambientali è alla radice di tante situazioni tragiche nel nostro paese”. Il programma elenca gli ambiti in cui intervenire: “Movimento terra, gestione illecita dei rifiuti, edilizia abusiva, lavori in emergenza o in scadenza sono tutti settori in cui la criminalità organizzata impone la sua presenza tramite corruzione e violenza”.

Sul piano legislativo, la proposta è approvare leggi ad hoc contro le ecomafie, istituire commissioni regionali di inchiesta su ecomafie e ambiente (in particolare sui rifiuti) e coordinare e potenziare con competenze alte e specifiche le commissioni ambiente, ecomafia e antimafia. 

Inoltre, si vuole “aggiornare a livello regionale ed uniformarla a livello nazionale la normativa relativa alle cave e al loro monitoraggio”, mentre a livello locale lo sguardo è sui Comuni: “Integrare la normativa vigente in materia di scioglimento delle amministrazioni per infiltrazioni mafiose con la previsione di una rotazione automatica del personale anche con possibilità di trasferimento presso altri enti e di sostituzione con l’istituto della mobilità”. 

Si propone, a livello penale, un “rafforzamento  delle misure cautelari del sequestro preventivo e della confisca al fine di assicurare un disincentivo immediato alla commissione di reati ambientali”. Inoltre, si chiede di “inserire i delitti ambientali previsti dal titolo VI-bis del Codice Penale e il delitto di incendio boschivo tra quelli per cui non scatta l’improcedibilità”. Per Bonelli  e Fratoianni vanno aumentate le pene per i reati ambientali e allungato il periodo della prescrizione. Si chiude con misure di tracciamento dei rifiuti col gps e mappatura geolocalizzata degli impianti di recupero.

Altra menzione d’onore va fatta a Unione popolare. L’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris dedica un’ampia sezione del programma alla lotta alle mafie. Si parte dal contrasto all’usura, “soprattutto di stampo mafioso, aumentando i controlli, i fondi di solidarietà e i mutui agevolati, e rafforzando in generale le misure a sostegno degli imprenditori che ne sono vittime”.  Si prosegue con una rafforzamento delle misure a sostegno delle imprese vittime di racket: “Troppe aziende che si ribellano all’estorsione e scelgono la legalità vanno poi incontro al fallimento ed abbandonate dallo Stato. Maggiori misure a sostegno dei testimoni di giustizia”. Quindi una stretta sugli appalti in regime derogatorio di somma urgenza, con  maggiore trasparenza e controlli soprattutto nel settore delle costruzioni. 

L’esperienza di De Magistris si vede nel proporre “nuovi strumenti normativi per colpire la ‘zona grigia’ di politica e imprenditoria e le collusioni tra massoneria deviata e mafia”. L’ex pm propone di aumentare gli investimenti per giustizia, strutture, personale e forze dell’ordine. Unione popolare propone di riformare e potenziare l’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati e gli analoghi organismi locali “per favorire la riconversione sociale” dei beni .

Sul fronte giudiziario, “processi più giusti e rapidi, con parità effettiva tra accusa e difesa, stop all’abuso della custodia cautelare e certezza della pena e del diritto” e “riforma dell’istituto della detenzione soprattutto per i reati minori, attraverso un più ampio utilizzo delle misure alternative e investimenti nel reinserimento sociale dei detenuti”. Infine, proposta di legalizzare cannabis e droghe leggere “per togliere alle mafie un mercato redditizio”.  

Il Movimento fondato da Beppe Grillo e oggi guidato da Giuseppe Conte ha nel tema della legalità una delle sue battaglie storiche. L’intero programma di governo è sin troppo schematico, ma ha il merito di dedicare un’intera sezione al tema delle mafie, senza però andare nello specifico. Si parte con un “potenziamento degli strumenti di contrasto già esistenti: completamento della riforma in tema di ergastolo ostativo. Tutela dei principali presìdi antimafia come il 41 bis, le misure di prevenzione personali e patrimoniali. Nella sezione dedicata alla lotta alla corruzione, si chiede “maggiore trasparenza e controllo dei fondi del Pnrr e implementazione delle tutele per il lavoratore che denuncia (‘whistleblowing’) e per i testimoni di giustizia”. Infine, si parla di contrasto alle agromafie ed ecomafie, “tutelando il diritto alla salute attraverso un efficace sistema di repressione delle attività della criminalità organizzata e dei reati ambientali in generale”. Mancano le indicazioni sui fondi, si toccano alcune questioni chiave: ma da una forza che è rimasta al governo cinque anni era lecito attendersi di più, considerato anche che candida l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho.

Si parla di ecomafie nel programma del partito dell’ex 5 Stelle Gianluigi Paragone. Con soluzioni, invero, un po’ particolari. Leggiamo: si propone di “perseguire il benessere degli animali per togliere ossigeno alle ecomafie”. C’è una spiegazione: “Perseguire il benessere animale è uno dei tanti modi di togliere ossigeno alle ecomafie. Le mafie hanno come terreno di sviluppo dei propri affari tutte le aree di disfunzione del Paese, perciò anche quello degli animali, così negletto nel nostro Paese, è un settore pesantemente infiltrato da attività illegali. Pensiamo ai tanti canili/rifugi lager”.