VIA D’AMELIO – Salvatore Candura, falso pentito, mentì sul furto della 126 e depistò le indagini: ora chiede un risarcimento allo Stato

7.2.2023 Via D’Amelio, mentì sul furto della 126 e depistò le indagini: ora chiede un risarcimento allo Stato

 

Bocciata dalla Cassazione la richiesta di Salvatore Candura, che si riteneva “vittima di un errore giudiziario”. Nel 1994 patteggiò la pena per aver rubato l’auto, ma dopo la sentenza di revisione del processo sulla strage è stato assolto. Per i giudici la falsa confessione non è stata frutto di violenze subite ma di una libera scelta

Aveva mentito raccontando di essere stato lui a rubare la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo ed utilizzata per compiere la strage di via D’Amelio, in cui il 19 luglio 1992 morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.
Una delle bugie sulle quali era stato costruito “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, impedendo – ancora oggi – l’accertamento pieno della verità. Salvatore Candura, 62 anni, confessando il furto mai commesso aveva patteggiato la pena nel 1994, era stato poi inevitabilmente assolto nel 2017 dopo la sentenza di revisione del processo sulla strage. E, a dispetto di tutto, ha pure chiesto un indennizzo allo Stato per l’errore giudiaziario di cui si ritiene vittima. Un’istanza ora definitivamente rigettata dalla Cassazione.
La quarta sezione della Suprema Corte, presieduta da Patrizia Piccialli, ha infatti confermato la decisione già presa dalla Corte d’Appello di Catania a maggio scorso, condividendo integralmente le conclusioni dei giudici, secondo cui “a dare causa all’errore giudiziario sono state indubbiamente le dichiarazioni di Candura” e “non ci sono prove di violenze fisiche e psicologiche subite dalle forze dell’ordine per costringerlo a confessare un reato non commesso”. Da qui anche la condanna a pagare le spese processuali.

A dimostrare che Candura è stato “causa del suo male”, c’è tra l’altro il fatto che per 10 anni ha beneficiato del programma di protezione senza mai ritrattare, salvo poi fornire la vera versione dei fatti riferendo però anche delle presunte violenze patite per raccontare il falso. Che non fosse stato lui a rubare la 126 era venuto fuori soltanto con le rivelazioni di Gasapre Spatuzza, uno dei collaboratorei di giustizia grazie ai quali è stato poi possibile riscrivere correttamente una parte della Storia, smontando completamente tutte le menzogne del falso pentito Vincenzo Scarantino. E quelle di Candura.

“Pur non essendo dubbio che Candura sia stato indotto a rendere le dichiarazioni che hanno poi costituito l’avvio dell’attività di depistaggio – rimarca la Cassazione – non è stato provato che egli fosse vittima di pressioni psicologiche e atti di violenza fisica tali da azzerare la sua volontà, essendo più verosimile che egli sia stato indotto alle dichiarazioni autoaccusatorie con la prospettazione di vantaggi di varia natura, non potendosi pertanto escludere che la falsa confessione sia stata frutto di un atto di autodeterminazione che, per quanto condizionato, è rimasto almeno in parte frutto di una libera scelta, ispirata da valutazioni di convenienza”.

Elementi che per i giudici integrano il “dolo o colpa grave che per legge sono ostativi al riconoscimento dell’indennizzo” per riparare ad un evenutale errore giudiziario. La Suprema Corte riporta come nella sentenza di patteggiamento del 1994 per il furto della 126 si legga: “Determinanti si rivelavano le dichiarazioni dello stesso Candura il quale, dopo prime incertezze, assumeva atteggiamento di collaborazione con l’autorità giudiziaria e oltre ad ammettere le sue responsabilità, forniva concrete e puntuali indicazioni circa colui che gli aveva commissionato il detto furto”. A riprova che tutto è nato dalle stesse dichiarazioni di Candura. PALERMO TODAY


 



