VINCENZO MILAZZO – Dopo la sua uccisione anche quella della fidanzata incinta perché contrario alle stragi – Racconti di mafia 57ª puntata

 

 

Via D’Amelio, il pentito Palmeri: “Il boss Vincenzo Milazzo ucciso per il no alla strage”  A venticinque anni dalla strage di via D’Amelio, la commemorazione del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta, è servita, se non altro,  a mantenere alto l’impegno per la ricerca della verità, ancora troppo lontana dopo 4 processi, la conferma di un sistema di depistaggio e di falsi pentiti come Vincenzo ScarantinoAd un quarto di secolo dalle stragi, c’è forse una novità che ruota attorno a quella di via D’Amelio che porta ad Alcamo e alla data del 14 luglio del 1992, giorno in cui furono uccisi il capo mandamento di Alcamo Vincenzo Milazzo e la fidanzata Antonella Bonomo. A rilevare questa novità è il pentito Armando Palmeri. Uomo di fiducia e autista del boss alcamese, che per anni è stato l’amministratore della mega raffineria scoperta dal giudice Carlo Palermo nel 1985 e fedele sostenitore dei corleonesi. Milazzo ad un certo punto crede di potersi svincolare da Riina e Provenzano e inizia ad allontanarsi. Chiede un incontro con il capo dei capi, lo va a cercare a Palermo ma non lo trova. Riina era a Mazara del Vallo. Milazzo ritiene che Riina sia stato arrestato e festeggia con alcuni suoi sodali. A quel punto, una volta saputo, Riina decide di farlo fuori. Al duplice omicidio di Milazzo e della fidanzata, parente di un agente che lavorava nei servizi segreti, partecipa anche Matteo Messina Denaro.

Con le dichiarazioni di Palmeri che devono chiaramente essere riscontrate, si apre ora una nuova ipotesi rispetto al movente «ufficiale» dell’eliminazione di Milazzo da parte di Cosa nostra. Secondo Palmeri i retroscena di quel duplice omicidio offrono uno spaccato totalmente diverso e sono strettamente collegati alla ricerca dei cosiddetti «mandanti esterni» delle stragi, sia quelle del ’92 in Sicilia, che quelle del 1993 a Roma, Milano e FirenzeLe dichiarazioni di Palmeri – Secondo il racconto del pentito, che sarà ascoltato al processo a Caltanissetta che vede imputato Matteo Messina Denaro per la strage di via D’Amelio e per quella di Capaci, il boss Milazzo, all’epoca ricercato, ebbe degli incontri con personaggi appartenenti ai servizi segreti, che gli avrebbero prospettato un progetto volto a destabilizzare lo Stato. Palmeri racconta che accompagnava Milazzo agli appuntamenti ma poi rimaneva nei dintorni, su ordine del capo, «per controllare la situazione a distanza». Il suo racconto si sofferma in particolare su tre riunioni. L’ultima si tenne una decina di giorni prima della sua morte, tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. A Milazzo venne chiesto di adoperarsi per la destabilizzazione dello Stato, attraverso il compimento di atti terroristici, e chissà se fra quelle stragi non abbiano chiesto anche di mettersi a disposizione per la strage di Via D’Amelio.

Il boss alcamese però fu contrario alla proposta, diceva, che non avrebbe portato alcun vantaggio a Cosa nostra e anzi avrebbe determinato una forte reazione dello Stato. Nelle sue dichiarazioni il pentito ha ricordato che Milazzo era affascinato da quei personaggi dei servizi e che continuava a ripetergli che “la vera mafia non è quella di Cosa nostra ma quella “segreta” di cui gli stessi facevano parte”.

Il No di Milazzo – Palmeri, recentemente è stato riascoltato dai magistrati nisseniai quali ha fatto il nome di chi presentò gli «appartenenti ai Servizi» a Vincenzo Milazzo. “Il primo incontro – ha detto – si tenne prima di Capaci”, e che dopo il suo rifiuto a collaborare per le stragi, Milazzo iniziò ad avere paura per la sua vita, perché il suo no fu riferito a Totò Riina che ne decise l’uccisione.

