MATTEO MESSINA DENARO – Il racconto dell’arresto

 

 


Palermo, il geometra Bonafede tradito da un tumore: “Sono Messina Denaro”. E in caserma scrive: “I carabinieri mi hanno trattato bene”

 

 

 

 

L’uomo che ha catturato Matteo Messina Denaro: «Vi spiego qual è stato il suo errore decisivo»

Il generale dei carabinieri Pasquale Angelosanto è il comandante dei Ros che ha arrestato Matteo Messina Denaro. In un’intervista al Corriere della Sera oggi spiega cosa ha tradito l’ultimo dei Corleonesi. E dice che la vera indagine comincia ora. Puntando sulla rete che lo ha protetto in trent’anni di latitanza. Che potrebbe portare anche a uomini delle istituzioni: «La storia è segnata da politici, appartenenti alle forze dell’ordine, funzionari dello Stato arrestati o indagati per aver avvisato il boss che il cerchio si stava stringendo». E respinge le accuse dei complottisti: «Soltanto chi non conosce davvero la mafia può pensare a una trattativa segreta. Messina Denaro in tutti questi anni ha vissuto lontano dalla sua cerchia stretta di familiari e conoscenti. Noi e la polizia abbiamo arrestato centinaia di fiancheggiatori. Ma abbiamo sempre avuto la certezza che utilizzassero un’attenzione maniacale negli spostamenti e negli incontri».

L’indagine e i 90 minuti

C’è un altro elemento che non deve essere ignorato, secondo Angelosanto: «Io ho sempre raccomandato di non lasciare nulla di intentato, ma anche di non rischiare. Davvero si può pensare che avremmo concordato la cattura in una clinica dove c’erano decine di malati con il rischio che potesse esserci un conflitto a fuoco o comunque che qualcuno potesse essere messo in pericolo?». Il capo dei Ros spiega com’è cominciata l’indagine che ha portato in carcere Messina Denaro: «Venerdì scorso, il 13 gennaio, quando il signor Andrea Bonafede ha confermato una particolare terapia presso la clinica La Maddalena. Ma la certezza io l’ho avuta soltanto quando il colonnello Arcidiacono mi ha telefonato e mi ha detto: “L’abbiamo preso, ha ammesso di essere lui”».

La pista

La pista, invece, l’avevano imboccata già da qualche mese. «Grazie a indagini e intercettazioni sapevamo di quali patologie soffriva Messina Denaro e abbiamo fatto partire le verifiche. Ci eravamo insospettiti perché in determinati momenti i suoi familiari avevano comportamenti anomali. All’improvviso annullavano impegni già presi, spegnevano i telefoni, diventavano irrintracciabili. Dunque abbiamo pensato che questo potesse accadere in occasione di interventi chirurgici. O comunque di cure mediche particolari. A quel punto ci siamo concentrati sui database sanitari e siamo andati su obiettivi mirati». Tra Agrigento, Trapani e Palermo i Ros hanno cercato chi si stava curando per un tumore e aveva oltre 55 anni. «Abbiamo incrociato i dati e ottenuto una lista di 150 codici. Soltanto quando la cerchia si è molto ristretta abbiamo avviato verifiche personali. E agli inizi di dicembre siamo arrivati a Bonafede».

L’anomalia

E qui è comparsa l’anomalia decisiva. «Il 29 dicembre ha prenotato una visita per il 16 gennaio. Ci siamo preparati ad intervenire». Ma qualcosa non quadrava: «Quando aveva l’appuntamento fissato spesso era da un’altra parte. Il suo telefonino si trovava a Campobello. E questo è successo anche lunedì scorso. Poco prima della visita il vero Andrea Bonafede era a casa sua. A quel punto abbiamo fatto scattare l’operazione con oltre 150 uomini, la maggior parte dentro e fuori la clinica. All’orario fissato abbiamo chiuso i cancelli e controllato tutte le persone che erano all’interno. Il signor Bonafede si è sottoposto a tampone e poi si è diretto verso il bar. In quel momento è stato fermato». E catturato. Intanto Angelosanto si trovava nel comando della Legione in attesa della telefonata: «È arrivata un’ora e mezza dopo. Sono stati i 90 minuti più lunghi della mia vita».

 


 

Alle 8 del mattino, il mafioso più ricercato del mondo si è messo in fila allo sportello dell’accettazione della clinica Maddalena di Palermo, come tutti gli altri malati oncologici che il lunedì fanno la terapia. C’erano tre persone davanti a lui. Matteo Messina Denaro, l’uomo delle stragi del ‘92-‘93, il pupillo del capo dei capi Salvatore Riina morto nel 2017, ha atteso pazientemente il suo turno. Chi era impaziente gli stava invece attorno, ma questo il padrino di Castelvetrano ancora non lo sapeva. Non sospettava davvero che gli restava meno di un’ora di libertà. Nella hall della rinomata clinica palermitana, c’erano anche i carabinieri del Ros, che da venerdì erano in allerta, tenendo sotto controllo le visite mediche e le terapie di un misterioso signor Andrea Bonafede, geometra di Campobello di Mazara e nipote di un vecchio mafioso. Era davvero lui o qualcun altro ad essere malato di cancro?
La conferma arriva alle 8,20, quando viene il turno della primula rossa di Cosa nostra ricercata dal giugno 1993: «Sono il paziente Andrea Bonafede», dice all’addetto dell’accettazione. E non sfugge al maresciallo dei carabinieri che si finge paziente pure lui in fila. Fa un cenno ai suoi compagni, basta uno sguardo. Quell’uomo non è il geometra Bonafede.

Via libera all’operazione”

Il colonnello Lucio Arcidiacono, il capo della squadra, manda un sms al procuratore capo Maurizio de Lucia, che è in attesa nella sua stanza al palazzo di giustizia con il procuratore aggiunto Paolo Guido. Un altro veloce sms è per i colleghi che stanno all’esterno della clinica, pronti ad entrare in azione. Ci sono i carabinieri del Gis, il gruppo di intervento speciale dell’Arma. Ma, all’improvviso, lo scenario cambia. Non si può ancora intervenire. Matteo Messina Denaro esce dalla clinica, probabilmente per prendere un caffè nel bar vicino. Questione di attimi. Appare ancora tranquillo, rilassato. «Attimi infiniti», dirà poi il colonnello Arcidiacono. Appena fuori dalla clinica, in via San Lorenzo, Matteo Messina Denaro si accorge dei carabinieri. E comincia a camminare velocemente verso la Fiat Brava con cui un favoreggiatore l’ha accompagnato (chissà da dove), rimasta parcheggiata in via Domenico Lo Faso. Qui, in una stradina dedicata a un archeologo del 1800, finisce la corsa del mafioso che voleva essere solo un incubo del passato.
Il colonnello Arcidiacono e i suoi ragazzi lo bloccano. «Lei è Matteo Messina Denaro?», dice l’ufficiale. «Lei lo sa chi sono io», risponde a tono il mafioso. Che suona come l’ennesima minaccia. I carabinieri lo bloccano, lui dice: «Mi chiamo Matteo Messina Denaro». Poco dopo arrestano anche l’ultimo autista del latitante, si chiama Giovanni Luppino, un commerciante incensurato di Campobello di Mazara. Questione di attimi, ma questa volta scanditi dagli applausi di tanti palermitani che in quel momento sono imbottigliati nel traffico. Capiscono subito vedendo quei carabinieri con tute mimetiche e passamontagna, altri sono in divisa, altri in borghese. I palermitani applaudono mentre il padrino e il suo complice vengono caricati su un furgone nero. E via verso il vecchio aeroporto militare di Boccadifalco, nel cuore di Palermo, dove c’è la centrale operativa della squadra.

Hangar “Alfa 11”

È in un hangar malandato rimesso a nuovo dai ragazzi del Ros (“Alfa 11” c’è scritto sul capannone) un pezzo importante di questa storia. L’altro pezzo è al secondo piano del palazzo di giustizia, dove si trovano gli uffici della procura della Repubblica. Carabinieri e magistrati si concentrano sulla pista della malattia del superlatitante tre mesi fa. In quei giorni, le microspie piazzate nelle abitazioni dei familiari di Messina Denaro fanno rimbalzare discorsi su «persone ammalate di tumore», e poi su «interventi chirurgici». Ma sono sempre discorsi riferiti ad altre persone. E, però, discorsi insistenti, con varie ricerche su Google. Sul morbo di Crohn, e poi sul tumore al fegato. I carabinieri annotano ogni parola con cura, cercano le connessioni fra tutti quei discorsi. E, alla fine, si decide di cominciare la più difficile delle indagini. «Come cercare un ago nel pagliaio», si dicono gli investigatori nelle lunghe discussioni. Ma è l’unica strada concreta. La malattia del padrino.
Tre mesi fa, Matteo Messina Denaro è ancora un fantasma. Nessuno dei suoi presunti favoreggiatori intercettati e pedinati da tempo fra Castelvetrano e Campobello dice nulla, o fa passi falsi. Solo i familiari continuano a parlare di malattie e di persone che si sono operate. E, allora, una mattina, il procuratore capo Maurizio de Lucia e l’aggiunto Paolo Guido autorizzano i militari del Ros guidati dal generale Pasquale Angelosanto ad acquisire tutti i dati sui malati oncologici nati nel 1962 in provincia di Trapani. Uno screening su dati provenienti dal ministero della Salute e dell’Economia. Arrivano tantissimi nomi.

Poi, il cerchio si stringe a dieci. Quindi a cinque. I ragazzi del Ros iniziano ad entrare nelle loro vite. Il punto è capire se sono davvero malati oncologici. I primi riscontri danno tutti esito «positivo». Solo un personaggio insospettisce, Andrea Bonafede, il nipote dello storico capomafia Leonardo, deceduto tre anni fa. Risulta avere fatto due interventi fra il 2020 e il 2021, ma qualcosa non torna, perché il giorno di un’operazione a Palermo il suo cellulare non è nel capoluogo, ma a Campobello.

Messina Denaro, la testimone: “Faceva le chemio con me. Le mie amiche hanno il suo numero”

La poesia della piccola Nadia

Quando arriva nell’hangar, Matteo Messina Denaro in manette si trova davanti un quadretto che non si aspettava. I ragazzi del Ros l’avevano messo lì da tempo, da quando era iniziata questa difficile indagine: è una poesia scritta dalla piccola Nadia Nencioni, una delle cinque vittime della strage di via dei Georgofili, avvenuta a Firenze il 27 maggio 1993. La strage per cui Messina Denaro è condannato all’ergastolo. Nadia aveva 9 anni. Qualche giorno prima della bomba, scrisse una poesia intitolata “Tramonto”. “Il pomeriggio se ne va/il tramonto si avvicina/un momento stupendo/Il sole sta andando via (a letto)/È già sera tutto è finito”. “Tramonto” era il nome in codice dell’operazione Messina Denaro. Adesso, il padrino appare frastornato. Gli fanno levare il giaccone di montone, ha una camicia elegante, tenuta sopra i pantaloni. Al polso, un orologio da 30 mila euro. All’improvviso, chiede un foglio di carta e una penna, scrive: «I carabinieri del Ros e del Gis mi hanno trattato con grande rispetto e umanità. Palermo, 16 gennaio 2023». Firmato: «Matteo Messina Denaro». LA REPUBBLICA 17.1.2023


Festa davanti alla caserma dei carabinieri dopo la cattura di Matteo Messina Denaro

Un centinaio di persone, cori da stadio, striscioni di ringraziamento a magistrati e carabinieri hanno salutato l’uscita dei protagonisti dell’arresto di Matteo Messina Denaro dalla caserma del comando Legione Sicilia di Palermo. È lì che è stata organizzata la conferenza stampa in cui i vertici del Ros, dei reparti territoriali, il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia, l’aggiunto che coordina la Direzione distrettuale antimafia Paolo Guido hanno illustrato la cattura del superlatitante. Alla manifestazione, organizzata fuori dal Comando regionale a Palermo, hanno partecipato le associazioni Addiopizzo, Libera e la Fondazione Falcone. “Ci date la forza di andare avanti”, ha detto il capo di stato maggiore dei carabinieri di Sicilia, Pasquale Vasaturo.


L’arresto del boss Matteo Messina Denaro. Blitz dei Ros, seguito il metodo Dalla Chiesa

Dopo 30 anni di latitanza. E’ stato trasferito in un carcere di massima sicurezza. Sequestrate tutte le cartelle mediche. Il fiancheggiatore arrestato con lui è un commerciante di olive

 

I carabinieri del Ros e la procura di Palermo hanno individuato il covo del boss Matteo Messina Denaro, arrestato, ieri, alla clinica Maddalena di Palermo.

E’ a Campobello di Mazara, nel trapanese, paese del favoreggiatore Giovanni Luppino, finito in manette insieme al capomafia.

Il nascondiglio, secondo quanto si apprende, è nel centro abitato. Le ricerche sono state coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Guido.

Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano (Tp) è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. “Mi chiamo Matteo Messina Denaro“, dice con fare arrogante al carabiniere del Ros che sta per arrestarlo. Finisce così la latitanza trentennale del padrino di Castelvetrano, finito in manette alle 8.20 mentre stava per iniziare la seduta di chemioterapia alla clinica Maddalena di Palermo, una delle più note della città. Quando si è reso conto d’essere braccato, ha accennato ad allontanarsi.

Non una vera e propria fuga visto che decine di uomini del Ros, armati e col volto coperto, avevano circondato la casa di cura. I pazienti, tenuti fuori dalla struttura per ore, si sono resi conto solo dopo di quanto era accaduto e hanno applaudito i militari ringraziandoli. Stessa scena fuori dalla caserma Dalla Chiesa, sede della Legione, dove nel pomeriggio il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, l’aggiunto Paolo Guido, il generale del Ros Pasquale Angelosanto e il comandante palermitano del Raggruppamento Speciale Lucio Arcidiacono hanno tenuto una conferenza stampa.

LA CONFERENZA STAMPA DEI CARABINIERI

 

 

Una piccola folla ha atteso i pm e mostrato uno striscione con scritto: “Capaci non dimentica”. In mattinata in Procura era arrivata la premier Giorgia Meloni che ha voluto incontrare i magistrati per congratularsi con loro. “Siamo orgogliosi di un risultato costato tanta fatica”, dicono i pm che sottolineano come si sia trattato di una indagine tradizionale. Nessun pentito, nessun anonimo. Messina Denaro è stato preso grazie alla stessa strategia che portò all’arresto del boss Bernardo Provenzano. Prosciugare l’acqua attorno al latitante, disarticolando la rete dei favoreggiatori. Favoreggiatori anche eccellenti: “una fetta della borghesia lo ha aiutato”, dice il procuratore de Lucia. E’ accaduto questo. E i familiari del boss stretti dalla morsa degli investigatori alla fine hanno fatto l’errore fatale.

Parlando tra loro, pur sapendo di essere intercettati, hanno fatto cenno alle malattie del capomafia. L’inchiesta è partita da lì. E indagando sui dati della piattaforma del ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, si è riusciti a stilare una lista di pazienti sospettati. Un nome ha fatto saltare sulla sedia gli inquirenti: Andrea Bonafede, parente di un antico favoreggiatore del boss. Avrebbe un anno fa subito un intervento al fegato alla Maddalena. Ma nel giorno in cui doveva trovarsi sotto ai ferri, hanno scoperto i magistrati, Bonafede era a casa sua a Campobello di Mazara. E allora il sospetto che il latitante usasse l’identità di un altro si è fatto forte. La prenotazione di una seduta di chemioterapia a nome di Bonafede ha fatto scattare il blitz.

Messina Denaro, trasferito subito in una località segreta, sarà destinato ad un carcere di massima sicurezza, un istituto che gli possa permettere di seguire le sue cure, come ad esempio Parma, dove già furono reclusi Riina e Provenzano: la premier parla di regime di “carcere duro” e il procuratore de Lucia scandisce che le condizioni del boss “sono compatibili col carcere”. Ma le indagini non si sono fermate con l’arresto. Perquisizioni sono in corso da ore nel trapanese: Castelvetrano e Campobello di Mazara vengono setacciate palmo a palmo. Gli inquirenti cercano e sarebbero ad un passo dal covo. Quel nascondiglio che avrebbe ospitato il boss negli ultimi mesi e potrebbe custodire i segreti dell’ex primula rossa di Cosa nostra che, dicono i pentiti, avrebbe conservato il contenuto della cassaforte di Totò Riina portata via dalla casa di via Bernini, mai perquisita. Decine le dichiarazioni di politici di tutti gli schieramenti dopo l’arresto. “Oggi è una giornata storica – ha detto il procuratore de Lucia – che dedichiamo a tutte le vittime della mafia”. Parole simili a quelle pronunciate dalla premier che ha aggiunto: “mi piace immaginare che il 16 gennaio possa essere il giorno nel quale viene celebrato il lavoro degli uomini e delle donne che hanno portato avanti la guerra contro la mafia. Ed è una proposta che farò”.

COME SI E’ ARRIVATI ALL’ARRESTO. “Matteo Messina Denaro è stato catturato grazie al metodo Dalla Chiesa, cioè la raccolta di tantissimi dati informativi dei tanti reparti dei carabinieri, sulla strada, attraverso intercettazioni telefoniche, banche dati dello Stato, delle regioni amministrative”, ha detto il comandante dei carabinieri Teo Luzi, arrivato a Palermo. “Una grande soddisfazione perché è un risultato straordinario. Messina Denaro era un personaggio di primissimo piano operativo, ma anche da un punto di vista simbolico perché è stato uno dei grandi protagonisti dell’attacco allo Stato con le stragi. Risultato reso possibile dalla determinazione e dal metodo utilizzato. Determinazione perché per 30 anni abbiamo voluto arrivare alla sua cattura, soprattutto in questi ultimi anni con un grandissimo impiego di personale e di ricorse strumentali”. “Un risultato – conclude Luzi – grazie al lavoro fatto anche dalle altre forze di polizia, in particolare dalla polizia di Stato. La lotta a Cosa nostra prosegue. Il cerchio non si chiude. E’ un risultato che dà coraggio che ci dà nuovi stimoli ad andare avanti e ci dà metodo di lavoro per il futuro, la lotta alla criminalità organizzata è uno dei temi fondamentali di tutti gli stati”.

“E’ il risultato di un lavoro corale che si è svolto nel tempo, che si è basato sul sacrificio dei carabinieri in tanti anni. L’ultimo periodo, quelle delle feste natalizie, i nostri lo hanno trascorso negli uffici a lavorare e a mettere insieme gli elementi che ogni giorno si arricchivano sempre di più e venivano comunicati”, ha detto Pasquale Angelosanto, comandante del Ros.