La Cassazione annulla la condanna per calunnia a Salvatore Candura
E’ l’uomo che aveva detto di aver consegnato la Fiat 126 utilizzata nella strage del 19 luglio 1992 all’ex picciotto della Guadagna Vincenzo Scarantino. Dichiarazioni smentite molti anni dopo dall’ex boss di Brancaccio Gaspare Spatuzza.
Per Salvatore Candura, quindi, la Suprema Corte ha deciso che “il fatto non sussiste”. La condanna (in appello) a nove anni, per calunnia, nell’ennesimo processo sull’eccidio nel quale morirono il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta, è stata quindi annullata senza rinvio.
Il 13 marzo 2013, lo stesso Candura era stato condannato con rito abbreviato a 12 anni per calunnia aggravata assieme ai collaboratori Gaspare Spatuzza (15 anni) e Fabio Tranchina (10 anni). Secondo i giudici l’ex sodale di Scarantino avrebbe mentito ai magistrati con dichiarazioni che in precedenti processi avevano portato a condanne di persone estranee alla strage di via D’Amelio. Il filone d’inchiesta era nato dalle dichiarazioni di Spatuzza che avevano portato anche alla scarcerazione di mafiosi e presunti mafiosi già condannati in via definitiva a seguito delle dichiarazioni del falso collaboratore Vincenzo Scarantino.
Antefatto Il 29 settembre del ’92 veniva arrestato Vincenzo Scarantino, poche ore dopo l’arresto l’allora procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra si era lasciato andare ad esternazioni entusiastiche. “In un primo tempo si era pensato che l’auto imbottita fosse una Seat Marbella. Ma raccogliendo dei pezzi in via D’Amelio, tecnici e periti hanno ricostruito la 126 bianca (in realtà di coloro rosso amaranto, ndr). Quest’auto era stata rubata da tre giovani, arrestati il mese scorso dalla Squadra Mobile per avere tentato di violentare una ragazza. Due di questi sono parenti della proprietaria della 126 e sono ancora detenuti in carcere”. Si trattava di Luciano Valenti e Salvatore Candura, di 28 e 31 anni, e di Roberto Valenti, di 20 anni, nipote di Luciano. Alcuni giornalisti avevano chiesto a Tinebra come fosse stato possibile che Cosa Nostra si fosse affidata ad un balordo per compiere una strage. Il procuratore di Caltanissetta aveva replicato senza indugi: “non ci siamo posti la domanda. I fatti, secondo noi, si sono svolti in un certo modo. Scarantino non è uomo di manovalanza”.
La trattativa Nella requisitoria in abbreviato gli inquirenti avevano sottolineato come “Paolo Borsellino sapeva della trattativa che apparati dello Stato avevano avviato con Cosa Nostra tramite Vito Ciancimino. Totò Riina lo riteneva un ‘ostacolo’ alla trattativa con esponenti delle istituzioni, che gli ‘sembrava essere arrivata su un binario morto’ e che per questo il capo di Cosa Nostra voleva ‘rivitalizzare’ con la strage”. Secondo l’ex procuratore aggiunto di Caltanissetta, Nico Gozzo, le dichiarazioni di Spatuzza “erano state pienamente sincere. Confessioni che sono riscontrate e che hanno permesso alla Procura non solo di ricostruire in maniera più dettagliata la dinamica della strage, ma anche di scoprire che in carcere vi erano degli innocenti”. Decisamente importante anche l’apporto di Fabio Tranchina che aveva indicato in Giuseppe Graviano l’uomo che avrebbe schiacciato il pulsante che ha fatto esplodere l’autobomba in via D’Amelio.
L’appello Il 9 gennaio di quest’anno le condanne per Fabio Tranchina e per Salvatore Candura erano state ridotte in appello. Candura era stato condannato per calunnia a 9 anni dalla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta per le sue dichiarazioni ritenute false. Fabio Tranchina era stato invece condannato a 7 anni e 6 mesi per strage, per aver partecipato alla fase esecutiva dell’attentato in via D’Amelio. La condanna a 15 anni di Gaspare Spatuzza non era stata invece appellata.
Ombre sul depistaggio L’assoluzione di Candura si interseca con le indagini per depistaggio nei confronti dei tre ex agenti di polizia del pool Falcone e Borsellino. Come è noto per Vincenzo Ricciardi, Mario Bo e Salvatore La Barbera la Procura di Caltanissetta ha chiesto l’archiviazione. Dal canto suo Candura aveva dichiarato agli inquirenti di aver subito minacce e pressioni, per fornire una determinata versione dei fatti, dagli stessi poliziotti indagati. A tuttoggi si è ancora in attesa di conoscere la decisione del Gip.  di Lorenzo Baldo ANTIMAFIA DUEMILA 1.12.2005


