ARCHIVIO commissione Antimafia

 

 


Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie XVIII Legislatura (dal 23 marzo 2018 al 12 ottobre 2022)

Pubblicazione della parte declassificata (già parte segreta) del resoconto stenografico dell’audizione del Direttore del SISDE del 12 gennaio 1993 – Commissione Antimafia XI Legislatura

Nel corso del ciclo delle audizioni svolte in plenaria dalla Commissione Parlamentare Antimafia, in ambito della XI Legislatura, Presidente onorevole Luciano Violante, il 12 gennaio 1993 viene audito il Prefetto Angelo Finocchiaro, da pochi mesi insediatosi quale Direttore al Servizio per le informazioni e la Sicurezza Democratica.Nello svolgimento dell’audizione vengono toccati anche argomenti quali la collaborazione di Gaspare Mutolo e di Leonardo Messina.

parte declassificata_con omissis_aud_Finocchiaro 12_01_1993.

L’audito espone inizialmente su argomenti di analisi di carattere generale, sulla competenza dei servizi in tema di criminalità organizzata, rappresentando lo spartiacque dato dalla legge n. 410 del 30 dicembre 1991 che istituzionalizza la predetta competenza per il SISDE.


Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie XVIII Legislatura (dal 23 marzo 2018 al 12 ottobre 2022)

Pubblicazione della banca dati contenente gli atti declassificati dalla Commissione Antimafia (Progetto DB OPEN)

Nel corso della XVIII legislatura la Commissione in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha sviluppato una banca dati tecnologicamente avanzata corredata da un motore di ricerca, denominata DB OPEN e raggiungibile al link https://dbopen.ba.cnr.it/.

L’agevole accesso ai documenti declassificati dalla Commissione risulta di notevole utilità per i parlamentari che vorranno approfondire temi utili ai futuri lavori; rappresenta una risorsa di valore per il mondo accademico che avrà nuova linfa culturale per sviluppare ricerche sul tema della mafia, dell’antimafia e sulle figure istituzionali che hanno contribuito a contrastare questo cancro sociale; è certamente un nuovo ed importante tassello nella formazione della cultura dell’antimafia per le future generazioni e per il mondo scolastico.Per la realizzazione di questo innovativo progetto di ricerca e sviluppo tecnologico, il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha messo a disposizione qualificate risorse professionali e strumentali. Questo importante strumento, agevola la divulgazione del patrimonio documentale della Commissione permettendo a chiunque di poter accedere a documenti altrimenti visionabili esclusivamente presso gli Archivi storici del Parlamento. Nella piattaforma DB OPEN sono liberamente fruibili e indicizzati atti precedentemente classificati come riservati e segreti, per un totale di 22.770 pagine e 26 contenuti multimediali.


Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie. XVIII Legislatura (dal 23 marzo 2018 al 12 ottobre 2022)

Pubblicazione di atti relativi ad interrogatori resi avanti i magistrati Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giovanni Falcone negli anni 1984 e 1988

Uno dei delitti più inquietanti e misteriosi avvenuti in Sicilia si consumò il 20 agosto 1977, in località Ficuzza nel contado di Corleone, in danno del Colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo, ucciso insieme al professor Filippo Costa.

I documenti pubblicati da questa Commissione parlamentare d’inchiesta, accompagnati da alcune riflessioni del Presidente del Tribunale di Palermo, dott. Antonio Balsamo e del consulente della Commissione, dott. Nicola Biondo, ancora inediti concernono tre interrogatori svolti il primo, il 5 dicembre 1984 dai magistrati Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta a Roma, un secondo dal solo Paolo Borsellino a Palermo il 20 dicembre 1984, il terzo, infine, dal giudice Giovanni Falcone, sempre a Roma il 25 marzo 1988.

Dunque, a più riprese, i magistrati siciliani interrogarono le persone che erano state, al tempo, considerate responsabili per il duplice delitto: Casimiro Russo e Rosario Mulé.

Gli interrogatori, erano tesi a fare chiarezza sull’assassinio del colonnello Russo e del professor Costa, dato che i molti dubbi circa la colpevolezza dei presunti autori erano tutt’altro che sopiti.

I Carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo avevano nell’immediatezza dei fatti indicato la causale dell’omicidio nell’attività investigativa che il valente ufficiale dell’Arma stava svolgendo in merito all’appalto relativo alla costruzione della Diga Garcia, assegnato alla Lodigiani S.p.a. sul quale si erano estesi gli interessi economici dei corleonesi.

L’iniziale pista investigativa veniva abbandonata dopo le dichiarazioni di Casimiro Russo il quale, tratto in arresto per detenzione e porto abusivo di armi, confessava la propria responsabilità nel duplice omicidio, chiamando in correità Rosario Mulè e Salvatore Bonello.
Instauratosi procedimento penale a carico di costoro, gli stessi venivano dichiarati colpevoli e condannati nel 1982 dalla Corte di assise di Palermo per l’omicidio del tenente colonnello Giuseppe Russo e del professor Filippo Costa, sentenza, poi confermata nei successivi gradi di giudizio.
Dalla lettura degli atti messi a disposizione del pubblico al ricorrere del trentennale della strage di Via D’Amelio, si evince il contributo reso da Paolo Borsellino e da Giovanni Falcone, nel disvelare il processo di depistaggio, volto a occultare la responsabilità della mafia corleonese nel duplice omicidio avvenuto a Ficuzza.
Nel dicembre del 1984 il giudice istruttore Paolo Borsellino si era recato presso il carcere di Roma Rebibbia dove aveva ricevuto la richiesta di aiuto di Rosario Mulè, in attesa del verdetto della Cassazione che avrebbe poi confermato nei suoi confronti la sentenza di condanna all’ergastolo per gli omicidi del Russo e del Costa. A tale interrogatorio ne erano seguiti altri che il giudice Borsellino, unitamente all’amico Giovanni Falcone, aveva condotto nella costante ricerca della verità, nonostante le plurime sentenze di condanna intervenute. Profondi conoscitori della realtà mafiosa siciliana e delle dinamiche che si agitavano al suo interno, i due magistrati nutrivano la convinzione che l’omicidio, eclatante manifestazione di forza del gruppo dei corleonesi, fosse una reazione fortemente voluta dal suo capo, Salvatore Riina, a fronte dell’attività investigativa dell’ufficiale dei Carabinieri acutamente rivolta verso gli interessi di cosa nostra nel settore economico-finanziario. 

L’attività condotta dal giudice Borsellino risponde ad una profonda esigenza di verità che ha caratterizzato l’intera sua esperienza giudiziaria e che ne ha ispirato l’azione, contraddistinta da una costante capacità critica e da libertà intellettuale, svincolata da qualsivoglia logica di pregiudizio o da pericolosi condizionamenti. La forza interiore ed il profondo rispetto della vita umana di cui il giudice, ma ancor prima l’uomo, si è reso testimone in ogni ambito della sua esistenza, lo hanno portato a non indietreggiare anche a fronte di una responsabilità giudizialmente accertata, restituendo libertà ai tre condannati e assicurando il conforto della verità ai familiari delle vittime.

E’ infatti sulla scorta di quegli interrogatori e delle dichiarazioni acquisite da numerosi collaboratori di giustizia che, quando Paolo Borsellino era stato già designato alla procura di Marsala, Giovanni Falcone riuscì a fare riaprire le indagini[1], consentendo il disvelamento dell’azione di depistaggio messa in opera per sviare le investigazioni e pervenendo alla revisione del processo[2] ed alla condanna dei veri responsabili.
La Giustizia si è così compiuta dopo un lungo e faticoso percorso al cui esito, i suoi promotori, non hanno potuto assistere perché uccisi dai corleonesi lungo la strada che avevano continuato a percorrere nella ricerca della verità. Ancora una volta la mafia corleonese ha reagito con estrema violenza alla percezione di una grave insidia alla realizzazione dei suoi interessi. Il pericolo, questa volta, era rappresentato dall’attività del Giudice Borsellino che, nei 57 giorni intercorrenti tra la strage di Capaci e la sua morte, si era dedicato senza riserve ad una coraggiosa ricerca delle ragioni che avevano indotto “Cosa Nostra” a progettare e attuare l’eliminazione di Giovanni Falcone, proseguendo anche quel percorso d’indagine avviato dall’amico e insieme a questi, portato avanti con fermezza e convinzione, che aveva disvelato la presenza di importanti interessi mafiosi nella gestione degli appalti pubblici. E, ancora una volta, il percorso per l’affermazione della verità è stato lungo e faticoso ma, nonostante il tempo trascorso, non può dirsi ancora concluso. La ricerca è stata compromessa da un’articolata opera di depistaggio, iniziata ancor prima, forse, del drammatico evento di Via d’Amelio: falsi colpevoli, confessioni, ritrattazioni, sentenze di condanna, revisione, assoluzioni, nuove condanne. Restano, tuttavia, importanti segreti, non ancora svelati. Resta, però, anche la memoria di un uomo e la sua ricerca della verità, alimentata dai valori e dai sentimenti che ne hanno ispirato l’azione e guidato l’esistenza. Una ricerca della verità che non può essere abbandonata.

