MATTEO MESSINA DENARO – I fiancheggiatori

Arrestata la figlia dell’amante di Messina Denaro: “Consegnava pizzini con la bimba nel passeggino. Anche nello studio dell’ex assessore”


La maestra, l’autista, il prestanome: tutti i fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro

Se Matteo Messina Denaro è stato nascosto e invisibile per 30 anni ha avuto un appoggio forte da parte di un gruppo di fiancheggiatori che ne hanno coperto la sua latitanza. Il primo è legato al nome di Andrea Bonafede, a cui era intestata la carta d’identità del boss nel momento in cui viene arrestato. In data 23 gennaio 2023 è stata applicata la misura cautelare in carcere per il reato di partecipazione a Cosa nostra.

Successivamente le indagini si indirizzano nei confronti di Alfonso Tumbarello, il medico di Campobello di Mazara che seguiva il percorso terapeutico del boss con la carta d’identità di Andrea Bonafede. Il medico viene successivamente arrestato per aver curato il boss sotto falso nome e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico. Tumbarello avrebbe garantito “all’esponente di vertice dell’intera associazione Matteo Messina Denaro, durante la sua latitanza, l’assistenza sanitaria, l’accesso alle cure pubbliche e un intero percorso terapeutico sotto falsa identica, con ciò consentendo all’associazione mafiosa di continuare a essere gestita, diretta e organizzata dal predetto Messina Denaro”.none

Le sue donne

Nell’ambito della rete dei fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro c’è anche la vicenda dei coniugi Emanuele Bonafede e la moglie Lorena Ninfa Lancieri, arrestati entrambi perché avrebbero aiutato il boss, ospitandolo in via continuativa e per numerosi giorni presso la propria abitazione a Campobello di Mazara, dove quest’ultimo, si legge nell’ordinanza “consumava abitualmente i pasti principali ed alla quale poteva accedere ed allontanandosi sottraendosi ai servizi di osservazione della polizia giudiziaria anche grazie alla vigilanza preventiva che costoro effettuavano sulla pubblica via per verificare l’eventuale presenza delle forze dell’ordine o di altre persone, fornendo prolungata assistenza finalizzata al soddisfacimento delle sue esigenze personali e al mantenimento dello stato di latitanzanone”.

Le perquisizioni

Viene perquisita anche l’abitazione estiva dell’avvocato, a Torretta Granitola e un altro immobile in via Galileo Galilei, sempre a Campobello di Mazara. Il 21 gennaio viene ritrovata l’autovettura del boss Matteo Messina Denaro. Si trovava all’interno di un cortile, nei pressi del terzo covo, a Campobello di Mazara, in via San Giovanni, e a 300 metri dal primo, di fronte l’abitazione di Giovanni Luppino. Si trattava di un’Alfa Romeo nera, modello “Giulietta” la cui chiave era stata ritrovata nel borsello di Matteo Messina Denaro al momento dell’arresto. Era parcheggiata sotto una tettoia in cui vi erano anche attrezzi agricoli, camion e trattori parcheggiati. L’auto è immatricolata nel 2020, regolarmente assicurata e appartenente a Giuseppa Cicio, madre di Andrea Bonafede, prestanome del boss.

L’Alfa Romeo Giulietta nera del boss Matteo Messina Denaro viene ripresa da diverse telecamere installate all’esterno del Palazzo Municipale a Campobello di Mazara. È accaduto nei giorni prima dell’arresto, cioè sabato 14 gennaio alle ore 11.00 circa e domenica 15 alle ore 13.50 circa. Dagli accertamenti del Ros dei Carabinieri emerge che Lorena Lanceri non si sarebbe limitata a fornire ospitalità e assistenza continuativa a Matteo Messina Denaro. L’analisi degli elementi investigativi sequestrati nei vari covi del boss di Castelvetrano e nell’abitazione di sua sorella Rosalia ha permesso di acclarare che il ruolo diLorena Lanceri sarebbe stato quello di veicolare le informazioni tra il boss e le persone con cui egli intratteneva rapporti particolarmente intensi. Un ruolo, come si legge nell’ordinanza: “riservato alle persone che godono della massima fiducia del capomafia latitante”.none

In manette finirà anche Laura Bonafede, maestra elementare e figlia del boss di Campobello di Mazara. Alla figlia, Martina Gentile, classe ’92, sono stati disposti gli arresti domiciliari. Entrambe sono accusate di avere aiutato il boss Matteo Messina Denaro, in concorso tra loro e con Emanuele Bonafede, Lorena Lancieri Lorena ed altri soggetti, provvedendo alle sue necessità anche di vita quotidiana; nell’aver condiviso con questi un linguaggio codificato nelle comunicazioni scritte al fine di celare l’identità delle altre persone coinvolte nella sua assistenza; nell’aver adottato particolari cautele in occasione degli incontri di persona al fine di eludere i controlli delle forte dell’ordine e fornire al latitante informazioni su possibili rischi connessi alla frequentazione di persone e luoghi specifici. Roberto Chifari25 Settembre 2023 – IL GIORNALE 


Messina Denaro, giudizio immediato per i coniugi che lo ospitavano in casa

Giudizio immediato per Emanuele Bonafede e Lorena Lanceri, i coniugi che avrebbero avuto l’abitudine quasi quotidiana di ospitare a pranzo e a cena il boss Matteo Messina Denaro quando era ancora latitante a Campobello di Mazara, nel Trapanese, non distante dai suoi covi. Per i magistrati, le prove raccolte sono più che sufficienti per dimostrare l’accusa di favoreggiamento aggravato dall’avere agevolato Cosa nostra e procurata inosservanza della pena. Il pool della procura di Palermo che indaga sui fiancheggiatori di Messina Denaro (il procuratore Maurizio de Lucia, l’aggiunto Paolo Guido, i sostituti Gianluca De Leo e Piero Padova) ha depositato la richiesta di giudizio immediato per la coppia. L’ormai ex primula rossa di Cosa nostra sarebbe stato anche il padrino di cresima di loro figlio. La richiesta della procura è stata accolta dalla giudice per le indagini preliminari Antonella Consiglio. L’udienza per Bonafede e Lanceri – la donna che Messina Denaro chiamava Diletta e con cui si scambiava messaggi e lettere di affetto – è stata fissata il 10 luglio a Marsala. A inchiodare i due imputati sono state le riprese di alcune telecamere all’esterno dell’abitazione della coppia in via Mare 89, a Campobello di Mazara. Emanuele Bonafede è il fratello di Andrea, il dipendente del Comune di Campobello di Mazara, arrestato con l’accusa di essere il postino di Matteo Messina Denaro: avrebbe recapitato le ricette mediche che servivano al capo per sottoporsi alle cure necessarie per la malattia. Ed è anche il cugino dell’altro Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato l’identità al boss stragista almeno negli ultimi anni di latitanza prima dell’arresto avvenuto il 16 gennaio nella clinica privata La Maddalena di Palermo.

 


 

Dai tempi delle prime operazioni dell’antimafia i fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro vengono chiamati “golem“. Nella mitologia ebraica erano figure antropomorfe che venivano “svegliati” per sottostare ai voleri di chi li utilizzava. Nella dialettica dell’Antimafia sono lì ad indicare le persone che hanno protetto la latitanza dell’Ultimo dei Corleonesi.


Tra i pizzini scoperto nuovo probabile fiancheggiatore. È Andrea Geraci soprannominato “il malato”. Nomi in codice segnati nei biglietti trovati a casa di Rosalia Messina Denaro. Proseguono le indagini dopo la cattura del superboss

Giorgio Ruta RAI NEWS. Gli inquirenti sono risaliti a un nuovo probabile  fiancheggiatore.  Andrea Geraci soprannominato “il malato”. Intanto  Rosetta Messina Denaro  – la sorella del boss –  questa mattina davanti al giudice per le indagini preliminari si è avvalsa della facoltà di non rispondere.


Con l’arresto dei coniugi di Campobello salgono a sei i fiancheggiatori di Messina Denaro finiti in carcere, tra cui Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato l’identità al capomafia per consentirgli di sottoporsi alle terapie oncologiche e di acquistare l’auto e la casa di Campobello, Giovanni Luppino, l’autista che ha accompagnato il boss alla clinica Maddalena il giorno del blitz che ha posto fine alla sua trentennale latitanza. E ancora Emanuele Bonafede (omonimo del nipote di Messina Denaro), accusato di aver fatto avere a Messina Denaro centinaia di ricette sanitarie e Alfonso Tumbarello, il medico che avrebbe curato per due anni il padrino durante la latitanza intestando farmaci e prescrizioni al suo alias, pur sapendo chi fosse realmente il paziente. Un lungo elenco di collusioni e coperture che gli inquirenti stanno piano piano svelando.


La sera prima dell’arresto: Messina Denaro esce di casa circospetto, si nasconde e cambia direzione

 


 

MATTEO MESSINA DENARO – ORDINANZA D’ARRESTO coniugi BONAFEDE- LANCERI


MESSINA DENARO e le frequentazioni con la vivandiera – VIDEO


Nomi in codice, amori e gelosie: fermoposta Messina Denaro


20.3.2023 “Hanno coperto la latitanza di Messina Denaro”, marito e moglie tacciono davanti al giudice

Durante l’interrogatorio Lorena Ninfa Lanceri e Emanuele Bonafede, arrestati venerdì scorso, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Secondo la Procura avrebbero aiutato per diversi anni il mafioso, ospitandolo anche a pranzo e a cena nella loro casa di via Mare a Campobello. Il boss avrebbe anche fatto da padrino di cresima al loro primo figlio

Hanno deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere davanti al gip Alfredo Montalto Lorena Ninfa Lanceri e il marito Emanuele Bonafede, arrestati venerdì scorso perché avrebbero coperto per diversi anni la latitanza di Matteo Messina Denaro, ospitandolo anche a pranzo e cena nella loro abitazione di via Mare a Campobello di Mazara. I due sono accusati di favoreggiamento aggravato e di procurata inosservanza della pena e subito dopo l’arresto dell’ex superlatitante erano andati loro stessi dai carabinieri, raccontando di aver conosciuto quella persona vista in televisione come “Francesco Salsi”, un medico anestesista palermitano e in pensione, che “ogni tanto”, “una volta al mese”, sarebbe andato a casa loro. Secondo la ricostruzione del procuratore Maurizio De Lucia, dell’aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, a dispetto di quanto riferito, i due indagati sarebbero stati perfettamente a conoscenza della vera identità del mafioso. Il primogenito della coppia avrebbe avuto come “padrino” di cresima nel 2017 proprio Messina Denaro, che gli avrebbe regalato un Rolex da 6.300 euro. Lanceri, inoltre, che avrebbe avuto un rapporto particolare con il boss, avrebbe avuto anche un ruolo cruciale nello smistamento di pizzini, in particolare quelli tra l’ex superlatitante e la maestra Laura Bonafede, cugina di Emanuele, ma anche di Andrea, il geometra che ha ceduto l’identità al mafioso. PALERMO TODAY


17.3.2023 – La ragnatela di Messina Denaro, caccia ai nuovi complici: il boss viveva a Campobello già dal 2018

La caccia ai fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro va avanti. Dopo l’arresto, di ieri, della coppia di vivandieri, Emanuele Bonafede e la moglie Lorena Lanceri, accusati di aver ospitato a pranzo e cena per mesi il boss ricercato e di averne protetto la latitanza, oggi sono state perquisite le abitazioni di quattro nuovi indagati: l’imprenditore agricolo Gaspare Ottaviano Accardi, la moglie, Dorotea Alfano, Leonarda Indelicato e Laura Bonafede, figlia dello storico capomafia di Campobello di Mazara filmata mentre, due giorni prima della cattura, parlava con il boss in un supermercato del paese. Per tutti, allo stato, l’accusa è di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena. L’imprenditore e la moglie e Indelicato avrebbero più volte e per ore incontrato il capomafia trapanese a casa dei Bonafede. La presenza dei tre nell’appartamento della coppia, mentre c’era l’ex latitante, risulta dalle immagini delle telecamere di sorveglianza di alcuni negozi piazzate vicino alla abitazione dei coniugi anche loro incastrati dalle riprese video. I filmati, estrapolati dai carabinieri, hanno immortalato l’auto di Messina Denaro vicina alla loro casa, il boss fermo in macchina mentre dà dei pacchetti a Lanceri, che sarebbe stata a lui legata sentimentalmente, e la coppia accertarsi che il padrino entrasse e uscisse indisturbato controllando l’eventuale presenza nella zona delle forze dell’ordine. I militari hanno perquisito le abitazioni dei nuovi indagati e di Laura Bonafede, moglie del mafioso ergastolano Salvatore Gentile, e protagonista di una fitta corrispondenza con Messina Denaro. E non si ferma neppure il lavoro di decifrazione dei pizzini trovati al boss e alla sorella Rosalia, arrestata nei giorni scorsi per associazione mafiosa. Se alcuni nomi scritti nei biglietti come «Fragolone», che era la stessa Rosalia, «Lesto», “Diletta» e «Tram» che si riferivano a Lanceri, «Maloverso» a suo marito, e «Cugino» a Laura Bonafede sono stati ormai decriptati, resta ancora il mistero su chi siano «Romena, Depry, Blu, Bagnino», gli ultimi in codice citati nelle corrispondenze tra il padrino e alcuni suoi fedelissimi. Alcune certezze sulla latitanza del capomafia, però, cominciano a esserci. Matteo Messina Denaro ha vissuto a Campobello di Mazara, ultimo suo nascondiglio, almeno dal 2018. L’ex latitante ha trascorso nella cittadina del trapanese a pochi chilometri da Castelvetrano, suo paese d’origine, 5 anni. Emerge dalle motivazioni dell’ordinanza con cui i giudici del Riesame di Palermo hanno respinto la richiesta di scarcerazione di Andrea Bonafede, geometra che ha prestato l’identità al boss consentendogli di avere i documenti necessari per sottoporsi alle cure mediche, di acquistare la casa di vicolo San Vito usata come covo e di comprare la Giulietta con cui si spostava. Dalla ordinanza emerge anche che il capomafia, ricercato per 30 anni, e che oltre a presentarsi come Andrea Bonafede usava, come identità di copertura, il nome Francesco Salsi, andava in giro su una moto Bmw enduro. Per i giudici Bonafede avrebbe realizzato «un fascio di condotte di assistenza a tutto tondo alla latitanza del capomafia» per almeno 4 anni. E avrebbe messo a disposizione “se stesso come alias di Messina Denaro consentendogli la libera circolazione nel territorio, gli acquisti per la copertura della latitanza e l’accesso alle cure». Questa mattina, infine, nel corso dell’udienza davanti al tribunale del Riesame di Palermo i legali di Rosalia Messina Denaro ne hanno chiesto la scarcerazione. I giudici si sono riservati la decisione.