Come dicevamo Armando Palmeri sarà chiamato a deporre per approfondire la pista dei «concorrenti esterni» alla mafia, fatto che la Procura di Caltanissetta considera prioritario, insieme alla scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, visto che  le indagini svolte a suo tempo dai poliziotti, che diedero credito al falso pentito Scarantino, portarono solo a dei vuoti giudiziari che oggi appaiono quasi incolmabili e per i quali sono sorti i dubbi e soprattutto misteri che non hanno risposte. Saranno queste dichiarazioni e questa pista che ruota attorno all’omicidio del boss Milazzo a portare ad una verità sui mandanti o i concorrenti esterni a Cosa nostra nella strage di via D’Amelio o anche stavolta sarà un nulla di fatto?  23/07/2017 TP24


Mafia, Di Carlo: “Vincenzo Milazzo ucciso perché non voleva stragi nel trapanese”   “Vincenzo Milazzo? Fu ucciso perché era contrario a tutti quegli omicidi che si stavano consumando nel trapanese e poi non voleva le stragi”. A parlare dell’omicidio del capomafia di Alcamo, assassinato il 14 luglio del 1992, è il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, ex boss di Altofonte, nuovamente sentito davanti la Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, nel processo sulle stragi del 1992 in cui è imputato la primula rossa di Cosa nostra Matteo Messina Denaro. La scorsa udienza argomento principale erano stati i suoi rapporti con gli apparati dei servizi segreti. Stavolta, invece, le domande del procuratore aggiunto Gabriele Paci si sono concentrate maggiormente sul fronte trapanese  Di Carlo avrebbe appreso le informazioni, nonostante fosse detenuto nel carcere di Londra, direttamente dal cugino, Nino Gioè, cui comunicava: “Negli ultimi tempi, prima che diventasse latitante, ho sentito mio cugino che mi disse che avevano eseguito la morte di Milazzo e poi della sua fidanzata”. Infatti, l’omicidio di Milazzo verrà poi seguito, pochi giorni dopo, da quello della compagna, Antonella Bonomo, incinta di pochi mesi. “Mio cugino mi disse: ‘facendo queste cose, mi stanno facendo diventare un mostro’. – ha raccontato in aula il pentito – Venni a sapere dopo che erano amici e si conoscevano con la moglie di Nino Gioè. Ed era un po’ scosso di dover commettere questi omicidi sia di Milazzo e della fidanzata quando l’hanno strangolata”. Secondo l’ex boss di Altofonte in quel periodo nessuno poteva contrapporsi al volere del capo dei capi Totò Riina: “In quel periodo bastava una parola fuori posto, vista la mentalità di Riina e suo cognato Bagarella, per diventare dei nemici”. In un altro passaggio, quando il pm Paci ha chiesto al collaboratore se Gioè avesse aderito alle stragi, Di Carlo ha risposto: “Certo che ha aderito, tutti lo avevano fatto. Non si poteva dire di no a Riina perché sarebbero morti. L’unico sono stato io che nei tempi passati dissi a Riina che stavano andando a battere la testa e non ci si sarebbe salvati. – ha continuato – Dopo l’omicidio di Bontade, che mi ero salvato, dissi a Riina che così stava distruggendo Cosa nostra. Lui vedeva sempre traditori in Cosa nostra, perché aveva paura e chi non era vicino a lui lo uccideva”. Altro tema affrontato quello degli incontri tra Nino Gioè e l’ex estremista di destra Paolo Bellini, inerente a una trattativa che vedeva sul piatto il recupero di opere d’arte trafugate. “Gioè – ha spiegato Di Carlo – per quanto riguarda le opere d’arte aveva i contatti con Bellini, ma io gli ho detto solo una volta che doveva stare attento perché questo era uno che era stato in carcere con lui e aveva rapporti con i carabinieri e poteva fare il doppio gioco”. Nel corso della deposizione, Di Carlo ha anche parlato brevemente dei rapporti che sarebbero intercorsi tra la famiglia dei Madonia e apparati dei servizi di sicurezza: “Ricordo che avevano avuto rapporti quando ci fu l’attentato di capodanno o natale negli anni ’70. Comunque i rapporti ci sono sempre stati sia con la politica che con i servizi quando dovevano fare delle pressioni o azioni. Come quando dovevano approvare una legge. Si rivolgevano sempre a Cosa nostra per fare questo attentato e creare tensione. – ha concluso – In quel periodo c’era la P2 che pressava e i maggiori iscritti erano militari”. L’udienza è poi proseguita con l’esame del luogotenente della Dia Giandomenico Fenu. La Corte ha inoltre accolto la richiesta del pm di sentire i collaboratori di giustizia Giuseppe Di Giacomo e Pino Lipari. Il processo riprenderà il prossimo 12 febbraio. 2.2.2020 TP24