[1] la richiesta di riapertura delle indagini sottoscritta da Giovanni Falcone in data 7 aprile 1988 è oggetto della presente pubblicazione

[2] La sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Palermo in data 4 novembre 1998 nel processo di revisione è oggetto della presente pubblicazione.

 


scritti dott. Balsamo e dott. Biondo

Una pagina di storia che deve condurre a un rinnovato impegno di tutte le istituzioni per dare piena attuazione al diritto alla verità
Negli archivi del Tribunale di Palermo è conservata una parte importante della storia del nostro Paese. La documentazione del lavoro di persone come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, e tanti altri eroi civili che hanno vissuto qui i momenti più importanti del loro impegno per la giustizia, è una vera miniera di ricordi, di idee, di speranze. Un luogo dal quale ripartire per costruire il nostro futuro, anche e soprattutto nei momenti più difficili.
E’ questa la sensazione che si prova di fronte all’iniziativa – realizzata dalla Commissione Parlamentare Antimafia in questi ultimi mesi con una spiccata sensibilità ai valori più nobili che hanno reso l’impegno della giustizia italiana contro la criminalità organizzata un vero e proprio modello per la comunità internazionale – che ha portato alla riscoperta di una pagina importante del nostro passato, quale è l’attività sviluppata dai giudici istruttori Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Leonardo Guarnotta per far luce sull’omicidio del tenente colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, assassinato il 20 agosto 1977 a Ficuzza, insieme con il prof. Filippo Costa.
Un duplice omicidio che costituì una delle prima manifestazioni della strategia di attacco alle istituzioni voluta dalla mafia dei “corleonesi” e che formò oggetto di una gravissima attività di depistaggio, cui conseguirono le ingiuste condanne di tre pastori, Rosario Mulè, Salvatore Bonello e Casimiro Russo, revocate nel 1997 a seguito delle dichiarazioni di una serie di collaboratori di giustizia che ricostruirono con precisione lo scenario che nell’immediatezza del fatto era stato delineato dagli investigatori.
Ciò che colpisce è come la reale natura del delitto fosse stata immediatamente percepita anche dall’opinione pubblica, grazie all’opera di un grande giornalista di inchiesta come Mario Francese, poi assassinato anche lui dalla mafia, il 26 gennaio 1979.
Infatti le responsabilità e le causali del duplice omicidio del colonnello Russo e del prof. Costa, ed il contesto in cui questo drammatico episodio veniva a collocarsi, avevano formato oggetto di una serie di Reportagen pubblicati sul Giornale di Sicilia tra gli ultimi mesi del 1977 e il gennaio 1979 da Mario Francese, che aveva ricostruito la vicenda in modo perfettamente rispondente alla realtà.
Come è noto, le indagini vennero sviate proprio dalle dichiarazioni del pastore Casimiro Russo, a seguito delle quali il medesimo soggetto, Rosario Mulè e Salvatore Bonello furono condannati per l’omicidio del colonnello Russo, mentre Leoluca Bagarella, inizialmente denunziato quale compartecipe del medesimo delitto, fu prosciolto al termine dell’istruttoria; successivamente Bagarella fu assolto per insufficienza di prove anche dall’imputazione concernente l’omicidio di Giovanni Palazzo. La sentenza di condanna pronunziata a carico di Casimiro Russo, Rosario Mulè e Salvatore Bonello per concorso nell’omicidio del colonnello Russo fu revocata, in sede di revisione, nel 1997.
Oggi, il lavoro sviluppato dalla Commissione Parlamentare Antimafia consente di introdurre nella memoria collettiva della nostra comunità l’impegno di ricerca della verità del quale erano stati protagonisti Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Leonardo Guarnotta proprio negli anni in cui si era appena consumato il gravissimo depistaggio: come ha evidenziato Nicola Biondo, i documenti rinvenuti raccontano di un afflato garantista di grande levatura e dimostrano come senza garantismo non esiste né diritto né giustizia; anche in questa occasione, Falcone e Borsellino hanno rifiutato nettamente quella “cultura del compromesso” che ha permeato una parte della magistratura; sono stati. convintamente garantisti proprio perché giudici e grandi investigatori, uomini di verità e di giustizia.
C’è una lezione importante da trarre dalla riscoperta di questa parte dell’attività dei due grandi magistrati uccisi nel 1992: una lezione attualissima, che può condurre a passi avanti di grande rilievo nel difficile ma essenziale percorso di affermazione completa del diritto alla verità su tutta una stagione della nostra storia che va dagli anni ‘70 agli anni ’90 del secolo scorso ed è contrassegnata dalla strategia del terrorismo mafioso, con il suo attacco alle istituzioni dello Stato e alla libertà di informazione.
Se il diritto alla verità, come affermato dalle più autorevoli Corti internazionali, spetta non solo alle vittime e ai loro familiari, ma anche all’intera collettività colpita dai fenomeni criminali che hanno determinato il verificarsi di gravissime violazioni dei diritti umani, è altrettanto chiaro che il corrispondente impegno deve essere assunto non solo dalle autorità giudiziarie, ma da tutti i poteri dello Stato.
Si tratta di una nuova dimensione dei diritti fondamentali che sta trovando un ampio sviluppo proprio in relazione ai più gravi reati costituenti espressione del nesso tra criminalità organizzata, criminalità del potere e terrorismo, i quali non cessano di suscitare una forte esigenza di accertamento completo della verità, coraggiosamente sostenuta dai familiari delle vittime e dai settori più consapevoli dell’opinione pubblica.
A questa esigenza ha cercato di far fronte la magistratura italiana, con una serie di indagini e di processi volti a far luce su gravissimi episodi delittuosi connessi alle strategie del “terrorismo politico-mafioso”, sgombrando il campo da tutti i tentativi di depistaggio che in passato hanno impedito un completo accertamento dei fatti.
Ma il processo penale, per sua natura, presenta una serie di vincoli che possono ostacolare pesantemente l’accertamento completo di fatti lontani nel tempo: primo tra tutti, l’operare della prescrizione, la cui attuale regolamentazione produce effetti distorsivi che investono l’intero sistema processuale.
Gli stessi limiti non valgono per l’attività delle Commissioni parlamentari di inchiesta, che possono quindi essere uno strumento fondamentale di attuazione del diritto alla verità.
Un impegno, in forme innovative, di tutte le istituzioni dello Stato per la piena affermazione della verità su una delle fasi più drammatiche della nostra storia è il modo più significativo di rendere omaggio a chi, per questo scopo, non ha esitato a dare la vita, e ha così trasformato in profondità il modo di pensare di tutta la società civile, dando avvio a un autentico processo di liberazione delle coscienze e di rifondazione della polis. Un processo che richiede di essere portato a compimento con lo stesso coraggio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Antonio Balsamo

 


Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie XVIII Legislatura (dal 23 marzo 2018 al 12 ottobre 2022)

Pubblicazione dell’audio integrale relativo al resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore di giustizia Leonardo MESSINA del 4 dicembre 1992 – Commissione Antimafia XI Legislatura

Nel corso del ciclo delle audizioni svolte in plenaria dalla Commissione Parlamentare Antimafia, in ambito della XI Legislatura, Presidente onorevole Luciano Violante, il 4 dicembre, viene audito il collaboratore di giustizia Leonardo MESSINA

Una deposizione storica dinanzi alla Commissione Antimafia del pentito che il 30 giugno 1992, iniziava la collaborazione con il giudice Paolo Borsellino, interrotta pochi giorni dopo a seguito della strage di via d’Amelio.L’uomo d’onore della famiglia mafiosa di San Cataldo si sofferma sui legami tra mafia e politica e sui rapporti da lui intrattenuti con il SISDE a partire dal 1986, con particolare riferimento alle indicazioni che dichiara di aver fornito su come catturare gli esponenti della “Commissione mondiale di Cosa Nostra riunita”, ovvero i vertici di Cosa nostra e di alcune sue ramificazioni a livello internazionale.

L’audizione in Commissione Antimafia riprende in qualche modo, nelle forme proprie dell’inchiesta parlamentare, il filo interrotto della collaborazione con l’Autorità Giudiziaria.

