Matteo Messina Denaro vuole «cure speciali» contro il cancro in carcere. L’ultimo dei Corleonesi segue la strategia del silenzio nei processi. E rinuncia a comparire davanti alle Corti, dimostrando di non volersi difendere da accuse che ritiene ingiuste. Mentre anche Andrea Bonafede, accusato di favoreggiamento decide di restare zitto davanti al Gip. ‘U Siccu però a Le Costarelle con i medici parla. Della sua malattia (il tumore al colon) e delle terapie a cui è sottoposto. Sostiene di conoscere le caratteristiche dei farmaci che gli vengono somministrati. Compresi gli effetti collaterali. E con tono garbato ha chiesto ai dottori se è possibile accedere a cure farmaceutiche «che ci sono solo in Israele». Come se avesse cercato notizie su Internet. E dimostrando così che la paura della morte è stata fondamentale in quell’abbassamento delle difese che ha portato alla cattura dopo trent’anni di latitanza.
Le visite e i telegrammi
A parlare delle strane richieste di cure particolari da parte di Messina Denaro è oggi Lirio Abbate su la Repubblica. In questa prima settimana di detenzione al 41bis a L’Aquila Diabolik non ha ancora ricevuto visite. La nipote che ha scelto per farsi difendere, Lorenza Guttadauro, si è limitata a telefonargli. La sua nomina ha suscitato polemiche, perché c’è chi ci ha visto un modo per aggirare le regole del carcere duro. Che non prevede contatti con altri parenti se non una volta al mese e in videoregistrazione. Nemmeno gli altri parenti che gli rimangono, tra cui la figlia Lorenza Alagna e sua madre Franca, si sono ancora presentati. Forse perché i tempi tecnici necessari non sono ancora passati. In compenso ha ricevuto un telegramma. Che ha riletto più volte seduto in cella. Per il resto, il boss ha un fisico allentato. E a quanto pare ha rifiutato la passeggiata da solo nell’ora d’aria. Ha raccontato agli agenti che era abituato a fare un cammino di cinque chilometri ogni giorno durante la latitanza.
I bambini
«Non creo problemi, ditemi cosa devo fare» sono le poche parole che ha detto in questi giorni ai poliziotti che devono sorvegliarlo. Ma su una cosa tiene il punto: «Non sono la persona che viene descritta», ha detto puntando il dito verso la televisione. E aggiunge che lui non ha «mai ucciso donne o bambini». La frase ha un senso all’interno del contesto culturale di Cosa Nostra. Ovvero quello in cui i Padrini si vantavano di lasciare fuori dalle loro guerre i cosiddetti “deboli”. O gli innocenti. Nel caso di Messina Denaro però l’affermazione scricchiola. Perché il boss è stato condannato in via definitiva per aver partecipato al rapimento e all’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Ma anche per aver strangolato la giovane di Alcamo Antonella Bonomo, incinta. L’ultimo dei Corleonesi è poi considerato l’ispiratore della seconda strategia delle stragi di mafia, dopo Capaci e via d’Amelio. Ovvero degli attentati dinamitardi organizzati fuori dalla Sicilia. Tra questi c’è via dei Georgofili a Firenze, dove morirono il vigile urbano Fabrizio Nencioni, sua moglie Angela e le loro due figlie di otto anni e cinquanta giorni.
Il silenzio del boss
Per il resto, come racconta anche il Fatto Quotidiano, il boss resta in silenzio. Deve scontare anche tre anni di isolamento diurno, quindi non potrà incontrare altri carcerati. Agli agenti del Gom aveva detto di essere incensurato. E ha anche precisato, malgrado non ce ne fosse bisogno, che non si pentirà mai. Ha parlato con la psicologa del carcere. Mentre indossa ancora i vestiti datigli nel momento dell’arrivo nel penitenziario. Aspetta un pacco con abiti di ricambio dalla famiglia a Castelvetrano. Intanto durante le perquisizioni, oltre ai telefoni cellulari, pare sia stato rinvenuto anche un computer. Un portatile che adesso gli investigatori stanno analizzando. Bisogna però anche realizzare la copia forense. Ovvero il duplicato digitale utilizzabile durante i processi. Al procedimento potrà assistere un perito di parte. L’avvocata Guttadauro è chiamata a nominarlo.
Le indagini sulla casa e sul bunker
Proseguono, intanto, le indagini sulla casa del boss. Sul bunker nascosto trovato in casa del fratello di un condannato per mafia, Errico Risalvato. E sull’appartamento di via San Giovanni, sempre a Campobello di Mazara, in cui il padrino avrebbe vissuto prima di trasferirsi nell’ultimo covo. Gli immobili sono stati perquisiti approfonditamente anche con l’uso del georadar che può individuare stanze o locali nascosti. «Smentiamo che l’immobile sia stato un rifugio di Messina Denaro e che in casa ci fosse un bunker. Quello trovato era un ripostiglio in cui venivano conservati oggetti preziosi della famiglia», hanno intanto fatto sapere gli avvocati Mattozzi e Stallone, che difendono Risalvato.