Candura, uno dei falsi pentiti. uno stralcio della deposizione dell’Ispettore Claudio Castagna, che assisteva ai sopralluoghi (videoregistrati) con Gaspare Spatuzza e con Pietrina Valenti:

  • P.M. Dott. LUCIANI – Senta, lei ha parlato, invece, di sopralluoghi esperiti con l’Autorità Giudiziaria assieme a Gaspare Spatuzza.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Lei ha presenziato a questi sopralluoghi?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Sa le modalità con le quali sono stati condotti questi sopralluoghi? Cioè da un punto di vista tecnico intendo.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, tra l’altro mi sono occupato quasi… quasi totalmente, in una sola occasione credo si sia occupato un collega di tutte le videoriprese, di tutti i sopralluoghi che sono stati fatti con…
  • P.M. Dott. LUCIANI – Quindi i sopralluoghi sono stati…
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Tutti videofilmati.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Lei ha detto di aver visto anche le immagini del sopralluogo di Candura Salvatore.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Di Candura, sì. Sì, ne ho fatto anche annotazione, tra l’altro, su questo per…
  • P.M. Dott. LUCIANI – Ha fatto anche annotazione per descrivere.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Ecco, sa che luogo ha indicato Candura Salvatore al momento del sopralluogo?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Allora, lui, invece, sosteneva che… di essere, quindi, l’autore del furto della 126 e che l’autovettura, nel momento in cui l’aveva prelevata, si trovava posteggiata proprio davanti l’ingresso dello stabile, quindi nella parte terminale della L.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Davanti il portone, diciamo.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Allora, immaginando questa L immaginaria, Spatuzza e la signora Valenti la indicavano proprio nel primo parcheggio principale sul lato dello stabile, mentre Candura diceva che la macchina si trovava al termine della L, del… della L.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Nel vialetto che conduce al portone di accesso.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Proprio davanti al portone di accesso.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Proprio davanti al portone.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Dove c’erano questi gradini, questi gradini che conducevano verso il piazzale.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Senta, per poter fare le attività che vi sono state delegate dalla Procura della Repubblica, avete avuto modo di visionare anche le attività che erano state fatte illo tempore?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, abbiamo, praticamente, acquisito buona parte del carteggio degli accertamenti che erano stati fatti all’epoca.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Per quello che ha potuto lei verificare dalla lettura di questi atti, chiaramente per poter assolvere alle deleghe della Procura, questo tipo di accertamento in via Sirillo di individuazione dei luoghi era mai stato fatto?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – No, non…
  • P.M. Dott. LUCIANI – Da parte del Candura.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Non risultano atti.
  • P.M. Dott. LUCIANI – O da parte della Valenti.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Non risultano atti in cui… cioè in cui sarebbero stati fatti questi sopralluoghi.