RIINA ORDINO’ : ‘ E’ INCINTA? UCCIDETE LA DONNA DEL BOSS’ Aveva implorato i killer fino all’ ultimo di avere pietà per quel bambino che portava in grembo. Ma l’ ordine di Totò Riina doveva essere rispettato ad ogni costo. E così Antonella Bonomo, 23 anni, incinta da tre mesi, venne strangolata dopo che il suo fidanzato, il boss di Alcamo (Trapani), Vincenzo Milazzo, era stato torturato ed ucciso con un colpo di pistola. E’ il racconto di un pentito di mafia che martedì ha consentito di trovare i cadaveri di Vincenzo Milazzo, del fratello Paolo e di Antonella Bonomo, seppelliti in aperta campagna. Il pentito ha fatto anche i nomi degli esecutori del duplice delitto: Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Giuseppe La Barbera, Antonino Gioè, Francesco Denaro e Gioacchino Calabrò. Quest’ ultimo è stato arrestato un mese fa mentre Bagarella, Brusca e Denaro, sono latitanti, La Barbera è in carcere, Antonino Gioè si suicidò nella primavera scorsa in carcere lasciando una lettera nella quale si pentiva delle “atrocità” che aveva commesso. Tra queste “atrocità” c’ è anche l’ uccisione della donna. Secondo il racconto del pentito, Vincenzo Milazzo che era uno dei “fedelissimi” di Riina, venne ucciso perché la sua autorità nel trapanese era stata messa in discussione da una banda capeggiata da Carlo Greco. Milazzo imputato ed assolto nel processo per la strage di Pizzolungo contro il giudice Carlo Palermo, si era allontanato da Alcamo dopo una serie di agguati del clan avversario ai quali era riuscito a scampare. L’ “esecuzione” di Vincenzo Milazzo e della sua donna, ha raccontato il pentito, avvenne tra il giugno ed il luglio del 1992: l’ uomo era stato “convocato” da Leoluca Bagarella in un casolare di campagna. Con Bagarella erano presenti Giovanni Brusca, Antonino Gioè, Giuseppe La Barbera (tutti coinvolti nella strage di Capaci), Francesco Denaro e Gioacchino Calabrò. Milazzo venne “interrogato” e poi ucciso con un colpo di pistola alla testa. Ma prima, sotto tortura, aveva però confessato di avere confidato molti “segreti” di Cosa Nostra alla sua donna. I “corleonesi” decisero allora di strangolarla.17 dicembre 1993 LA REPUBBLICA


ANTONELLA, TRA MAFIA E AMORE  Il 1992 è stato per la Sicilia, e per l’Italia intera, un anno difficile e indelebile per la nostra storia. Muoiono i giudice Giovanni Falcone , sua moglie Francesca Morvillo e Paolo Borsellino e 8 uomini delle loro scorte. Un massacro a colpi di tritolo. Ma altri due fatti segnano quel periodo: il 14 settembre a Mazara del Vallo la mafia cercherà di uccidere il commissario Rino Germanà. Ma in quell’estate scompare anche una donna, Antonella Bonomo che, come dice la famiglia, “voleva bene all’uomo sbagliato”  La sorella Maria ne parla con affetto e con un po’ di malinconia “ ho ricordi bellissimi di Antonella, per me non era solo una sorella ma anche una amica, ci si confidava tutto, sapeva ascoltarmi e capirmi, dopo la morte prematura di nostro padre era diventata un supporto in famiglia, sia per mia madre che per me, era una ragazza molto buona e si spendeva molto per i poveri del nostro quartiere”

Ma Antonella era legata al boss di Alcamo, Vincenzo Milazzo. Uomo cresciuto nella cosca trapanese. Condannato per la strage di Pizzolungo, coinvolto nella raffineria di cocaina di contrada Vergini. Uno che si faceva strada dentro Cosa Nostra tanto da diventare capo della famiglia di Alcamo. Lei lo seguiva ovunque anche quando era latitante, incurante dei pericoli che correva e sorretta dall’amore che la legava a Vincenzo. Per lui avrebbe fatto tutto. Ancora Maria , la sorella, racconta “Lei lo amava molto, e lui altrettanto, non potevano vivere il loro amore alla luce del sole, vista la situazione, e parlava quindi spesso di una possibile fuga con lui, motivo per cui non pensavamo alla sua morte quando scomparve. Tra l’altro Antonella era incinta di pochi mesi, e volevano dare un futuro diverso al loro bambino, magari fuori dall’italia, ma i suoi carnefici hanno messo fine al loro sogno.”
Un amore che lei non nascondeva neanche alla sua famiglia. Un amore che l’ha portata alla morte il 16 luglio 1992. Uccisa incinta e gettata in una cava insieme al suo uomo. Muore per volontà di Totò Riina e della cupola riunita per punire Vincenzo Milazzo incapace di frenare l’ascesa del clan rivale, i Greco. Muore perché la ritengono depositaria di molti segreti. Muore per amore.
Per Maria ci sono però molte ombre, come quelle legate alla latitanza di Vincenzo Milazzo : “Mi devi credere, sarebbe stato facilissimo prenderlo una volta latitante, bastava seguire lei, ma forse non c’era la volontà di farlo. Abbiamo appreso solo dopo la sua morte che anche lei veniva considerata una latitante, ma non si nascondeva affatto, e la polizia veniva a cercarla solo quando non era in casa.” E ancora “Secondo me non si parla di lei perchè comunque è passato molto tempo, poi non apparteneva ad una famiglia importante, tanto meno mafiosa, e comunque non è stata un eroina che ha combattuto contro la mafia, ma solo una ragazza che si era innamorata dell’uomo sbagliato. Antonella forse voleva combatterla la mafia, forse proprio assieme a lui”
Per la morte di Antonella si parla anche di servizi segreti ma Maria dice che alla famiglia non risultano. Una storia che intreccia amore, mafia, morte. Che intreccia la storia di Antonella con la sua famiglia e con quel nipote che lei, quel 16 luglio del 1992, riporta a casa prima del suo ultimo viaggio.  (21 luglio 2011 tp24  di Laura Aprati)