File audio estratto resoconto


Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie XVIII Legislatura (dal 23 marzo 2018 al 12 ottobre 2022)

Pubblicazione di atti della Grande Antimafia (legislature IV-V-VI)

Dalla lettura dei documenti si coglie pienamente il particolare contesto criminale – di delicata transizione – che l’organizzazione criminale Cosa Nostra si trovava a fronteggiare in quello specifico momento storico: dopo aver descritto la “inedita” e fondamentale pax mafiosa, durata per ben cinque anni (dal 1963 al 1968), successiva alla intensa attività di repressione investigativa e giudiziaria posta in essere in maniera compatta e continuativa dalle Istituzioni dello Stato in seguito alla tragica strage di Ciaculli del 30 giugno 1963, i rapporti consentono di cogliere plasticamente gli effetti di una sentenza – quella della Corte d’Assise di Catanzaro del 22.12.68 – che aveva assolto 44 imputati con la formula, tristemente “consueta”, della insufficienza di prove. Ciò aveva determinato decine di scarcerazioni e – in questo modo – neutralizzando pericolosamente gli effetti della straordinaria attività repressiva appena conclusa.

I rapporti tracciano le due grandi proiezioni che, fin da subito, la pronuncia appena citata determinò sugli assetti criminali della mafia palermitana: da un lato, quella di conferire “più rinnovato prestigio ed autorità a quanti ne erano usciti indenni” e, dall’altro, il devastante incremento di quella sfiducia dell’opinione pubblica che, da sempre, alimenta il fenomeno dell’omertà (“inevitabile solidarietà di massa, scaturente da quelle ferree leggi dell’omertà in cui la popolazione è, via via, ripiombata unicamente per effetto di scoramento connesso alle inaspettate assoluzioni o alle miti condanne nei gravi processi celebrati fuori dell’isola“).

Vengono quindi elencati e analizzati i molteplici omicidi di mafia che, subito dopo la pronuncia, accompagnarono e confermarono il mutamento radicale del clima criminale, tra i quali figurarono in particolare la nota “strage di viale Lazio” del 10 dicembre 1969 (che vide la partecipazione diretta di innumerevoli boss mafiosi che, di lì a qualche anno, segneranno l’evoluzione della storia dell’organizzazione, come Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella, fratello di Leoluca), nonché la vera e propria spedizione armata, organizzata dal boss Gerlando Alberti ed eseguita da un commando armato a Castelfranco Veneto (TV), volta all’omicidio di Giuseppe SIRCHIA.

Accanto a tali episodi, indicativi di un mutamento di assetto criminale che dopo alcuni anni sfocerà nella “guerra di mafia” che segnò la inaspettata vittoria dei Corleonesi, vengono quindi analizzate alcune delle vicende (ancora oggi) più oscure e misteriose della storia di Cosa Nostra, che ebbero luogo in quegli stessi mesi: dalla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro (16 settembre 1970) all’omicidio eccellente del Procuratore della Repubblica Pietro Scaglione e del suo autista (5 maggio 1971), fino agli inquietanti atti dinamitardi della notte di Capodanno del 1971 eseguiti a Palermo, nel mandamento dei Madonia, ai danni di vari enti e uffici pubblici: “fatti questi” – si legge nei rapporti qui pubblicati – “che non hanno precedenti nelle manifestazioni criminose dell’isola, perché appaiono talmente aberranti da far ritenere che si agitino o si occultino a monte degli esecutori materiali grossissimi interessi ai quali non sarebbero estranei ambienti e personaggi legati al mondo politico ed economico-finanziario e che, in forma più o meno occulta, hanno fatto ricorso, dal dopoguerra in poi, a sodalizi di mafia per conseguire iniziali affermazioni nei più svariati settori, per garantire quanto via via acquisito, per speculare sugli ulteriori locupletamenti“.


Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie XVIII Legislatura (dal 23 marzo 2018 al 12 ottobre 2022)

Pubblicazione di atti relativi alla XIII Legislatura ai sensi della deliberazione del 10 luglio 2019

Resoconto stenografico della 52a seduta del 6 luglio 1999 – Audizione del Ministro dell’interno, onorevole Rosa Jervolino Russo, con declassificazione a pubblico dell’intervento dell’on. Gambale riguardante “Comune di Marano e dei rapporti del clan Polverino-Nuvoletta con la politica”.
Resoconto stenografico della 76 a seduta di martedì 19 settembre 2000 – Audizione del procuratore nazionale antimafia, dottor Piero Luigi Vigna, con declassificazione a pubblico degli interventi del procuratore nazionale antimafia e degli onorevoli Peruzzotti e Veltri in tema di intercettazioni.Resoconti stenografici delle missioni a Brindisi del 9 dicembre 1998, a Lecce del 20 e 21 luglio 2000 e a Cosenza, Vibo Valentia e Crotone del 17, 18 e 19 ottobre 2000, con parziale declassificazione a pubblico delle parti rimaste classificate.

 

 

Resoconti stenografici del Comitato di lavoro “per i sequestri di persona”, riunioni del 9, 11 e 15 settembre 1998, relative alle audizioni dei procuratori di Palermo, Milano e Cagliari; del Comitato di lavoro sui “collaboratori di giustizia, sull’esame degli esposti e delle richieste di audizione alla commissione”, riunione del 24 settembre 1998, con declassificazione a pubblico.


Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie XVIII Legislatura (dal 23 marzo 2018 al 12 ottobre 2022)

Pubblicazione del resoconto stenografico (estratto) missione a Palermo del 3 novembre 1988 – Commissione Antimafia X Legislatura

Nel corso di una missione della Commissione Parlamentare Antimafia svolta nella città di Palermo, il 3 novembre 1988 Giovanni Falcone viene audito – insieme ai suoi colleghi del cosiddetto “pool antimafia” – su molteplici temi di estremo rilievo: la missione costituisce infatti l’occasione per fare il punto sullo stato effettivo del contrasto a Cosa Nostra dopo la sentenza di primo grado del Maxi Processo di Palermo (del 16 dicembre 1987).

Rispondendo, poi, a specifiche domande del Presidente Chiaromonte e dell’Onorevole Violante, Giovanni Falcone fornisce altresì – dal punto di vista qualificato dell’Ufficio Istruzione di Palermo – una rilevante e suggestiva analisi sulla straordinaria complessità delle indagini concernenti i cosiddetti “delitti politici” di Palermo, facendo poi espresso e particolare riferimento proprio all’omicidio di Piersanti Mattarella, avvenuto a Palermo il 6 gennaio 1980.Peraltro nello stesso passaggio dell’audizione, Giovanni Falcone evidenzia l’esistenza di “collegamenti e coincidenze” tra le indagini sull’omicidio Mattarella e quelle riguardanti, tra l’altro, la strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1989 (per la quale, come è noto, è stato condannato con sentenza passata in giudicato anche Valerio Fioravanti).Fino a oggi, invece, non sono stati condannati gli esecutori materiali dell’omicidio. Gli esponenti neri dei “Nuclei Armati Rivoluzionari” Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, processati proprio con l’accusa di essersi occupati dell’esecuzione dell’omicidio, sono stati definitivamente assolti il 17 febbraio 1998.* numerazione inserita per identificare le parti interessate

Da ultimo, la notizia della recente riapertura delle indagini della Procura di Palermo, proprio con riferimento alla “pista nera”, contribuisce a rendere nuovamente e molto attuale la rilevante intuizione espressa da Giovanni Falcone nel 1988, che costituisce parte integrante di questo documento.

Come è noto, con sentenza del 12 aprile 1995 furono condannati all’ergastolo, come mandanti dell’omicidio Mattarella, alcuni boss mafiosi di primo piano, tra i quali Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Francesco Madonia.

Come si ricava dalla lettura del documento, oggi pubblicato per la prima volta, Giovanni Falcone definisce l’indagine “estremamente complessa“, dal momento che “si tratta di capire se e in quale misura la pista nera sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare altre saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro paese, anche da tempi assai lontani“. Falcone ancora ammonisce, trattandosi di una “materia incandescente“, sulla necessità di non “gestire burocraticamente questo processo“.

Giovanni Falcone [pag. 82-89 *] fornisce risposte, sull’analisi del significato criminale della cosiddetta “seconda guerra di mafia” (che definisce, emblematicamente, una “congiura di palazzo”), sulla fondamentale importanza di introdurre nell’ordinamento italiano una disciplina di protezione dei testimoni di giustizia, sull’idea (come al solito, lungimirante) di spostare il tema delle indagini in materia di criminalità organizzata nell’orbita della cooperazione internazionale.

estratto resoconto stenografico missione Palermo 3 novembre