La mafia uccide anche in Puglia. L’elenco delle vittime pugliesi della criminalità organizzata

La verità illumina la giustizia, recita lo slogan della XX edizione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, promossa sabato 21 marzo dalle associazioni Libera e Avviso Pubblico.

Anche la Puglia paga il suo salato conto di vittime innocenti nei confronti della criminalità organizzata. Dall’elenco diffuso dal coordinamento pugliese dell’associazione voluta da Don Ciotti emergono tante microstorie che, nel loro insieme, ricostruiscono il percorso sotterraneo dell’illegalità e delle mafie nel corso degli ultimi 40 anni, in Puglia e in Italia.

Dagli Anni di piombo alla Sicilia militarizzata, dalle sanguinose faide in seno alla Sacra Corona Unita al terrore seminato dai malviventi per le strade di Bari, dal caporalato della Capitanata al contrabbando nel brindisino, non c’è attività legata agli oscuri oppositori del bene comune che non abbia lasciato morti sul proprio sanguinoso cammino. Morti spesso inconsapevoli, colti nella sfortuna di un orologio del destino mal sincronizzato. Oppure morti coscienti, che convivevano con l’ansia del rischio dietro ogni angolo.

Tantissime vittime pugliesi della mafia finite per caso sotto tiro durante regolamenti di conti fra clan. Segno tangibile di quanto la criminalità possa costituire una forte limitazione alla sicurezza e alla libertà di tutti i cittadini onesti.

LE VITTIME PUGLIESI DELLA MAFIA

 

1. Mauro De Mauro. Il foggiano Mauro De Mauro era un giornalista dell’Ora, quotidiano di Palermo. Scomparve la sera del 16 settembre 1970, prelevato con forza da un gruppo di mafiosi a pochi passi dalla sua abitazione, nel capoluogo siciliano, sotto gli occhi increduli della figlia. Il suo corpo non è mai stato ritrovato. Si sospetta che il rapimento sia legato alle sue inchieste sull’omicidio del presidente dell’Eni Enrico Mattei.

2. Antonio Lo Russo. Antonio Lo Russo, originario di Ruvo di Puglia (Ba), lavorava nel Corpo degli Agenti di Custodia presso l’Ucciardone, il carcere di Palermo. Morì in seguito ad un attentato mafioso il 5 maggio 1971, mentre guidava l’auto su cui viaggiava Pietro Scaglione, Procuratore Capo della Repubblica di Palermo, anch’egli vittima dell’agguato.

3. Nicola Ruffo. Nicola Ruffo era un macchinista delle Ferrovie dello Stato nato a Palagiano (Ta). La sua morte però non ha nulla a che vedere con vagoni e binari. Il 6 febbraio 1974 Nicola provò a soccorrere i gestori di una tabaccheria in via Ricchioni, a Bari, presa d’assalto da cinque malviventi. Le successive indagini rivelarono l’appartenenza del gruppo ad un clan della malavita organizzata barese.

4. Emanuele Basile. Emanuele Basile era un ufficiale dei Carabinieri in servizio in Sicilia. Venne freddato a Monreale il 4 maggio 1980, colpito da un colpo di pistola alle spalle durante lo spettacolo pirotecnico dedicato alla festività religiosa del Santissimo Crocifisso.

5. Palmina Martinelli. L’11 novembre 1981 Enrico e Giovanni fanno visita alla giovane Palmina, 14 anni e innamorata di Giovanni. I due la volevano trascinare con loro e costringere a prostituirsi ma Palmina si oppose. I due non accettarono un no, così la cosparsero di alcol e le diedero fuoco con un cerino. La ragazzina corse in bagno per spegnere le fiamme sotto la doccia ma in quel momento l’acqua mancava. Fu ritrovata in bagno dal fratello che rientrava, il quale la caricò in macchina e corse in ospedale. Palmina morì 22 giorni dopo. Prima di morire però riuscì a dire i nomi dei due che le diedero fuoco al magistrato che stava indagando sull’accaduto.

6. Rosario Di Salvo. Rosario Di Salvo era un esponente di rilievo del Partito Comunista Italiano, di cui era stato anche segretario regionale in Sicilia. Il giorno in cui morì, 30 aprile 1982, era in auto a Palermo con Pio La Torre, il parlamentare siciliano che propose l’introduzione del reato di associazione mafiosa all’interno del codice penale italiano.

