MATTEO MESSINA DENARO – I fiancheggiatori

Dai tempi delle prime operazioni dell’antimafia i fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro vengono chiamati “golem“. Nella mitologia ebraica erano figure antropomorfe che venivano “svegliati” per sottostare ai voleri di chi li utilizzava. Nella dialettica dell’Antimafia sono lì ad indicare le persone che hanno protetto la latitanza dell’Ultimo dei Corleonesi.

Indagati /arrestati per favoreggiamento:

 

  • ANDREA BONAFEDE il fattorino…

  • FILIPPO ZERILLI l’oncologo

  • ALFONSO TUMBARELLO medico di base

  • GIOVANNI LUPPINO l’autista accompagnatore e i figli

  • ANDREA BONAFEDE il prestanome


 

 

30.1.2021 – Confiscati beni per 4,5 milioni a imprenditori legati a Messina Denaro

La confisca ha riguardato l’intero patrimonio riconducibile a due imprenditori trapanesi e interessa l’intero capitale sociale e il patrimonio aziendale di tre imprese, nonché numerosi appartamenti

AGI – Beni per 4,5 milioni di euro sono stati confiscati dalla Direzione investigativa antimafia a Marco Giovanni Adamo e al figlio Enrico Maria, imprenditori originari di Castelvetrano, in provincia di Trapani, attivi nel settore del movimento terra e dell’edilizia, e vicini alla cosca di Matteo Messina Denaro. Entrambi molto noti nella cittadina per il loro impegno in politica, in particolare il figlio è stato assessore e componente del Consiglio comunale di Castelvetrano. La confisca, disposta dalla Sezione Penale e Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani, ha riguardato l’intero patrimonio riconducibile ai due e interessa l’intero capitale sociale e il patrimonio aziendale di tre imprese,nonché numerosi appartamenti, terreni, automezzi, un’imbarcazione da diporto, conti correnti bancari e disponibilità finanziarie. 

I due, già colpiti nel 2017 dal sequestro, erano emersi nell’ambito dell’operazione “Eva” condotta dalla Dia che aveva evidenziato, tra l’altro, l’esistenza di legami con ambienti mafiosi trapanesi e agrigentini per l’aggiudicazione di importanti appalti come le condotte idriche per la distribuzione delle acque invasate nella diga Delia, il metanodotto tra Menfi e Mazara del Vallo e l’acquedotto Montescuro Ovest. Marco Giovanni Adamo, in particolare, avrebbe beneficiato dell’appoggio del mandamento capeggiato da Messina Denaro.
Il figlio è divenuto amministratore delle aziende di famiglia quando quest’ultimo ha temuto provvedimenti giudiziari. Avrebbe consentito l’infiltrazione mafiosa delle imprese di Lorenzo Cimarosa, all’epoca uno dei referenti imprenditoriali di Cosa nostra, nei lavori per la realizzazione del centro comunale polifunzionale di Castelvetrano, formalmente aggiudicati ad una impresa ragusana poi colpita da provvedimento interdittivo della prefettura di Trapani. I rapporti degli Adamo con Cosa nostra sono stati confermati anche da alcuni collaboratori di giustizia. Nei confronti dei due proposti è stata applicata anche la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per tre anni e sei mesi per Marco Giovanni Adamo, e di due anni e sei mesi per il figlio, entrambi con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.


Mafia: Dia confisca beni a fiancheggiatore Messina Denaro

Imprenditore Castelvetrano opera nel settore delle scommesse

“Io anarchico, facevo leggere Kant a Matteo Messina Denaro”

All’epoca era già un killer di mafia, suo padre l’aveva messo sotto la tutela di Salvatore Riina. Cosa le diceva?
«Ripeteva di sentirsi prigioniero. E che il suo destino era ormai segnato».

Lei come replicava?
«Gli dicevo che con la sua personalità poteva fare qualcosa di importante per la Sicilia. Capii subito che aveva un’intelligenza superiore rispetto a tutti gli altri giovani che vivevano la sua stessa condizione. Gli ripetevo che avremmo dovuto lottare per l’indipendenza della Sicilia».

Con chi veniva nel suo locale, Agorazein?
«Era spesso in compagnia di una bellissima ragazza austriaca, Andrea. Ma a casa mia arrivava da solo, per leggere i miei libri».

Anche nel suo ultimo covo di Campobello ne aveva tanti. Che effetto le ha fatto vedere quella piccola libreria nel salotto dove il boss teneva anche il poster del Padrino e del Joker?
«Tutti i libri che gli ho dato sono stati una grande occasione persa, non lo hanno liberato».

La magistratura ritiene che invece lei abbia finito per aderire alle idee criminali di Messina Denaro: ha scontato una condanna a 18 anni per traffico di droga.
«In realtà, sono stato scagionato dalla polizia elvetica, dall’Fbi e da un pentito. C’erano tante prove a mio favore, ma mi condannarono comunque. Forse perché mi rifiutai di fare l’infiltrato per catturare Messina Denaro?».

In carcere scrisse anche una poesia per il suo amico latitante. Faceva così: «Attraversa il tuo ponte… e quando si spezzerà ricomincia a volare… e respira a pieni polmoni l’odore allucinante della vita perché le persone come te e come me non conoscono catene».
«Non è un manifesto criminale, ma solo un invito a liberarsi. Lo stesso invito che gli faccio oggi. Spero che Matteo abbia la forza di liberarsi da tutti i segreti che conserva. E così libererà pure tutti noi. Mi chiedo però se lo Stato sia pronto a queste verità».

In questi ultimi anni ha avuto contatti con Messina Denaro?
«Mai».

Eppure, nel 2014, venne arrestato nell’ambito di un’inchiesta sui favoreggiatori del padrino latitante.
«Sono rimasto in carcere 13 mesi e poi un giudice mi ha assolto con formula piena. Sentenza confermata in appello».

L’ha sorpreso vedere che Messina Denaro non si era mai allontanato dalla provincia di Trapani?
«Arrivato al termine della vita avrà deciso di abbassare le difese. E magari prima avrà affidato le sue carte importanti a qualcun altro».

Un passaggio di testimone?
«Forse».

Si definisce ancora anarchico?
«Alla maniera di Giorgio Gaber, e in nessun altro modo. Vivo ormai da anni nella mia solitudine, fra i libri con cui ho cercato di liberare Matteo Messina Denaro».