Orbene, come emerge anche dalla testimonianza appena riportata, una tale attività istruttoria di sopralluogo non veniva mai espletata in passato, allorquando si raccoglievano le dichiarazioni di Candura e Scarantino, per la strage di via D’Amelio.
Durante le pregresse investigazioni, condotte dal dott. Arnaldo La Barbera e dai suoi uomini, nonostante le naturali perplessità che potevano insorgere, in relazione alla personalità di entrambi i ‘collaboratori’ ed anche al contenuto delle loro dichiarazioni (si pensi, solo per fare un esempio, al racconto di Scarantino sulla cerimonia della sua affiliazione a Cosa nostra), non veniva mai fatto un sopralluogo con il ladro dell’automobile, né con la derubata.
Anche per questo motivo, oltre che per il sopravvenuto mutamento dei luoghi, l’atto istruttorio si rivela di fondamentale importanza, andando a riscontrare, in maniera molto significativa e puntuale, le dichiarazioni di Spatuzza (e, per converso, ad escludere la credibilità di quelle rese da Salvatore Candura e da Vincenzo Scarantino, nei precedenti processi). Inoltre, l’individuazione del luogo esatto di sottrazione della Fiat 126, da parte di Gaspare Spatuzza, si rivela ancor più attendibile, in considerazione del fatto che il collaboratore indicava un punto dove, all’epoca del sopralluogo, era impossibile posteggiare un’automobile, poiché vi erano delle fioriere, installate in epoca successiva, come spiegato dalla stessa Pietrina Valenti. Quest’ultima (nella consueta maniera confusionaria), spiegava che, all’epoca dei fatti, nel posto dove venivano poi collocate le fioriere condominiali, si poteva parcheggiare (“io la posteggiavo la macchina dov’è che ora ci sono messe le piante”).
[…] Sempre in occasione della sua testimonianza, Pietrina Valenti precisava che, per come aveva parcheggiato la sua Fiat 126, quella sera, non aveva modo di controllarla a vista, dalle finestre del suo appartamento. […] Le dichiarazioni della Valenti trovavano anche conferma nell’attività di riscontro del Centro Operativo DIA di Caltanissetta, da cui risultava che, effettivamente, la zona dove venivano installate le menzionate fioriere condominiali (dove la teste, come detto, posteggiava la Fiat 126, prima che le venisse rubata), non era visibile dalle finestre dell’appartamento della proprietaria. Al contrario (come anticipato), Salvatore Candura, nel sopralluogo del 24 novembre 2008 (anch’esso agli atti), confermando quanto già dichiarato nei precedenti procedimenti, indicava, come luogo dove rubava la Fiat 126 di Pietrina Valenti, un posto diverso, nelle immediate vicinanze del portone d’ingresso dello stabile, peraltro in una posizione parzialmente visibile dalla camera da letto della Valenti. Venivano, poi, acquisite al fascicolo per il dibattimento, sul consenso delle parti, anche tutte le dichiarazioni rese dai condomini di via Sirillo, su tre temi di prova:

1) se i luoghi subivano o meno delle modifiche, dal luglio 1992, come affermato da Pietrina Valenti e negato da Salvatore Candura (fatta eccezione, secondo quanto dichiarato da quest’ultimo, per due archi in ferro, messi per ostruire la marcia di possibili autovetture, nel vicolo cieco d’accesso al portone condominiale);

2) se, all’epoca dei fatti, era possibile oppure no posteggiare automobili, per un tempo apprezzabile, nel predetto vicolo cieco, come escluso dalla Valenti ed affermato da Candura, che sosteneva, appunto, d’aver rubato la Fiat 126 proprio da siffatta posizione;

2) se qualche condomino notava il furto della Fiat 126 oppure la presenza di due persone nei pressi della medesima automobile, la sera in cui la stessa veniva asportata (attese le menzionate dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, secondo cui, mentre perpetrava il furto con Tutino, una coppia con due bambini transitava a piedi).