GIORNALE DI SICILIA 


Messina Denaro, il giallo del Rolex per il figlioccio. Un regalo “fantasma” da 6.300 euro

Dell’orologio non c’è alcuna scheda cliente. La gioielleria Matranga: “Non era obbligatoria. Abbiamo invece fornito le ricevute dei pagamenti fatti con due carte di credito”. Nel 2017, Matteo Messina Denaro fu ufficialmente padrino, per la cresima di Giuseppe Bonafede, il figlio della coppia arrestata ieri a Campobello. In quell’occasione, il latitante regalò 6300 euro ad Emanuele Bonafede e a Lorena Lanceri, con uno scopo ben preciso. «6.300 orol.», scrisse nella sua contabilità. Voleva regalare un Rolex al figlioccio. E il desiderio


17.3.2023 Matteo Messina Denaro e le chat sul figlioccio: “Non è intelligente come la mamma, venderà la casa”

In alcune chat Whatsapp emerge il rapporto confidenziale tra Matteo Messina Denaro e il figlioccio, figlio di Lorena Lanceri ed Emanuele Bonafede. Il ragazzo, iscritto all’università, si riferiva al boss chiamandolo “parrino”
Secondo gli investigatori, i rapporti di Matteo Messina Denaro con i coniugi Lorena Lanceri ed Emanuele Bonafede risalirebbero almeno al 2017. In realtà, per chi indaga, il boss di Cosa Nostra avrebbe consolidato la sua conoscenza con marito e moglie già anni prima, tanto da essere scelto come padrino per la cresima del primogenito della coppia. Il giovane, stando a quanto emerso dall’inchiesta, conosceva la vera identità dell’uomo che quasi tutti i giorni si presentava a casa sua per pranzare e cenare insieme alla sua famiglia.

Non vi sono per ora documenti che attestano che il boss di Cosa Nostra si sia effettivamente recato in chiesa per cresimare il ragazzo, ma la scelta di nominarlo come padrino è documentata non solo dai pizzini sulle spese sostenute negli anni dal 2014 al 2017 redatti dal latitante, ma anche da una serie di chat tra il giovane e la madre Lorena Lanceri. 

Il rapporto con la famiglia Lanceri-Bonafede

Il primo mistero ruota attorno al Rolex acquistato da Messina Denaro in occasione della cresima del figlioccio. Più di 6mila euro spesi in una gioielleria del centro di Palermo. Si indaga ora per capire se sia stato lo stesso Messina Denaro ad acquistare personalmente l’orologio in negozio o se, invece, siano stati i due coniugi a recarsi in città per scegliere il regalo. Quello che appare certo, però, è che Messina Denaro fosse particolarmente legato alla famiglia Bonafede-Lanceri, tanto da presentare Lorena come “sua compagna” ad alcune persone conosciute presso la clinica La Maddalena durante le terapie oncologiche. Alle donne incontrate in clinica, il boss presentava Lorena come Diletta, la donna con la quale aveva una relazione e che lo stava assistendo durante la malattia. In alcune note audio inoltrate il 5 gennaio 2023 a Sonia, una delle pazienti con le quali aveva stretto amicizia, il boss chiedeva consiglio sui farmaci da assumere per tenere sotto controllo la febbre dovuta al Covid-19. Messina Denaro portato via dopo l’arresto “L’ho passato anche a Diletta – specificava Messina Denaro durante la registrazione dell’audio – ora è qui con me, passiamo il tempo bevendo thè caldo e mangiando biscottini al burro. Ha detto che dopo vuole mandarti un saluto”. Nel corso delle registrazioni inviate alla donna, raccontava che in casa con loro vi era anche il figlio della compagna. “Non è come la madre, lei è molto intelligente. Lui invece è un po’ andato. Lui mi guarda e mi ascolta in maniera stranita, dice “cos’ha questo contro di me”. Io non ho niente contro di lui, però lo devo dire, è iscritto all’università, è al primo anno – raccontava nella nota -. Lo bocciano sempre a tutti gli esami e nonostante questo mi dice sempre che vuole vendersi l’appartamento che gli ha comprato la madre a Palermo. Mi dice “una volta o l’altra io le case me le vendo”. Ti rendi conto la pazzia dei giovani d’oggi?”.

Il rapporto con il figlioccio

La presenza di Messina Denaro pochi giorni prima dell’arresto nell’appartamento di Lanceri è provata anche dai rumori registrati dal cellulare del boss mentre inviava l’audio all’amica Sonia, ignara però della vera identità del suo interlocutore. Negli audio trasmessi dalla donna alle forze dell’ordine dopo l’arresto del latitante, “Diletta” raccontava di aver contratto il Covid a causa della convivenza con il compagno e con il figlio. “Questo – affermava ridendo Lanceri nell’audio inviato a Sonia dal telefono del boss – mi sta facendo giocare un sacco di soldi con ste scommesse e mio figlio vuole vendersi la casa a Palermo. Ci pensi?”. I pizzini scritti dal boss di Cosa Nostra e le chat Whatsapp collezionate dagli inquirenti evidenziano un rapporto affettivo consolidato tra i tre. Il figlio di Lanceri, infatti, si rivolgeva a Messina Denaro chiamandolo “parrino” (padrino) e si preoccupava di evitare che il boss potesse incontrare estranei, in modo da non mettere a repentaglio la sua latitanza. “Vorrei invitare a casa i ragazzi – scriveva il 17 aprile 2021 alla mamma – siamo in 4. Fammi sapere”. La donna, però, aveva negato il suo consenso, facendo capire al figlio che in quel momento Messina Denaro era ancora a casa. “Assolutamente no” aveva risposto lapidaria nella chat Whatsapp. In un’altra chat nelle mani degli inquirenti, il 20enne si preoccupava per la consegna di alcuni libri per gli studi di ingegneria. “Domani arrivano i libri, ma io vado a fare colazione alle 10.30. Se viene il parrino come facciamo?”.


22.3.2023 «Laura Bonafede ci ha ingannato, non la voglio nella mia scuola», lo sfogo della preside Stallone

Finisce sul tavolo del ministro Valditara il caso di Laura Bonafede, la maestra immortalata dalle telecamere mentre incontrava Matteo Messina Denaro in un supermercato e indagata dalla Procura di Palermo. Domani il ministro dell’Istruzione e del merito riceverà al dicastero l’assessore della Regione siciliana, Mimmo Turano, per valutare i provvedimenti da assumere. Turano, che ha la delega all’Istruzione nel governo Schifani, aveva usato parola durissime nei confronti della donna, sospesa per dieci giorni (fino al 31 marzo) dalla dirigente dell’Istituto Capuana-Prato.
La sospensione, aveva commentato Turano, «è un primo passo», annunciando l’intenzione di rivolgersi al ministro Valditara «perché possa prendere ulteriori provvedimenti necessari affinché questa persona non abbia più alcun contatto con il mondo della scuola, tenuto conto del clamore negativo e del turbamento che il provvedimento giudiziario a suo carico ha suscitato nella collettività e in particolare nell’ambiente scolastico». E alla vigilia della riunione, la dirigente dell’Istituto Vania Stallone, è altrettanto netta: «Non voglio più l’insegnante Bonafede nel corpo docente della mia scuola». La donna è figlia del boss defunto Leonardo e insegna nel plesso Catullo dal 2011, dopo essere entrata di ruolo nel 2005 a seguito di concorso pubblico. «Sino al giorno in cui l’autorità giudiziaria ha reso pubbliche la foto dell’incontro con Matteo Messina Denaro al supermercato e il contenuto delle lettere tra i due, la signora Bonafede era una docente che nulla aveva mai fatto trapelare sul luogo di lavoro – spiega la dirigente scolastica – Nessun comportamento sospetto. Ma quando abbiamo visto e saputo dei contatti con Messina Denaro siamo rimasti tutti a bocca aperta». Dalle indagini degli inquirenti è emerso che tra Laura Bonafede e Matteo Messina Denaro c’era un rapporto epistolare «molto intenso». La scoperta dal ritrovamento al padrino di Castelvetrano di una lettera-diario scritta da una persona che si firmava con lo pseudonimo di «cugino» per proteggere la sua vera identità e diretta al boss. In principio i carabinieri non sanno chi sia «cugino», ma poi scoprono un pizzino scritto il 14 gennaio, due giorni prima dell’arresto, dal boss stesso. Nel pizzino risponde a un precedente messaggio di «cugino». «Ci siamo visti da vicino ed anche parlati. – scriveva il capomafia all’interlocutore – mi avrai trovato invecchiato e stanco (…) a me ha fatto piacere vederti e parlarti, cercavo di tenere la situazione sotto controllo ma non ho visto niente di pericoloso, certo c’è da vedere cosa ha pensato l’affetta-formaggi, perché a te ti conosce e sa che tipo sei, a me mi conosce di vista come cliente ma non sa nulla, certo ora che mi ha visto parlare con te sarà incuriosito di sapere chi sono. «Il termine «affetta formaggi» insospettisce i militari che si ricordano che nel covo di Campobello di Messina Denaro c’era uno scontrino della Coop del 14 gennaio. A quel punto acquisiscono le immagini interne del negozio e vedono Messina Denaro davanti al banco dei salumi parlare con Laura Bonafede. È la svolta: dietro al nome cugino c’è lei la Bonafede». GDS


16.3.2023 Messina Denaro incontrò l’insegnante Laura Bonafede al supermercato Coop

C’era un rapporto epistolare «molto intenso» tra Matteo Messina Denaro e Laura Bonafede, figlia del boss di Campobello Leonardo Bonafede e moglie dell’ergastolano Salvatore Gentile. Emerge dall’indagine che oggi ha portato all’arresto di Emanuele Bonafede, nipote del capomafia, e della moglie Lorena Lanceri, accusati del favoreggiamento del capomafia. La scoperta nasce dal ritrovamento al padrino di Castelvetrano di una lettera-diario scritta da una persona che si firmava con lo pseudonimo di «cugino» per proteggere la sua vera identità e diretta a Messina Denaro. In principio, i carabinieri non sanno chi sia «cugino», ma poi scoprono un pizzino scritto il 14 gennaio, due giorni prima dell’arresto, dal boss stesso. Nel pizzino Messina Denaro risponde a un precedente messaggio di «cugino». «Ci siamo visti da vicino – scriveva il capomafia all’interlocutore – ed anche parlati. Mi avrai trovato invecchiato e stanco. A me ha fatto piacere vederti e parlarti, cercavo di tenere la situazione sotto controllo ma non ho visto niente di pericoloso, certo c’è da vedere cosa ha pensato l’affetta-formaggi, perché a te ti conosce e sa che tipo sei, a me mi conosce di vista come cliente ma non sa nulla, certo ora che mi ha visto parlare con te sarà incuriosito di sapere chi sono». Il termine «affetta formaggi» insospettisce i militari, che si ricordano che nel covo di Campobello di Messina Denaro c’era uno scontrino della Coop del 14 gennaio. A quel punto acquisiscono le immagini interne del negozio e vedono Messina Denaro davanti al banco dei salumi parlare con Laura Bonafede. È la svolta nell’identificazione di «cugino» che fa rivalutare tutta la corrispondenza scoperta.

«Tu riesci a far diventare il nulla gli altri uomini»: lettere, pizzini e gelosia. Tutte le relazioni di Messina Denaro

Padrino di mafia e padrino di cresima. L’indagine sui nuovi presunti fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro svela il doppio ruolo del boss stragista: capo di Cosa nostra, ma anche uomo dalle molteplici relazioni affettive estese oltre la famiglia d’origine. E così, se la donna che l’ha accolto in casa (insieme al marito) fino alla vigilia della cattura, gli scriveva anni addietro «il bello della mia vita è stato quello di incontrarti», al figlio che pure incontrava regolarmente in quell’appartamento di Campobello di Mazara l’ex latitante si rivolgeva chiamandolo «figlioccio».

Lei è Lorena Lanceri, 48 anni compiuti da poco; lui è suo figlio Giuseppe Bonafede, nato nel 2003, che nel 2017 s’è cresimato e per l’occasione ha ricevuto da Matteo Messina Denaro un orologio Rolex, modello Oyster Perpetual, del valore di 6.300 euro. Regalo importante, come il Rolex che il capomafia regalò a sua figlia Lorenza nel 2014, quando compì 18 anni.  Su quell’orologio i coniugi Bonafede hanno fornito versioni discordanti, ma i carabinieri del Ros sono risaliti alla gioielleria del centro di Palermo dove fu acquistato nel gennaio 2017, scoprendone il prezzo. E tra i documenti sequestrati nella casa di Campobello abitata negli ultimi mesi da Messina Denaro ce n’era uno con il riassunto di entrate e uscite dove si legge: «Gennaio 2017, 23.000, spesi 18.350», poi una freccia e una parentesi: «(+6.300 Orol.)».

 

matteo messina denaro pizzino

Il pizzino con la contabilità di Matteo Messina Denaro, dov’è è annotata anche la spesa dell’orologio da 6.300 euro regalato per la cresima del figlio di Lorena Lanceri

Per gli inquirenti è la prova che a finanziare l’acquisto del regalo è stato proprio il boss che il 13 gennaio scorso inviò un messaggio vocale a Giuseppe dicendogli «Figlioccio, io sono a Palermo», e che il giovane chiamava «parrino». Avendo cura, come emerge dai messaggi scambiati con la madre, che non fosse in casa quando lui doveva rientrare con qualche amico, o ricevere una consegna: «E se viene il parrino…». Per il giudice che ha fatto arrestare i coniugi Bonafede, manca il «riscontro documentale» che l’allora latitante abbia partecipato alla cresima con q uel ruolo, ma che lo fosse «di fatto è ampiamente provato». Così come risulta provato che i pazienti della clinica La Maddalena di Palermo, ignari di sottoporsi alle cure insieme a un super-ricercato, sapessero di una sua «relazione sentimentale con una donna a nome Diletta»; e proprio da «Diletta» è firmata la lettera che gli investigatori attribuiscono a Lorena, datata 12 aprile 2019, piena di trasporto: «È come se il destino decidesse di farsi perdonare, facendomi un regalo in gran stile. Quel regalo sei tu. Penso che qualsiasi donna nell’averti accanto si senta speciale ma soprattutto tu riesci a far diventare il nulla gli altri uomini. Con te mi sento protetta, mi fai stare bene, mi fai sorridere… Ti voglio bene e come dico sempre un bene che viene da dentro. Spero che la vita ti regali un po’ di serenità e io farò di tutto per aiutarti. SEI UN GRANDE! anche se tu non fossi M.D. la tua Diletta». Quel particolare («anche se tu non fossi M.D.», cioè Messina Denaro), per i magistrati è la conferma che la donna era perfettamente consapevole di frequentare, ospitare e proteggere il primo ricercato d’Italia. Al pari della maestra Laura Bonafede, l’altra donna di questo intreccio sentimental-familiare, cugina di Emanuele (marito di Lorena) e Andrea Bonafede (l’uomo che ha prestato l’identità al boss), figlia del capomafia Nardo Bonafede morto da detenuto nel 2020 e moglie di Salvo Gentile, ergastolano per un paio di omicidi. La donna è anche madre di Martina, la ragazza di cui Messina Denaro esaltava le qualità a fronte di sua figlia Lorenza «degenerata nell’intimo», con la quale il boss pure si scriveva. Come con la madre, che nei messaggi si firmava «cugino» o «amico». Sono lettere in cui Laura Bonafede — probabilmente per precauzione — parla di sé al maschile, esprimendo però sentimenti di gelosia. Ad esempio il 29 dicembre scorso, quando gli racconta di aver visto la sua Giulietta parcheggiata vicino casa di Lorena-Diletta: «Stranamente non mi sono arrabbiato, non sono andato su tutte le furie come di solito mi succede. Mi ha dato parecchio fastidio, questo non lo posso negare, non sapere cosa stessi facendo in quel momento, se eravate soli, se ti saresti fermato ancora a lungo, se … se … se …». Una settimana dopo, il 6 gennaio, stessa scena e reazione un po’ più esplicita: «Ho provato un po’ di sana gelosia, puoi capire anche perché…». Due giorni prima della cattura di lui, sabato 14, i due si sono incontrati al supermercato (ripresi dalle telecamere interne), e il boss poi le ha scritto: «C’è da vedere che cosa ha pensato l’affettaformaggi». CORSERA