Antonella Bonomo e i servizi segreti (di Rino Giacalone)   Il consulente informatico delle più importanti indagini antimafia della Sicilia, il super poliziotto Gioacchino Genchi, sentito in una delle tante udienze dedicate alle stragi mafiose siciliane,soffermandosi su quella che servì a Cosa Nostra a uccidere il giudice Paolo Borsellino,era il 19 luglio del 1992, teatro dell’attentato a via D’Amelio di Palermo,ebbe a dire che all’esito di una serie di accertamenti si avvertiva la puzza dei servizi segreti dietro quella strage. Ed è una«puzza» che potrebbe arrivare da Alcamo,dove qualche giorno prima del «botto» di via D’Amelio i boss mafiosi riuniti a conclave decisero di uccidere il capomafia Vincenzo Milazzo e strangolare la sua compagna Antonella Bonomo. Non mancava nessuno dei capi mafia trapanesi a quella duplice esecuzione compiuta nell’arco di 48 ore, prima Milazzo, poi la Bonomo, una esecuzione mai completamente spiegata nelle motivazioni,che però di colpo mise insieme, nell’intento omicida, amici ed nemici del capomafia alcamese. Neanche molto tempo dopo si cominciò a sentire dire che la Bonomo aveva parenti nei servizi segreti e perciò ucciso il suo uomo avrebbe potuto svelare i segreti della cosca. Oggi tra le pagine di recenti indagini antimafia castellammaresi alcune cose vengono svelate, non del tutto ancora,ma ciò che emerge non fa più restare una leggenda la circostanza che mafiosi o presunti tali erano all’epoca in contatto con uomini dell’«intelligence» italiana.E un nome che è emerso è quello dell’imprenditore castellammarese Mariano Saracino,oggi di nuovo sotto processo per mafia dopo un paio di condanne risalenti ad alcuni anni addietro, solo che adesso le accuse per lui sono quelle di essere stato il tesoriere della cosca di Castellammare,il regista degli appalti pilotati. Odore di servizi dunque, come quando durante le indagini sulla strage di via D’Amelio si scoprì che Gino Calabrò, l’ex lattoniere di Castellammare, specialista nelle stragi, condannato per Pizzolungo e per le stragi del 93, compreso il mancato attentato all’Olimpico di Roma che doveva essere compiuto quello stesso anno, possedeva un cellulare, clonato,dal quale all’epoca veniva contattato ripetutamente l’albergo Villa Igea di Palermo,ma anche utenze degli StatiUniti, Germania,Malta e Slovenia.Lo stesso numero di cellulare venne rinvenuto nella disponibilità di alcuni mafiosi, sempre trapanesi, catturati dai carabinieri nelle campagne di Calatafimi il 15gennaio del 1993,lo stesso giorno in cui a Palermo, altri carabinieri, arrestavano Totò Riina:erano Antonino Alcamo, Vincenzo Melodia, Vito Orazio Diliberto e Pietro Interdonato. Da quel numero di cellulare sarebbero partite telefonate verso società importanti,alberghi di lusso e le case di boss mafiosi,anche durante quei giorni di metà luglio del 1992 mentre i boss uccidevano Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo.

Tra le pagine dell’indagine andata sotto il nome «sistemi criminali» coordinata in pratica da tre procure, le distrettuali di Palermo e Firenze e la Direzione nazionale antimafia di Roma, vi sono alcuni elementi che riconducono alla soppressione di Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo. Una esecuzione fatta in fretta che non si è fermata nemmeno per la pietà che doveva almeno essere rivolta ad Antonella Bonomo uccisa mentre era incinta. Il calatafimese Cola Scandariato, raccontarono i pentiti,cercò di adoperarsi in suo favore,ma fallì. Mancavano pochi giorni alla strage di via D’Amelio. Si disse che vennero uccisi perchè Milazzo non condivideva le stragi e Gioacchino La Barbera, che fece ritrovare nel dicembre 1993 i cadaveri sepolti dentro un cava di Balata di Baida,raccontò anche che la donna fu uccisa perché «si aveva paura che potesse raccontare quanto gli aveva confidato Milazzo, ad un parente nei servizi segreti».È stato poi il pentito alcamese Nino Cascio, a rilevare che Milazzo fu ucciso il giorno prima di quando lo stesso boss aveva deciso di uccidere l’imprenditore Mariano Saracino: «Milazzo – raccontò Cascio (il verbale è contenuto agli atti del processo Tempesta ndr) nutriva una forte avversione nei confronti di Saracino e ciò fondamentalmente in quanto costui, ai tempi del processo per la strage di Pizzolungo aveva reso delle dichiarazioni non in linea con l’alibi fornito da Calabrò ed avrebbe inoltre confidato ad un alto ufficiale dei servizi segreti -parente di Antonella Bonomo, padre di un ragazzo/a al tempo fidanzato/a con un parente di Saracino – che il solo Melodia Filippo (altro boss alcamese ndr)era certamente estraneo alla strage mentre non poteva garantire per l’innocenza degli altri imputati».Saracino ha letto le pagine di questa ordinanza che lo ha portato in carcere,ma ha deciso di restare in silenzio. Potrebbe essere stato proprio lui a passare ai boss la notizia che la Bonomo era imparentata con un uomo dei servizi. E quindi andava eliminata. Antonella Bonomo sparì d’improvviso il 16 luglio del1992, lo stesso giorno o l’indomani venne uccisa.  

 

a cura di Claudio Ramaccini, Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF