L’ascesa coi corleonesi, la strategia delle stragi, gli omicidi efferati, il patrimonio sterminato, le reti di protezione della politica. Cosa sappiamo del re di Cosa Nostra arrestato il 16 gennaio 2023, nel racconto ritratto del giornalista scrittore.
È importante l’arresto di Matteo Messina Denaro perché Cosa Nostra, rispetto ad altre organizzazioni, continua a mantenere una struttura piramidale con un vertice e un re deciso dalla cupola. Messina Denaro in questo momento è il re di Cosa Nostra.
Ma chi è Matteo Messina Denaro? Matteo Messina Denaro, classe 62, è l’ultimo degli stragisti e l’ultimo appartenente a quella classe militare politica mafiosa che ha portato avanti la strategia stragista e che ha fatto parte dell’ascesa criminale dei corleonesi.
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Le origini e l’ascesa di Matteo Messina Denaro
Matteo Messina Denaro è stato uno degli uomini più fedeli di Totò Riina. L’ascesa dei corleonesi avviene intorno agli anni ’70 e ’80, decretata con l’assassinio di Stefano Bontade, nell’81 capo dei palermitani. Cosa Nostra è strutturata come confederazione di tante famiglie, ognuna con un mandamento, cioè un territorio su cui insiste, comanda. Si ritrova con questa spaccatura palermitana dei corleonesi corleonesi, i contadini da anni considerati sì potenti ma marginali, incapaci di vere alleanze politico economiche, sostanzialmente il braccio armato che deve accontentarsi di un segmento soltanto del potere mafioso.
Riina invece, sfruttando anche il potere sempre più forte di Luciano Liggio,altro corleonese, tenta il colpo di Stato, cioè prende il vertice di Cosa Nostra. E lo fa in nome dei valori di Cosa Nostra che considera traditi dai palermitani, troppo morbidi e troppo piegati alla politica, mentre i corleonesi vogliono loro dominare sulla politica. Matteo Messina Denaro è al servizio di Riina.
Non viene scelto solo per le sue capacità militari, ma anche perché porta con sé un’eredità importante: la sua famiglia ha un rapporto con i proprietari dell’istituto di credito privato più importante della Sicilia, la Banca Sicula di Trapani. All’epoca il commissario di polizia Germanà segnalò che questa banca potesse essere, al pari della Banca Rasini di Milano, la centrale di riciclaggio dei soldi di Cosa Nostra.
Uccidere e non essere uccisi in tempo di faida ti rende un killer praticamente perfetto. Ogni gesto compiuto nella tua vita quotidiana e soprattutto quando vai poi a uccidere il tuo bersaglio, fa parte di una procedura che non tutti gli uomini d’onore, cioè gli affiliati a Cosa Nostra, sanno tenere.
Questo, agli occhi di Riina, fa apparire questo giovane mafioso affidabile al punto tale che viene invitato in un ristretto gruppo di fedelissimi assieme a Bagarella e Graviano. Viene inviato a Roma. Questa struttura si chiamerà Super Cosa. La Super Cosa è in risposta alla Superprocura antimafia di Giovanni Falcone: un gruppo di persone di cui nessun altra famiglia sa dell’esistenza, inviata a Roma per colpire Martelli, Maurizio Costanzo e Falcone stesso.
In verità questa spedizione sarà completamente fallimentare: si comporteranno e si muoveranno in modo davvero maldestro, devono pedinare Falcone e lo perdono. Avevano un’informazione: Falcone andava a mangiare al risrorante Amatriciana. Ma si sbagliano e vanno dal ristorante Carbonara. Maurizio Costanzo lo pedinano, ma poi desistono perché vedono una scorta armata sotto casa sua. Non era a casa sua, era a casa di Vincenzo Scotti. Non riescono a rintracciare Claudio Martelli. Addirittura incontrano Renzo Arbore e Pippo Baudo e sentono Riina, per chiedergli se potevano essere colpiti in quanto facili bersagli. Vengono fatti rientrare in Sicilia. È interessante vedere come il killer Messina Denaro, fuori dal suo territorio, non si muova con la stessa agilità.