16.3.2023 Gli arresti di Campobello: Lorena era legata a Messina Denaro, che la chiamava Diletta

 

mafia, Lorena Lanceri, Matteo Messina Denaro, Trapani, Cronaca


Sarebbe stata molto legata a Matteo Messina Denaro Lorena Lanceri, arrestata oggi col marito Emanuele Bonafede per favoreggiamento
del capomafia trapanese. Emerge dall’inchiesta dei carabinieri del Ros che ha portato in cella la coppia. I militari hanno trovato numerosi riscontri del rapporto tra il boss e la Lanceri. Messina Denaro, per nasconderne la vera identità, la chiamava Diletta.
Ma come hanno fatto i carabinieri a capire che Diletta era Lorena Lanceri? Tutto parte dalla testimonianza di una delle pazienti con cui Messina Denaro, ammalato di tumore, faceva la chemioterapia alla clinica La Maddalena di Palermo e che era diventata amica del boss. Sentita il 18 gennaio dai carabinieri, la testimone racconta che Messina Denaro, da lei conosciuto come Andrea Bonafede, le aveva detto di avere una storia con una ragazza di nome Diletta.
Il finto Bonafede aveva anche messo in contatto le due donne tramite chat audio.
La paziente le ha conservate e le consegna ai militari del Ros.
«Ah c’è Diletta che ha il Covid, gliel’ho passato io, si sta curando, stiamo qua a casa assieme e Diletta ti saluta, anzi ora te la passo per messaggio», si sente in una delle chat vocali che Messina Denaro manda all’amica e che i carabinieri ascoltano.
Segue l’audio di Diletta inviato sempre alla paziente: «Io qua con la creatura (fa riferimento al boss) quello che mi sta facendo passare non solo mi ha trasmesso il Covid, però alla fine per lo meno mi fa ridere perché è simpatico».

 

Una lettera che Lorena/Diletta scrisse a Messina Denaro nel 2019

Durante la registrazione dei vocali (inviati tutti dal telefono di Messina Denaro), però il cellulare di Diletta riceve una chiamata. Nella registrazione delle conversazioni, poi ascoltata dagli investigatori, si sente lo squillo e la donna rispondere. L’analisi delle celle telefoniche svela ai militari l’identità di Diletta. Nell’istante in cui le chat vocali vengono registrate e il cellulare della donna che è col boss riceve la chiamata i telefonini di Messina Denaro e della Lanceri agganciano le stesse celle. I due, evidentemente, sono insieme. E dunque Diletta è la Lanceri. In alcuni messaggi che il padrino manda alla sorella Rosalia si comprende chiaramente quanto Diletta conti per lui. Raccontando le ore successive all’intervento chirurgico subito a maggio del 2021 il boss scrive: «Ero tutto bagnato dal sudore, Diletta che lavò i miei indumenti li torceva ed uscivano gocce di acqua, era senza parole». «Nessun dubbio può quindi residuare sulla centralità del ruolo della donna – scrive il gip – per assicurare al latitante il più ampio conforto emotivo e relazionale, oltre a quello logistico e assistenziale». Un’ulteriore conferma arriva da una lettera, diffusa dagli investigatori, in cui Lorena/Diletta si rivolge a Messina Denaro con parole molto affettuose. «Il bello nella mia vita – scrive la donna – è stato quello di incontrarti, come se il destino decidesse di farsi perdonare facendomi un regalo in grande stile. Quel regalo sei tu». Il biglietto, trovato a casa della sorella del boss Rosalia, si conclude con «Sei un grande anche se non fossi MMD. Tua Diletta». Secondo gli investigatori il vero mittente della lettera sarebbe proprio Lorena Lanceri. La donna nelle sue comunicazioni col boss avrebbe usato il nome in codice per celare la sua vera identità. «Penso che qualsiasi donna nell’averti accanto si senta speciale – scriveva la donna – ma soprattutto tu riesci a far diventare il nulla gli altri uomini. Con te mi sento protetta, mi fai stare bene, mi fai sorridere con le tue battute e adoro la tua ironia e la tua immensa conoscenza e intelligenza. Certo, hai anche tanti difetti, la tua ostinata precisione… ma chi ti ama, ama anche il tuo essere così. Lo sai, ti voglio bene e come dico sempre un bene che viene da dentro. Spero che la vita ti regali un po’ di serenità e io farò di tutto per aiutarti». Firmato «la tua Diletta». GIORNALE DI SICILIA


ARRESTATI COMPLICI DI MESSINA DENARO

“Campobello di Mazara, i due ospitavano ogni giorno il padrino a pranzo e a cena. Controllavano che nessuno notasse i movimenti dell’ospite. La donna gestiva le comunicazioni. Salgono a sei le persone finite in cella per aver coperto la sua latitanza
Sarebbero stati i vivandieri di Matteo Messina Denaro. A casa loro il boss, allora il ricercato numero uno in Italia, avrebbe pranzato e cenato per mesi. Con l’accusa di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena sono finiti in cella Emanuele Bonafede, nipote del capomafia Leonardo Bonafede, e la moglie Lorena Ninfa Lanceri. L’arresto, eseguito dai carabinieri del Ros, aggiunge un prezioso tassello alla ricostruzione dell’ultimo periodo della latitanza del padrino di Castelvetrano.
La coppia, secondo gli inquirenti, avrebbe ospitato Messina Denaro nella sua casa di Campobello di Mazara «in via continuativa e per numerosi giorni». Il boss si presentava nell’appartamento dei coniugi, nel centro del paese, puntualmente a pranzo e a cena e trascorreva ore in loro compagnia, entrando e uscendo indisturbato. Bonafede e la moglie controllavano con attenzione la strada, si assicuravano che nessuno potesse notare i movimenti dell’ospite che lasciava l’abitazione solo dopo il loro via libera. Un vero e proprio servizio di vigilanza ripreso dalle telecamere di sorveglianza di diversi negozi vicini alla palazzina della coppia, scoperte dagli investigatori.
Il gip che ne ha disposto l’arresto, accogliendo la richiesta del procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dell’aggiunto Paolo Guido e dei pm Piero Padova e Gianluca De Leo, contesta ai due indagati l’aver garantito al capomafia una «prolungata assistenza finalizzata al soddisfacimento delle sue esigenze personali e al mantenimento dello stato di latitanza».
Lorena Lanceri, inoltre, sarebbe stata molto legata a Messina Denaro tanto da gestirne le comunicazioni con una serie di persone a lui particolarmente care. Un ruolo che nella rete dei complici svolgeva solo chi godeva della assoluta fiducia del padrino. Con l’arresto dei coniugi di Campobello salgono a sei i fiancheggiatori di Messina Denaro finiti in carcere. Stessa sorte della coppia hanno avuto Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato l’identità al capomafia per consentirgli di sottoporsi alle terapie oncologiche e di acquistare l’auto e la casa di Campobello, Giovanni Luppino, l’autista che ha accompagnato il boss alla clinica Maddalena il giorno del blitz che ha posto fine alla sua trentennale latitanza. E ancora il fratello di Emanuele Bonafede, Andrea, omonimo del geometra, accusato di aver fatto avere a Messina Denaro centinaia di ricette sanitarie e Alfonso Tumbarello, il medico che avrebbe curato per due anni il padrino durante la latitanza intestando farmaci e prescrizioni al suo alias, pur sapendo chi fosse realmente il paziente. Un lungo elenco di collusioni e coperture che gli inquirenti stanno piano piano svelando.” CORRIERE DELLA SERA


 

Arrestate altre due “pedine”: marito e moglie


Altro colpo alla rete dei fiancheggiatori di Messina Denaro: una coppia finisce in carcere

I due avrebbero aiutato l’ex superlatitante a nascondersi, ma avrebbero anche fatto parte della catena umana necessaria per la trasmissione dei pizzini. In casa loro il boss avrebbe pranzato diverse volte, come documentato dalle riprese di alcune telecamere e anche da una fotografia trovata sul suo cellulare

Finiscono in carcere altri due presunti fiancheggiatori dell’ex superlatitante Matteo Messina Denaro: i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani, coordinati dal procuratore Maurizio De Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, hanno infatti arrestato Emanuele Bonafede e Lorena Ninfa Lanceri, di 49 e 48 anni, marito e moglie di Campobello di Mazara. L’uomo è il fratello di Andrea Bonafede, l’impiegato comunale che avrebbe ritirato le ricette dal medico che seguiva il boss, Alfonso Tumbarello. I due sono accusati di favoreggiamento aggravato e di procurata inosservanza della pena. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbero accolto più volte nella loro abitazione Messina Denaro, che spesso avrebbe anche pranzato con loro. Lo avrebbero aiutato quindi a nascondersi, ma avrebbero anche fatto parte della catena umana necessaria per la trasmissione di pizzini. Gli indagati sono stati individuati anche grazie alle immagini riprese da alcune telecamere di sorveglianza. Ad incastrare la coppia, però, ci sarebbe anche una fotografia del boss, trovata sul suo cellulare, mentre è seduto in un salotto e fuma un sigaro e beve: il salotto secondo gli investigatori sarebbe proprio quello dei due arrestati. Dopo il blitz alla clinica La Maddalena, lo scorso 16 gennaio, con cui il boss era stato bloccato dopo trent’anni di latitanza, grazie all’analisi di pizzini e appunti ritrovati nei vari covi, comprese le abitazioni della sorella del mafioso, Rosalia Messina Denaro, finita in carcere anche lei, gli investigatori stanno ricostruendo la rete di protezione sulla quale il capomafia ha potuto contare almeno nell’ultimo periodo della sua latitanza. PALERMO TODAY


Il legame con la donna

Il boss Matteo Messina Denaro seduto a gambe accavallate, con un bicchiere di rum nella mano destra e un sigaro gigante nella mano sinistra. Eccola, la foto che inchioda i coniugi arrestati all’alba di oggi dai Carabinieri del Ros a Campobello di Mazara (Trapani) con l’accusa di essere fiancheggiatori del capomafia arrestato lo scorso 16 gennaio. 
I due sono Emanuele Bonafede, nipote del boss di Campobello di Mazara Leonardo Bonafede, e la moglie Lorena Ninfa Lanceri, e sono accusati di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dal metodo mafioso. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Piero Padova e Gianluca De Leo. 

Mafia, Messina Denaro non si presenta al processo sulle stragi

Secondo gli inquirenti, la coppia avrebbe ospitato “in via continuativa e per numerosi giorni”, nella sua casa di Campobello di Mazara, il padrino all’epoca latitante.  Abitualmente, dunque, il boss sarebbe andato a pranzo e a cena nell’appartamento dei due, entrando e uscendo indisturbato grazie ai controlli che i Bonafede svolgevano per scongiurare la presenza in zona delle forze dell’ordine. I coniugi – secondo i pm – avrebbero dunque fornito al boss “prolungata assistenza finalizzata al soddisfacimento delle sue esigenze personali e al mantenimento dello stato di latitanza”. Lorena Lanceri, inoltre, secondo gli inquirenti, era inserita nel circuito di comunicazioni che ha consentito all’ex latitante di mantenere contatti con alcune persone a lui particolarmente care. La donna sarebbe stata molto legata al boss che, per nasconderne la vera identità, la chiamava Diletta. Era una donna innamorata, Lorena Lanceri, secondo quanto emerge da un biglietto inviato al boss ancora latitante nel 2019. “Il bello nella mia vita è stato quello di incontrarti, come se il destino decidesse di farsi perdonare facendomi un regalo in grande stile. Quel regalo sei tu”, scrive la donna. Il biglietto è stato rinvenuto dagli investigatori a casa della sorella del boss Rosalia, arrestata pochi giorni fa. Il boss avrebbe parlato di ‘Diletta’ anche a una paziente della clinica Maddalena in cui l’uomo è stato arrestato lo scorso 16 gennaio. “Tu riesci a far diventare il nulla gli altri uomini. – scriveva la donna – Con te mi sento protetta, mi fai stare bene, mi fai sorridere con le tue battute e adoro la tua ironia e la tua immensa conoscenza e intelligenza. Certo hai anche tanti difetti, la tua ostinata precisione …. ma chi ti ama, ama anche il tuo essere così. Lo sai, ti voglio bene e come dico sempre un bene che viene da dentro. Spero che la vita ti regali un po’ di serenità e io farò di tutto per aiutarti”. “Sei un grande, anche se tu non fossi M.D. Diletta”, conclude.  

La relazione

“I coniugi, contrariamente a quanto dagli stessi dichiarato alla polizia giudiziaria nelle fasi precedenti, avevano stretto un intenso rapporto personale con Matteo Messina Denaro in epoche certamente risalenti a un periodo anteriore al gennaio 2017, epoca in cui il Messina Denaro era stato scelto dalla coppia per fare da padrino di cresima per loro figlio Giuseppe e aveva elargito il denaro necessario per acquistare al ragazzo un orologio di rilevante valore”. Così scrive il gip di Palermo, Alfredo Montalto, nel provvedimento che ha disposto la custodia cautelare in carcere per i coniugi Emanuele Bonafede e Lorena Lanceri.

L’altro arresto

Oltre a essere nipote del boss di Campobello, Emanuele Bonafede è fratello di Andrea Bonafede, arrestato nelle scorse settimane con l’accusa di aver fatto avere al capomafia le prescrizioni sanitarie compilate dal medico Alfonso Tumbarello, finito in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, ed è cugino di un altro Andrea Bonafede, il geometra di Campobello che ha prestato l’identità a Messina Denaro per consentirgli di sottoporsi alle terapie oncologiche.