7. Renata FonteRenata Fonte era assessore alla cultura del comune di Nardò, eletta nelle file del Partito Repubblicano Italiano. Venne uccisa nella sua cittadina con tre colpi di pistola il 31 marzo 1984.

Duplici le ragioni della sua morte. Da un lato l’invidia del mandante dell’omicidio, Antonio Spagnolo, anch’egli iscritto al Partito Repubblicano, primo dei non eletti. In sede giudiziale, inoltre, i magistrati ravvisarono la possibilità che il suo operato come assessore comunale collidesse con gli interessi economici dei costruttori della zona. L’impegno di Renata, infatti, risultò decisivo nell’approvazione della Legge regionale che dichiarò parco naturale l’area di Porto Selvaggio, prelibato bottino per gli speculatori edilizi.

8. Sergio Cosmai. Sergio Cosmai è stato direttore di tre case circondariali calabresi: Locri, Crotone e Cosenza. Morì il 15 marzo 1985, per le conseguenze dell’agguato subito appena 24 ore prima sulla strada che collega Cosenza e Rende. Cosmai venne colpito alla testa da 11 proiettili calibro 38 mentre era alla guida della sua 500 gialla.

9. Giulio Capilli. Giulio Capilli era un giovane pubblicitario tarantino di ventotto anni. La sera del 30 gennaio del 1988, Giulio si trovò “nel posto sbagliato, al momento sbagliato”, ovvero nel bel mezzo di un regolamento di conti fra due clan mafiosi della sua città. Un proiettile vagante lo colpì mentre passeggiava con la fidanzata.

10. Donato Boscia. Donato Boscia era un giovane ed apprezzato ingegnere originario di Gioia del Colle (Ba), impiegato presso la Ferrocementi di Roma. L’azienda lo aveva mandato a Palermo per dirigere il cantiere dell’acquedotto. Il 2 marzo 1988 fu freddato nella sua auto con cinque colpi di pistola. La sua colpa? Stava realizzando una sezione dell’acquedotto siciliano sul quale la mafia non era riuscita a mettere le mani.

11. Nicolina Biscozzi. Nicolina Biscozzi, brindisina, era la compagna di Vincenzo Carone, affiliato alla Sacra Corona Unita di Brindisi. Il 22 giugno 1989 Nicolina era in auto con lui. I killer, assoldati per giustiziare l’uomo, affiancarono la vettura in corsa e iniziarono a sparare. A morire, però, fu Nicolina.

12. Giovanbattista Tedesco. Giovanbattista Tedesco era un ex carabiniere, assunto dall’ex Italsider di Taranto come vigilante. Venne ucciso nella notte fra il 2 e il 3 ottobre 1989. Secondo la relazione della Commissione Antimafia, l’uomo venne eliminato perché aveva più volte respinto i tentativi della Sacra Corona Unita di imporsi all’interno delle acciaierie.

13. Domenico Calviello Domenico Calviello aveva solo 14 anni e, forse, un fratello condannato a morte dalla criminalità organizzata tarantina. Ma la notte del 20 ottobre 1989, a Statte (Ta), i killer sbagliarono persona. Domenico morì colpito a freddo da una scarica di pallettoni a distanza ravvicinata.

14. Angelo Carbotti. Angelo Carbotti era un operaio precario. Incensurato, venne scambiato per il boss di una band rivale dal killer che ne stroncò la vita, il 22 aprile 1990. Angelo aveva appena scortato due persone coinvolte in un incidente stradale. Dinanzi al pronto soccorso dell’ospedale civile Santissima Annunziata di Taranto, incurante dei presenti, il killer scaricò sul malcapitato 5 colpi calibro 7,65. Angelo morì all’istante.

15. Giuseppe Orlando. Giuseppe Orlando era proprietario di una salumeria nel rione Tamburi di Taranto. Il 27 ottobre 1990 rimase vittima di un agguato mafioso all’ingresso della sua bottega. I colpi sparati dai killer erano destinati a due pregiudicati che in quel momento si trovavano a pochi passi dall’esercizio commerciale. A nulla valse il tentativo di salvare Giuseppe in ospedale.