Nonostante il fallimento romano, Messina Denaro è sempre più vicino a Riina. Ha ereditato il mandamento, quindi tutto il territorio di Trapani, da suo padre. I corleonesi lo considerano un mandamento fedelissimo, quindi, dove fare investimenti, dove poter contare completamente su di lui. E poi avviene un altro omicidio, l’ennesimo. Messina Denaro viene incaricato di partecipare all’esecuzione di Vincenzo Milazzo. Milazzo era capo di una cosca storicamente influente in Cosa Nostra più che per potere reale, per potere simbolico Alcamo.
Ed era infastidito dalla gestione completamente autocratica di Riina. In breve Milazzo lascia intendere che i Brusca e Riina stanno esagerando. E passato con loro durante la faida con i palermitani, quindi condivideva con loro che i palermitani stessero costruendo un partito politico, che un’organizzazione militare imprenditoriale d’onore. Ma poi si lamenta, viene convocato, lo racconterà un pentito. Viene convocato in una casa dove in genere facevano le riunioni i vari affiliati di Cosa Nostra.
E lo ammazzano. E Brusca dirà: “Devo ucciderlo appena lo vedo. Perché ha brindato alla morte di mio padre”. In tutto questo Messina Denaro ucciderà la fidanzata di Vincenzo Milazzo e la ucciderà perché incinta. Probabilmente di un maschio, cioè di un bambino che crescendo avrebbe poi potuto decidere di vendicare suo padre.
La strategia stragista
Messina Denaro è parte del gruppo di corleonesi che decide la strage di Capaci e quell di via D’Amelio, ma il suo peso è ancora più importante quando la strategia stragista di Cosa Nostra decide per gli attentati a Roma, Milano, Firenze. Matteo Messina Denaro sposa una visione insolita sino ad allora, e cioè la strategia terroristica colpire innocenti, cioè persone che non c’entrano, che non si sono neanche opposte al potere di Cosa Nostra, che non sono né uomini d’onore né nemici dell’organizzazione passanti.
Abbiamo prove di ipotesi di far saltare la Torre di Pisa, di far saltare i templi greci in Sicilia. L’obiettivo è terrorizzare lo Stato, così da costringere quella parte di Stato piccola che stava combattendo Cosa Nostra a farsi da parte in cambio di una pace in cambio della sicurezza. Questa visione è portata avanti da Messina Denaro, che spinge il più possibile da un lato agli attentati, dall’altro intervenire sui pentiti. Come Santino Di Matteo.
Colpire i pentiti
Quando Santino Di Matteo si pente per Cosa Nostra corleonese è davvero un problema.
In generale, Cosa Nostra tende a non toccare i parenti dei pentiti. La ragione è semplice: se ti uccido tuo fratello mentre stai parlando, tutto ciò che stai dicendo assume immediatamente valore. Perché stai dando alla magistratura la prova. Si stanno vendicando su di me, perché quello che dico è vero e quindi gli affiliati tendono invece a smentire e a smontare in sede processuale i pentiti.
Ma questo non accade quando arriva l’informazione di un pentimento e quindi il collaboratore sta parlando. Non ha ancora concluso le sue dichiarazioni, quindi in quel momento è fragile. In quel momento può fermare la sua collaborazione. Può essere un gesto importante. Allora cercano di capire cosa fare: non possono colpire i diretti familiari perché la moglie aveva preso distanze ufficialmente.
Quindi non puoi colpire qualcuno che ha ufficialmente preso le distanze da un parente pentito. Il fratello e i cugini erano “combinati”, cioè affiliati, uomini d’onore. Non puoi uccidere degli uomini d’onore senza che la commissione decida il motivo. E allora a Graviano, come riportato da alcuni collaboratori di giustizia, viene in mente che Santino Di Matteo ha un figlio che va a cavallo.
Vanno al maneggio vestiti da poliziotti perché il padre era gestito da nucleo operativo Prevenzione pentiti. Il bambino è convinto di andare a vedere il padre perché così gli dicono ti porti a modo tuo padre e invece lo andranno a sequestrare con l’ordine di sequestrarlo. Attendere che Santino ritratti e quindi poi restituirlo a suo padre. Brusca stesso, quando poi si è pentito ha dichiarato: “C’era una possibilità su 1.000.000 che quel bambino uscisse vivo dal nostro sequestro”. Giuseppe Di Matteo verrà poi ucciso e sciolto nell’acido.
In tutto questo Matteo Messina Denaro, avalla con un’operazione non secondaria, cioè nella fase di sequestro, e concede quindi operativamente di tenere nascosto sul suo territorio il bambino. E questo dalla prova della sua partecipazione al più infame dei delitti che hanno fatto i corleonesi.
Lui ha sempre cercato di tenersi, anche per quello che si dice tra gli affiliati, lontano da quell’omicidio. Ma invece non solo diede assenso all’esecuzione del bambino e al sequestro, ma addirittura diede disponibilità nell’organizzazione del sequestro.
La protezione politica
Nei decenni Messina Denaro si arricchisce sempre di più. È un capo e quindi ha una disponibilità di liquidità enorme. Le indagini hanno dimostrato i suoi interessi nel gioco d’azzardo e nel gioco d’azzardo illegale, investendo in società maltesi e poi nella grande distribuzione.
L’inchiesta ha dimostrato che appartenevano a quella catena economico finanziaria della fazione di Cosa Nostra proprio di Matteo Messina Denaro. Quindi non stiamo parlando semplicemente di proprietà e di denaro della mafia, di Cosa Nostra, ma del suo personale patrimonio. La forza di Messina Denaro, come sempre per i capi, è determinata dalle sue alleanze, dai suoi legami, da una forte capacità liquida.
Avere molta liquidità significa comprare molte persone e dà una forte protezione politica. La protezione politica aiuta a vincere appalti. E a essere avvertito, quando qualcosa non funziona.
La forza di Messina Denaro, come la forza di tutti i boss, risiede nella capacità di mantenere le alleanze. E certamente la politica, da sempre l’interlocutore principale delle organizzazioni mafiose, insieme all’impresa. La politica sa che è imprescindibile il rapporto con il potere criminale per governare l’Italia. Ebbene, quello che succede è che nel 2006 avviene un’intercettazione importantissima. Non è un’intercettazione telefonica, ma ambientale in un’autofficina a Castelvetrano frequentata da Salvatore, il fratello di Matteo Messina Denaro.
Bene. In quella autofficina le parole che vengono pronunciate sono importantissime. E finita l’epoca dei comunisti, bisogna appoggiare Berlusconi. Prodi, questo babbo così lo definiscono, ci consuma. La metafora è chiara “ci consuma”, si oppone a noi, bisogna appoggiare gli altri. Secondo le accuse e secondo diversi pentiti, l’uomo politico che viene scelto da Messina Denaro è Tonino D’Alì. Non è un politico preso così a caso tra i disponibili. È infatti l’erede della famiglia che ha fondato il Banco Siculo di Trapani, la famiglia per cui lavorava il padre di Matteo Messina Denaro.
D’Ali, candidandosi alle elezioni politiche del 2001, prenderà ben 52.000 preferenze. Diventa senatore. E, soprattutto, sarà sottosegretario agli Interni dal 2001 al 2006. Queste accuse hanno avuto come risultato giudiziario una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 2017 la Procura di Trapani chiede e ottiene che al senatore sia dato l’obbligo di soggiorno e il Tribunale che gestisce le misure di prevenzione dirà che si tratta di un politico a disposizione di Matteo Messina Denaro.
È l’elemento più dimenticato nel racconto trionfalistico della sua cattura che, seguendo la documentazione delle indagini e delle procure, Matteo Messina Denaro abbia avuto un suo uomo a disposizione in un posto preciso, molto preciso delle stanze italiane. La sottosegreteria agli Interni. Del resto uno degli amici più stretti di Messina Denaro, Giuseppe Graviano, l’altro autore delle stragi, mentre viene ripreso nel carcere di massima sicurezza dove è detenuto, fa un gesto eloquente parlando con un altro prigioniero. Intreccia le mani. Un gesto che descrive il rapporto tra D’Alì e Messina Denaro.
La latitanza e l’arresto
Trent’anni di latitanza sono molti, ma non danno la reale misura di quello che è successo. Per più di venti non è mai stato cercato, non è mai stato cercato.
La priorità erano altri. La stessa cosa capitò con Provenzano, davvero cercato soltanto negli ultimi otto anni. E allo stesso modo Matteo Messina Denaro, davvero cercato soltanto negli ultimi dieci o dodici anni. In realtà le risorse dello Stato nella cattura dei latitanti sono limitate, quindi si cerca sempre il latitante numero uno. Per anni è stato Bernardo Provenzano. Dopo la cattura di Provenzano è arrivato il turno di Messina Denaro. Non che nessuno di questi venisse cercato, ma non c’erano abbastanza investimenti per corrompere e per investire, per cercare. È costosissimo da parte dello Stato la ricerca di un latitante. È davvero un impegno economico e umano enorme.
Messina Denaro, però, anche quando lo cercavano, è riuscito a scappare. Era sempre avvertito da più parti. Abbiamo continui indizi che ci testimoniano gli avvertimenti. Uno su tutti: quando manteneva un carteggio con Svetonio, il sindaco di Castelvetrano, lui si firmava Alessio. A un certo punto dismette questo rapporto. Guarda caso, quando i servizi segreti avevano raggiunto il sindaco per poter quindi catturare Messina Denaro. D’improvviso si interrompono i rapporti. Qualcuno lo ha avvertito. È così, sempre. E così sempre accadeva quando si era vicinissimi alla cattura,
Cosa Nostra dopo di lui
Di questo arresto si sa ancora poco. Qualcosa lo scopriremo nei prossimi giorni. Qualcos’altro non lo sapremo mai.
Quello che sappiamo già ora, però, è che Cosa Nostra decapitata è un’organizzazione provata. La strategia stragista voluta da Messina Denaro è proprio quella strategia che l’ha consumata e quella strategia che l’ha resa un’organizzazione molto più in difficoltà rispetto alle organizzazioni consorelle più floride e meno indebolite da collaboratori di giustizia, da arresti e condanne.
La gestione di Cosa Nostra di Matteo Messina Denaro è stata sostanzialmente una gestione fallimentare. La strategia corleonese, benché in grado di portare potere e fargli essere davvero i sovrani del crimine organizzato per più di dieci anni, li ha poi indeboliti, fatto perdere affari. È stata la peggiore scelta possibile, quella del terrorismo mafioso. Scelta che infatti hanno osservato le altre mafie e che da cui le altre mafie si sono distanziate.
‘Ndrangheta e camorra furono chiamate a partecipare alla strategia stragista anche da Messina Denaro, ma non accettarono. Non collaborarono, non parteciparono se non marginalmente. Così salvarono il loro business e così hanno protetto i loro affari. E ora? E ora chi sarà il nuovo re di Cosa Nostra?Beh, a meno che non decida di pentirsi, Matteo Messina Denaro, anche rinchiuso malato al 41 bis, continuerà ad essere il re di Cosa Nostra. Perché nessuno è ancora a pronto a sedersi sul trono che lui ha lasciato vuoto.
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