Le indagini

L’operazione è la prosecuzione dell’indagine che lo scorso 16 gennaio ha consentito al Ros di catturare a Palermo Matteo Messina Denaro, dopo 30 anni di latitanza, il suo autista Giovanni Salvatore Luppino per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose, Andrea Bonafede, 60 anni, per partecipazione ad associazione mafiosa, il medico Alfonso Tumbarello per concorso esterno in associazione mafiosa e altri reati pure aggravati dalle modalità mafiose, Andrea Bonafede, 54 anni, per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose; e Rosalia Messina Denaro, sorella dell’ex primula rossa per partecipazione ad associazione mafiosa. Sono attualmente in corso varie perquisizioni in Provincia di Trapani. TG SKY24


10.3.2023 Fiancheggiatori di Messina Denaro: processo breve per 27, altri otto a giudizio

Sono stati rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Marsala dal gup di Palermo Ermelinda Marfia otto dei 35 presunti mafiosi e fiancheggiatori coinvolti nell’operazione dei carabinieri «Hesperia», che lo scorso 6 settembre ha scompaginato le famiglie mafiose di Marsala, Mazara del Vallo e Campobello di Mazara, riportando in cella fedelissimi del boss Matteo Messina Denaro come il 67enne capomafia campobellese Francesco Luppino.

Gli otto rinviati a giudizio sono Filippo Aiello, di 76 anni; Lorenzo Catarinicchia, di 41; Vito De Vita, di 45; Stefano Putaggio, di 49; Antonino Lombardo, di 70; Riccardo Di Girolamo, di 44; Nicolò e Bartolomeo Macaddino, di 62 e 58 anni, di Mazara del Vallo. La prima udienza del processo a Marsala è stata fissata per il prossimo 19 aprile. Gli altri 27 imputati hanno scelto il processo con rito abbreviato davanti al gup Marfia. Tra questi anche il boss Luppino. L’indagine «Hesperia» è sfociata nell’arresto di 33 persone: 21 in carcere e 12 ai domiciliari. Tra loro, molti nomi noti della criminalità organizzata di Marsala, Mazara, Campobello di Mazara e Castelvetrano, ma anche diversi volti nuovi.Tra i primi, quello di Francesco Luppino, che era uscito dal carcere circa tre anni prima dopo aver scontato una lunga condanna per mafia. Secondo l’accusa, si era rimesso all’opera per ricostituire la rete di relazioni di Cosa nostra tra Campobello di Mazara, Mazara, Castelvetrano e Marsala. Le accuse a vario titolo contestate agli indagati sono associazione di tipo mafioso, estorsione, turbata libertà degli incanti (nelle aste al Tribunale di Marsala), reati in materia di stupefacenti, porto abusivo di armi, gioco d’azzardo e altro, tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. GIORNALE DI SICILIA 

 


9.3.2023 Messina Denaro, nei pizzini del boss compare “Malato”, ovvero Andrea Geraci

E’ il fratello di Francesco, il gioielliere che custodì l’oro di Totò Riina, amico d’infanzia e complice di Matteo Messina Denaro poi passato tra i ranghi dei pentiti

E’ Andrea Geraci, fratello di Francesco, gioielliere che custodì l’oro di Totò Riina, amico d’infanzia e complice di Matteo Messina Denaro poi passato tra i ranghi dei pentiti, l’uomo che il capomafia di Castelvetrano indica con lo pseudonimo di «Malato» in diversi pizzini sequestrati dai carabinieri. Un patteggiamento per intestazione fittizia di beni e un accenno di collaborazione con la giustizia, Andrea Geraci, come emerge dalle indagini, non ha mai reciso i suoi legami con il boss catturato dopo 30 anni di latitanza. Nonostante il tradimento del fratello pentito, che ha rivelato ai magistrati molti segreti del capomafia, Geraci sarebbe dunque rimasto tra i fedelissimi del boss. In uno dei biglietti venuti fuori dall’asse da stiro nella casa di Castelvetrano della sorella del padrino, Rosalia Messina Denaro, «oltre al saldo provvisorio della cassa e alle solite uscite (ben 12400 euro mensili) – scrive il gip che ha arrestato la donna – vengono annotate anche alcune entrate pari a 2500 euro in una occasione e 4000 in un’altra. Denaro consegnatole da un soggetto il cui nome in codice era Malato». Uno dei tanti nickname usati dal boss e dalla sorella (che nei messaggi si chiamava Fragolone), «identificato dagli investigatori appunto in Andrea Geraci», precisa il giudice. Francesco Geraci, il pentito che ha raccontato ai pm della missione romana organizzata da Cosa nostra per uccidere il giudice Giovanni Falcone e il giornalista Maurizio Costanzo, (la prima venne annullata da Riina, la seconda fallì) , è morto qualche settimana fa per un tumore al colon, stessa malattia da cui è affetto Messina Denaro. Il nome dei fratelli Geraci viene fuori in diverse indagini di mafia tra le quali quella sull’ex senatore di Fi Antonio D’Alì, recentemente condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo le ricostruzioni dell’accusa i Geraci, legati a doppio filo al boss trapanese, furono protagonisti, tra l’altro, di una serie di operazioni finanziarie affidate da Totò Riina Riina a prestanomi scelti da Messina Denaro Matteo. Operazioni finalizzate al riciclaggio di denaro della mafia. Identificato «Malato», agli inquirenti resta scoprire l’identità di diverse persone indicate, per questioni economiche per lo più, nei pizzini trovati al boss e alla sorella. Da Fragolina, Condor, Reparto, Parmigiano, Ciliegia. E molti altri.COPYRIGHT LASICILIA.IT 

 


5.3.2023  Rosalia Messina Denaro, donna d’onore


Arrestata una sorella di Messina Denaro. Dentro casa pizzino decisivo per arresto del fratello dentro gamba di una sedia

 

https://progettosanfrancesco.it/2023/03/03/messina-denaro-rosetta-e-lo-specchietto-delle-spese-per-il-boss/ https://progettosanfrancesco.it/2023/02/23/messina-denaro-rito-abbreviato-per-27-presunti-favoreggiatori-ce-anche-il-capomafia-franco-luppino/


24.2.2023 Messina Denaro, i pm depositano nuove carte contro Tumbarello e Bonafede

Si è svolta davanti al tribunale del Riesame di Palermo l’udienza fissata per decidere sulla richiesta di scarcerazione di Alfonso Tumbarello, medico di Campobello di Mazara che ha avuto in cura per due anni il boss mafioso Matteo Messina Denaro durante la latitanza, e Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato l’identità al capomafia. La Procura, rappresentata dai pm Piero Padova e Gianluca De Leo, ha chiesto il rigetto dell’istanza difensiva e ha depositato nuove carte a carico dei due indagati. Secondo i pm, Bonafede si sarebbe occupato di ritirare le prescrizioni di farmaci ed esami clinici fatte da Tumbarello a nome del cugino, di consegnare al medico la documentazione sanitaria che di volta in volta il boss riceveva durante le cure, contribuendo così a mantenere segreta la reale identità del paziente e consentendogli di proseguire la latitanza. Tumbarello, invece, avrebbe assicurato a Messina Denaro l’accesso alle cure del Servizio Sanitario Nazionale attraverso un percorso terapeutico durato oltre due anni, con più di un centinaio di prescrizioni sanitarie e di analisi (o richieste di ricovero) intestate falsamente al geometra Andrea Bonafede, mentre in realtà a beneficiarne era il capomafia, assistito personalmente e curato dal dottore. Tumbarello avrebbe così garantito al padrino non solo le prestazioni necessarie per le gravi patologie di cui soffriva, ma anche la riservatezza sulla sua reale identità. I legali dei due indagati, accusati rispettivamente di concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico e favoreggiamento e procurata inosservanza della pena aggravati, hanno ribadito che Bonafede e Tamburello non erano a conoscenza della vera identità del paziente. Il tribunale si è riservato di decidere.

24.2.2023 Messina Denaro e i 15mila euro al mese per “campare”: caccia a chi gli portava i soldi Indagini della Procura sui metodi di consegna del denaro al boss di Castelvetrano


ANDREA BONAFEDE 2

Il ‘postino’ di Messina Denaro: “È stata una bomba nella mia vita”

Non sapeva che le ricette ritirate dal medico Alfonso Tumbarello fossero in realtà di Matteo Messina Denaro. Era davvero convinto che a stare male fosse il cugino omonimo. Andrea Bonafede, impiegato del Comune di Campobello di Mazara, ha respinto le accuse nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari subito dopo l’arresto per favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza di pena, e cioè gli ergastoli inflitti a Messina Denaro. Il verbale è stato depositato agli atti del Tribunale del Riesame che ha deciso di lasciarlo in carcere. La sua difesa non ha convinto anche perché ha negato di avere incontrato Messina Denaro, neppure casualmente in paese, ed invece c’è un video in cui si vede Bonafede fermarsi al volante della macchina del Comune e dialogare a distanza con Messina Denaro seduto all’interno della Giulietta. Bonafede ammette, e non potrebbe fare altrimenti, di avere ritirato decine di prescrizioni a nome del cugino che ha prestato l’identità al padrino di Castelvetrano. Che andasse di continuo nello studio medico lo ha messo a verbale anche la segretaria di Alfonso Tumbarello.

Il rapporto con il cugino

“Mio cugino mi ha praticamente interpellato circa un anno fa, la signora (si riferisce alla segretaria) nell’ordinanza parla di due anni, ma io penso che sia circa un anno fa, non ricordo a memoria tutte queste cose, dicendomi che aveva un polipo maligno al colon, che si era fatto un intervento a Mazara (l’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo dove Messina Denaro è stato operato la prima volta ndr) e che comunque doveva proseguire delle cure all’Ospedale Maddalena (La Maddalena è la clinica palermitana dove Messina Denaro è stato arrestato lo scorso 16 gennaio ndr) e, siccome non aveva detto niente ai suoi familiari, né ai figli che sono fuori, né a sua sorella, a suo cognato e a sua madre e siccome il medico era lo stesso del suo nucleo familiare, di sua sorella, sua madre e suo cognato, se io gli facevo la cortesia di andare a prendere queste ricette in modo che loro non lo incontrassero là e quindi non
potessero avere queste”. Insomma il cugino non voleva incrociare in studio i parenti a cui nulla aveva detto della sua malattia.

Non si era accorto di nulla

Non si era accorto che sulla carta il cugino stesse combattendo contro un tumore: “Dico, una cosa è un tumore allo stato terminale che uno si vede che sta male, sta morendo, una cosa è un polipo che oggi come oggi, diciamo si leva, si fa la chemioterapia e non dà strascichi dipende che tipo di malignità può avere questo polipo. Io non è che sono un medico e quindi leggo i referti e capisco cosa c’è, cioè, mi dava la ricetta. Erano tutti atti tecnici, non lo so, quindi non è che le so dire, già è difficile capire che cosa scrive un medico, pensi un referto, una relazione della Maddalena”.

“Se avessi saputo…”

Non ci fu bisogno di spiegarsi con Tumbarello perché “il medico lo sapeva che io andavo al posto di mio cugino perché sennò non penso che mi avrebbe mai dato… mi sembra che una volta me l’ha chiesto, dice: ‘Come sta?’ Ci dissi: ‘Ma a me sembra che sta bene’, solo questo. Poi, dottore, voglio dire una cosa, se
io avessi saputo che dietro tutta questa storia c’era quello che poi c’è stato, non credo mi sarei prestato a fare tutta questa cosa perché non vorrei e non volevo essere qui in questo momento, volevo essere a casa con la mia famiglia. Mi rendo conto della gravità, certo, sicuramente mi rendo conto, però, se posso dire una cosa, mi sta stretta questa cosa dell’associazione, io non sono un mafioso”.

Il rapporto zio-nipote

Mafioso e pure fedelissimo dei Messina Denaro era lo zio dell’indagato, Leonardo Bonafede. Una parentela che, secondo l’accusa, avrebbe spinto il capomafia a fidarsi dell’impiegato comunale: “Allora, con mio zio noi abbiamo avuto un rapporto zio e nipote, nel senso che mio zio mai mi ha coinvolto nelle sue cose, è stato il fratello di mio padre, è stata una persona importante, diciamo, tra virgolette, in questa famiglia, però non abbiamo avuto mai nessun tipo di legame per quanto riguarda il suo tipo di vita, cioè, lui ha fatto la sua vita, ha pagato i suoi errori, che mi risulti non ha mai coinvolto nessuno della mia famiglia nella sua vita. Per me era una brava persona”.

“Ho sempre lavorato”

Bonafede cerca di scrollarsi di dosso le accuse: “Io non faccio parte di nessun tipo di associazione, ho sempre lavorato per mantenere la famiglia, quindi, anche i carabinieri quando hanno fatto la perquisizione, hanno confermato che sono una persona tutta casa e lavoro, quindi non ho frequentato mai pregiudicati, anche se il paese è piccolo e può capitare frequentare qualcuno che sia pregiudicato però non frequento neanche bar per farmi solo la mia vita”.

Infine ribadisce che non ha incontrato Messina Denaro e neppure gli è stato presentato: “Quello che c’è stato è stata soltanto una bomba che è scoppiata e siamo qua e basta, cioè, dopo il 16 gennaio tutto è stato limpido e chiaro, tutto si è messo, come si suol dire, alla luce del sole”.

“Andare dai carabinieri? Ho avuto paura”

Appresa la notizia, però, Bonafede ha scelto di non presentarsi in caserma per chiarire la sua posizione: “Perché è difficile. Perché è difficile una cosa del genere, io sinceramente speravo di essere chiamato e di essere interrogato. Anche per paura sinceramente. Uno cerca di continuare a fare la sua vita in maniera coerente, mi aspettavo di essere chiamato sinceramente, anche lo stesso giorno o l’indomani, sono passati praticamente quattordici giorni, quindici giorni, e non mi aspettavo di essere arrestato, completamente, per me era una cosa impensabile questa”.


7.2.2023  In manette il cugino omonimo di Andrea Bonafede: cosa faceva per il boss

Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra di Campobello di Mazara che aveva ceduto la sua identità al boss mafioso durante la latitanza, permettendogli di acquistare una casa e di curarsi sotto falso nome alla clinica di Palermo. I pm contestano al cugino di Andrea Bonafede i reati di favoreggiamento e la procurata inosservanza di pena aggravanti dell’aver favorito Cosa Nostra. Sarebbe stato lui a occuparsi di ritirare le prescrizioni mediche di Tumbarello per farmaci ed esami clinici destinati a Messina Denaro, portando poi al medico di volta in volta i documenti sanitari che il boss riceveva durante le cure.

.

 



Messina Denaro, perquisite le abitazioni di due donne: gli inquirenti dalle presunte amanti del boss

Gli inquirenti hanno perquisito a Campobello di Mazara le case due donne che avrebbero collegamenti con Matteo Messina Denaro: una di loro avrebbe un’auto da 70mila euro, ma nega che sia un regalo del boss.