16. Marcella Di Levrano. Marcella aveva deciso di denunciare agli inquirenti i loschi giri d’affari in cui erano implicati i suoi futuri aguzzini. La Sacra Corona Unita non poteva permettere quel flusso di notizie. Marcella fu rapita, lapidata a morte e abbandonata in un bosco vicino Brindisi, in contrada Lucci, nel 1990.

17. Angelo Raffaele Longo. Venne ucciso a Mesagne (BR), nel 1990.

18. Cosimo Distante. Venne ucciso a Brindisi, nel 1990.

19. Valentina Guarino. Esiste un luogo più sicuro delle braccia della mamma per una bambina di appena sei mesi? Alla piccola Valentina non è bastato essere avvolta dal rassicurante abbraccio materno. Suo padre Cosimo, pregiudicato e cognato del potente boss Gianfranco Modeo, era finito sul libro nero dei clan rivali. Classico scenario da film western sulle strade di Taranto. I killer affiancano l’auto su cui viaggiavano Valentina e Cosimo e sparano all’impazzata. Muoiono padre e figlia. La madre di Valentina resta incredibilmente illesa. Era il 9 gennaio 1991.

20. Antonio Rampino. Antonio Rampino era figlio di Raffaele, imputato a Lecce nel processo contro i presunti affiliati alla Nuova Sacra Corona Unita. A quest’ultimo era indirizzato l’attentato in cui, il 17 gennaio 1991, venne ucciso per sbaglio Antonio. I due colpi di pistola raggiunsero la vittima mentre rientrava a casa, a Trepuzzi (Le). Il killer aveva confuso il padre col figlio. Aveva 17 anni.

21. Angelica Pirtoli. Quando il boss emette la sentenza c’è poco da fare, anche se sei una bambina di appena 2 anni. Nessuno sconto per Angelica Pirtoli, scomparsa misteriosamente la sera del 20 marzo 1991 assieme alla madre, Paola Rizzello, a Parabita (Le). La madre fu rapita e uccisa perché entrò in rotta di collisione con la moglie del boss Luigi Giannelli, con cui Paola ebbe una relazione. I killer completarono l’opera e giustiziarono anche la piccola Angelica, rimasta a piangere al capezzale della madre, pericolosa prova “vivente” dell’omicidio.

22. Salvatora Tieni
23. Nicola Guerriero. I coniugi Salvatora e Nicola erano disperati. Cercavano la verità sulla scomparsa del figlio Romolo. Salvatora e Nicola fecero la stessa fine, dissolti nel nulla per mano della Sacra corona unita l’11 agosto 1991, a Torre Santa Susanna (Br).

24. Giovanna Sandra Stranieri. Sandra Stranieri passeggiava con un’amica per le strade di Taranto, il 29 dicembre 1991. Fu bersaglio di un proiettile vagante, destinato al pregiudicato Umberto Galiano.

25. Silvana Foglietta. Venne uccisa a Brindisi nel 1991.

26. Claudio Pezzuto. Faiano di Pontecaiano, provincia di Salerno. Mancano pochi minuti al termine del turno di Claudio Pezzuto, carabiniere originario di Surbo (Le). Insieme al collega Fortunato Arena s’insospettì per la presenza di un vistoso fuoristrada nella centrale piazza Garibaldi. Quello che doveva essere l’ultimo controllo di routine di quel 12 febbraio 1992 si trasformò in tragedia. Dopo un’apparente normalità nelle operazioni di controllo, gli assassini colpirono a morte i due carabinieri. Claudio, addirittura, viene seguito e finito con un mitra. A nulla valse la corsa in ospedale.

27. Rocco Dicillo
28. Antonio Montinaro
29. Vito Schifani. I tre agenti di polizia pugliesi – originari rispettivamente di Triggiano, Calimera (LE) e Ostuni (BR) – sono fra i tristi protagonisti della strage di Capaci, una delle pagine più buie della storia italiana del secondo dopoguerra. Persero la vita il 23 maggio 1992  insieme al magistrato Giovanni Falcone e alla consorte Francesca Morvillo.

Vito, Antonio e Rocco, agenti della scorta del magistrato palermitano, erano nella Fiat Croma che apriva il convoglio di Falcone. Sull’A29, all’altezza dello svincolo per Capaci, gli attentatori detonarono un potentissimo esplosivo. La deflagrazione causò la morte immediata dei tre agenti, la cui auto fu sbalzata in un oliveto distante oltre dieci metri dal manto stradale.