LE FASI DELL’ARRESTO. Il blitz è scattato quando “abbiamo avuto la certezza che fosse all’interno della struttura sanitaria”. Quando è stato bloccato, hanno aggiunto, Messina Denaro “non ha opposto alcuna resistenza” e “si è subito dichiarato, senza neanche fingere di essere la persona di cui aveva utilizzato l’identità”. Alla domanda se Messina Denaro abbia tentato la fuga, gli investigatori hanno affermato di “non aver visto tentativi di fuga” anche se, hanno aggiunto, “sicuramente ha cercato di adottare delle tutele una volta visto il dispositivo che stava entrando nella struttura”. “Fino a ieri era certamente il capo della provincia di Trapani, da domani vedremo”, ha spiegato il procuratore aggiunto Paolo Guido sugli assetti dei vertici di Cosa nostra dopo l’arresto di Messina Denaro.

“Abbiamo catturato l’ultimo stragista responsabile delle stragi del 1992-93”, ha detto il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia. “Siamo particolarmente orgogliosi del lavoro portato a termine questa mattina che conclude un lavoro lungo e delicatissimo. E’ un debito che la Repubblica aveva con le vittime della mafia che in parte abbiamo saldato”. “Catturare un latitante pericoloso senza ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un paese democratico”. “Allo stato non abbiamo elementi per parlare di complicità del personale della clinica anche perchè i documenti che esibiva il latitante erano in apparenza regolari, ma le indagini sono comunque partite ora” ha aggiunto il procuratore.

“Ci è apparso in buona salute e di buon aspetto non ci pare che le sue condizioni siano incompatibili con il carcere”, ha spiegato l’aggiunto di Palermo Paolo Guido alla conferenza stampa. “Era di buon aspetto, ben vestito, indossava capi di lusso ciò ci induce a dire che le sue condizioni economiche erano buone”, ha aggiunto. “Ovviamente sarà curato come ogni cittadino ha diritto essere curato”, ha concluso. Al momento della cattura indossava anche un orologio molto particolare del valore di 30-35mila euro.

Messina Denaro, l’urlo liberatorio e l’abbraccio dei carabinieri dopo l’arresto

CHI E’ IL FIANCHEGGIATORE DEL BOSS. E’ un commerciante di olive, agricoltore di mestiere, incensurato. È il profilo di Giovanni Luppino, l’uomo arrestato insieme al superlatitante Matteo Messina Denaro. È stato lui a portarlo in macchina presso la clinica privata di Palermo per le cure. Luppino è di Campobello di Mazara, paese vicino a Castelvetrano. Da qualche tempo gestiva, insieme ai figli, un centro per l’ammasso delle olive cultivar Nocellara del Belìce proprio alla periferia di Campobello di Mazara. La sua funzione era quello di intermediario tra i produttori e i grossi acquirenti che, in zona, arrivano dalla Campania.

Chi e’ Messina Denaro (e perché la sua cattura è importante)


L’arresto di Matteo Messina Denaro in una clinica oncologica è coerente con risultati investigativi, anche molto datati che lo indicavano affetto da serie patologie. Tracce del boss superlatitante risalenti al gennaio del 1994, lo collocavano infatti in Spagna, a Barcellona, dove si sarebbo sottoposto, presso una nota clinica oftalmica, ad un intervento chirurgico alla retina. Ma non solo: avrebbe accusato – sempre secondo risultanze investigative di alcuni anni fa – una insufficienza renale cronica, per la quale avrebbe dovuto ricorrere a dialisi. Per non rischiare l’arresto durante gli spostamenti per le cure ed i trattamenti clinici, il boss avrebbe installato nel suo rifugio le apparecchiature per la dialisi. Una importante conferma sulle patologie accusate dal superlatitante giunse nel novembre scorso dal pentito Salvatore Baiardo, che all’inizio degli anni ’90 gestì la latitanza dei fratelli Graviano a Milano. In un’intervista televisiva, su La7 a Massimo Giletti il pentito rivelo’ che Matteo Messina Denaro era gravemente malato e che proprio per questo meditava di costituirsi.

Meloni: ‘La mafia si puo’ battere ma non e’ sconfitta’

Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, Matteo Messina Denaro era latitante dall’estate del 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l’inizio della sua vita da Primula Rossa. “Sentirai parlare di me – le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue – mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”. Il capomafia trapanese è stato condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma. Messina Denaro era l’ultimo boss mafioso di “prima grandezza” ancora ricercato. Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine. Oggi la cattura, che ha messo fine alla sua fuga decennale. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.


Come è stato trovato Matteo Messina Denaro: il racconto delle indagini

Secondo quanto è emerso dalle indagini che hanno portato all’arresto di Matteo Messina Denaro, boss di Cosa Nostra latitante da 30 anni, a incastrarlo sarebbero state le intercettazioni di alcuni familiari preoccupati per le sue condizioni di salute incrociate con i dati dei malati oncologici del Ministero della Salute.

Sono trascorse 24 ore circa dall’arresto di Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa Nostra latitante da 30 anni. Una notizia che ha fatto in breve il giro del mondo e che è stata accolta con gioia dalle forze dell’ordine impegnate nell’operazione, dai cittadini, siciliani e non, e dalla politica che l’ha definita “una vittoria dello Stato”.

Ma come si è arrivati alla cattura di Messina Denaro? Ad incastrarlo, secondo quanto ricostruito dalle indagini, sarebbero state le sue condizioni di salute. Il super latitante, infatti, da un paio di anni combatteva contro un tumore al colon. Per questo, frequentava la clinica privata Maddalena di Palermo, dove ieri è stato fermato intorno alle 8 del mattino.

Qui si era presentato con i documenti di Andrea Bonafede, nato a Campobello di Mazara il 23 ottobre 1963, arrivato per sottoporsi alla visita di controllo e al trattamento chemioterapico prenotato lo scorso giovedì. Era da qualche mese che negli inquirenti era maturato il sospetto, diventato sempre di più una certezza, che dietro questa identità si celasse quella di Messina Denaro.

Alcune intercettazioni fra persone a lui vicine, come la sorella, negli ultimi tempi, avevano fornito elementi interessanti, come discorsi sul tumore al colon, oltre che sui tradizionali problemi agli occhi; e poi a un doppio problema oncologico, non solo il colon ma anche il fegato. Così, tramite il ministero della Salute e i server che gestiscono le prestazioni a livello nazionale, è stata fatta un’indagine sulle persone che si sono sottoposte a interventi e cure per quelle due patologie.

A quel punto, si è arrivati, dopo una ricerca sui computer delle singole strutture e dopo che una per una è stata analizzata l’identità di tutti i pazienti oncologici, le caratteristiche fisiche, le condizioni e la provenienza, ad una dozzina di nomi. Tra questi, compariva proprio quello di Andrea Bonafede, di un’età quasi corrispondente a quella di Messina Denaro, operato nel 2020 al colon in un’altra struttura siciliana e a maggio 2022 a La Maddalena.

Indagando su quel nome, i carabinieri hanno scoperto che il giorno dell’operazione Bonafede non era in ospedale, bensì a casa sua. Sono state recuperate le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza sparse per le vie di Campobello di Mazara, che hanno immortalato quel signore a passeggio col suo cane, fumando il sigaro, mentre doveva in sala operatoria. Di qui l’idea che dietro quell’identità potesse nascondersi il boss.

L’altro elemento che ha convinto gli inquirenti del fatto che Andrea Bonafede e Messina Denaro fossero la stessa persona è stata anche una recente visita specialistica all’occhio sinistro, dello stesso paziente, monitorata sempre tramite i server del Servizio sanitario nazionale.

Nuovi indizi incrociati sono stati così al centro del lavoro dei carabinieri che “non si sono fermati nemmeno durante le feste di fine anno, trovando sempre aperte le porte della Procura”, come ha ricordato il generale Pasquale Angelosanto comandante del Ros. Sono stati i suoi uomini, ieri, a concludere l’operazione catturando il super latitante. Il quale, raggiunto dai militari, non ha potuto fare altro che confermare la propria identità: “Sono Matteo Messina Denaro“. FANPAGE

 


 

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