Continuano senza sosta le indagini in seguito all’arresto di Matteo Messina Denaro. Gli inquirenti sono alla ricerca di tracce che possano aiutare a ricostruire gli ultimi mesi prima della cattura e i quasi 30 anni di latitanza. Nelle ultime ore sono state perquisite anche le abitazioni di due donne,entrambe sulla cinquantina, che potrebbero essere state le amanti del Padrino. Tutte e due vivono a Campobello di Mazara, il paese di circa 11mila abitanti e a soli 8 chilometri da Castelvetrano, che a Messina Denaro ha dato i Natali, dove sono già stati individuati quattro covi del boss All’interno di uno degli appartamenti, quello in via Cb 31, dove l’ex super latitante avrebbe vissuto da giugno, sono stati ritrovati oggetti e abiti femminili, oltre ad una parrucca, che però non si esclude che il boss possa aver utilizzato per nascondere la propria identità. Che appartengano alle due donne perquisite? Al momento è presto per dirlo, ma le analisi procedono a ritmo sostenuto. Ciò che è certo è che i loro numeri di telefono sono stati ritrovati nella casa del boss. Le due donne sono entrambe lavoratrici, una è una piccola imprenditrice e l’altra una commerciante. Abitano vicino tra di loro ma sono diversissime, come riporta Il Corriere della Sera. Una è bruna con i capelli neri, l’altra bionda e con un taglio corto. Una di loro avrebbe un’auto di lusso da 70mila euro parcheggiata sotto casa. “Non è stato un regalo di nessuno, l’ha comprato lei un anno fa sfruttando un’occasione, toglietevi dalla testa certe idee”, ha detto un familiare ai giornalisti. La donna questa settimana è stata vista uscire dalla caserma dei carabinieri di viale Risorgimento accompagnata da un’amica dove si era recata “per qualche chiarimento“. Finora della vita privata di Messina Denaro non si sa molto. Sei sarebbero le donne con le quali ha avuto una relazione durante la latitanza. Da una di queste, è nata anche una figlia, Lorenza Alagna, che porta il cognome della madre e che è da poco diventata mamma a sua volta. Nei giorni scorsi si è parlato anche di un possibile secondo figlio del boss, nato intorno al 2005, quando la polizia intercettò una conversazione tra il cognato e la sorella del Padrino in cui si facevano specifici riferimenti. Ma al momento, si tratta soltanto di ipotesi.



FILIPPO ZERILLI

8.2.2023  “Non ho mai conosciuto Andrea Bonafede prima del suo ingresso in ospedale, né ho avuto con lui contatti personali per fissare la visita oncologica”.  “Ho sempre esercitato la professione con scienza e coscienza e non fa eccezione quanto accaduto in relazione al paziente Andrea Bonafede (alias Matteo Messina Denaro) per il quale, in data 3 dicembre 2020, in risposta ad una richiesta di visita oncologica della chirurgia di Mazara del Vallo, supportata da un referto istologico del laboratorio di anatomia patologica dell’ospedale di Castelvetrano del 24 novembre 2020, è stata fissata una visita presso l’UOC che dirigo, segnata nell’agenda di reparto in data 9 dicembre 2020.  Non vi è altra documentazione, a mia conoscenza, dalla quale risulti la presenza del paziente Andrea Bonafede presso l’ospedale di Trapani. Aggiungo, a smentire alcune voci riprese da alcuni giornali e organi di stampa, che Andrea Bonafede non può essere stato ricoverato per circa un mese presso il mio reparto presso il quale possono essere disposti soltanto ricoveri in day hospital o day service e non certo ricoveri ordinari”.  “Non ricordo neppure un mio eventuale contatto personale con il paziente il 9 dicembre, né ritengo si possa pretendere che ne abbia memoria considerato che allora tutte le visite avvenivano (come ancora oggi) indossando la mascherina”.  In sede di audizione all’Ordine ho detto ai colleghi medici “che l’esame del Dna nei pazienti da trattare con farmaci chemioterapici ha la funzione di individuare eventuali poliformismi che possono aumentare la tossicità del farmaco, non certo a individuare l’identità dei pazienti. Dall’inizio di questa vicenda, il 16 gennaio scorso non mi sono mai assentato dal lavoro, come dimostrano le mie presenze in ospedale. La magistratura chiarirà la mia totale estraneità a un contesto che non mi appartiene”.  



Indagato un secondo medico

Da una parte il latitante e i suoi misteri. Dall’altra, la rete che lo ha protetto. Alla lista degli indagati si è aggiunto un altro nome, è quello di Filippo Zerilli, 66 anni, primario di Oncologia medica del Sant’Antonio Abate di Trapani. Lunedì, i carabinieri hanno fatto una perquisizione in ospedale, alla ricerca di un documento medico intestato ad Andrea Bonafede, la falsa identità del latitante. Al Sant’Antonio Abate il padrino chiese un esame istologico, dopo l’intervento fatto a Mazara del Vallo, nel novembre 2020: a quel documento, gli investigatori erano interessati, ancora una volta per ricostruire i movimenti del latitante ricercato dal 1993. E torna un’altra domanda: perché Messina Denaro aveva scelto un ospedale della sua provincia? Probabilmente, perché era sicuro di godere delle necessarie protezioni. Una pista d’indagine ipotizza che sia tornato in Sicilia proprio per l’intervento. Adesso, il dottor Zerilli è indagato per procurata inosservanza della pena, con l’aggravante di aver favorito un mafioso. Sapeva o no dell’identità di quel paziente tanto particolare, che avrebbe pure visitato e avviato a un primo ciclo di chemioterapia? Zerilli è il secondo camice bianco che finisce sotto inchiesta in provincia di Trapani nel giro di pochi giorni. L’altro, Alfonso Tumbarello, medico di base a Mazara del Vallo, avrebbe fatto tante prescrizioni a Messina Denaro, per consentire poi il ricovero alla clinica palermitana della Maddalena, dove il boss è stato arrestato. L’Ordine dei medici di Trapani si dice pronto a intervenire: «Non ho ricevuto alcuna comunicazione ufficiale da parte della procura — taglia corto il presidente, Vito Barraco — ma oggi stesso avvierò l’iter di accertamento di eventuali violazioni del codice deontologico». Mentre la caccia agli insospettabili favoreggiatori prosegue: fra le carte trovate nel covo di via Cb 31 c’erano le ricette di un rinomato oculista palermitano.  L’oncologo trapanese Filippo; Zerilli è indagato nell’inchiesta sulla rete dei favoreggiatori del boss Matteo Messina Denaro. Avrebbe eseguito l’esame del dna necessario alle cure chemioterapiche a cui il padrino di Castlelvetrano doveva sottoporsi. Il paziente si era presentato al medico con i documenti di Andrea Bonafede, il geometra che gli avrebbe prestato l’identità e che, come Zerilli, è finito ora sotto inchiesta.

ALFONSO TUMBARELLO

 

Messina Denaro, il suo medico Alfonso Tumbarello è un massone: sospeso dal Grande Oriente d’Italia dopo l’indagine

 

9.2.23 Il medico di Messina Denaro risponde al gip: “Non sapevo fosse il boss latitante”


9.2.2023 Tumbarello. Le ricette per Messina Denaro e la vicenda “delicatissima” di Vaccarino


9.2.2023 Messina Denaro, così la segretaria ha smentito la versione del dottor Tumbarello


8.2.2024 Alfonso Tumbarello, chi è il medico che ha curato Messina Denaro sotto falso nome


7.2.2023. Arrestato il medico di Messina Denaro


7.2.2023 Quando il dottore Tumbarello visitava Messina Denaro: “Sta molto male, occorre ricoverarlo”


Messina Denaro, il suo medico Alfonso Tumbarello è un massone: sospeso dal Grande Oriente d’Italia dopo l’indagine

 
Medico di base di Andrea Bonafede, ovvero Matteo Messina Denaro. Consigliere provinciale prima e candidato alle regionali con Cuffaro e Pdl poi. Ma anche massone, appartenente alla loggia “Valle di Cusa – Giovanni di Gangi” (1035) all’Oriente di Campobello di Mazara. Alfonso Tumbarello, il medico di base trapanese finito nel registro degli indagati per aver curato l’ultimo boss stragista – l’ipotesi per ora è procurata inosservanza di pena aggravata dal metodo mafioso – faceva anche parte della massoneria. La conferma arriva dal decreto firmato ieri, 17 gennaio, dal gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi, che ha sospeso Tumbarello dopo la notizia dell’indagine a suo carico.

 

Presa visione delle notizie apparse sulla stampa“, si legge nel provvedimento, “il Fr. Alfonso Tumbarello è sospeso, a tempo indeterminato, da ogni attività massonica”. Così è previsto dagli articoli 15 e 32 della costituzione dell’Ordine. “Si dispone che il presente decreto venga trasmesso all’ufficio del Grande Oratore e che ne sia data notizia all’interessato, alla Loggia di appartenenza, alla Giunta dell’Ordine, ai Presidenti dei Collegi Circoscrizionali ed alla Gran Segreteria del G.O.I.”, conclude il documento, firmato da Bisi e dal Gran segretario Emanuele Melani. Andato in pensione lo scorso dicembre, Tumbarello è stato interrogato dagli inquirenti subito dopo il blitz con il quale i Ros dei carabinieri hanno catturato ‘u Siccu. A quanto si apprende avrebbe dichiarato: “Non sapevo nulla. Per me lui era il signor Bonafede”. Oltre al camice bianco, tuttavia, Tumbarello sembra aver sempre avuto una passione per la politica e per la massoneria.

 

GIOVANNI LUPPINO

6.2.2023 – Perché l’autista di Mattia Messina Denaro ha rinunciato al ricorso contro il carcere

I pm contestano a Giovanni Luppino i reati di procurata inosservanza della pena e favoreggiamento aggravati dall’avere agevolato la mafia.

Ha rinunciato al ricorso contro la custodia cautelare in carcere davanti al tribunale del Riesame Giovanni Luppino, arrestato insieme a Mattia Messina Denaro il 16 gennaio, accusato di essere l’autista del capomafia. Quel giorno infatti lo aveva accompagnato alla clinica ‘La Maddalena’ di Palermo, dove la latitanza del boss è terminata. Luppino deve rispondere di procurata inosservanza della pena e favoreggiamento aggravati dall’avere agevolato la mafia. In vista dell’udienza al Riesame, la Procura aveva depositato agli atti, tra l’altro, una foto trovata nel cellulare dell’indagato che ritrae la Giulietta del capomafia parcheggiata davanti casa dello stesso Luppino il 25 dicembre scorso.
Una circostanza che smentisce la tesi difensiva dell’indagato che ha raccontato, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, di aver conosciuto Messina Denaro sei mesi prima col nome di Andrea Bonafede e di averlo rivisto solo la mattina dell’arresto, quando il capomafia, sempre sotto falso nome, si sarebbe presentato a casa sua per chiedergli un passaggio per la clinica Maddalena.
“La versione dei fatti fornita dall’indagato è macroscopicamente inveritiera, non essendo credibile che qualcuno, senza preavviso, si presenti alle cinque del mattino a casa di uno sconosciuto per chiedergli la cortesia di accompagnarlo in ospedale per delle visite programmate, in assenza di una situazione di necessità e urgenza”, aveva scritto  il gip di Palermo Fabio Pilato nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di Luppino.
Giovanni Luppino, 59 anni, non era mai stato coinvolto in operazioni antimafia. La sua attività principale infatti era coltivare la terra e, negli ultimi anni, si era dedicato al commercio delle olive del tipo “cultivar Nocellara del Belìce”. Ma nonostante la sua posizione di incensurato, la versione fornita agli inquirenti non ha convinto:
“È noto che il ruolo di autista costituisce compito estremamente delicato e strategico nell’organizzazione interna di Cosa Nostra, soprattutto, per le esigenze di cautela e protezione dei capi mafia. Ne consegue che l’incarico viene assegnato a persone di massima fiducia, in grado di garantire segretezza, sicurezza ed affidabilità degli spostamenti – scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare visionata dall’Adnkronos -. Una simile funzione tocca il massimo livello di accortezza se poi il soggetto accompagnato sia addirittura il vertice assoluto dell’organizzazione criminale, costretto a destreggiarsi in un trentennale stato di latitanza”.


24.1.2023 – Indagati anche i figli dell’autista di Messina Denaro, scoperto un altro piccolo bunker

Prosegue l’inchiesta per individuare i fiancheggiatori dell’ex superlatitante. I carabinieri hanno perquisito le abitazioni di Vincenzo e Antonio Luppino: nella prima hanno trovato la stanza segreta, ma senza nulla all’interno

Spunta un altro piccolo bunker a Campobello di Mazara che potrebbe essere stato utilizzato dal boss Matteo Messina Denaro. All’interno non ci sarebbe nulla, ma la stanza segreta è stata individuata dai carabinieri del Ros durante una perquisizione nell’appartamento di Vincenzo Luppino, uno dei figli di Giovanni Luppino, l’autista che ha accompagnato il capomafia alla clinica La Maddalena il 16 gennaio e che è stato arrestato con lui. I militari, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Guido, hanno perquisito anche l’abitazione dell’altro figlio dell’autista, Antonio Luppino. I nomi dei due fratelli vanno così ad allungare la lista di coloro che sono finiti nel registro degli indagati perché ritenuti presunti fiancheggiatori dell’ultimo dei Corleonesi. Tra gli indagati ci sono anche due medici, Alfonso Tamburello e Filippo Zerilli, che hanno avuto in cura l’ex superlatitante, che si sarebbe presentato come “Andrea Bonafede”. Proprio l’alter ego del boss, che gli ha prestato la sua idendità per almeno due anni, è stato arrestato ieri per associazione mafiosa. La stanza segreta trovata nella casa di Luppino non è la prima che viene scoperta: l’altra si trovava nell’abitazione di Errico Risalvati, sempre a Campobello. Anche in questo caso si è ipotizzato che possa essere stata ripulita, in quanto all’interno non sono stati trovati né documenti né altro materiale interessante, ma diverse scatole vuote.  PALERMO TODAY



“Ma quale Messina Denaro, per me era il signor Francesco”

 

L’autista del boss: «Non sapevo fosse Messina Denaro, solo un pazzo potrebbe accompagnare un superlatitante»

«Non sapevo che fosse Matteo Messina Denaro, solo un pazzo avrebbe potuto accompagnarlo sapendo che si trattava del boss». Si è difeso così Giovanni Luppino, l’autista del super latitante arrestato lunedì scorso a Palermo mentre lo accompagnava alla clinica la Maddalena. Lo ha detto il suo difensore, l’avvocato Giuseppe Ferro, al termine dell’udienza di convalida davanti al Gip che si è svolta nel carcere Pagliarelli. Luppino, 59 anni, commerciante di olive, ha sostenuto di non conoscere Messina Denaro, che gli era stato presentato come cognato di Andrea Bonafede,e di averlo accompagnato perchè doveva sottoporsi alla chemioterapia.   Il Gip Fabio Pilato ha convalidato l’arresto in flagranza di Giovanni Luppino. Il giudice si è riservato di decidere sulla richiesta di custodia cautelare in carcere. Luppino risponde di procurata inosservanza della pena e favoreggiamento aggravati dal metodo mafioso. Luppino davanti al Gip si è difeso come detto sostenendo di non sapere che l’uomo che stava accompagnando fosse Matteo Messina Denaro. Il commerciante di olive ha spiegato di averlo conosciuto qualche mese fa e che gli era stato presentato, con il nome di «Francesco», come il cognato di Andrea Bonafede, il geometra al quale era intestata la falsa carta d’identità utilizzata dal super latitante. Luppino ha aggiunto di averlo accompagnato lunedì scorso per la prima volta a Palermo, dove il boss doveva sottoporsi a un ciclo di chemioterapia, perchè gli era stata chiesta questa cortesia proprio a causa delle sue condizioni di salute.  LA SICILIA 18.1.2023



Insieme a Messina Denaro, arrestato anche Giovanni Luppino: “In clinica con il boss”

Matteo Messina Denaro non era solo alla clinica La Maddalanea. Insieme a lui, infatti, come si vede dal video, è stato arrestato anche Giovanni Luppino, di Campobello di Mazara, accusato di favoreggiamento. Avrebbe accompagnato il boss alla clinica per le terapie. Intanto sono state perquisite alcune abitazioni di Campobello di Mazara e Castelvetrano. Uomini del Ros dei carabinieri e del comando provinciale di Trapani sono entrati anche in casa dei parenti di Messina Denaro. A Campobello di Mazara i carabinieri hanno perquisito anche la casa del fratello, Salvatore Messina Denaro, mentre a Castelvetrano i militari sono andati nell’abitazione della sorella Patrizia Messina Denaro, dove vive anche la mamma del boss, Enza Santangelo.

 

 

Dall’eolico al boss: chi era l’autista di Matteo Messina Denaro

C’erano andati molto vicino, gli inquirenti siciliani, a individuare la rete di protezione del superltitante Matteo Messina Denaro. L’arresto insieme al boss dell’uomo che lo proteggeva e gli faceva da autista conferma che garantire la latitanza del boss erano gli uomini storici della consorteria mafiosa del Trapanese, quella dove Messina Denaro aveva compiuto tutta la sua carriera criminale.
L’arrestato è infatti Giovanni Luppino, di Campobello di Mazara, nel cuore del Trapanese. E i Luppino sono considerati da sempre il braccio operativo del boss latitante. Otto anni fa, nel 2014, un maxisequestro colpì le attvità economiche dei Luppino nel ramo della energia eolica, il settore considerato da sempre cruciale nelle attività imprenditoriali di Messina Denaro, quello che gli forniva flussi costanti di denaro necessari per la sua latitanza.
Insieme a imprese edilizie e aziende produttrici di olio, l’eolico – con i suoi ricchi finanziamenti italiani e europei – è da anni un business per la mafia 2.0. Il sequestro del 2014 colpì un cugino del superboss, Mario Messina Denaro, e il capocosca di Mazara, Francesco Luppino: è uno stretto familiare di Giovanni, l’uomo che questa mattina aveva accompagnato nella clinica il boss. E la cui individuazione potrebbe essere stata decisiva per arrivare al bliz. Gli stessi uomini che curavano gli affari imprenditoriali di Messina Denaro si occupavano dunque della sua “security”: una violazione delle regole di comportamento del latitante, forse resa inevitabile dalla progressiva riduzione della rete di appoggio.

Messina Denaro, trovato il numero del Maestro venerabile tra i pizzini del suo autista

TRA MAFIA E MASSONERIA – Luppino, arrestato con il boss, aveva il cellulare di Quintino Paola, ex capo della Loggia Ferrer

C’era pure il numero di cellulare dell’ex Maestro venerabile della loggia Ferrer di Castelvetrano nel portafogli di Giovanni Luppino, l’ultimo autista di Matteo Messina Denaro. Dopo l’arresto, convalidato ieri dal gip, gli uomini del Ros hanno portato in caserma il commerciante d’olio d’oliva per la perquisizione: nelle sue tasche hanno trovato due telefoni, un coltello a serramanico di 18 cm (“Lo porto sempre con me”, ha detto Luppino al gip) e poi una serie di bigliettini, conservati all’interno del portafogli. Molti sono appunti di recapiti telefonici. Tra questi c’è anche un foglio con scritte parole che gli investigatori considerano “incomprensibili”. Di seguito c’è un numero di cellulare: è quello di Quintino Paola, urologo molto noto a Castelvetrano e – va sottolineato – estraneo all’indagine. Il Fatto ha chiesto al medico se conoscesse Luppino. “No, non credo. Poi Luppino è un cognome diffusissimo dalle mie parti. Ho capito che era un commerciante di olive che è stato beccato per quella vicenda lì”, ha risposto il medico. Ma come mai Luppino – incensurato e sconosciuto alle forze dell’ordine fino al blitz di lunedì – aveva il suo numero nel portafogli? “Se c’era è per motivi urologici, sicuramente. Perché io faccio l’urologo da 42 anni. Il mio numero, tra l’altro, è su Internet per la pubblicità”, ha risposto Paola.

Il Fatto ha chiesto al medico se è ancora il responsabile della loggia Ferrer di Castelvetrano. “No, in atto non sono responsabile di niente – ha risposto – E poi queste sono cose della mia vita privata”.

Anche se è una questione privata, l’appartenenza del dottor Paola alla loggia Ferrer è ampiamente nota: se ne trova traccia in una serie di articoli sul web che danno conto di eventi alla presenza di Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Sulla stampa locale, poi, si trova anche un’altra vicenda in cui il dottor Paola viene citato. Era il 25 maggio scorso, quando la commissione Antimafia guidata da Nicola Morra era in trasferta a Trapani, dove in prefettura stava audendo i vertici della massoneria della provincia. A un certo punto, però, l’audizione è stata interrotta per uno strano incidente: “Stavo andando in bagno, aprendo la porta del salone principale, ma ho trovato resistenza perché dietro la porta c’era qualcuno: aprendola ho trovato due persone, di cui una appoggiata alla porta, con il cellulare sul palmo della mano e il display illuminato”, aveva raccontato ai cronisti Morra. Cosa faceva quel soggetto? “No lo so, ma acusticamente era molto semplice ascoltare ciò che veniva detto all’interno del salone anche durante le audizioni dei rappresentanti delle associazioni massoniche, che tra l’altro erano state secretate, su richiesta degli auditi”.
 A quel punto l’audizione era stata sospesa ed era arrivata la Digos per identificare l’uomo col telefono in mano: si trattava di Salvatore Monteleone, medico di Castelvetrano, pure lui massone della loggia Ferrer. Che pochi giorni dopo aveva raccontato al sito Tp24 di aver ricevuto le scuse dalla Digos perché sul suo cellulare “non c’era nessuna registrazione”. “Non ho mai detto che registrava – replica Morra –. Trapani, comunque, è la città dove una seduta dell’Antimafia può essere interrotta in questo modo senza che poi nessuno compia un atto istruttorio, ascoltando cosa ha da dire il presidente di quella commissione”. Monteleone, tra l’altro, non doveva essere audito: perché si trovava in prefettura? “La lettera di convocazione – ha spiegato – era indirizzata alla persona responsabile della loggia Ferrer, ma senza nome e cognome. Essendone il maestro venerabile, sarei dovuto andare io. Ma a prendere quella lettera alla Polizia di Castelvetrano era andato il dottor Quintino Paola. E il suo nome è stato comunicato prima alla questura e poi alla prefettura”.
Quando avviene l’incidente denunciato da Morra era in corso proprio l’audizione di quattro massoni, tra cui proprio Quintino Paola, convocato nonostante non fosse più il maestro della loggia Ferrer. Il Fatto ha chiesto al dottor Paola se ricorda quest’episodio. Il medico ha risposto così: “Sì, ma queste sono questioni di trasparenza pubblica, non c’è bisogno di chiederle a me, basta andare sui siti internet”. Proprio su internet, tra l’altro, si trova una ricostruzione di questa vicenda: secondo Report, infatti, tra i punti all’ordine del giorno di quelle audizioni in prefettura c’era il ruolo di un altro medico di Castelvetrano, pure lui massone affiliato sempre alla Ferrer: Claudio Germilli, che in passato era stato oggetto di un’inchiesta televisiva della stessa trasmissione Rai, relativa ad affari nel campo dello smaltimento rifiuti con Giovanni Risalvato, condannato a 14 anni per mafia e ora libero dopo aver scontato la sua pena.
Va sottolineato che su Germilli non c’è alcun tipo di contestazione giudiziaria. Risalvato, invece, è il fratello di Errico Risalvato, l’inquilino dell’appartamento di Campobello di Mazara dove gli investigatori hanno scoperto una stanza bunker piena di gioielli e scatole. Alcune erano vuote.

 


ANDREA BONAFEDE

 

Andrea Bonafede, arrestato l’uomo che ha «prestato» la sua identità a Matteo Messina Denaro durante la latitanza


 

 

25.1.2023 – Messina Denaro, il prestito dell’identità e i silenzi del geometra “alias” del boss

Resta in silenzio davanti al gip Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara in carcere per associazione mafiosa, l’uomo d’onore riservato che ha prestato l’identità al boss Matteo Messina Denaro, ha acquistato l’appartamento in cui il capomafia si è nascosto nell’ultimo periodo della latitanza e l’ha aiutato a comprare l’auto che utilizzava per i suoi spostamenti.
«L’ho trovato in forma, aspettiamo la conclusione delle indagini» dice l’avvocato del geometra al termine dell’udienza dedicata all’interrogatorio di garanzia. Un evidente cambio di strategia difensiva rispetto alla prima fase d’inchiesta, quando Bonafede, sentito dagli inquirenti dopo il blitz di lunedì, aveva fatto mezze ammissioni. Verità mischiate a menzogne, sostengono gli investigatori, propensi a credere che il fedelissimo del padrino abbia ammesso solo quel che non poteva negare: come l’aver dato la carta d’identità a Messina Denaro, l’aver comprato per suo conto, con 15mila euro ricevuti dal boss, la casa di vicolo San Vito in cui il capomafia viveva e di avergli dato una mano ad acquistare la Giulietta.

Sul resto, il geometra di Campobello ha raccontato frottole. Ha detto, ad esempio, di conoscere fin da ragazzo il capomafia, ma di averlo perso di vista fino a un anno fa e di averlo incontrato, da gennaio del 2022, solo in due occasioni. In entrambe Messina Denaro gli avrebbe chiesto aiuto: per curarsi e per trovare un appartamento. E Bonafede l’avrebbe accontentato dandogli la carta d’identità e il codice fiscale utilizzati per le terapie oncologiche e comprandogli casa. Ma le date non tornano perché agli inquirenti risulta che un Andrea Bonafede, di certo non il geometra e quindi il capomafia con i documenti dell’altro, a dicembre del 2020 si è operato all’ospedale di Mazara del Vallo per un cancro al colon. Ciò dimostra che il «prestito» di identità risale almeno a un anno prima di quel che il geometra sostiene. Continuano intanto le perquisizioni degli investigatori a Campobello di Mazara, alla ricerca di elementi utili per scoprire la rete di fiancheggiatori che hanno favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Stasera i carabinieri del Ros hanno perquisito l’abitazione degli ex suoceri di Andrea Bonafede, che si trova da lunedì in carcere. I coniugi sono morti anni addietro e la casa risulta disabitata da tempo, in via San Giovanni, a poche centinaia di metri dall’abitazione di Giovanni Luppino e dell’appartamento dove, sino a giugno scorso, avrebbe vissuto Messina Denaro

Il tempo dirà se Bonafede tradirà l’amico e racconterà gli ultimi due anni, almeno, della sua latitanza, o se continuerà a tacere. Proseguono, intanto, le indagini sulla casa del boss, sul bunker nascosto trovato in casa del fratello di un condannato per mafia, Errico Risalvato, e sull’appartamento di via San Giovanni, sempre a Campobello di Mazara, in cui il padrino avrebbe vissuto prima di trasferirsi nell’ultimo covo. Gli immobili sono stati perquisiti approfonditamente anche con l’uso del georadar che può individuare stanze o locali nascosti. «Smentiamo che l’immobile sia stato un rifugio di Messina Denaro e che in casa ci fosse un bunker. Quello trovato era un ripostiglio in cui venivano conservati oggetti preziosi della famiglia», dicono gli avvocati Mattozzi e Stallone che difendono Risalvato. Stamattina è stata perquisita anche la casa di famiglia di Messina Denaro a Castelvetrano. I carabinieri hanno passato al setaccio l’appartamento trovando, oltre a vecchie foto del capomafia, una scatola con i suoi vecchi Ray Ban a goccia, un libro sulla mafia e una bottiglia di champagne. Il padrino, portato dopo l’arresto nel carcere de L’Aquila, continua a rinunciare alle udienze in cui è imputato: la scorsa settimana quella a Caltanissetta del processo d’appello per le stragi mafiose del ‘92 e oggi quella davanti al gip nel procedimento contro la mafia agrigentina e trapanese. La sua posizione è stata stralciata da quella degli altri imputati perché era latitante. Con il boss chiuso in carcere, a Campobello di Mazara e Castelvetrano sono stati organizzati altri due cortei contro la mafia, conclusi entrambi a vicolo San Vito, davanti al covo dell’ex super latitante. Tra la gente, anche il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Angelo Giurdanella e il vescovo emerito monsignor Domenico Mogavero. GdS


24.1.2023 – Chi ha incastrato Andrea Bonafede: il golem di Messina Denaro “tradito” da un commerciante d’auto

Dai tempi delle prime operazioni dell’antimafia i fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro vengono chiamati “golem“. Nella mitologia ebraica erano figure antropomorfe che venivano “svegliati” per sottostare ai voleri di chi li utilizzava. Nella dialettica dell’Antimafia sono lì ad indicare le persone che hanno protetto la latitanza dell’Ultimo dei Corleonesi. Tra questi c’è Andrea Bonafede, arrestato ieri nonostante abbia negato di sapere chi fosse la persona a cui faceva da autista. Secondo gli inquirenti Bonafede era “uomo d’onore riservato”. Era stato quindi creato come mafioso ma all’insaputa del resto dell’organizzazione. La casa della madre Giuseppa Cicio è stata molto probabilmente utilizzata dal boss. Ma, racconta oggi La Stampa, su Bonafede c’è anche una storia che riguarda il modo in cui è stato incastrato. Un rivenditore d’auto di nome Giovanni Tumminello si è presentato dai carabinieri nei giorni scorsi. E ha detto che l’automobile di Messina Denaro, intestata alla signora Cicio, l’aveva presentata «personalmente» e «senza pagare in contanti» un signore che si era presentato come Andrea Bonafede. Ma che lui ha riconosciuto adesso come Matteo Messina Denaro. La Giulietta nera ritrovata domenica era in un recinto di un terreno a Campobello di Mazara. Di proprietà di Antonino Luppino. Il figlio di Giovanni. OPEN

 


23.1.2023 Il geometra che ha coperto la latitanza di Messina Denaro: ecco perché Andrea Bonafede è stato arrestato

Sulla carta un insospettabile geometra, con la passione per i viaggi, ma nella realtà Andrea Bonafede era un “uomo d’onore riservato” al servizio del boss latitante Matteo Messina Denaro. Ecco perché poco prima delle 19 di oggi i carabinieri del Ros lo hanno arrestato nella casa della sorella a Tre Fontane, a Campobello di Mazara (Trapani). L’uomo, al momento dell’arresto, non ha detto una parola. E’ salito sull’auto dei carabinieri in silenzio.

Durissimo il gip Alfredo Montalto nella ordinanza di custodia cautelare. Il giudice per la indagini preliminari ricorda il “ruolo di eccezionale rilevanza sia fattuale che simbolica ricoperto da Messina Denaro nell’ambito dell’associazione mafiosa”.  
«La figura del Bonafede appare, dunque, piuttosto riconducibile a quella dell’affiliato ‘riservatò al servizio diretto del capomafia – scrive il gip – E tale qualifica appare confermata dal protrarsi nel tempo della condotta del Bonafede e dalla reiterazione di condotte di diversa tipologia attuate da quest’ultimo per consentire al Messina Denaro non soltanto di proseguire la sua latitanza, ma altresi e soprattuto per mantenere il suo ruolo di comando nell’organizzazione mafiosa ben dimostrato dalle molteplici risultanze delle indagini che in questi anni hanno condotto ad innumerevoli arresti di affiliati oltre che da ultimo, al momento dell’arresto del Messina Denaro, dalla sua disponibilità di ingenti risorse economiche che non possono trovare altra spiegazione se non nella detta persistenza del ruolo direttivo ed operativo al vertice dell’organizzazione mafiosa».
Per il gip, Andrea Bonafede «ha consapevolmente fornito a Matteo Messina Denaro, per oltre due anni, ogni strumento necessario per svolgere le proprie funzioni direttive: identità riservata, un covo sicuro, mezzi di locomozione da utilizzare per spostarsi in piena autonomia». 
Poi ribadisce: «Occorre innanzitutto evidenziare che la difesa minimizzatrice tentata dal Bonafede allorché è stato sentito subito dopo l’arresto di Messina Denaro (il 16 gennaio 2023) è stata già documentalmente e quindi inconfutabilmente smentita dagli accertamenti investigativi che l’hanno seguita”. “Si aggiunga – scrive il gip riprendendo la richiesta dei pubblici ministeri – che le condotte di Andrea Bonafede si sono protratte certamente per molti mesi: le parziali ammissioni della persona sottoposta alle indagini, alla luce dei preliminari riscontri raccolti, confermano che l’acquisto della abitazione e la cessione di un documento di identità sul quale apporre la propria fotografia risalgono ad un periodo risalente almeno al 27 luglio 2020 (epoca di acquisto della prima autovettura) o comunque al 13 novembre 2020 (epoca del primo intervento subito da Matteo Messina Denaro sotto le mentite spoglie di Andrea Bonafede». 
Per il gip di Palermo, Andrea Bonafede «ha, in concreto, fornito un apporto di non certo secondaria importanza per le dinamiche criminose dell’associazione mafiosa della provincia di Trapani, avendo così consentito a Messina Denaro, non soltanto di mantenere la sua latitanza, ma soprattutto, anche mediante la sua presenza nel territorio, di continuare ad esercitare il ruolo direttivo dell’organizzazione mafiosa». 
«Bonafede – scrive ancora il gip Alfredo Montalto – ha un’estrazione familiare compatibile con il ruolo di partecipe dell’associazione mafiosa (e che, allo stesso tempo, spiega perché Messina Denaro Matteo si sia potuto a lui rivolgere), dal momento che egli è nipote (figlio del fratello) del noto Bonafede Leonardo, già reggente proprio della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara che ha protetto, quanto meno negli ultimi anni, la latitanza dello stesso Messina Denaro Matteo consentendogli di svolgere appieno il ruolo di capo indiscusso della consorteria di Cosa nostra nella provincia di Trapani». 


21.1.2023 – ”Andrea Bonafede era minacciato, aveva paura”, così l’ex compagna del prestanome di Messina Denaro

Rosa Leone, ex compagna di Andrea Bonafede, il prestanome di Messina Denaro, ha spiegato che l’uomo avrebbe agito per paura: “Era stato minacciato”, le parole della donna a pochi giorni dall’arresto del boss.

“Tra me e Andrea Bonafede è finito tutto. L’ultima volta che l’ho visto? È stato qui fino a mercoledì, poi basta”. Così Rosa Leone, quella che è ormai la ex compagno dell’uomo la cui identità è stata “rubata” da Matteo Messina Denaro per nascondere la sua latitanza. Raggiunta nella sua abitazione da alcuni giornalisti, tra cui i microfoni di Fanpage.it, la donna ha risposto ad alcune domande Bonafede.

Quando le è stato chiesto se sapesse o meno che il compagno aveva prestato la sua identità a Messina Denaro, Rosa Leone ha risposto negativamente: “Non sapevo nulla, non mi ha mai raccontato nulla – le sue parole – quando l’ho saputo sono rimasta malissimo. Avevo una bomba a casa e non lo sapevo.
Dunque la donna avrebbe saputo solo dopo l’arresto del boss che Bonafede era coinvolto in quella latitanza e dinanzi a quella scoperta ha affrontato l’uomo chiedendogli spiegazioni. “Per paura. Lo ha fatto per paura – spiega Rosa Leone – era stato minacciato”.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, la donna aveva ribadito la propria incredulità per quanto successo dopo l’arresto di Messina Denaro: Andrea mi ha nascosto tutto. La nostra vita è distrutta, è tutto finito. Anche se io l’amo ancora tantissimo”. I due avrebbero avuto una relazione durata ben 11 anni, durante i quali il boss di Cosa nostra avrebbe utilizzato l’identità di Bonafede per sfuggire alla giustizia.
Mi metto nei suoi panni – ha continuato la donna – come faceva a dire di no a Matteo Messina Denaro? Credo che anch’io avrei fatto così se mi fosse capitato, anch’io per paura avrei ceduto a un boss di quel calibro la mia carta d’identità. Adesso però l‘ho lasciato, ho chiuso con lui, mi ha tenuto tutto nascosto. Ora non voglio saperne più niente”.

(Ha collaborato alla stesura di questo articolo Roberto Marrone)


 

21.1.2023 Matteo Messina Denaro, l’ex compagna di Andrea Bonafede: «Non mi aveva detto nulla, l’ho lasciato appena ho saputo»

di Fabrizio Caccia CORRIERE DELLA SERA

Rosa Leone si dice sconvolta dopo aver scoperto che il suo uomo «ha prestato» l’identità al boss Matteo Messina Denaro: «Le telecamere fuori casa nostra? Per i vandali»

Rosa Leone è sull’uscio di casa, ha sentito arrivare una macchina nella strada stretta, così d’istinto ha aperto la porta, forse pensava che fosse lui: Andrea Bonafede. Questa non è un’intervista, è lo sfogo di una donna che racconta di essere in frantumi, l’incontro con una persona incredula, spaventata, ancora sotto shock dal giorno dell’arresto di Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra che lunedì a Palermo aveva in tasca la carta d’identità dell’uomo che era convinta di conoscere. «Mi è esplosa una bomba in casa», dice appena ci presentiamo. Lo ripeterà più volte.

Buongiorno signora, lei è la moglie del vero Andrea Bonafede?
«In realtà io sono la sua compagna da 11 anni, l’ex moglie si chiama Antonella Leone, abbiamo lo stesso cognome ma non siamo imparentate. Adesso però l’ho lasciato, ho chiuso con lui, non voglio saperne più niente».

Come, scusi?
«L’ho lasciato appena ho saputo, io non mi ero accorta di nulla, Andrea mi ha nascosto tutto».

Possibile che lei dopo 11 anni di vita insieme non ne sapesse nulla? E perché mai avrebbe dovuta tenerla all’oscuro? Per proteggerla, per non sconvolgerle la vita?
«Ah, perché adesso invece la nostra vita forse non è sconvolta? La nostra vita è distrutta, glielo dico io, ci è esplosa una bomba in casa, è tutto finito. Anche se io l’amo ancora tantissimo».

Comincia a piangere a singhiozzi. Un pianto disperato. Andrea Bonafede fino a ieri era l’uomo di cui si fidava ciecamente, che aveva presentato ai suoi genitori, ai suoi figli. Il loro album è pieno di ricordi: mille foto di viaggi, feste, compleanni. Ora cerca di trovare una spiegazione per tutto questo.

Almeno ha provato a chiarire con Bonafede, a parlarci?
«Sì, dopo essere stato interrogato per ore è venuto a casa, abbiamo parlato. E lui mi ha scongiurato, mi ha detto: “Scusa Rosa ma che dovevo fare? Iddu si è presentato da me e mi ha chiesto i documenti…”».

Ha detto se è stato minacciato da Messina Denaro?
«Non lo so questo, Andrea mi ha detto che loro due si conoscono da quando erano ragazzi. In fondo lo capisco, mi metto nei suoi panni: come faceva a dire di no a Matteo Messina Denaro? Credo che anch’io avrei fatto così se mi fosse capitato, anch’io per paura avrei ceduto a un boss di quel calibro la mia carta d’identità. Anzi, le dico di più…».

Prego.
«Tutti secondo me al suo posto l’avremmo fatto».

Non proprio tutti. E lei intanto ha scelto di non perdonarlo…
«Ho deciso così, non lo voglio più vedere, sono delusa, arrabbiata. Lui mi ha nascosto tutto!».

Anche di aver comprato una casa a nome suo ma con i soldi di Messina Denaro?
«Non mi ha mai detto niente di niente. Così adesso sono pure molto preoccupata. Gli inquirenti hanno sequestrato il telefonino anche a me! Ora mi aspetto interrogatori, l’assedio dei giornalisti, una vita d’inferno. Non ce la faccio proprio. La notte non dormo più, mi aiuto con i farmaci ma è durissima».

Ha messo anche quattro telecamere fuori…
«Ma non c’entrano gli ultimi fatti. Le telecamere ci sono da tempo. Subii un atto di vandalismo contro la porta di casa».

Parliamo di Bonafede.
«Lui è buono, gentile con tutti, un gran lavoratore. Piace molto anche ai miei due figli che ormai sono grandi ma lo considerano il loro papà».

Dove vi siete conosciuti?
«All’Acquasplash di Tre Fontane, io ero l’amministratrice del parco che purtroppo non ha più riaperto dopo la pandemia. Lui lavorava lì».

Era una specie di factotum, staccava i biglietti, puliva la piscina, riparava gli scivoli…
«Sì, Andrea aggiusta tutto. E undici anni fa ci siamo messi insieme, tra noi ci sono 15 anni di differenza».

Lui a ottobre prossimo compirà 60 anni.
«Infatti era una storia bellissima (Rosa ora piange di nuovo, ndr). Avremmo vissuto la nostra vecchiaia insieme…».



Chi è Andrea Bonafede, l’identità rubata da Matteo Messina Denaro

Al momento dell’arresto Matteo Messina Denaro si nascondeva dietro un falso nome, un’identità che gli ha permesso di accedere alle terapie all’interno della clinica Maddalena di Palermo dove è stato trovato dai carabinieri del Ros.
Il boss di Castelvetrano era in possesso della carta d’identità di un certo Andrea Bonafede. Un documento valido per altri tre anni con scadenza il 23 ottobre del 2026. Non è chiaro da quanto utilizzasse quel nominativo e se sia l’unico documento falso attualmente in possesso di Matteo Messina Denaro.
La procura di Palermo è riuscita a intercettare il vero Andrea Bonafede, un geometra di 59 anni, nato il 23 ottobre del 1963, e nipote dello storico capomafia Leonardo Bonafede deceduto nel novembre del 2020 all’età di 88 anni.
Bonafede, che è già stato in cura presso la clinica Maddalena di Palermo, è stato interrogato ieri dagli inquirenti che cercano di capire come sia possibile che il boss di Cosa nostra sia riuscito ad ottenere la sua identità e se ci sia stata una eventuale connivenza. Bonafede risulta essere anche il proprietario dell’appartamento usato come covo da Messina Denaro.


Caso Matteo Messina Denaro, parla Rosa Leone, ex compagna di Andrea Bonafede: «L’ho lasciato appena ho saputo»

La compagna da 11 anni dell’uomo che ha ceduto la sua identità al boss di Cosa Nostra rompe il silenzio e spiega di aver messo fine alla loro relazione

Un fulmine a ciel sereno. È stata più o meno questo per Rosa Leone, compagna da 11 anni di Andrea Bonafede, scoprire che il suo uomo aveva prestato il suo nome a Matteo Messima Denaro, il boss di Cosa Nostra arrestato a Palermo nella giornata di lunedì 16 gennaio con in tasca la carta d’identità del suo uomo.«Mi è esplosa una bomba in casa», ha detto la donna in un’intervista al Corriere della Sera, spiegando di non essere più legata a lui. «L’ho lasciato, ho chiuso con lui, non voglio saperne più niente. L’ho lasciato appena ho saputo. Non mi ero accorta di nulla, Andrea mi ha nascosto tutto». Pur ammettendo di amare ancora Andrea Bonafede, l’uomo di cui fino a non troppo tempo prima si fidava ciecamente, Rosa Leone ha detto di aver provato a vederci chiaro una volta che la notizia ha fatto il giro del mondo. «Dopo essere stato interrogato per ore è venuto a casa, abbiamo parlato. E lui mi ha scongiurato, mi ha detto: “Scusa Rosa ma che dovevo fare? Iddu si è presentato da me e mi ha chiesto i documenti…”. Andrea mi ha detto che loro due si conoscono da quando erano ragazzi. In fondo lo capisco, mi metto nei suoi panni: come faceva a dire di no a Matteo Messina Denaro? Credo che anch’io avrei fatto così se mi fosse capitato. Anch’io per paura avrei ceduto a un boss di quel calibro la mia carta d’identità. Nonostante questo, Leone dice di non tornare indietro pur definendo Andrea Bonafede «un uomo buono, gentile con tutti, un gran lavoratore»: «Non lo voglio più vedere, sono delusa, arrabbiata. Lui mi ha nascosto tutto». Pare, inoltre, che Rosa ignorasse anche che Andrea Bonafede avesse comprato una casa a suo nome ma con il denaro di Matteo Messina Denaro: «Non mi ha mai detto niente di niente. Così adesso sono pure molto preoccupata. Gli inquirenti hanno sequestrato il telefonino anche a me. Ora mi aspetto interrogatori, l’assedio dei giornalisti, una vita d’inferno. Non ce la faccio proprio. La notte non dormo più». La coppia – che aveva 15 anni di differenza – si era conosciuta All’Aquasplash di Tre Fontane, struttura dove Leone era amministratrice e Bonafede il tuttofare, ma ora pare che per loro non ci sia più niente da fare. «Avremmo vissuto la nostra vecchiaia insieme…». Ora, più nulla.


Altre storie di Vanity Fair che ti potrebbero interessare:

Messina Denaro, una paziente della clinica: «Faceva la chemio con me, aveva dato il numero alle mie amiche»

Messina Denaro, parla il fratello di Giuseppe di Matteo, sciolto nell’acido a 12 anni: «Gli auguro una lunga sofferenza»

Matteo Messina Denaro: il patrimonio, il covo e gli affari del boss

 


Matteo Messina Denaro, il covo era di proprietà di Andrea Bonafede | L’uomo parla con i pm

L’uomo ha fatto alcune ammissioni, dicendo di conoscere il boss fin da quando era ragazzo: ora è indagato per associazione mafiosa

È di proprietà di Andrea Bonafede il covo di vicolo San Vito dove si nascondeva il boss Matteo Messina Denaro, nel centro di Campobello di Mazara.

Andrea Bonafede, 59enne geometra, è lo stesso titolare della carta d’identità utilizzata da Messina Denaro. Bonafede avrebbe parlato con i pm facendo alcune ammissioni: avrebbe detto di conoscere Messina Denaro fin da quando era ragazzo, e di essersi prestato a comprare, con i soldi del padrino, la casa in cui questi ha passato l’ultimo anno. Ora l’uomo è indagato per associazione mafiosa.


Bonafede ammette: «Ho comprato io il covo per Messina Denaro» – Il documento firmato dal prestanome

«Conosco Messina Denaro fin da quando eravamo ragazzini. La casa in cui viveva l’ho comprata io con i suoi soldi». Sarebbero queste le parole rivolte da Andrea Bonafede, prestanome di Matteo Messina Denaro, agli inquirenti. Il boss mafioso ha usato per anni lo pseudonimo prestatogli dall’amico – indagato per associazione mafiosa – e le sue generalità per ogni esigenza. Così conoscevano il boss anche nella clinica La Maddalena, dove è avvenuto l’arresto dopo trent’anni di latitanza. Ed è proprio di Bonafede, quello vero, la firma sull’atto di compravendita della casa divenuta il Covo del mafioso. Una dimora di media grandezza a Campobello di Mazara, provincia di Trapani e a ottanta chilometri da Palermo; quattro vani più le cosiddette «pertinenze», acquistata sei mesi fa da una coppia residente nella stessa zona (nell’atto che pubblichiamo abbiamo oscurato le generalità). Non è chiaro da quanto tempo il boss vivesse nella palazzina di via Cb Trentuno, ma ha effettivamente comprato l’appartamento il 15 giugno scorso. Secondo le prime indiscrezioni seguite alla perquisizione, all’interno i carabinieri hanno trovato profumi, abiti di lusso, viagra e preservativi, ma non armi. Non è chiaro se ci sia traccia del famoso archivio di Totò Riina, sparito quando, trent’anni or sono, dopo la cattura il suo covo non fu perquisito.


16.6.2020 Trapani, arrestati due fedelissimi di Messina Denaro. Perquisita la casa della madre del superlatitante

I pizzini di Matteo Messina Denaro arrivavano nelle campagne fra Mazara del Vallo e Salemi. La squadra mobile di Trapani ha individuato un altro anello della catena di comunicazione del superlatitante che sembra essere diventato imprendibile dal giugno 1993. Questa notte, sono scattati due arresti. E sono state eseguite circa quindici perquisizioni: la polizia ha passato al setaccio anche l’abitazione della famiglia Messina Denaro, nel centro di Castelvetrano, dove abita l’anziana madre del boss. Nel salotto, l’immagine del padrino stile Andy Warhol, con una corona in testa. Il padrino venerato, il padrino diventato un fantasma.
 Nel corso del blitz della squadra mobile diretta da Fabrizio Mustaro è stato arrestato l’ennesimo “postino” dei pizzini. È Giuseppe Calcagno, 46 anni, un fedelissimo dell’anziano capomafia di Mazara Vito Gondola, che era stato fermato cinque anni fa: proprio in quell’indagine erano emersi i nomi di Calcagno e di Marco Manzo, arrestato pure lui stanotte. L’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido ha provato a svelare gli altri passaggi della catena di comunicazione del latitante, in un dialogo è emersa la traccia di un biglietto che sarebbe giunto da Messina Denaro. In questa indagine, il boss è indagato per tentata estorsione: su sua indicazione, la famiglia mafiosa sarebbe intervenuta per convincere i proprietari di un terreno a vendere.

Nella masseria la centrale di comunicazione per i pizzini di Messina Denaro

“Ci vediamo alla mannara” diceva Vito Gongola, che è morto tre anni fa. “Ho una rinisca (una pecora, ndr ) buona – sussurrava un altro favoreggiatore al telefono – quando vossia finisce di mungere la scannamu“.  Sembrano usciti da un romanzo di Andrea Camilleri gli uomini che proteggevano la latitanza di Matteo Messina Denaro. Allevatori che parlavano in dialetto stretto al servizio del padrino che è diventato l’emblema della mafia 2.0. Un altro ancora chiedeva: “La ricotta è pronta?”. Era il segnale che i pizzini del latitante erano arrivati. ‘U zu Vito, il custode delle comunicazioni di Messina Denaro, nascondeva i messaggi sotto un masso, in campagna.  
 Adesso, l’ultima tranche dell’indagine, coordinata dai sostituti Gianluca De Leoe Giovanni Antoci, ricostruisce le mosse di Calcagno e Manzo: il primo si occupava della rete di comunicazione del latitante, il secondo dei collegamenti con gli altri mandamenti; Manzo è uno dei picciotti del clan che nel 2008 incendiò la casa al mare del consigliere comunale Pasquale Calamia. L’esponente del Pd si era permesso di chiedere a gran voce l’arresto di Messina Denaro.
“L’indagine è un altro duro colpo agli assetti mafiosi nel territorio del latitante Matteo Messina Denaro – dice Fabrizio Mustaro -. Il lavoro investigativo ha disvelato che i 15 indagati e gli arrestati si sono adoperati per garantirne gli interessi economici, il controllo del territorio e delle attività produttive per aver favorito, in passato, la trasmissione dei pizzini del latitante”.
La squadra mobile ha accertato che i pizzini arrivavano in alcune date ben precise.  “Arrivano con la stessa carrozza”, dicevano i mafiosi. Ma non si è ancora scoperta con certezza quale fosse la “carrozza” che portava i pizzini, chissà da dove.
 Di sicuro, Messina Denaro imponeva regole precise per i biglietti: vanno distrutti subito dopo la lettura, e le risposte devono essere recapitate entro 15 giorni. Ma del contenuto dei pizzini continuiamo a non sapere nulla. Gli inquirenti hanno il sospetto che quei biglietti possano essere andati in giro per l’Europa. Viaggiava molto un fedelissimo di Gondola, l’imprenditore Mimmo Scimonelli. Si divideva fra il Vinitaly, per presentare il suo consorzio di produttori, e la Svizzera, dove aveva aperto alcuni conti. La caccia continua. LA REPUBBLICA 


 
04.2018 Anno Zero. L’operazione in Sicilia della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo contro la rete di Matteo Messina Denaro

 


19.10.2016 “La sorella di Messina Denaro era al vertice di Cosa Nostra”

Il concorso esterno diventa associazione mafiosa: condanna a 14 anni in appello

È più di un capo: è un’ambasciatrice, una portavoce fidata del fratello latitante. E il latitante non è un mafioso qualsiasi: è Matteo Messina Denaro, che tutti cercano ma che solo lei trova. Per tre volte nel giro di meno di 60 giorni, nel 2013. Da dicembre di tre anni fa Anna Patrizia Messina Denaro, 46 anni, è in carcere. Condannata a una pena già severa a Marsala, nel 2015, ieri la donna se l’è vista aumentare in appello, a Palermo: non più 13 anni ma 14 e mezzo, non più per il reato di concorso esterno ma per associazione mafiosa secca. Pericolosissima, è ritenuta: madre di tre figli ma pienamente inserita nella famiglia mafiosa di Castelvetrano, quella capeggiata dal «fantasma» ricercato da nuclei speciali superaddestrati di tutte le forze dell’ordine e rintracciabile solo da lei. Patrizia poi ha un ruolo di enorme responsabilità: trasmettere, dell’introvabile boss, la volontà e gli ordini, che volendo potrebbe manipolare a suo piacimento. Ma l’autorità che le viene riconosciuta, sebbene si tratti di una donna in un ambiente culturalmente retrivo come quello mafioso, sono indiscutibili. Pena quanto mai severa, dunque, e non solo per l’imputata eccellente. La terza sezione della Corte d’appello, presieduta da Raimondo Loforti, ribalta l’assoluzione per Antonino Lo Sciuto, imprenditore di Castelvetrano, condannato a 13 anni e mezzo e arrestato non appena uscito dall’aula, su ordine dei giudici e in accoglimento della richiesta presentata dal pg Mirella Agliastro. Pena confermata (16 anni) per Francesco Guttadauro, figlio del mafioso Filippo Guttadauro e nipote diretto di Patrizia e Matteo Messina Denaro. Il ruolo centrale della Messina Denaro è documentato da un video registrato in cella dagli investigatori: tra i boss detenuti era circolata la notizia del presunto pentimento di un prestanome, Giuseppe Grigoli, un imprenditore il cui patrimonio da 700 milioni è stato confiscato; Vincenzo Panicola, marito di Patrizia Messina Denaro, aveva chiesto al cognato latitante, tramite la moglie, di autorizzare il pestaggio o l’omicidio in cella. La donna aveva incontrato il fratello due volte, tra il 23 aprile e il 3 maggio 2013, e poi di nuovo fra il 3 maggio e il 19 giugno. Il video era apparso quasi comico. La Messina Denaro, ridendo e scherzando per cercare di ingannare gli investigatori che la ascoltavano, aveva riportato la volontà del capo: «Che nessuno lo tocchi!». E nessuno lo toccò. LA STAMPA

 

30.1.2021 – Confiscati beni per 4,5 milioni a imprenditori legati a Messina Denaro

La confisca ha riguardato l’intero patrimonio riconducibile a due imprenditori trapanesi e interessa l’intero capitale sociale e il patrimonio aziendale di tre imprese, nonché numerosi appartamenti

AGI – Beni per 4,5 milioni di euro sono stati confiscati dalla Direzione investigativa antimafia a Marco Giovanni Adamo e al figlio Enrico Maria, imprenditori originari di Castelvetrano, in provincia di Trapani, attivi nel settore del movimento terra e dell’edilizia, e vicini alla cosca di Matteo Messina Denaro. Entrambi molto noti nella cittadina per il loro impegno in politica, in particolare il figlio è stato assessore e componente del Consiglio comunale di Castelvetrano. La confisca, disposta dalla Sezione Penale e Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani, ha riguardato l’intero patrimonio riconducibile ai due e interessa l’intero capitale sociale e il patrimonio aziendale di tre imprese,nonché numerosi appartamenti, terreni, automezzi, un’imbarcazione da diporto, conti correnti bancari e disponibilità finanziarie. 

I due, già colpiti nel 2017 dal sequestro, erano emersi nell’ambito dell’operazione “Eva” condotta dalla Dia che aveva evidenziato, tra l’altro, l’esistenza di legami con ambienti mafiosi trapanesi e agrigentini per l’aggiudicazione di importanti appalti come le condotte idriche per la distribuzione delle acque invasate nella diga Delia, il metanodotto tra Menfi e Mazara del Vallo e l’acquedotto Montescuro Ovest. Marco Giovanni Adamo, in particolare, avrebbe beneficiato dell’appoggio del mandamento capeggiato da Messina Denaro.
Il figlio è divenuto amministratore delle aziende di famiglia quando quest’ultimo ha temuto provvedimenti giudiziari. Avrebbe consentito l’infiltrazione mafiosa delle imprese di Lorenzo Cimarosa, all’epoca uno dei referenti imprenditoriali di Cosa nostra, nei lavori per la realizzazione del centro comunale polifunzionale di Castelvetrano, formalmente aggiudicati ad una impresa ragusana poi colpita da provvedimento interdittivo della prefettura di Trapani. I rapporti degli Adamo con Cosa nostra sono stati confermati anche da alcuni collaboratori di giustizia. Nei confronti dei due proposti è stata applicata anche la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per tre anni e sei mesi per Marco Giovanni Adamo, e di due anni e sei mesi per il figlio, entrambi con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.


Mafia: Dia confisca beni a fiancheggiatore Messina Denaro

Imprenditore Castelvetrano opera nel settore delle scommesse

“Io anarchico, facevo leggere Kant a Matteo Messina Denaro”

All’epoca era già un killer di mafia, suo padre l’aveva messo sotto la tutela di Salvatore Riina. Cosa le diceva?
«Ripeteva di sentirsi prigioniero. E che il suo destino era ormai segnato».

Lei come replicava?
«Gli dicevo che con la sua personalità poteva fare qualcosa di importante per la Sicilia. Capii subito che aveva un’intelligenza superiore rispetto a tutti gli altri giovani che vivevano la sua stessa condizione. Gli ripetevo che avremmo dovuto lottare per l’indipendenza della Sicilia».

Con chi veniva nel suo locale, Agorazein?
«Era spesso in compagnia di una bellissima ragazza austriaca, Andrea. Ma a casa mia arrivava da solo, per leggere i miei libri».

Anche nel suo ultimo covo di Campobello ne aveva tanti. Che effetto le ha fatto vedere quella piccola libreria nel salotto dove il boss teneva anche il poster del Padrino e del Joker?
«Tutti i libri che gli ho dato sono stati una grande occasione persa, non lo hanno liberato».

La magistratura ritiene che invece lei abbia finito per aderire alle idee criminali di Messina Denaro: ha scontato una condanna a 18 anni per traffico di droga.
«In realtà, sono stato scagionato dalla polizia elvetica, dall’Fbi e da un pentito. C’erano tante prove a mio favore, ma mi condannarono comunque. Forse perché mi rifiutai di fare l’infiltrato per catturare Messina Denaro?».

In carcere scrisse anche una poesia per il suo amico latitante. Faceva così: «Attraversa il tuo ponte… e quando si spezzerà ricomincia a volare… e respira a pieni polmoni l’odore allucinante della vita perché le persone come te e come me non conoscono catene».
«Non è un manifesto criminale, ma solo un invito a liberarsi. Lo stesso invito che gli faccio oggi. Spero che Matteo abbia la forza di liberarsi da tutti i segreti che conserva. E così libererà pure tutti noi. Mi chiedo però se lo Stato sia pronto a queste verità».

In questi ultimi anni ha avuto contatti con Messina Denaro?
«Mai».

Eppure, nel 2014, venne arrestato nell’ambito di un’inchiesta sui favoreggiatori del padrino latitante.
«Sono rimasto in carcere 13 mesi e poi un giudice mi ha assolto con formula piena. Sentenza confermata in appello».

L’ha sorpreso vedere che Messina Denaro non si era mai allontanato dalla provincia di Trapani?
«Arrivato al termine della vita avrà deciso di abbassare le difese. E magari prima avrà affidato le sue carte importanti a qualcun altro».

Un passaggio di testimone?
«Forse».

Si definisce ancora anarchico?
«Alla maniera di Giorgio Gaber, e in nessun altro modo. Vivo ormai da anni nella mia solitudine, fra i libri con cui ho cercato di liberare Matteo Messina Denaro».

MATTEO MESSINA DENARO, fine di una latitanza trentennale