30. Giovanni Carnicella. Un sindaco democristiano, un concerto di Nino D’Angelo quale emblema della criminalità al potere, una scommessa con il mafioso Alfredo Fiore e un omicidio. Il 7 luglio 1992 Giovanni Carnicella, sindaco di Molfetta (Ba), venne colpito a morte da un colpo di pistola sparato da Cristoforo Brattoli, titolare dell’azienda Trasporti e Servizi Palcoscenici Centro Sud e, all’occorrenza, organizzatore di spettacoli.

Il sindaco si oppose all’organizzazione del concerto di Nino D’Angelo proposto dall’impresario. L’idea era nata durante una festa privata di Alfredo Fiore (ucciso lo scorso anno fra la folla del mercato settimanale di Molfetta) ed era supportata da una società di fatto composta da dieci persone, tra cui trovavano spazio diversi esponenti della “variegata realtà di Piazza Paradiso”.

31. Mauro Maniglio. Mauro era un studente, iscritto al quinto ed ultimo anno del Liceo scientifico Monticelli. Fu ucciso sul lungomare di Casalabate nella notte fra il 13 ed il 14 agosto 1992 da un killer che, appena qualche ora prima, s’era già macchiato di un altro omicidio a Leverano. Il killer sospettò che Mauro e suo cugino, che percorrevano in moto la litoranea del piccolo borgo salentino, fossero in realtà due sicari assetati di vendetta. Passò quindi al contrattacco. Mauro fu colpito alla gola da uno dei due colpi sparati dal malvivente.

32. Giovanni Panunzio. Giovanni Panunzio era un noto imprenditore edile foggiano. Per tre anni bersagliato dagli estorsori, contribuì all’arresto di 14 presunti mafiosi con le sue coraggiose denunce. La criminalità organizzata ottenne presto il suo scalpo. Fu crivellato di colpi il 7 novembre 1992.

33. Antonio Tamborino. Venne ucciso a Surbo (Le), nel 1992.

34. Leonardo Santoro. C’è solo un destino possibile per i collaboratori di giustizia e per i diretti familiari, la condanna a morte. Leonardo Santoro era fratello di un pentito, e tanto bastava per indurre la malavita brindisina a soddisfare il proprio desiderio di vendetta col suo cadavere. Leonardo venne colpito il 19 settembre 1994 lungo la strada statale 16, fra San Vito dei Normanni e Carovigno,

35. Francesco Emanuele Marcone. Anche dietro la semplice ed ordinaria burocrazia si possono nascondere favori e corsie preferenziali nel dispiego di pratiche da pagare a prezzo d’oro. Francesco Marcone, direttore dell’ufficio del Registro di Foggia, aveva prontamente denunciato la truffa alla Procura della Repubblica. Venne assassinato nel portone di casa il 31 marzo 1995.

36. Gioacchino Bisceglia. A Terlizzi il furto d’auto è all’ordine del giorno. Al furto, di solito, segue la richiesta di estorsione: “Rivuoi la tua macchina? Paga”. Gioacchino, anche lui vittima del solito copione, non ci sta. Si impunta, rivuole indietro la Golf sottratta al fratello senza accontentare la richiesta economica degli estorsori. Pagherà con la vita il 26 febbraio 1996, ucciso con un colpo di pistola alle spalle.

37. Anna Maria Torno Il capolarato è una piaga sociale, riduce il lavoro a schiavitù consenziente senza alcuna tutela per chi è costretto ad accettare pochi spiccioli per attività spesso massacranti. Anna Maria Torno era una bracciante agricola di 18 anni. Perse la vita a Ginosa (Ta), l’1 marzo 1996, nell’incidente che coinvolse il pulmino che la portava in campagna. Il mezzo era omologato per il trasporto di 9 persone ma in quel viaggio fatale avevano trovato posto a bordo 14 braccianti.

38. Raffaella Lupoli. Raffaella aveva 11 anni e amava suo padre. I suoi occhi da bambina videro in papà Antonio tutte le debolezze di una vita sporcata dalla dipendenza dalla droga. Aveva deciso di salvarlo e si era ripromessa che, un giorno, sarebbe diventata giudice. Il 10 giugno 1997 era il suo ultimo giorno di scuola. Antonio prese la macchina e andò a trovare la figlia, per festeggiare la fine delle lezioni. Fu seguito per le strade di Taranto da un killer, che forse voleva punirlo di uno sgarro. I tre proiettili che partirono dalla sua pistola, però, colpirono Raffaella.

39. Luigi Fanelli. Bari26 settembre 1997. Luigi Fanelli, giovane militare di leva, ebbe un acceso diverbio con Fausta, la sua ex ragazza, perché finita in un giro d’amicizie e frequentazioni poco raccomandabili. Dopo il litigio, Luigi si allontanò con Paolo e Francesco, chiamati in soccorso dalla ragazza, e da lì scomparve per sempre. Una lunga vicenda giudiziaria evidenziò i legami di Paolo e Francesco con la criminalità organizzata di Carbonara di Bari. Il corpo di Luigi non è mai più stato ritrovato.

40. Incoronata Sollazzo
41. Maria Incoronata Ramella. Ancora capolarato, ancora condizioni lavorative pessime. Cerignola, 24 aprile 1998. Furgone debordante di persone che raccattano la giornata sotto il sole del Tavoliere. Sul pulmino ci sono anche Incoronata e Maria, braccianti agricole. Moriranno nell’incidente stradale che coinvolgerà il mezzo.

42. Ennio Petrosino
43. Rosa Zaza. Il viaggio di nozze era ancora un freschissimo ricordo la sera del 25 agosto 1999. Ennio e Rosa erano appena rientrati dalla Croazia. La loro moto si schiantò con la Renault 21 dei contrabbandieri che in autostrada, a fari spenti, azzardarono una folle inversione di marcia in uno dei tanti varchi aperti sull’A14, fra Candela e Cerignola.

44. Hiso Telaray. Hiso Telaray aveva solo 22 anni quando è stato ucciso. Il giovane albanese si era ribellato alla logica spietata dei caporali di Capitanata. È stato assassinato a Cerignola l’8 settembre 1999 come monito per tutti quelli che volevano prendere spunto da lui e ribellarsi alla voce dei padroni.

45. Matteo De Candia. Foggia, 21 settembre 1999. Matteo voleva solo brindare con alcuni amici per festeggiare il suo onomastico. Scelsero un bar frequentato in quel periodo da Salvatore Prencipe, pregiudicato. A lui erano destinati i colpi sparati dai due killer che avevano fatto irruzione nel bar. Gli spari però raggiunsero Matteo, rimasto ucciso per caso.

46. Anna Pace. Valle d’Itria, strada statale fra Fasano e Locorotondo. A deturpare le bellezze paesaggistiche della zona ci pensano i furgoni dei contrabbandieri, che ogni giorno trasportano su quelle strade considerevoli carichi di sigarette. Il 12 ottobre 1999 uno di questi vettori del contrabbando impatta violentemente contro l’auto di Anna. Per la donna di 62 anni lo scontro sarà letale.

47. Rodolfo Patera
48. Luigi Pulli
49. Raffaele Arnesano. Strage della Grottella. Un commando armato di bombe e Kalashnikov attacca due furgoni portavalori a Copertino (Le). Era il 6 dicembre 1999. L’azione dei malviventi rasenta una scena di guerra. Non vi fu scampo per le guardie giurate Rodolfo, Raffaele e Luigi, annientati dallo scoppio degli ordigni scagliati dai rapinatori per impossessarsi degli oltre tre miliardi di lire trasportati dai due furgoni.

50. Antonio Sottile
51. Alberto De Falco. All’inizio del nuovo millennio, il contrabbando detta legge nel brindisino. Alle porte di Brindisi, il 23 febbraio 2000 un blindato pieno di sigarette accartoccia la Fiat Punto con cui quattro finanzieri avevano provato a fermare i contrabbandieri. Un massacro. Sul colpo muoiono il vicebrigadiere Alberto De Falco, calabrese, e il finanziere scelto Antonio Sottile, originario di Caserta.

52. Giuseppe Grandolfo. Giuseppe Grandolfo, 38 anni, incensurato, era per pura coincidenza a pochi passi del boss del quartiere Libertà Antonio Abbatticchio, appena uscito di cella per decorrenza dei termini della custodia cautelare. L’agguato dell’11 marzo 2000 era indirizzato a lui. I killer, invece, colpirono Giuseppe, vicino all’ingresso del circolo Gruppo indipendente Libertà, a Bari.

53. Maria Colangiuli. Morire mentre si è intenti a preparare la cena, sul balcone di casa. È successo a Maria Colangiuli, 70 anni, nel difficile quartiere San Paolo a Bari. Era la sera dell’8 giugno 2000.

54. Daniele Zoccola
55. Salvatore De Rosa. Daniele e Salvatore, finanzieri, caddero in servizio il 24 luglio 2000 durante l’inseguimento ad alcuni criminali albanesi. I due erano a bordo di una motovedetta impegnata in un’operazione di contrasto al turpe “traffico di esseri umani”. Persero la vita di fronte alla Grotte della Zinzulusa, a Castro Marina (Le).

56. Michele Fazio. Michele oggi è un simbolo della lotta alla criminalità a BariVecchia. Il giorno in cui morì, il 12 luglio 2001, aveva solo 16 anni. Stava rientrando a casa, dopo una giornata di lavoro. Fu vittima per errore di uno scontro a fuoco tra i clan rivali Capriati e Strisciuglio.

57. Gaetano Marchitelli. Gaetano aveva 15 anni la sera della sua morte, il 2 ottobre 2003. Lavorava come cameriere in una pizzeria di Carbonara di Bari. Intorno alle 23 alcuni corpi d’arma da fuoco gettarono lo scompiglio di fronte al locale. Gaetano venne colpito alla schiena. Si sospetta che qualcuno lo abbia usato come scudo umano.

58. Romano Fasanella
59. Carmela Fasanella
60. Domenico De Nittis. Il Gargano venne funestato nell’estate 2007 da un imponente incendio di natura dolosa, che distrusse ampie aree di vegetazione del promontorio e mise a dura prova la stagione estiva. Le vere cause di quell’incendio non sono mai state accertate con sicurezza. Il 24 luglio 2007, nelle campagne di Peschici (Fg), persero la vita due anziani, fratello e sorella, Romano e Carmela. I loro cadaveri vennero rinvenuti, ormai completamente carbonizzati, all’interno di un’automobile. Domenico De Nittis morì per le gravi ustioni riportate su tutto il corpo, dopo aver salvato la moglie dall’ira delle fiamme.

61. Francesco Ligorio. L’11 novembre 2010 il diciottenne Francesco Ligorio, originario di Francavilla Fontana, morì in un agguato sulla superstrada Brindisi-Taranto. I colpi di mitra che ne stroncarono la vita erano in realtà in serbo per Nicola Canovari, vittima predestinata secondo le intenzioni dei killer, che viaggiava con lui a bordo di un tir Fiat.

62. Giuseppe Mizzi, Giuseppe Mizzi venne ucciso per errore il 16 marzo 2011, nel più classico e tragico degli “scambi di persona”. Due sicari lo freddarono a colpi di pistola a pochi passi dalla piazza principale di Carbonara di Bari.

63. Domenico Petruzzelli. Domenico aveva appena tre anni. Il 17 marzo 2014morì sotto una pioggia di proiettili al termine di un inseguimento sulla strada statale Jonica mentre era in braccio a papà Cosimo, pregiudicato in libertà vigilata e obiettivo dell’agguato.

64. Flori Mesuti Florian aveva 25 anni. Originario dell’Albania, venne ucciso a Bari, nelle vicinanze del Redentore,  il 29 agosto 2014 per aver cercato di sedare una lite tra ragazzini. Nel tentativo di placare gli animi, diede uno schiaffo al ragazzino ‘sbagliato’, figlio di un boss del quartiere.

65. Domenico Martimucci. Nella notte tra il 4 e il 5 marzo 2015, ad Altamura, venne fatta esplodere una bomba davanti alla vetrina della sala giochi “Green table”, quasi un chilo di tritolo “pari a 20 granate da guerra”. Dentro la sala alcuni ragazzi stavano guardando una partita in tv. Tra loro Domenico, “Domi” per tutti, promettente calciatore. Lì cominciò il suo drammatico che si concluse dopo cinque mesi di agonia, l’1 agosto, in una clinica austriaca specializzata in riabilitazione neurologica, dove era stato trasportato nella speranza di una ripresa.