Le circostanze complessivamente desumibili dalle dichiarazioni acquisite agli atti, possono riassumersi (in maniera estremamente sintetica, considerata anche la sopravvenuta confessione, da parte di Salvatore Candura, della falsità delle proprie precedenti dichiarazioni, sul furto della Fiat 126, sotto casa di Pietrina Valenti), come segue. Effettivamente, alla fine del vicolo cieco che conduce al portone dello stabile di via Bartolomeo Sirillo n. 5, successivamente al luglio del 1992, venivano realizzate, da uno dei condomini (Passantino Vincenzo), delle opere (abusive), consistenti nella realizzazione di alcuni gradini, di fronte all’entrata per l’edificio. Detta circostanza, oltre che dal diretto interessato (che operava, come accennato, senza alcun titolo edilizio, per cui non esistono atti pubblici, per una precisa datazione delle opere), veniva confermata anche dagli altri condomini (tutti collocavano tali opere, all’incirca, negli anni 2000-2005). Inoltre, pure i paletti per impedire l’accesso al cortile prospiciente al portone d’ingresso, venivano collocati in epoca più recente, rispetto al luglio 1992 (verosimilmente, dopo l’anno 2003). Lo stesso vale per le fioriere poste nel cortile/parcheggio dello stabile, a ridosso dell’edificio condominiale, collocate nella stessa epoca dei paletti.
Quanto alla possibilità di posteggiare, all’epoca dei fatti, nel vicolo cieco che conduce al portone d’ingresso condominiale, le dichiarazioni dei condomini non erano del tutto univoche: molti evidenziavano che, prima dell’installazione dei paletti, le automobili venivano parcheggiate fin davanti al portone dello stabile, ma solo per soste brevi (come per scaricare merci o per la pausa pranzo); tuttavia, la collocazione degli ostacoli si rendeva necessaria proprio per evitare che parcheggiassero lì autovetture che non consentivano l’accesso allo stabile, qualora ve ne fosse stato bisogno, per i mezzi di soccorso; con particolare riferimento alla signora Pietrina Valenti, alcuni condomini dichiaravano che la stessa era solita parcheggiare dal lato delle fioriere; altri ricordavano, genericamente, che la predetta parcheggiava dove trovava posto. Sul punto, Roberto Valenti (confermando, sia pure con qualche titubanza, le indicazioni già fornite in fase d’indagine, anche con la redazione di uno schizzo planimetrico) dichiarava che sua zia Pietrina, abitualmente, posteggiava la Fiat 126 sul lato lungo del cortile, limitrofo all’edificio condominiale, in posizione dove la stessa ne poteva controllare visivamente la presenza, affacciandosi dalle finestre dell’abitazione. Analoghe indicazioni dava Luciano Valenti, che spiegava come la sorella Pietrina era solita posteggiare, sul lato lungo dello stabile di via Sirillo (confermando, anche in tal caso, le indicazioni offerte in uno schizzo planimetrico, redatto di suo pugno, acquisito al fascicolo per il dibattimento); inoltre, quest’ultimo teste chiariva anche quanto dichiarato nel dibattimento del primo processo sulla strage di via D’Amelio: allorquando rispondeva che la Fiat 126 della sorella, prima di esser rubata, veniva posteggiata “sotto la scala” (proprio come sostenuto, all’epoca, da Salvatore Candura), non intendeva indicare (in senso letterale) proprio l’ingresso dello stabile.
Peraltro, anche Salvatore Candura, allorché (nell’interrogatorio reso il 10.3.2009, acquisito al fascicolo per il dibattimento, col consenso delle parti e riportato in nota) decideva di ammettere (innanzi all’evidenza) la falsità delle sue precedenti dichiarazioni in merito al furto della Fiat 126, dichiarava (fornendo una versione, comunque, da prendere con le dovute cautele) che l’automobile della Valenti era posteggiata dalla parte delle fioriere (anch’egli redigendo uno schizzo planimetrico, allegato al verbale), riferendo che la vedeva parcheggiata lì, nella stessa sera in cui veniva, poi, asportata (poiché, a suo dire, quella sera, si recava effettivamente a casa di Pietrina, per farle visita) e che, durante il sopralluogo indicava agli inquirenti, volutamente, un posto sbagliato per lanciare loro un segnale sulla falsità delle proprie dichiarazioni (delle quali avrebbe sempre avvertito il peso). Anche in dibattimento, Candura confermava tali indicazioni.
[…] Infine, si deve dare atto (più che altro per completezza d’esposizione) che anche Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura, dopo aver confessato -entrambi- la falsità delle loro precedenti dichiarazioni su questi fatti, tornavano sui loro passi anche sul punto specifico, spiegando che la Fiat 126 di Pietrina Valenti non si poteva affatto rubare con lo “spadino”. Vincenzo Scarantino, nel corso di un interrogatorio (acquisito al fascicolo per il dibattimento), ammetteva di aver adeguato le sue dichiarazioni alla versione di Candura circa l’utilizzo dello “spadino” per rubare la Fiat 126 della Valenti, spiegando che solo i modelli più “antichi” di detta automobile potevano essere rubati con tale arnese, mentre quelle “di ‘a secunna serie in poi con uno spadino non si apre”, confermando così la versione di Agostino Trombetta e quella di Gaspare Spatuzza.
Anche Salvatore Candura ammetteva che quel modello di Fiat 126 in uso a Pietrina Valenti si poteva mettere in moto solo rompendo il bloccasterzo e collegando i fili d’accensione, spiegando addirittura (ma la circostanza deve esser valutata con il beneficio dell’inventario) che, al momento della sua falsa collaborazione, dichiarava volutamente che lui utilizzava un “chiavino”, anche se ciò era un “controsenso” (così come, a suo dire, lo era pure la circostanza di avere utilizzato il medesimo attrezzo anche per aprire la portiera, poiché quella macchina si poteva aprire pure con la “chiave Simmenthal”), al fine di lanciare dei segnali agli inquirenti […].

 


a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco