Strage via D’Amelio,”18 anni in carcere da innocente”

 

“Sa qual è la verità? Che la mia vita è distrutta per sempre. Se l’è mangiata la giustizia. Niente e nessuno potrà ripagarmi questi 18 anni trascorsi in carcere, da innocente. Non ho visto crescere mio figlio, l’ho potuto vedere solo attraverso un vetro. Mia moglie è sulla sedia a rotelle per un ictus cerebrale. E sono senza un lavoro. Questa è una non vita”. Gaetano Murana, 60 anni, è un fiume in piena. Polo blu, pantaloni verdi, occhiali e un viso scavato, l’ex netturbino dell’Amia di Palermo, è uno degli uomini accusati falsamente dell’ex pentito Vincenzo Scarantino di avere fatto parte della strage di via D’Amelio . Un’accusa che gli è costata una condanna all’ergastolo, passata in giudicato. Poi annullata grazie al processo di revisione. “Il Procuratore generale mi chiese scusa quel giorno – racconta oggi in una intervista esclusiva all’AdnKronos – quella fu l’unica volta in cui piansi. Nessuno mai mi aveva chiesto scusa per tutto quello che ho subito in 18 anni trascorsi ingiustamente in carcere”.

Ma cosa accadde a Gaetano “Tanino” Murana, difeso dall’avvocato Rosalba Di Gregorio, che gli è sempre stata vicina? Tutto ebbe inizio la sera del 17 luglio del 1994, mentre in tv c’era la finale dei Mondiali di Usa’94 e gli occhi di milioni di persone erano incollate sulla tv. “Quella sera stavo guardando alla televisione la finale di Italia-Brasile. Mia moglie aveva finito di sparecchiare e mio figlio dormiva nella culla. Non aveva neppure un anno. Tra il primo e il secondo tempo il telegiornale diede la notizia del pentimento di Vincenzo Scarantino, un ‘picciotto’ della Guadagna che conoscevo di vista. Abitavamo abbastanza vicini. Ma non lo avevo mai frequentato – racconta Murana – Dopo la finale andai a letto sereno. Non avrei mai immaginato quello che poi mi sarebbe accaduto poche ore dopo. E l’inferno che avrei subito per 18 lunghi, lunghissimi anni”.

E’ l’alba del 18 luglio e “Tanino” esce di casa per andare all’Amia, l’Azienda per la raccolta dei rifiuti di Palermo. “Prendo con la mia macchina un controsenso – racconta – quando all’improvviso una Giulietta mi si avvicinò e mi fermò. Ho capito che si trattava di poliziotti e pensavo che mi volessero multare per avere preso un controsenso. Mi fermarono e mi chiesero i documenti. Quello fu l’inizio di un incubo durato 18 lunghi anni con umiliazioni, torture, vessazioni di ogni genere”.

“Mi invitarono a salire sulla loro auto per portarmi in questura – ricorda con lo sguardo perso nel vuoto – Io ero convinto che si trattasse di una questione di pochi minuti perché non volevo perdere la giornata di lavoro. Mi infilarono nella loro auto e arrivammo in questura. Ma pochi minuti prima iniziò lo ‘spettacolo’. Misero la sirena, il lampeggiante, fecero un testacoda, misero i passamontagna. Io non capii più niente. Quando entrai iniziarono a picchiarmi e a darmele di santa ragione fino a farmi svenire. Mi hanno massacrato di botte. Io chiedevo loro il perché ma arrivavano solo sputi e calci e c’era anche una donna tra loro. Non posso mai dimenticarlo. Mi diede un calcio alla schiena che mi stese e mi sputò addosso. Io ero a terra che rantolavo. Poi mi sbatterono in camera di sicurezza. Solo la sera seppi quali erano le accuse nei miei confronti: di avere partecipato alla strage di via D’Amelio. Io sorridevo perché dissi subito che c’era uno scambio di persona. Pensavo che da lì a poco mi avrebbero rilasciato. Ma nessuno mi diede ascolto”.

Murana era accusato da Scarantino di avere bonificato e osservato il luogo dell’attentato, via D’Amelio. “All’indomani vennero in carcere la dottoressa Ilda Boccassini e il dottore Tinebra (i pm che coordinarono l’inchiesta sulla strage ndr). Forse c’era pure il dottore Petralia ma non lo ricordo con esattezza”, racconta. Fu interrogato per più di due ore. Lì seppe di essere stato accusato da Vincenzo Scarantino. Ma oggi non prova rabbia o rancore nei suoi confronti. “Scarantino è una vittima come me – chiosa – Lui non voleva accusarmi. Lui dice di essere stato costretto da magistrati e poliziotti”.

Negli anni sono arrivate anche le scuse di Scarantino. Scuse accettate. “Avevano vestito il pupo”, dice scuotendo la testa. Un modo di dire siciliano per spiegare che è stato tutto organizzato fin nei minimi particolari. In quel preciso istante iniziò l’incubo per “Tanino” Murana. “Mi portarono a Pianosa – racconta – dove mi fecero sistemare in una sezione, la ‘Discoteca’, dove per le botte si ‘ballava’ dalla mattina alla sera. Lì subii torture di ogni genere, minacce, violenze. Pensi che nel cibo c’erano vermi, scarafaggi e persino preservativi usati”.

Murana chiude gli occhi, come se volesse scacciare i brutti pensieri che lo attanagliano. “Davano legnate senza motivo – dice – ho perso il conto delle botte ricevute. E anche a mia moglie fecero delle angherie. Così pure al mio bambino, a cui levarono il pannolino prima di farlo entrare nella sala visite”. Murana è stato a lungo al 41 bis, il cosiddetto carcere duro. Fino al giorno in cui è uscito dal carcere. “La mia vita è finita – continua a ripetere come una nenia – se l’è mangiata la giustizia. La mia vita si è spenta il giorno in cui sono stato arrestato”.

Murana non vuole accusare nessuno ma chiede giustizia. “Ho riportato da questa vicenda una condanna a 8 anni per 416 bis, che però è arrivata dalle accuse di Scarantino. Tutti i pentiti che sono stati interrogati nel processo hanno sempre negato perfino di conoscermi”. A breve il suo legale Rosalba Di Gregorio presenterà una richiesta di risarcimento per il suo assistito. “Io sono molto amareggiato e deluso – dice – No, non odio nessuno, non provo rancore. Mi sono molto avvicinato alla fede, per fortuna. Stavo anche finendo la maturità, ma poi il Governo tolse ai docenti la possibilità di seguirci in carcere e così sono stato costretto a fermarmi al quarto anno delle superiori”.

Il suo pensiero principale è quello di non avere un lavoro fisso “a 60 anni è umiliante”, dice. Sono stato licenziato e ora non so come campare la mia famiglia. Vivo con una pensione di nemmeno 800 euro con mia moglie costretta sulla sedia a rotelle. Ma è impossibile non parlare del processo sul depistaggio che si sta celebrando a Caltanissetta e che vede alla sbarra tre poliziotti, Maio Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. “Io guardo sempre nella loro direzione ma loro abbassano sempre gli occhi – dice – non capisco il perché”.

E preferisce non parlare neppure dei pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia, accusati di calunnia aggravata in concorso per il depistaggio. “Se hanno qualcosa da dire, la dicano”, si limita a dire. Si avvicina l’ennesimo anniversario della strage di via D’Amelio. “A me dispiace molto per quello che è successo al dottor Borsellino – dice – Io provo grande stima per i suoi figli e ringrazio Fiammetta per le parole che in più occasioni ha avuto nei nostri confronti”. “Spero solo di trovare un lavoro”, conclude “Tanino” Murana. “Anche se la mia è una non vita, vale la pena di essere vissuta”.

di Elvira Terranova ADNKRONOS 18 luglio 2019